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Article Index

II.I Xi Jinping

Xi Jinping è un politico di professione, membro di quell’aristocrazia rossa che da circa settant’anni governa la Cina: è infatti figlio di Xi Zhongxun, combattente comunista della prima ora che fu capo del Dipartimento propaganda del Pcc prima di cadere in disgrazia durante la Rivoluzione culturale; riabilitato negli anni Ottanta, ebbe un ruolo importante nell’organizzazione delle zone economiche speciali volute da Deng Xiaoping. La sua nomina a segretario generale del Pcc nel novembre 2012 e di presidente della Repubblica popolare cinese nel marzo 2013 rappresenta il punto di arrivo di una carriera di successo costruita nel corso di una vita con grande abilità e sostenuta da solida preparazione, straordinario acume politico, comprovate competenze e lunga esperienza.[44] Ritenuto uomo prudente e incline alla mediazione in una fase estremamente delicata per il futuro del partito e del paese, fin dalla sua nomina a segretario ha dato prova di grande autonomia, forte personalità e determinazione nel realizzare quelle riforme strutturali ritenute essenziali per far fare al sistema produttivo e alla società cinese quel salto di qualità senza il quale i rischi di implosione potrebbero trasformarsi rapidamente in tragica realtà.

Xi Jinping è uno statista estremamente carismatico, con un grande senso delle istituzioni, posato e gentile nei modi e nei toni, lucido, preparato, ambizioso, autoritario ed estremamente risoluto. Grande sostenitore del ruolo insostituibile del Pcc nella guida della Cina del futuro, una volta al vertice del partito e del governo ha accentrato nelle sue mani tutte le cariche più importanti e strategiche per il controllo del paese, tanto da meritarsi il soprannome di Presidente-di-tutto. Criticato per le sue posizioni apparentemente filo-maoiste, per la violenta campagna anti-corruzione, in Occidente interpretata da molti come uno strumento di lotta politica con cui avrebbe eliminato i suoi più temibili avversari (che gli è valso il soprannome di Padrino), per l’eccessivo controllo delle libertà civili, in diversi casi sfociato in censura e repressione, è considerato il leader cinese più potente e temuto dopo Mao. Per il suo carisma, l’atteggiamento risoluto e posato e l’immenso potere accumulato è stato paragonato a un imperatore con ambizioni egemoniche di stampo neo-colonialista.

Il bilancio dei suoi primi cinque anni di governo può definirsi positivo: nonostante le forti resistenze incontrate e le misure restrittive e in diversi casi repressive alle libertà individuali che via via si sono rese necessarie per tenere sotto controllo una situazione potenzialmente esplosiva, Xi è riuscito comunque a varare una serie di riforme strutturali importanti, a contrastare un sistema corruttivo fuori controllo e a promuovere ambiziosi progetti destinati a modificare radicalmente la vita dei cinesi e il ruolo del paese sullo scacchiere internazionale. Ma soprattutto ha chiuso definitivamente un’era, che ha visto la Cina prima umiliata dall’aggressione imperialista straniera e poi isolata dal resto del mondo; un passaggio obbligato per poter guardare avanti con dignità e orgoglio e posizionare la Cina nel ruolo di superpotenza in grado di trattare alla pari con Stati Uniti, Europa e Russia. L’abolizione del limite costituzionale dei due mandati presidenziali consecutivi deliberata nel marzo 2018 dall’Assemblea Nazionale del Popolo, l’attribuzione formale dell’appellativo di “core leader”, “nucleo della leadership” del partito e dello stato, e il conferimento dello status di massimo ideologo, dal momento che il suo “pensiero sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era” è entrato a far parte dello statuto del partito, tributo riservato in vita solo a Mao e concesso a Deng come riconoscimento postumo, gli hanno già assicurato un posto di primissimo piano nella storia del paese pari a quello di Mao Zedong e Deng Xiaoping.

Grazie a lui la Cina è, al momento, l’unica nazione ad avere una visione di sviluppo economico e sociale globale, organico e lungimirante, su base multilaterale, finalizzato non solo alla propria crescita ma anche allo sviluppo dell’intero pianeta. Obiettivo principale della politica di Xi Jinping è creare le condizioni affinché la Cina possa ritrovare il suo posto al centro (zhong 中) del tianxia 天下 “[ciò che è] sotto il cielo”: si realizzerebbe in questo modo il “sogno cinese” (zhongguo meng 中国梦) di rinnovamento e rinascita nazionale (zhongguo fuxing 中国复兴) di cui Xi Jinping parla sin da quando venne nominato segretario generale del Pcc nel 2012.

 

II.II Il sogno cinese

Come i suoi predecessori anche Xi Jinping ha lanciato una serie di slogan destinati a caratterizzare le sue politiche, quello del “sogno cinese” è senz’altro il più importante. All’inizio non era ben chiaro a cosa veramente si riferisse, trattandosi di un concetto astratto, fumoso, una bella immagine a cui dare significato concreto man mano che si procedeva verso il cammino di rinnovamento.[45] Fu dunque un po’ alla volta che i contenuti del sogno sono andati delineandosi.

In politica interna gli obiettivi principali per realizzare il “sogno cinese” sono sintetizzabili nei punti qui sotto elencati:

  • mantenimento del tasso di crescita dell’economia entro valori sostenuti ma contenuti, congrui con un modello di sviluppo più equilibrato rispetto al passato;
  • rinnovamento del sistema produttivo, con un’attenzione particolare alla salvaguardia dell’ambiente, che consenta al paese di superare il modello “fabbrica del mondo” per avviarsi verso più avanzate e sofisticate forme di sviluppo;
  • ammodernamento delle infrastrutture, con particolare attenzione al settore dei trasporti, aumentando le zone di libero scambio per favorire la commercializzazione dei prodotti cinesi;
  • superamento dell’inefficienza radicata e diffusa soprattutto nel sistema delle imprese statali, favorendo l’uscita dal mercato delle cosiddette “imprese zombie”;
  • accelerazione dell’innovazione tecnologica come motore di sviluppo sia in ambito economico che sociale, soprattutto in alcuni settori hi-tech ritenuti strategici per il paese (digitale, intelligenza artificiale, robotica, medicina di precisione, genomica, nuovi materiali, ecc.);[46]
  • promozione di uno sviluppo integrato urbano-rurale che riduca gli eccessivi squilibri tra città e campagna, favorendo la rivitalizzazione del settore agroalimentare, l’espansione controllata delle città di media dimensione, la riconfigurazione delle grandi città e dei maggiori agglomerati urbani, l’urbanizzazione necessaria per sostenere l’industria, sia per quanto riguarda le opere primarie sia secondarie, una migliore gestione dei flussi migratori, ecc.;
  • rafforzamento del sistema finanziario e graduale riduzione dell’indebitamento pubblico e privato, salito dal 162% del 2008 all’attuale 300% circa del Pil;
  • maggiore controllo dei flussi internazionali di capitali, sia in entrata che in uscita;
  • attenzione costante per la questione morale e lotta intransigente alla corruzione, essenziale per garantire il funzionamento efficace della macchina statale e produttiva e il mantenimento dell’armonia sociale;
  • incremento delle politiche di riequilibrio delle diseguaglianze sociali creatasi nel corso degli ultimi decenni, con particolare attenzione alla ridistribuzione della ricchezza;
  • incentivazione dei consumi interni e miglioramento dei servizi pubblici, soprattutto nelle aree più arretrate che meno hanno goduto dei benefici derivanti dal progresso economico;
  • eliminazione totale della povertà assoluta entro il 2020;
  • potenziamento dei servizi di welfare, in particolare nei settori dell’assistenza sanitaria e del sistema pensionistico, e in generale di tutto ciò che è legato alla sicurezza sociale e a una migliore qualità della vita;
  • modernizzazione dell’Esercito popolare di liberazione, ringiovanimento e moralizzazione dei vertici, intensificazione dei rapporti tra industria bellica e industria civile e rafforzamento della presenza militare cinese nell’area asiatica del Pacifico;
  • miglioramento del sistema di sicurezza interna, con particolare attenzione alla sicurezza informatica, e maggior impegno nella lotta contro il terrorismo; potenziamento del sistema di sorveglianza delle attività di ogni singolo cittadino nell’ambito del progetto Social Credit System che dovrebbe consentire agli organi di controllo governativi di monitorare e valutare il comportamento e l’affidabilità dei propri cittadini in tempo reale;
  • promozione della cultura tradizionale, e in particolare dei valori del confucianesimo, chiusura verso i cosiddetti valori occidentali considerati inadatti, e soprattutto pericolosi, alla realtà cinese e maggiore attenzione per la qualità dell’istruzione e della ricerca di base e applicata;
  • promozione dell’orgoglio nazionale e dei valori patriottici, affinché non solo i cinesi residenti in patria, ma anche quelli sparsi nel mondo si sentano partecipi del processo di rinnovamento e contribuiscano fattivamente alla rinascita della Cina e alla diffusione della cultura cinese tradizionale; il sogno cinese potrà realizzarsi solo se ci sarà uno sforzo corale verso un unico obiettivo che trasformerà il sogno da cinese a “sogno globale” (shijie meng 世界梦).

Un’agenda densa come si può ben vedere. I processi di trasformazione avanzano spediti, incontrando numerose difficoltà e in modo non sempre uniforme, sicché permangono differenze regionali profonde e si affermano nuove forme di diseguaglianza e sperequazione sociale. In questa fase il tentativo di trovare nuove sintesi tra nazionalismo politico e nazionalismo culturale impone al partito una gestione sempre più centralizzata e autoritaria del potere, tendente a ridurre gli spazi di libertà a disposizione della società civile. Una situazione non semplice. Restano inoltre da verificare le reali intenzioni di inclusività da parte della Cina nei molteplici progetti messi in campo, senza contare che le principali industrie europee e statunitensi non vedono di buon occhio il programma di ammodernamento manifatturiero Made in China 2025, che ha come obiettivo la profonda trasformazione entro il 2025 del sistema industriale cinese, sia per quanto riguarda i processi di automazione sia per quanto attiene all’innovazione, in particolare nei settori a più alto tasso di tecnologia.[47] Infine non vanno sottovalutati i rischi che la revisione del sistema legislativo e l’imponente opera di moralizzazione in atto, che ha comportato l’individuazione e punizione di oltre un milione e trecentomila funzionari e politici corrotti in cinque anni, non si trasformino in strumenti di azione politica volti all’eliminazione, anche fisica, dei propri avversari.

Per rendere più rapida e indolore l’accettazione delle deliberazione del partito a tutti i livelli dell’apparato burocratico-amministrativo e della società, mel marzo 2018 l’Assemblea Nazionale del popolo ha varato un’imponente riforma delle istituzioni, che ridisegna la mappa dei ministeri e delle commissioni governative in funzione di un rafforzamento capillare del partito e inaugura la Commissione Nazionale di Supervisione, l’organo che in materia di lotta alla corruzione incorporerà le funzioni di competenza della magistratura ordinaria e del partito: l’azione di controllo e repressione dei comportamenti pubblici ritenuti inappropriati o illegali verrà così estesa dai membri dal partito all’intera società, ricorrendo a uno strumento indipendente sia dalla magistratura che dall’esecutivo.

In politica estera il progetto di punta, noto come yi dai yi lu 一带一路 “una cintura [di infrastrutture], una via” (One Belt, One Road, ribattezzato Belt and Road Initiative), è incentrato sulle nuove vie della seta. Esso coinvolge direttamente 65 nazioni, che comprendono il 62% della popolazione mondiale, posseggono il 75% delle riserve energetiche e producono 1/3 del prodotto interno lordo globale, e ha come obiettivo dichiarato la costruzione di una moderna rete di infrastrutture e di vie di comunicazione e di trasporto che si estenda lungo il continente euroasiatico fino a giungere alle coste atlantiche, l’Africa e i paesi dell’Asia meridionale e del Sudest asiatico. In prospettiva l’iniziativa dovrebbe coinvolgere un centinaio di paesi, compresi gli stati dell’America del Sud, il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda. Si tratta di un’impresa di dimensioni planetarie destinata, se portata a compimento, a cambiare gli assetti geopolitici ed economici del mondo, favorendo le relazioni tra gli stati e gli scambi economici e commerciali, l’incontro tra i popoli, le attività culturali e i flussi turistici. Mai nella storia dell’umanità si è pensato così in grande, mai prima d’ora erano stati previsti investimenti tanto consistenti: i costi stimati solo per la prima fase del progetto sono almeno dodici volte superiori, in termini attualizzati, al valore del Piano Marshall promosso dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale.[48]

Tali ambizioni si rifanno al ruolo storico svolto dalla Cina per oltre due millenni. Non va infatti scordato che in Asia orientale la civiltà cinese ha rappresentato per secoli un modello a cui guardare con ammirazione e da cui trarre ispirazione, un interlocutore imprescindibile nelle relazioni diplomatiche e commerciali. La Cina era, di nome (zhongguo 中国 “lo stato al centro”) e di fatto, il fulcro del mondo civile, il tianxia. Questo termine, che ha avuto sfumature di significato diverse nel corso della storia, ha un carattere di universalità e per oltre due millenni ha coinciso con il concetto stesso di impero (i popoli al di fuori del tianxia erano considerati “barbari”). Oggi è tornato in auge nell’utopica speranza che sia tempo di promuovere una cultura nuova, basata su un’autentica solidarietà e cooperazione tra i popoli, che superi gli egoismi regionali, soprattutto da parte dei paesi più sviluppati, e aiuti l’umanità a vedere il mondo non più da una prospettiva di parte ma globale, concependo il consesso civile come un’entità unica che includa tutto e tutti e non escluda nulla e nessuno, in base al principio confuciano di “armonia nel rispetto delle diversità” (he er bu tong 和而不同).[49] In quest’ottica i problemi nel mondo dovrebbero essere percepiti e reinterpretati come problemi del mondo ed essere quindi affrontati in una visione globale improntata all’armonia, alla pace e al benessere collettivo, nello spirito dell’assunto, formulato nel III secolo a.C.: “Il mondo (tianxia) non appartiene a un singolo uomo, ma al mondo stesso”, che trova la sua sintesi perfetta, per l’appunto, nel concetto di tianxia, mondo globale.[50] Si tratta di un modello di governo universale verso cui il mondo attuale sembra sempre meno indirizzato.

Per un lungo periodo l’impero cinese ha rappresentato il paese più prospero, civile e tecnologicamente avanzato del pianeta. Tra il XIII e XV secolo produceva, da solo, tra il 25% e il 30% della ricchezza globale. Nei secoli successivi mutamenti radicali a livello mondiale hanno modificato in modo drastico il quadro geopolitico, cambiando profondamente le economie e le relazioni tra gli stati, e determinando il graduale declino del paese. È solo grazie alle riforme di apertura e sviluppo promosse alla fine degli anni Settanta che la Cina è riuscita a invertire il trend negativo, a uscire dalla povertà assoluta in cui viveva gran parte della sua popolazione e a diventare la seconda potenza economica mondiale.[51]

Nel corso del suo lungo declino la Cina perse la sua tradizionale capacità di attrazione. Nel rivendicare per la Cina un ruolo di primo piano sullo scacchiere internazionale, Xi Jinping ha voluto sancire la fine di un’epoca, “il secolo dell’umiliazione nazionale”, dare carattere stabile all’inversione di traiettoria tracciata dai suoi predecessori e riaffermare con forza una linea di continuità con un passato glorioso, enfatizzando con orgoglio l’appartenenza a una civiltà millenaria che non può e non deve essere sacrificata o abbandonata in nome di concezioni e sistemi politici estranei al mondo cinese. I valori espressi dalle concezioni filosofiche, etiche ed estetiche tradizionali, tornati attuali solo di recente dopo un periodo di duro ostracismo, concorrono a dare un nuovo spessore morale all’ideologia socialista, valorizzando le esigenze più profonde dell’uomo accanto alle considerazioni e alle strategie economiche, in modo da rafforzare un’identità collettiva che trova nella propria cultura i suoi punti di forza e la sua originalità.[52]

La mancanza di direzione in politica estera da parte degli Stati Uniti e dell’Europa sta favorendo principalmente la Cina. È così in Africa, dove il paese asiatico opera da anni, ed è così anche in Europa, come si è potuto constatare, ad esempio, in occasione della crisi di Crimea, quando le sanzioni alla Russia volute da Barack Obama, ostacolando le relazioni commerciali con i paesi occidentali, hanno spalancato le porte del Cremlino alle aziende cinesi, favorendo una nuova, proficua stagione di collaborazione tra Russia e Cina; o in occasione della crisi greca, gestita dalle autorità di Bruxelles in modo così rigido e penalizzante da rendere inevitabile la ricerca da parte del governo ellenico di interlocutori alternativi disposti a investire per condurre il paese fuori da una crisi che sembrava non avere vie d’uscita.

Il migliore assist alla Cina è però venuto dalla crisi nordcoreana, nel corso della quale Pechino, per richiesta dello stesso Trump, si è vista assegnare un ruolo di intermediario che la diplomazia cinese, abituata alle intemperanze di Kim Jong-un, sta gestendo con grande prudenza e senso di responsabilità.

La diplomazia cinese è diventata in questi anni molto attiva, e il globe-trotting president Xi Jinping, Li Keqiang e alcuni dei ministri e viceministri più autorevoli si recano continuamente all’estero per promuovere iniziative e accordi che concernono gli ambiti più disparati.

Tre iniziative, in particolare, hanno riscosso un successo diplomatico notevole e hanno avuto un ritorno di immagine paragonabile a quello delle Olimpiadi del 2008.

Nel gennaio 2017, a Davos, alla vigilia dell’insediamento di Trump alla casa Bianca, Xi Jinping ha presentato al mondo il nuovo corso della politica estera cinese, ergendosi a paladino della globalizzazione, dei principi del libero mercato, degli accordi sul clima e sul disarmo nucleare. Con un discorso di ampio respiro, ha proposto un modello di governance a guida multipolare, rispondente ai bisogni degli stati più arretrati, e ha criticato le posizioni protezioniste statunitensi ed europee, che rischiano di portare a un’inutile guerra commerciale, con grave danno per tutti. Si è assistito a un rovesciamento di posizioni, nel momento che Xi ha difeso i valori del liberismo in una prospettiva globale più equilibrata e aperta (salvo però poi mantenere una serie di limitazioni e vincoli all’interno del proprio paese), mentre Trump, che non aveva presenziato all’incontro, continuava a elogiare, via twitter, la Brexit e ad attaccare la Comunità Europea e Angela Merkel, promettendo l’avvio di misure protezioniste a difesa degli interessi degli Stati Uniti.

A metà maggio si è tenuto nei pressi di Pechino il Forum sulle nuove vie della seta, che ha visto la partecipazione di 29 fra capi di stato e di governo, di oltre 1200 delegati provenienti da 110 paesi e dei rappresentanti di 61 organizzazioni internazionali (gli Stati Uniti, non interessati al/dal progetto, hanno inviato una delegazione), mentre a inizio settembre si sono riunti a Xiamen i rappresentanti dei paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Convitato di pietra, Kim Jong-un ha fatto sentire in entrambe le occasioni la sua voce, prima lanciando un missile che ha sorvolato il Giappone proprio mentre nella capitale cinese si apriva il Forum sulle vie della seta, poi attuando il più potente test nucleare mai effettuato (che avrebbe dovuto scatenare “fuoco e fiamme” a detta di Trump) nello stesso giorno in cui si inaugurava il vertice di Xiamen. Si è trattato del maldestro tentativo di esercitare una pressione sul proprio “alleato”, togliendo a Xi Jinping il palcoscenico accuratamente costruito dalla diplomazia cinese, per indurlo ad affrontare Trump e mettere in discussione la presenza, ritenuta indebitamente minacciosa, delle forze armate statunitensi nella penisola coreana e nell’area circostante. Nessuna azione di disturbo è stata invece intrapresa da Pyongyang né durante il 19° Congresso del Pcc, né in occasione della visita di Trump in Asia.

 

II.III L’immagine della Cina nel mondo

Nell’ultimo decennio il governo cinese, consapevole che il paese deve affrontare le contraddizioni di uno sviluppo squilibrato, le crescenti aspirazioni dell’intera popolazione a “una vita migliore” (concetto ribadito più volte da Xi Jinping nella relazione inaugurale al 19° Congresso del Pcc) e le molteplici difficoltà e resistenze che le politiche di espansione economica e militare (da alcuni etichettate come neo-colonialiste) incontrano in molti paesi ha speso cifre colossali per promuovere l’immagine della Cina nel mondo.[53] Nonostante gli sforzi profusi, appare ancora difficile da colmare la distanza esistente fra l’immagine che la Cina ha di sé, o che vorrebbe dare di sé, e quella che il resto del mondo ha della Cina.

Il programma per la diffusione della lingua e della cultura cinesi, che prevede la creazione degli Istituti Confucio nei paesi che hanno o intendono avere relazioni con la Cina, considerato il fiore all’occhiello della politica di soft power, pur ottenendo un buon successo sul fronte dell’insegnamento linguistico, lascia a desiderare sul piano culturale, a causa di un’offerta per lo più incentrata su stereotipi e svilita da condizionamenti ideologici volti a evitare iniziative sgradite al regime e a presentare una visione edulcorata della realtà cinese da parte di docenti selezionati dallo Hanban, l’agenzia governativa che gestisce gli Istituti Confucio, emanazione, di fatto, dell’ufficio propaganda del Pcc, al quale gli insegnanti devono costantemente rendere conto o direttamente o attraverso le ambasciate dei paesi in cui operano. I risultati sono finora modesti, nonostante la grande importanza attribuita da Xi Jinping alla cultura in funzione dell’incremento del prestigio nazionale nel mondo (tanto da inserirla tra le “quattro fiducie”), nella convinzione che “farsi conoscere” equivalga a “farsi amare”.[54]

Non sono d’aiuto alla reciproca comprensione i continui interventi di censura che ormai colpiscono ogni settore di attività, soprattutto i media e le aziende informatiche, gli intellettuali e gli artisti e persino Winnie The Pooh, l’orsetto reo di assomigliare a Xi Jinping e sospetto di essere usato maliziosamente per deridere il presidente e quindi di minacciarne l’immagine.[55] Sono intimidazioni indirizzate a limitare l’autonomia dei singoli e delle istituzioni sia pubbliche sia indipendenti, non solo cinesi ma anche estere, sia che si tratti di università che operano in Cina (come, ad esempio, la Duke University o la Rijcksuniversiteit Gronigen) o all’estero (come ha denunciato, per prima ma non ultima, l’Università di Chicago, che ha chiuso il proprio Istituto Confucio in forte polemica con lo Hanban) oppure di centri di ricerca e associazioni accademiche (come evidenziato, ad esempio, dal cosiddetto “Incidente di Braga” del luglio 2014), sia che si tratti di importanti testate giornalistiche (come nel caso di Bloomberg) o case editrici (com’è avvenuto di recente con la Cambridge University Press e Springer Nature). Le forti reazioni da parte di alcuni paesi, Australia in testa, che sentono come troppo invasiva e pericolosa l’influenza cinese nelle proprie università e istituzioni culturali e l’allarme lanciato da numerosi esperti che denunciano l’aumento crescente di controllo ideologico su istituzioni sia all’interno sia all’esterno della Cina pongono seri dubbi sulla capacità delle autorità cinesi di migliorare la propria immagine nel mondo.[56]

L’avvio di politiche repressive nei confronti di intellettuali, giornalisti, avvocati e dissidenti e di attività sistematiche di manipolazione dell’opinione pubblica,[57] l’interferenza con la libera espressione di vari credo religiosi che negli ultimi anni avevano goduto di un momento di relativa apertura, non concorrono a migliorare l’immagine della Cina all’estero. Per non parlare poi dell’atteggiamento di estrema chiusura nei confronti di personalità di grande levatura intellettuale e spirituale apprezzate all’estero, come ad esempio il premio Nobel per la pace Liu Xiaobo o il Dalai Lama.

In alcuni paesi dove sono stati avviati progetti infrastrutturali nell’ambito della Belt and Road Initiative il modo di procedere cinese (scarsa attenzione all’ambiente, impiego di materiali e maestranze per lo più cinesi, differenze di salario tra lavoratori cinesi e lavoratori locali, ecc.) sta creando malumori e resistenze, indebolendo il potenziale di soft power insito nel progetto e alimentando i timori che i benefici ricadranno principalmente sulla Cina, che si troverà a essere al centro di un network estremamente ramificato posto sotto il controllo di Pechino.[58] La scarsa propensione al rispetto delle tutele dei lavoratori, l’inesauribile bisogno di materie prime, l’eccesso di produttività e i rischi di dumping commerciale, la massiccia politica di investimenti finanziari, industriali, immobiliari e infrastrutturali condotta in modo sistematico in ogni continente non hanno fatto che rafforzare pregiudizi e diffidenze ed esasperare timori e paure, causando irrigidimenti da parte dei governi e forti ostilità tra la gente comune.

Per questi motivi nella maggior parte dei paesi dove opera la Cina viene ancor oggi percepita come una minaccia, prevalentemente economica, ma anche politica e militare, a causa dell’assertività mostrata su questioni strategiche complesse come, ad esempio, la definizione dei confini territoriali nel Mar Cinese Meridionale, finalizzata al controllo delle vie commerciali nei mari dell’Asia orientale e all’affermazione della propria supremazia nell’area del Pacifico.

Il concetto stesso di soft power, così come lo aveva definito Joseph S. Nye, è oggetto oggi di riconsiderazione.[59] È opinione sempre più diffusa che il modo di procedere cinese andrebbe analizzato come un caso particolare: i confini tra soft e hard power sembrano infatti confondersi, con sovrapposizioni e sconfinamenti non semplici da determinare, tant’è che si tende a distinguere all’interno del concetto diverse componenti che rispecchino specifiche realtà, aree geografiche, motivazioni politiche, ecc., e a parlare più di smart power, integrated power, cultural power, negative soft power e così via.[60] Semplificando possiamo distinguere diverse platee alle quali le politiche di soft power sono indirizzate:

  • i cinesi che vivono all’interno del paese, essendo il loro consenso indispensabile per portare avanti le scelte strategiche decise dal partito e attuate dal governo e per promuovere la legittimazione del Pcc, del suo leader e del gruppo dirigente che lo sostiene;[61]
  • i cinesi di Taiwan;
  • le comunità cinesi residenti all’estero, e tutti coloro che si trovano a soggiornare fuori del paese per periodi limitati; il contatto costante con la madre patria è essenziale per mantenere saldo l’orgoglio nazionale (sono loro i migliori ambasciatori all’estero) e per garantire il flusso di valuta pregiata che, attraverso le rimesse ai parenti e i piccoli e grandi investimenti, ogni anno arriva in Cina;[62]
  • i governi e le popolazioni di paesi esteri con i quali la Cina ha relazioni di varia natura.[63]

Le iniziative promosse a livello governativo tardano a dare i frutti sperati soprattutto a causa dell’incapacità da parte della dirigenza cinese di comprendere la differenza tra propaganda, diplomazia e persuasione. Si stenta inoltre ad accettare l’idea che i soldi da soli non bastano a sostenere una proposta culturale e uno stile di vita.[64] In un mondo precipitato in una profonda crisi economica che per alcuni paesi rende ancora difficile trovare una soddisfacente via di ripresa le risorse finanziarie messe a disposizione a vario titolo dai cinesi rappresentano una tentazione alla quale sembra impossibile resistere. Investire ingenti somme di denaro non significa, però, riuscire a “conquistare il cuore della gente” (de min xin 得民心), per usare un’altra espressione confuciana oggi tornata in voga.[65] Per risultare convincenti e ottenere consensi, soprattutto all’estero, è necessario attingere a valori etici di portata universale, che trascendano la dimensione nazionale, e soprattutto è necessario coltivare relazioni di autentica reciprocità. La prospettiva cinese è ancora troppo incentrata sulla propria ideologia e troppo condizionata da politiche che, al di là della retorica, stanno sempre più restringendo gli spazi di apertura culturale e di comunicazione con mondi tra loro profondamente diversi, vanificando così gran parte degli sforzi profusi e anche le impreviste ricadute di immagine derivanti dal nuovo corso intrapreso dagli Stati Uniti nell’era Trump. Dal canto suo l’Occidente è ancora troppo condizionato da pregiudizi e paure creati ad arte tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento (il mito del cosiddetto “pericolo giallo”) in un’ottica egemonica alla quale non riesce in alcun modo a rinunciare.[66]

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