Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 2482
Sanguinante e purulento da tutti i pori
di Robert Kurz
Nessun ordine sociale ha provocato in tutta la sua storia così tante guerre, guerre così estese e devastatrici, di quanto abbia fatto il capitalismo con la sua meravigliosa modernità. Nessun ordine sociale ha attirato su una così grande parte dell'umanità così tanta miseria materiale, producendo, allo stesso tempo, una ricchezza così notevole [Kurz distingue qui la ricchezza materiale dalla ricchezza sociale storicamente specifica al capitalismo, cioè il valore]. Parimenti, non è mai esistito un sistema sociale capace di condurre l'umanità più vicino alla distruzione delle sue infrastrutture naturali sul scala planetaria. Mai gli uomini sono stati più socializzati, intrattenendo tra di loro dei rapporti di dipendenza, di ripartizione delle funzioni e di mediazione mondiale, e mai gli individui sociali sono stati così atomizzati nelle loro strutture e mai si sono considerati l'un l'altro con così tanta indifferenza, come monadi astratte degli interessi.
Queste non sono né tesi né affermazioni che devono essere provate. Tutte queste manifestazioni negative, distruttrici e catastrofiche, sono visibili nella loro innegabile evidenza storica e strutturale.
- Details
- Hits: 3318
Riflettendo su "Capital" di Piketty
di David Harvey
Pubblichiamo la traduzione del commento di David Harvey al tanto discusso “Capitale nel Secolo XXI” di Thomas Piketty. Harvey, con spirito critico e un'impostazione di ragionamento marxiana, ha il merito di evidenziare l'erronea concezione di capitale secondo Piketty – il capitale non viene inteso come processualità relazionale – e le contraddizioni che ne scaturiscono. In sintesi, l'amplio e ben documentato lavoro dell'economista francese offre una preziosa descrizione della diseguaglianza economica in chiave storica, ma non ne spiega né le ragioni immanenti né propone soluzioni politicamente viabili. Di sicuro, il fatto che il discorso sulla spropositata diseguaglianza strutturale abbia perforato il velo della comunicazione mainstream – libro best seller su Amazon, Piketty-mania tra giornalisti e commentatori, un terremoto dentro l'accademia egemonizzata dal pensiero neoliberista – è sintomatico di una nuova sensibilità diffusa e potenzialmente antagonista. Il merito non va tanto alla crisi finanziaria globale del 2008 quanto a Occupy e ai movimenti che dal 2011 in avanti hanno alterato la percezione collettiva, imponendo con forza il discorso “we are the 99%!”, rinnovando il concetto di lotta di classe in un tempo in cui la concentrazione della ricchezza non è storicamente mai stata così polarizzata.
- Details
- Hits: 3758
Il Marx di David Harvey*
di Giorgio Cesarale
Urbanesimo e capitalismo
Della ampia e stratificata opera di David Harvey, di questa singolare figura che si colloca a metà fra urbanistica e teoria sociale, si conosce ormai molto, vista la larga circolazione ottenuta da libri come La crisi della modernità, La guerra perpetua e Breve storia del neoliberismo. Meno conosciuta, tuttavia, è la sua attenta e proficua ricerca sul Capitale marxiano; ricerca che è, peraltro, alla base delle tesi sostenute nelle opere appena menzionate. Ciò che in prima battuta ci proponiamo in questo articolo è di esporre le linee fondamentali di questa ricerca, valutandone meriti e specificità. In conclusione, cercheremo di dire in quale direzione la rilettura del Capitale compiuta da Harvey ha influenzato il corso delle sue più recenti indagini teoriche.
Della ermeneutica marxiana di Harvey si può dire che è peculiare anzitutto l’ispirazione generale: nessun autore, fra coloro i quali hanno recentemente provato a riattivare il contenuto problematico della critica marxiana dell’economia politica, è stato più fermo di lui nel rivendicare l’esigenza che sia sul terreno della analisi della crisi e delle “contraddizioni” del capitalismo che debba essere verificata la validità teorica di tale critica. Si tratta di un approccio che, pur comportando una certa riduzione della molteplicità di temi e “aperture” problematiche che Marx è venuto promuovendo nella sua matura critica dell’economia politica, non determina una incongrua dogmatizzazione del dettato testuale marxiano: il Capitale è anzi considerato come una sorta di cantiere a cielo aperto, come un testo pieno di “empty boxes”, che occorre riempire di significati e contenuti.
- Details
- Hits: 3539
Valore d’uso
di Sandro Mezzadra
1. “Il movimento del valore d’uso”. Così, in un articolo pubblicato sul primo numero di “Metropoli” (Prima pagano, meglio è), Franco Piperno definiva i comportamenti sociali che avevano violentemente acquisito visibilità e forza attorno al ’77: “queste nuove forme di vita che pretendono di usare tutta la ricchezza disponibile e intendono lavorare solo quando attività e bisogno coincidono”. Era il 1979, era passato da poco aprile, e Piperno scommetteva sulla continua moltiplicazione ed espansione di una “domanda selvaggia di una vita quotidiana degna di essere vissuta”, a un tempo esito e motore del lungo Sessantotto italiano. Si cercherebbe invano nell’articolo di Piperno una “teoria” del valore d’uso, ma il riferimento alla categoria è di per sé significativo. Anche al di fuori dell’Italia, negli anni Sessanta e Settanta, non erano mancati usi originali del concetto di valore d’uso (se mi si passa il bisticcio). Ne menziono soltanto uno, in qualche modo suggerito dal riferimento alla “vita quotidiana” da parte di Piperno. Henri Lefebvre costruì interamente la sua teoria dell’urbano attorno alla connessione tra uso, valore d’uso e “opera”, distinguendo quest’ultima dal “prodotto”, legato a doppio filo al valore di scambio.
- Details
- Hits: 4364
Marx e la WertKritik
Elmar Flatschart, Alan Milchman, and Jamie Merchant
Sabato 6 aprile 2013, la Platypus Affiliated Society, nel corso della sua quinta Convenzione Internazionale annuale, presso la Scuola d'Arte di Chicago, ha ospitato un evento dal titolo "Marx e la WertKritik", cui hanno partecipato Elmar Flatschart, della rivista "Exit!", Alan Milchman, di "Internationalist Perspective", e Jamie Merchant, di "Permanent Crisis", moderati da Gregor Baszak, di Platypus. Quella che segue, è una trascrizione della discussione
Elmar Flatschart: La critica del valore, o, seguendo il teorema sviluppato da Roswitha Scholz, una critica della scissione-valore (Wertabspaltungskritik), cerca di capire e di criticare il meccanismo fondamentale che governa la società moderna. Questa critica non si interessa tanto al Marx politico della lotta di classe e del movimento operaio, ma più all'aspetto filosofico del suo lavoro che si focalizza sul carattere astratto e feticizzato del moderno dominio. Quest'approccio cerca di mantenere, la teoria critica della società, rigorosamente separata dai contraddittori tentativi pratici di superare il capitalismo. Il marxismo non andrebbe inteso come un portatore di identità, di una corretta posizione, che la storia ha dimostrato essere erronea, ma dovrebbe essere ridotto ad un nucleo teorico che ci può aiutare a comprendere la società, per mezzo di una critica negativa, anche se questa non ci fornisce necessariamente una via d'uscita. L'appello all'abolizione del lavoro non ha ripercussioni immediate per la politica marxista. Non c'è un nuovo programma o un piano generale che può essere sviluppato a partire dall'abolizione del valore. Piuttosto, può essere visto come una condizione per emanciparsi dal valore e dal sistema astratto di oppressione che rappresenta. Come poi l'emancipazione sarà raggiunta, questa è una storia più complessa. Sappiamo cos'è che non funziona: molto di quello che la vecchia sinistra ha proposto come politica marxista. Un bel po' del quale dovrebbe essere abbandonato perché, essenzialmente, il dominio astratto non può essere abolito per mezzo dell'imposizione di qualche altro genere di diretto, personale dominio.
- Details
- Hits: 3243
La metafisica del comune
Toni Negri
Dopo Marx. Prénom : Karl, Pierre Dardot e Christian Laval ci offrono un «Proudhon. Prénom : Pierre-Joseph». In Italia, questo finto titolo basterebbe a liquidare il libro, ricorderebbe l’operazione reazionaria condotta, fra gli altri da Pellicani e Coen su Mondo Operaio negli anni Settanta, su ispirazione di Craxi. Ma questo libro non sta certo da quella parte, esso introduce in Francia, e riapre – speriamo – in Europa, il dibattito sul «comune». Torniamo dunque al libro. Mentre il Marx era caratterizzato da una risoluta «de-teleologizzazione» del socialismo (vale a dire da una ragionata critica di ogni teoria socialista che volesse incapsulare nello sviluppo capitalista il progetto finale e la forza della liberazione comunista), questo secondo libro (Commun. Essai sur la révolution au XXIe siècle, La Découverte, pp. 593, euro 25) è caratterizzato da una risoluta «de-materializzazione» del concetto di socialismo — tale è l’operazione sviluppata in questo «Saggio sulla rivoluzione»: una vera e propria liquidazione del materialismo storico, della critica marxista dell’economia politica del capitalismo maturo, in nome di un nuovo «principio». «Comune»: non commons, non «il» comune, ma «comune» come principio che anima sia l’attività collettiva degli individui nella costruzione di ricchezza e della vita, sia l’autogoverno di queste attività.
Un preciso quadro ideale viene presentato e discusso a questo scopo – esso parte «dalla priorità del comune come principio di trasformazione del sociale, affermata prima di stabilire l’opposizione di un nuovo diritto d’uso al diritto di proprietà».
- Details
- Hits: 6033
Verso una storia della critica del valore
di Anselm Jappe
Nel 1991, cadde il Muro di Berlino e l'Unione Sovietica era sul punto di esalare l'ultimo respiro. L'euforia della vittoria si spandeva fra coloro che erano sempre stati, o almeno da qualche tempo, convinti che il libero mercato e la democrazia occidentale fosse l'ultima parola nella storia. Fra la sinistra radicale, inclusi coloro che non avevano mai nutrito alcuna illusione circa "il socialismo attualmente esistente", c'era molta costernazione. Era davvero impossibile superare il capitalismo? Era necessario limitarsi d'ora in poi a fare solo occasionali modeste riforme? In tale contesto, la comparsa di un libro scritto in tedesco, intitolato "Il crollo della modernizzazione: dalla caduta del socialismo da caserma alla crisi economica mondiale" (Kurz 1991) poteva non sembrare bizzarro. Non di meno, questo libro, pubblicato da una grande casa editrice, ebbe un sostanziale impatto su una recentemente "riunita" Germania.
Fino ad allora, l'autore del libro, Robert Kurz (1943-2012), era conosciuto solo nei ristretti circoli marxisti per una sua piuttosto oscura rivista che di recente aveva cambiato il suo nome da "Marxistische Kritik" a "Krisis". Kurz sosteneva nel suo libro che, lungi dall'essere il segnale del trionfo finale del capitalismo occidentale, la caduta dell'Europa dell'Est era solo una tappa del crollo graduale dell'economia mondiale basata sulla merce, sul valore, sul lavoro astratto e sulla moneta.
- Details
- Hits: 5063
Costanzo Preve e Diego Fusaro
Esempi di un marxismo bifronte?
di Jacopo E. Milani
Le riflessioni di Costanzo Preve e Diego Fusaro pongono indubbiamente le premesse di un percorso originale. Esse portano all’attenzione della scena culturale italiana il pensiero di Marx, attualizzandolo e interpretandolo come filosofo idealista, seguace di Hegel e superatore di Fichte, fondatore di un sistema di pensiero e di un’ideologia che rimette al centro della storia un attore collettivo – la classe o, nel caso di questi ultimi epigoni di Marx, la comunità – che supera il ruolo di quella borghesia che ha rivoluzionato il sistema politico ed economico creandone uno proprio, su base individualistica, finalizzato a un’infinita accumulazione di ricchezze: il capitalismo.
Preve, nel suo Elogio del Comunitarismo (Controcorrente edizioni, 2006), evidenzia i passaggi che hanno portato il capitalismo a essere dominante dopo il crollo dell’Urss, con il trionfo del sistema di mercato e la sua riorganizzazione su scala mondiale, attraverso la globalizzazione e la delocalizzazione produttiva. Per rendere efficiente e solido il progetto, Stati Uniti e Paesi europei hanno adeguato l’offerta politica, rimodellando le proposte elettorali: niente più partiti ideologicamente fondati nel secolo scorso ma nuove formazioni in linea con il neoliberismo.
- Details
- Hits: 9019
La teoria di Marx, la crisi e l'abolizione del capitalismo
Domande e risposte sulla situazione storica della critica sociale radicale
Intervista a Robert Kurz*
Cosa distingue questa crisi dalle precedenti?
Il capitalismo non è l’eterno ritorno ciclico dell’identico, ma un processo storico dinamico. Ogni grande crisi si incontra a un livello di accumulazione e di produttività superiore a quelle del passato. Quindi, la questione della gestibilità o non gestibilità della crisi si pone in forma sempre nuova. I precedenti meccanismi di soluzione perdono validità. Le crisi dell’ottocento furono superate perché il capitalismo ancora non aveva coperto tutta la riproduzione sociale. C’era ancora spazio interno per lo sviluppo industriale. La crisi economica mondiale degli anni ’30 rappresentò una rottura strutturale a un livello di industrializzazione molto più elevato. Essa fu dominata grazie alle nuove industrie fordiste e grazie alla regolazione keynesiana, il cui prototipo furono le economie di guerra della seconda guerra mondiale. Quando l’accumulazione fordista urtò contro i suoi limiti, negli anni ‘70, il keynesianismo sfociò in una politica inflazionaria, sulla base del credito pubblico. La cosiddetta rivoluzione neoliberale, intanto, spostò solo il problema dal credito pubblico ai mercati finanziari. Lo sfondo era una nuova rottura strutturale dello sviluppo capitalista, causato dalla terza rivoluzione industriale della microelettronica. Su questo livello qualitativamente differente di produttività non fu più possibile sviluppare alcun terreno di accumulazione reale.
- Details
- Hits: 2650
Marxismi e Classi
L'affermazione, secondo la quale "la crisi del capitale internazionale è anche la crisi del sistema statale internazionale", così come viene espressa da Sol Picciotto, nel "Dibattito sullo Stato" di "Open Marxism", è un evidente truismo, che, tuttavia, rischia di diventare ambiguo e fuorviante, quando si pensa, o si porta a pensare, che quello che stiamo affrontando non sia un'unica medesima crisi, ma che si possa trattare, invece, di due differenti crisi. Del resto, l'approccio da parte di Simon Clarke allo Stato, avviene nei termini per cui "I nuovi approcci che emergono, conservano l'insistenza socialdemocratica sull'autonomia dello Stato, al fine di sottolineare la specificità della politica e l'irriducibilità della politica ai conflitti economici". Dal momento che per "Open Marxism", il "politico" e "l'economico" sono separati in modo irriducibile, ne consegue che, a livello di mercato mondiale, ci sono due crisi separate in modo irriducibile: una crisi economica capitalista, ed una crisi del "sistema Stato"; dove la crisi del capitalismo sarebbe determinata dalla legge del valore e la crisi dello Stato sarebbe determinata dalla lotta di classe.
Il "difetto" dei marxisti classici del periodo fra le due guerre, nelle parole di Picciotto, sarebbe stato quello per cui "Le contraddizioni dell'accumulazione" sono state troppo spesso pensate come 'leggi economiche' operanti dall'esterno sulle relazioni politiche fra le classi." Ovviamente, l'obiezione pone la domanda: "Dall'esterno di cosa?" La risposta, si limita ad insistere che la "crisi economica" è la crisi di "una forma, storicamente specifica, del dominio di classe".
- Details
- Hits: 2776
Su Benicomunismo di Piero Bernocchi
di Michele Nobile
In Benicomunismo di Piero Bernocchi possiamo vedere tre grandi campi aperti alla discussione: la riflessione teorica sulle ragioni interne del fallimento del comunismo novecentesco; la discussione intorno al capitalismo contemporaneo; l’emergere di una nuova prospettiva politica e ideale di democrazia radicale, indicata nel titolo.
Il mio accordo con le tesi del libro è molto ampio, specialmente su quelle che meno sono digeribili per la sinistra italiana. Si vedrà che esistono alcune divergenze d’analisi, anche importanti; ma molto più del computo delle concordanze e delle divergenze quel che conta, ai miei occhi, è la prospettiva d’insieme, la tensione ideale, la direzione verso cui si muove questo lavoro. Nel modo più sintetico, in Benicomunismo è viva e forte l’aspirazione a liberare l’anticapitalismo dal professionismo politico e dallo statalismo, in uno spirito che può dirsi libertario. L’asse unificante le diverse tematiche del libro ritengo sia quello del rapporto tra etica e politica. Che è poi la condensazione di tutti i problemi e il nodo cruciale veramente fondamentale per il futuro dell’umanità.
La coerenza tra mezzi e fine e la politica come professione
Il primo e fondamentale accordo con Bernocchi è di natura etico-politica: in nessun caso il fine può giustificare l’uso di mezzi non coerenti con esso perché «cattivi mezzi producono cattivi fini, e viceversa» (p. 268).
- Details
- Hits: 2720
"La pensée-marchandise"
A proposito del libro di Alfred Sohn-Rethel
Palim Psao
«Non è solo il contenuto, ma sono le forme stesse del pensiero, a trarre origine dall'organizzazione sociale della produzione materiale. Gli inizi della logica, nel mondo dell'antica Grecia, sono legati alla comparsa delle prime monete. L'apriori di cui parlava Kant era la forma-merce. Sono queste le teorie innovative che Sohn-Rethel propone negli anni 1930, in controcorrente non solo a tutta la tradizione filosofica, ma anche al marxismo tradizionale. Queste teorie hanno influenzato profondamente gli inizi della Scuola di Francoforte, al prezzo però di un'emarginazione dell'autore, durata per molto tempo. Questa prima traduzione francese di tre dei suoi saggi, non solo riempie una grave lacuna nella conoscenza d el pensiero critico tedesco nella sua età d'oro, ma offre anche gli strumenti per elaborare al giorno d'oggi un'epistemologia fondata sulla teoria di Marx, vista nel quadro di una critica radicale dell'astrazione sociale, del mercato e della merce, che ci governano.»
Così, la quarta di copertina del libro di Alfred Sohn-Rethel, "La pensée-marchandise", il quale comprende tre saggi scritti negli anni 1930 dal filosofo della Scuola di Francoforte ("Forme marchandise et forme de pensée? Essai sur l'origine sociale de l'entendement pur"; "Eléments d'une théorie historico-matérialiste de la connaissance"; "Travail intellectuel et travail manuel. Essai d'une théorie matérialiste"), preceduti da una prefazione scritta da Anselm Jappe che lega il dibattito, che ebbe corso nell'ambito della nuova sinistra tedesca degli anni 1970, intorno all'opera di Sohn-Rethel, al dibattito attuale in seno al movimento della Wertkritik (critica del valore).
- Details
- Hits: 2556
Uscire dall'economia?
di Steeve
Andiamo direttamente al punto, per i redattori del bollettino "Uscire dall'economia" non ci sono differenze fra economia e capitalismo. Così, lo slogan "uscire dall'economia" è da intendersi come "uscire dal capitalismo". Ma voi direte: "Perché avete scelto questo slogan se, in definitiva, è la forma di vita capitalista quella di cui ci occupiamo?" L'identificazione di queste due categorie non è speciosa?Ci sarebbe un'economia neutra, naturale, che sarebbe sempre esistita e poi c'è una forma perversa che sarebbe apparsa relativamente tardi, diciamo verso il XVI secolo, vale a dire il capitalismo. L'uscita dal capitalismo servirebbe allora, secondo tale prospettiva, a ritrovare un'economia sana, durevole (un'economia verde, oggi detta circolare), più giusta (con una migliore distribuzione dei frutti della crescita), ecc. Sarebbe così sufficiente, per esempio, liberare "l'economia reale" dall'influenza degli odiosi speculatori finanziari, oppure, ancora, sopprimere la proprietà privata dei mezzi di produzione, affinché possiamo salvarci dal crollo multidimensionale in corso.
- Details
- Hits: 3755
L’individuo è l’essere sociale. Marx e Vygotskij
di Felice Cimatti
Questo bel saggio di Felice Cimatti – incluso nel testo collettaneo Il transindividuale, appena uscito per Mimesis (pp. 253-271) – è dedicato a una teoria della mente che si avvale degli strumenti messi a punto da Marx e Vygotskij per mettere a fuoco i limiti e le aporie dell’individualismo cognitivo e del biologicismo delle neuroscienze
1. «La coscienza è un rapporto sociale»
L’animale non umano, per Marx,
«è immediatamente una cosa sola con la sua attività vitale. Non si distingue da essa. È quella stessa [attività vitale]» Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844.
Prendiamo un esempio determinato, un castoro. Per esplicare la sua ‘attività vitale’, ad esempio il costruire dighe sul corso dei fiumi, un castoro si basa essenzialmente su abilità innate, abilità appunto che non deve imparare, che non sono fuori di lui. Essere un castoro significa appunto nascere con un insieme di aspettative e abilità innate. In questo senso se il costruire dighe è una attività che distingue il castoro dalle altre specie animali, se questa è la sua essenza animale, allora questa stessa essenza è presente in modo implicito dentro di lui già alla nascita: l’essenza del castoro è dentro il castoro, come un chilo di rigatoni sta dentro la scatola di cartone che lo contiene. Questo non signifi ca che non sia importante anche l’esperienza né che tutto il comportamento animale sia innato; il punto è che ciò che l’animale può imparare è vincolato in modo più o meno rigido dalla sua costituzione biologica innata.
Per l’animale non umano, allora, non vale la frase di Marx dei Manoscritti economico filosofici del 1844 che abbiamo scelto come titolo, al contrario, qui l’individuo coincide con l’essere individuale, cioè l’essenza è dentro ogni singolo animale non umano. Espresso in altro modo, ogni castoro è ogni altro castoro, nel senso che dovunque ci sia un castoro troveremo più o meno le stesse attività, la stessa forma di vita, le stesse esperienze.
- Details
- Hits: 2801
Piccola storia della WertKritik
Franco Senia
Sono ormai passati quasi trent'anni, da quando la Scuola della Wertkritik (critica del valore) ha cominciato a sviluppare il suo progetto di terza teoria critica, pertinente alla terza rivoluzione industriale, a partire dalla relazione fra teoria e crisi. Quando la crescita del capitale - o, più precisamente la socializzazione del valore (Wertvergesellschaftung) - inizia a fermarsi, anche se lo fa solamente per un breve periodo, questo non equivale solo ad una crisi "economica", ma anche ad un'incipiente decomposizione di tutta la "pseudo-natura" che si è storicamente costituita intorno alla forma-valore ed all'espansione di tale forma immanente. Le crisi pertanto coinvolgono il lavoro, la politica, le nazioni, l'arte, la ragione e tutte le categorie della metafisica realizzata. Se poi la crescita raggiunge quello che è il suo limite assoluto, allora questo significa che tutte le categorie summenzionate sono condannate e si trovano, a lungo termine, al di là di ogni possibilità di salvezza. E, cosa più importante di tutte, non sono in grado di fornire alcun tipo di orientamento che possa contribuire alla ricerca di una via d'uscita.
- Details
- Hits: 3641
A proposito di qualche divergenza fra Moishe Postone e la "Wertkritik"
di Clément Homs
Anche se Moishe Postone non appartiene propriamente al movimento della "Wertkritik (Critica del Valore) - ci si può perfino domandare se egli si riconosca in tale definizione - da cui dev'essere chiaramente distinto (NdT: Come il marxista tedesco Michael Heinrich, che riprende il termine di "critica del valore" ma che, come tutta la teoria borghese, continua a fare del lavoro astratto una categoria della circolazione), bisogna precisare che ciò che caratterizza tale movimento è una rottura in seno alla teoria marxiana del capitale (ovvero, una rottura più a monte di quella in seno alla teoria della rivoluzione, così come la si ritrova nel movimento della "comunizzazione"), rottura operata a partire dalla fine degli anni 1980 dai gruppi tedeschi, prima "Krisis", poi "Exit!", e dal movimento militante rivoluzionario che intorno a questi gruppi gravita, in Europa e nell'America del sud. La "Wertkritik" è dunque una denominazione specificamente tedesca, cui Postone è del tutto estraneo. Tuttavia, quest'autore ha proposto, nella sua opera principale, "Tempo, lavoro e dominazione sociale" prime, e poi in una sua raccolta di articoli, recentemente pubblicata, "Critica del feticcio-Capitale", una reinterpretazione della teoria di Marx (citati da Jappe nel suo "Con Marx, contro il lavoro") in parte parallela, su numerosi punti, a quella di quegli autori tedeschi ed austriaci i quali costituiscono più un movimento - con le sue scissioni e le sue polemiche interne - che una corrente omogenea: Robert Kurz, Roswitha Scholz, Norbert Trenkle, Ernst Lohoff, Peter Klein, Anselm Jappe, Claus Peter Ortlieb, Karl-Heinz Lewed, Franz Schandl, Justin Monday, Gérard Briche, Christian Höner, Peter Samol, ecc. Bisogna perciò subito premettere che le divergenze di sequito discusse non sono distribuite sempre equamente fra tutti questi autori.
Malgrado ciò, queste due rifondazioni teorico/analitiche della critica marxiana dell'economia politica, da una parte e dall'altra dell'Atlantico, sono rimaste parallele, nel senso che le influenze reciproche sono state minime.
- Details
- Hits: 3004
Buon compleanno al Manifesto di Marx e Engels
David Harvey
Il 21 febbraio 1848 a Londra viene pubblicata la prima edizione del "Manifesto del partito comunista" di Marx e Engels. Nel fare gli auguri di buon compleanno vi proponiamo l'introduzione di David Harvey all'edizione americana del 2008
Il Manifesto del Partito Comunista del 1848 è un documento straordinario, ricco di intuizioni, di significati e di opportunità politiche. Milioni di persone in tutto il mondo – contadini, lavoratori, soldati, intellettuali e professionisti di ogni sorta – vi sono negli anni state toccate ed ispirate. Non solo ha reso il dinamico mondo politico-economico del capitalismo più facilmente comprensibile, ma ha spinto milioni di tutti i ceti sociali a partecipare attivamente nella lunga, difficile e apparentemente interminabile lotta politica per alterare il cammino della storia, per fare del mondo un posto migliore attraverso il loro sforzo collettivo. Ma perché ripubblicare oggi il Manifesto? Può la sua retorica creare ancora l’antica magia che creava un tempo? In quali modi può parlarci oggi questa voce del passato? Hanno i suoi appelli alla lotta di classe ancora senso?
Mentre possiamo non avere il diritto, come Marx ed Engels scrissero nella loro Prefazione all’edizione del 1872, di alterare ciò che già da allora era diventato un documento storico chiave, abbiamo entrambi il diritto e l’obbligo politico di riflettervi sopra e se necessario reinterpretare i suoi significati, di interrogare le sue proposte, e soprattutto di agire sugli spunti che vi traiamo.
- Details
- Hits: 3059
“Fuga dalla storia?” di Domenico Losurdo*
Ovvero: divergenze tra il compagno Losurdo e noi
Militant
Sebbene uscito nel 1999, scopriamo oggi un testo di Domenico Losurdo nella nuova edizione datata 2012, rivista e ampliata dall’autore. Colpevolmente in ritardo, decidiamo comunque di recensirlo soprattutto per la stima che proviamo verso uno dei rari studiosi, appartenenti al sistema universitario ufficiale, non piegati alle retoriche dominanti e alle mode accademiche del momento. Con una coerenza che gli fa onore, Losurdo ha col tempo mantenuto dritta la barra dell’antimperialismo, con la sua produzione teorica e la sua attività politica. Nonostante questo, non nascondiamo lo stupore per certe tesi avanzate nel presente testo, e nel recensirlo non possiamo che catalogare tale libro fra gli “sconsigli” per gli acquisti.
Il testo, in realtà composto da un insieme di saggi e articoli scritti in momenti diversi, dal 1999 al 2011, ha l’ambizione di tracciare una sintesi storica delle rivoluzioni russa e cinese, di comprendere l’attualità di quelle esperienze nonostante i molti anni passati dal crollo del socialismo a est e dalla profonda riforma del “socialismo” cinese. Nel farlo, l’autore si concentra soprattutto sulla via intrapresa dalla Cina post-Mao. E’ proprio il discorso sullo sviluppo cinese ad essere per noi irricevibile.
- Details
- Hits: 4021
Gianluca Solla, Memoria dei senzanome
di Eleonora de Conciliis

Gianluca Solla
Memoria dei senzanome.
Breve storia dell’infimo e dell’infame
Ombre corte, Verona 2013,pp. 172
euro 16,00 ISBN 9788897522577
Aprendo con una splendida analisi della fotografia di uno straccivendolo scattata da Atget agli inizi del Novecento, e utilizzando il metodo benjaminiano del montaggio – montaggio di istantanee, di affondi teorici e critici, di paesaggi urbani e spirituali – Gianluca Solla costruisce un testo di filosofia politica, ma anche, e soprattutto, un percorso di filosofia morale che ha come oggetto gli scarti umani dell’economia capitalistica: coloro che, in una triste specularità mimetica, vivono dei rifiuti di questa economia (cfr. pp. 11-16), ma anche i vinti, gli abietti, i rivoltosi che sono apparsi per un istante sulla scena della “storia dei vincitori” (Benjamin) per poi ripiombare nell’anonimo inferno della loro quotidiana umiliazione, e ai quali nessuna visione dialettico-progressiva degli eventi sembra in grado di rendere giustizia, o almeno donare l’onore del ricordo.
- Details
- Hits: 3094
L’innocenza perduta della produttività
Claus Peter Ortlieb
“Il capitale è esso stesso la contraddizione in processo, in quanto tende a ridurre al minimo il tempo di lavoro, mentre d’altro canto pone il tempo di lavoro come l’unica misura e fonte di ricchezza.”
Marx, Grundrisse.
Il cosiddetto progresso tecnico e l’aumento costante della produttività sono frequentemente presentati come il cammino potenziale per una vita agiata e come soluzione di tutti i problemi dell’umanità. Guardando a come la produttività sia raddoppiata negli ultimi 30/40 anni, ciò che significa che con la stessa quantità di tempo speso a lavorare oggi è prodotta una quantità di merci doppia di quella degli anni ‘70, se ne dovrebbe concludere che camminiamo a grandi passi verso una vita di abbondanza. Evidentemente, chiunque oggi affermasse ciò, di fronte alle attuali crisi simultanee e crescenti dell’ambiente, delle risorse, dell’economia e della finanza, sarebbe giustamente considerato un sognatore. C’è qualcosa dunque di sbagliato nel suo calcolo e nella sua promessa.
Dove sta l’errore? Un primo indicatore per una risposta a questa questione ci è dato da uno slogan spesso ripetuto in questo contesto: competitività. Il significato di produttività si basa, innanzitutto, sul confronto: l’impresa più produttiva realizza più prodotti e li può quindi vendere a un prezzo più basso, spingendo in questo modo i suoi concorrenti fuori dal mercato.
- Details
- Hits: 4291
Jean-Claude Michéa e i "misteri" della sinistra
Mario Cecere
Professore di filosofia nei licei e autore di numerose opere dedicate all'analisi del pensiero liberale e agli esiti politici e culturali totalitari delle sue premesse individualistiche, Jean-Claude Michéa è tra i piu' interessanti esponenti di una tendenza controcorrente che, in Francia e in Italia, (pensiamo a Diego Fusaro e al filosofo Costanzo Preve recentemente venuto a mancare), si sta segnalando per lo sforzo generoso di riuscire nell'opera titanica di dissodamento della crosta ideologica che rende attualmente impensabile l'uscita dall' asfissiante impasse "post-moderna" della fine della storia capitalistica, indicando coraggiosi percorsi alternativi di ricerca, di emancipazione e di affrancamento, posti sotto il segno di un rinnovato modello politico etico ed economico di esistenza in comune.
Nel testo di cui ci apprestiamo a esporre e a commentare alcune preziose linee guida, Les mystères de la gauche: de l'idéal des Lumières au triomphe du capitalisme absolu, apparso in Francia nel marzo del 2013 e ancora non tradotto in italiano, Michéa riassume il lavoro di anni di riflessione storica e filosofica che lo hanno condotto ad affermare, tra l'altro, l'assoluta organicità della "sinistra" al progetto di dominazione capitalista, spiegando che è l'equivocità del termine "sinistra", di cui l'autore ricompone la genesi storica contraddittoria, a generare i numerosi fraintendimenti e la paralisi attuale di molti sinceri anticapitalisti.
- Details
- Hits: 3000
Quel gran “pasticcione” di Marx?
di Diego Giachetti
In difficoltà a trovare la “classe perduta” hanno provato a interrogare Marx ma si sono presto ritratti. Marx sembrerebbe non aiutare, invece di semplificare complica le cose e quando, dopo più di mille pagine de Il Capitale, si chiede finalmente cosa sono le classi, non va oltre le due paginette, poi s’interrompe. In altre opere invece “pasticcia”, scrive e ragiona rispettivamente di due classi antagoniste oppure individua cinque, sei, sette e anche otto classi. Marx sarebbe quindi la dimostrazione che le classi sono un oggetto indefinibile, contraddittorio, possibile di varie interpretazioni, tutte insufficienti: il mistero di cosa esse siano resta così insoluto.
Lenin in uno scritto del 1919 provò a fare un po’ di chiarezza definendo le classi come «quei grandi gruppi di persone che si differenziano per il posto che occupano nel sistema storicamente determinato della produzione sociale, per i loro rapporti (per lo più fissati e sanzionati da leggi) con i mezzi di produzione, per la loro funzione nell’organizzazione sociale del lavoro e, quindi, per il modo e la misura in cui godono della ricchezza sociale di cui dispongono» ( Opere, vol. 29, Roma, Editori Riuniti). Avendo letto un po’ di Marx e di Engels, questa sua sintesi era il frutto di quelle letture e ad essa si ispirava: ma si ispirava ad un “pasticcio” appunto. Invece di semplificare la strada ai ricercatori delle classi perdute la complicò. Chiamava in causa troppe variabili, parlava di produzione sociale e non industriale o manifatturiera e di organizzazione sociale del lavoro e non di fabbrica. Non contento, vi aggiungeva i rapporti, in gran parte giuridici, con i mezzi di produzione e la natura e l’ammontare del reddito.
- Details
- Hits: 3822
Dall’antropologia filosofica all’ontologia sociale e ritorno
Che fare con la sesta tesi di Marx su Feuerbach?
di Etienne Balibar
È in uscita per Mimesis “Il Transindividuale. Soggetti, relazioni, mutazioni”, una raccolta di studi sulla questione del transindividuale curata da Etienne Balibar e Vittorio Morfino. Qui, per gentile concessione dei curatori, anticipiamo lo stesso saggio di Balibar, in cui il filosofo francese conduce un’analisi particolareggiata del significato filosofico della Sesta Tesi di Marx su Feuerbach
Le Tesi su Feuerbach[1], un insieme di 11 aforismi a quanto pare non destinati alla pubblicazione in questa forma, sono state scritte da Marx nel corso del 1845 mentre stava lavorando al manoscritto dell’Ideologia tedesca, anch’esso non pubblicato. Sono state scoperte più tardi da Engels e da lui pubblicate con alcune correzioni (non tutte prive di significato), come appendice al suo pamphlet Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca (1886)[2]. Sono considerate largamente una delle formulazioni emblematiche della filosofia Occidentale, talvolta comparate con altri testi estremamente brevi ed enigmatici che combinano una ricchezza apparentemente inesauribile con uno stile enunciativo da manifesto, che annuncia un modo di pensare radicalmente nuovo come il Poema di Parmenide o il Trattato di Wittgenstein. Alcuni dei suoi celebri aforismi hanno guadagnato a posteriori lo stesso valore di un punto di svolta in filosofia (o, forse, nella nostra relazione con la filosofia) come, per esempio dei già citati Parmenide e Wittgenstein rispettivamente: «tauton gar esti noein te kai einai »[3], «Worüber man nicht sprechen kann, darüber muss man schweigen»[4], ma anche lo spinoziano «ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum»[5] il kantiano «Gedanken ohne Inhalt sind leer, Anschauungen ohne Begriffe sind blind»[6] etc.
- Details
- Hits: 3379
Il lavoro dell’astrazione
Sette tesi provvisorie su marxismo e accelerazionismo
di Matteo Pasquinelli
1. Il capitalismo è un oggetto di elevata astrazione, il comune è una forza di ancor più grande astrazione.
La nozione di lavoro astratto di Marx identificò per la prima volta il motore centrale del capitalismo, ovvero la trasformazione del lavoro in equivalente generale. In seguito, Sonh-Rethel (1970) individuò la stretta relazione che passa storicamente tra astrazione del linguaggio, astrazione della merce e astrazione del denaro. Nella cosiddetta ‘introduzione’ ai Grundrisse (scritta nel 1857) Marx chiarisce l’astrazione come metodologia di analisi che emergerà solo dieci anni più tardi nella pagine del Capitale (1867). Come ricordano in molti (Ilyenkov 1960), in Marx il concreto è un risultato, è un prodotto del processo di astrazione: la realtà capitalistica, così come quella rivoluzionaria, è una invenzione. “Il concreto è concreto perché è sintesi di molte determinazioni, quindi unità del molteplice. Per questo nel pensiero esso si presenta come processo di sintesi, come risultato e non come punto di partenza, sebbene esso sia il punto di partenza effettivo e perciò anche il punto di partenza dell’intuizione e della rappresentazione” (Marx 1857: 101). L’astrazione è sia la tendenza del capitale, sia il metodo del Marxismo. L’operaismo viene quindi a strappare l’astrazione dal doppiopetto del capitale per ricucirla addosso alla tuta del proletario: astrazione è sia il movimento del capitale, sia il movimento della resistenza ad esso.
- Details
- Hits: 4094
A proposito di “critica del valore”
Una lettera ad Anselm Jappe
di J.-C.
Introduzione redazionale
Già da qualche tempo, anche in Italia, assistiamo ad un non trascurabile interesse per la cosiddetta “critica del valore” (in tedesco: Wertkritik), la quale costituisce ormai un corpus di tesi più o meno definito e identificabile. Questa corrente – sviluppatasi in Germania a partire dagli anni 1990, ma che ha trovato eco in Brasile, Portogallo, Francia etc. – propone un'interpretazione del testo marxiano che mette particolarmente in rilievo le nozioni di capitale come corso oggettivo (“soggetto automatico” reso autonomo rispetto agli individui singoli) e di lavoro astratto. Egualmente, essa tende a contrapporre – almeno in una parte dei suoi teorici di riferimento – un Marx definito “essoterico”, cioè buono per metalmeccanici babbei e per socialismi d'altri tempi, ad un Marx “esoterico” che si troverebbe soprattutto nei Grundrisse. Tra i principali testi di questa corrente, si possono leggere in traduzione italiana il Manifesto contro il lavoro del Gruppo Krisis (DeriveApprodi, Roma 2003), La fine della politica e l'apoteosi del denaro di Robert Kurz (Manifestolibri, Roma 1997) ed il recente pamphlet Contro il denaro di Anselm Jappe (Mimesis, Milano 2013)1.
Page 35 of 44





















































