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consecutio temporum

Teoria critica della società?

Critica dell’economia politica. Adorno, Backhaus, Marx

Tommaso Redolfi Riva

Abstract:   The aim of this paper is to show that Marx’s analysis of the form of value can give foundation to the main concepts of Adorno critical theory of society. The concept of society as objective totality, developed by Adorno in his sociological writings, finds its own core in the concept of exchange understood as real abstraction. In the reflection of Adorno, the notion of real abstraction, taken from Alfred Sohn-Rethel, remains undetermined, and the task of showing the genesis of the social objectivity remains at the stage of a project.Marx’s critique of political economy, understood at the light of the analysis of the form of value developed by Backhaus and the Neue Marx-Lektüre, is able to achieve the task Adorno assigns to critical theory, that is, to show the “anamnesis of the genesis” of the autonomization of the society.

pintura de descartes0.  L’intento delle pagine seguenti è quello di mostrare come il Marx teorico della forma di valore sia in grado di approfondire e portare a fondamento i concetti centrali della teoria critica di Adorno. Nei primi paragrafi (§§ 1-3) farò vedere che i temi essenziali della sociologia critica di Adorno, in particolare il tema dell’oggettività sociale e dell’autonomizzazione della società, trovano il proprio centro esplicativo nel concetto di scambio quale astrazione reale. Mostrerò poi che tale concetto rimane sostanzialmente indeterminato e privo di una precisa fondazione teorica nell’opera di Adorno. Nei paragrafi successivi (§§ 4-6) cercherò di mostrare che una fondazione dello scambio quale astrazione reale può essere guadagnata con l’analisi della forma di valore sviluppata dalla Neue Marx-Lektüre e in particolare da Hans-Georg Backhaus attraverso un’attenta lettura della critica dell’economia politica di Marx [1].

 

1.  Nella Dialettica negativa, l’excursus su Hegel ha per titolo Spirito del mondo e storia naturale. Quello che appare come un dualismo tra la progressiva umanizzazione del mondo – quindi realizzazione della libertà, storia – e la cieca necessità della natura, ben presto si dà a vedere come una prosecuzione della natura all’interno della storia, come una continuazione dell’eteronomia nella sfera della vita storica: “la storia umana, il progressivo dominio sulla natura, prosegue quella inconsapevole della natura”[2].

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marx xxi

Lenin, Gerico e i Pink Floyd

di Roberto Sidoli

Il 9 novembre, presso il Centro culturale C. Marchesi di Milano, si è tenuta un'affollata e stimolante assemblea sul tema "Il marxismo del Ventunesimo secolo", anche in ricordo della Rivoluzione Socialista d'Ottobre e dei 130 anni trascorsi dalla morte di Karl Marx. Una delle relazioni è stata presentata da Roberto Sidoli. La proponiamo ai nostri lettori .

Fin dal luglio del 1917, durante il sesto congresso di quell’eccezionale partito bolscevico guidato da Lenin – un congresso decisivo, che preparò l’imminente ed epocale Rivoluzione Socialista d’Ottobre – venne sottolineata pubblicamente la distinzione profonda esistente tra il marxismo creativo e il marxismo dogmatico: il secondo anche teorizzato e difeso ad oltranza dalla successiva teoria dell’invarianza, secondo la quale il marxismo doveva assolutamente rimanere nel corso del tempo una sorta di dogma immutabile, al pari dei Veda indiani o del Talmud.

I relatori e l’organizzatore di quest’incontro, il Centro culturale Concetto Marchesi (che ringrazio anche a nome di Daniele Burgio e Massimo Leoni, coautori di questa relazione) hanno scelto la via difficile ma proficua del marxismo creativo, capace di avviare un processo di sviluppo e di arricchimento del suo già gigantesco bagaglio di conoscenze proprio confrontandosi con le novità esplosive offerte, dopo il 1883 e la morte del geniale Karl Marx, dalla dinamica storica su scala planetaria nei suoi diversi aspetti, a partire da quello tecnologico-scientifico, di importanza sempre crescente.

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il rasoio di occam

Perché l’individualismo istituzionale non funziona

Ancora sul libro di E. Screpanti, “Marx dalla totalità alla moltitudine (1841-1843)”

di Stefano Breda

Ernesto Screpanti sostiene che una teoria marxista della società, per dirsi scientifica, debba assumere l’individualismo istituzionale quale criterio metodologico. In questo modo si corre tuttavia il rischio di non riuscire a spiegare fenomeni complessi in società, come quelle capitalistiche, in cui la riproduzione della struttura sociale avviene attraverso meccanismi di dominio impersonale

Il 14 Ottobre è stata pubblicata su “Il rasoio di Occam” la recensione, scritta da Luca Basso, del libro di Ernesto Screpanti Marx dalla totalità alla moltitudine (1841-1843). Per un sunto delle tesi contenute nel libro rimando senz’altro all’ottima ed esauriente recensione. In questa sede vorrei proporre alcune riflessioni critiche a partire dall’analisi di Screpanti.

Il testo ruota intorno a categorie filosofiche e politiche di estrema attualità. Basti pensare ad alcune misure proposte dal giovane Marx per una riforma della democrazia rappresentativa: introduzione del vincolo di mandato; introduzione del diritto di revoca del mandato; abolizione del ceto politico quale classe professionale (cfr. pp. 73-117)[1]. Tali misure sono oggi al centro di un vivo dibattito in Italia, il quale si sviluppa per lo più sulla base di un diffuso discorso di stampo olistico, che, cancellando ogni contrapposizione di classe e ogni conflitto interno alla società, fa della “società civile” un corpo omogeneo, spesso caratterizzato come un soggetto agente. Il conflitto viene traslato verso un altro corpo sociale omogeneo, esterno alla società civile, la “casta”, ovvero il ceto politico, il quale persegue il proprio vantaggio a discapito dell’interesse generale. Le proposte del giovane Marx vengono in questo modo sussunte entro un ambito che politologicamente si definisce “populista”, “di destra”.

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quaderni s precario

Sul rapporto tra soggettività e merce

di Federico Chicchi

La merce, come insegna Marx, è in primo luogo una qualità della cosa, materiale o immateriale che sia, nel senso che prefigura, intrinsecamente, un valore d’uso, un consumo, un suo godimento soggettivo. Essa però è anche una quantità, una cifratura, una misura simbolica (un valore di scambio e un prezzo). Ed è in questa sua continua oscillazione – fort-da[1] – tra la sua “potenza” ad agire che promette di liberare e il potere che il suo prezzo, la sua contabilità, inscrive nella soggettività, che si precisa il merito di quello che Lacan (1972) chiamava il discorso capitalista e – in omologia con la teoria dello sfruttamento di Marx – la “legge” del plus-godere.

Ambivalenza della forma merce dunque. La forza-lavoro, merce vivente, è infatti sempre e al contempo dentro e fuori il Capitale: potenza del lavoro e insieme necessaria energia di valorizzazione del capitale costante. Ed è proprio nello scriversi contingente e storicamente determinato del governo di questa beanza (che non può mai chiudersi pena la crisi strutturale del sistema) che si sostiene e giustifica il perdurare storico della società capitalistica.

La merce è quindi, sul piano fenomenico, il piano privilegiato di produzione di soggettività del moderno e del contemporaneo, oggetto privilegiato di compensazione della strutturale e artificiale mancanza ad essere del soggetto parlante (è oggettivazione immaginaria del soggetto). Soluzione temporale e materiale che il capitalismo offre per tamponare la strutturale inesistenza del rapporto sessuale, così come recita la celebre formula proposta da Jacques Lacan.

La merce è però complementariamente anche la forma con cui si produce la soggettivazione dell’oggetto.

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consecutio temporum

Sul “marxismo” di Gramsci

di Fabio Frosini

1. L’albero del marxismo

Il marxismo di Gramsci: in questa espressione si annida un’intera serie di questioni aperte, fonti di equivoci e di dispute. Gli equivoci in realtà scaturiscono da una duplice sorgente, vale a dire la nozione di “marxismo” e quella di “affiliazione” o “appartenenza”. Anche solo pochi decenni fa ‒ lo spartiacque può essere fissato per comodità, almeno in  Italia, al giro di boa del centenario del 1983 ‒ entrambe queste sorgenti sembravano essere per un verso troppo calda materia del contendere, per un altro scenari illuminati di una luce eccessivamente viva e ravvicinata, perché se ne potessero cogliere la profondità e i contorni, cioè le implicazioni e i limiti. Oggi tutto ciò è possibile: la materia si è raffreddata ed è stata “sistemata” in grandi opere collettive, che hanno comportato anche una certa riflessione su cosa comporti scrivere una storia del marxismo. Le pagine da questo punto di vista più interessanti sono probabilmente quelle premesse da Eric J. Hobsbawm alla monumentale Storia del marxismo da lui diretta per Einaudi, e datate 1978. Per l’interesse metodologico che esse presentano, sarà il caso di ripercorrerne rapidamente l’intelaiatura.

La definizione di «marxismo» inizialmente proposta è: «la scuola teorica che nella storia del mondo moderno ha avuto maggiore influenza pratica (e le più profonde radici pratiche), [...] al tempo stesso un metodo per interpretare il mondo e per cambiarlo»[1].

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consecutio temporum

Sul cosiddetto «Capitolo sesto inedito» di Marx

Appunti di lettura e considerazioni critiche

Giovanni Sgro'

1. Premessa 

Il cosiddetto Capitolo sesto inedito rappresenta ‒ insieme ai Grundrisse ‒ uno di quei manoscritti marxiani che nel corso degli anni Settanta del secolo scorso hanno avuto grande diffusione e notevole recezione in Francia, in Germania e anche in Italia, dove fu tradotto per la prima volta nel 1969 da Bruno Maffi per i tipi de La Nuova Italia[1] e fu poi oggetto di una fortunata serie di lezioni di Claudio Napoleoni (Torino, Bollati Boringhieri, 1972).

Nel presente contributo cercherò di offrire una sorta di “percorso di lettura” personale (§ 3) del denso testo del Capitolo sesto, al fine di mettere in luce alcune caratteristiche specifiche della sua trama teorica e alcuni suoi elementi di grande attualità politica (§ 4). Prima di passare all’analisi specifica dei contenuti del Capitolo sesto, mi sembra opportuno collocarlo brevemente nel progetto marxiano di critica dell’economia politica (§ 2).


2. Il ruolo e la posizione del Capitolo sesto inedito nel progetto marxiano di critica dell’economia politica

I curatori del volume 4.1 della seconda sezione della MEGA2 hanno stabilito che il Capitolo sesto è stato scritto da Marx tra l’estate del 1863 e l’estate del 1864[2]: esso si colloca dunque all’altezza del terzo tentativo marxiano di esporre la sua critica dell’economia politica.

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L’agire comune e i limiti del Capitale

di Toni Negri*

1.  È nel secondo dopo guerra che si afferma l’intuizione di Pollock – elaborata nell’epoca weimariana – che il mercato capitalista non possa essere considerato in maniera semplicista e retorica come libertà (se non addirittura anarchia) di circolazione e realizzazione del valore delle merci bensì al contrario e fondamentalmente come unità di comando sul livello sociale, come “pianificazione”. Questo concetto socialista, aborrito dal pensiero economico capitalista, rientrava gloriosamente fra le categorie della scienza economica. Il concetto di “capitale sociale” (e cioè di un capitale unificato nella sua estensione sociale, dentro e al di sopra del mercato ed inteso come dispositivo di garanzia del funzionamento del mercato stesso), insomma come sigla di una effettiva direzione capitalista della società, viene sempre più largamente sviluppato.

Particolarmente importante da questo punto di vista è il dibattito che si svolge nella sinistra comunista occidentale, con riferimento all’Unione Sovietica. La dissidenza operaista nel troskismo elabora negli anni 40 il concetto di “capitalismo di stato” per definire il regime sovietico, assumendo il Termidoro della Rivoluzione Russa non come passaggio contingente nella transizione al comunismo ma come funzione specifica e progressiva della riorganizzazione stessa del capitalismo maturo.

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consecutio temporum

Costanzo Preve “Una nuova storia della filosofia”

di Oscar Oddi

Costanzo Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia, 2013, Petite Plaisance.

La quarantennale, prolifica, produzione saggistica (per lo più ignorata e silenziata, quando non diffamata, dal circuito culturale-accademico mainstream, specie da quello egemonizzato dalla “sinistra”, compresa quella sedicente “radicale”e/o “antagonista” che dir si voglia, in tutte le sue più disparate e residuali diramazioni) di Costanzo Preve trova una sorta di sistematizzazione nella sua ultima fatica Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico–sociale della filosofia, Petite Plaisance, Pistoia, 2013, pp. 538, € 30,00. Opera vasta e profonda, rappresenta  la “summa” (parziale e provvisoria, poiché la riflessione filosofica non conosce una “fine”) di decenni di incessante attività di studio che, attraverso un percorso accidentato, controverso e contradditorio (come sono tutti i percorsi che cercano di aprire nuovi sentieri), ha portato al risultato che il lettore ha ora davanti.

Non si è di fronte all’ennesimo manuale di storia della filosofia, nemmeno di una sua versione “critica”, ma ad una rilettura radicale del pensiero filosofico occidentale attraverso il metodo dell’ontologia dell’essere sociale. Tale termine non è solo il titolo dell’ultima opera di Georgy Lukács (recentemente ripubblicata, meritoriamente, in quattro volumi, compresi i Prolegomeni, dalle edizioni PGreco di Milano), la cui lezione rimane un punto di partenza e fonte di ispirazione critica, ma definisce una precisa «scelta filosofica e metodologica generale».

Per comprendere quindi l’essenza del discorso di Preve, allievo critico di Hegel e di Marx, come da sua autodefinizione, è necessario preliminarmente capire il significato e la collocazione che egli dà di questa categoria.

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Le superstizioni comunarde di Toni Negri

di Sebastiano Isaia

Kautsky immaginava il socialismo alla stregua di un Capitalismo conquistato alla razionalità scientifica. Negri lo immagina come Capitalismo conquistato alla prassi del “comune”: almeno certe sue riflessioni “comunarde” mi inducono a pensare questo. Un esempio: «Confrontandosi poi al paradosso della proprietà, qui non sembrano darsi altre vie che quelle che spingono al confronto ed allo scontro con i poteri monetari e finanziari. Se la moneta è mezzo di conto e di scambio difficilmente eliminabile, gli va tuttavia tolta la possibilità di essere strumento di accumulazione di potere contro i produttori. Come si possono imporre alla Banca centrale le finalità di una produzione dell’uomo per l’uomo, di piegarsi cioè ad una configurazione biopolitica degli assetti sociali?»(1). Ragionando dal punto di vista umano, ossia osservando il mondo asservito ai rapporti sociali capitalistici «dalla prospettiva che lascia intravedere, nel bel mezzo del Dominio, la possibilità della liberazione universale», come recita la manchette del mio blog, la risposta non può che essere univoca: la configurazione umana degli assetti sociali può darsi solo nella Comunità che non conosce il denaro, la merce (a partire dalla forza-lavoro), il mercato e tutte le altre categorie dell’economie politica che presuppongono la società capitalistica.  Ma questo è, secondo gli standard postmoderni dell’intellettuale padovano, un modo vecchio di ragionare, forse valido ai tempi del trincatore di Treviri, quando il “Comune” poteva essere immaginato solo nei termini di una possibilità post-rivoluzionaria, ossia come radicale cesura di un’intera epoca storica, mentre oggi esso si dà già come una concreta realtà, che per dispiegarsi completamente aspetta solo di venir liberata dalla sovrastruttura ideologica del Dominio.

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consecutio temporum

L’uomo come zoon politikon

Società, comunità e associazione in Marx

Luca Basso

L’articolo è incentrato sull’antropologia marxiana, a partire dall’idea secondo cui l’uomo è uno zoon politikon. In particolare, nella Einleitung del 1857, si afferma proprio che l’uomo è uno zoon politikon, e nel primo libro del Capitale si ribadisce tale concetto, sottolineando il fatto che l’espressione indicata può essere tradotta con “animale sociale”, più che con “animale politico”. Più avanti ritornerò su tali passi, mostrando il fatto che non possono venire interpretati a partire dalla convinzione di un presunto “aristotelismo” di Marx: l’elemento dello zoon politikon viene completamente “trasvalutato” rispetto ad Aristotele. Questo rilievo sull’uomo come zoon politikon fa emergere la dimensione antropologica del pensiero marxiano. Metterò in luce il carattere non astratto, non essenzialistico di tale antropologia,  che si radica in una situazione determinata, all’interno di un determinato contesto storico e sociale. D’altronde, proprio dal momento che lo zoon politikon viene inteso come animale sociale, più che come animale politico, il riferimento alla società risulta decisivo: cruciale si rivela quindi la questione del rapporto fra individuo e società, e anche fra individuo e comunità, e individuo e associazione. Così il percorso svolto attraverserà i concetti di società, comunità e associazione, che devono venire tra di loro differenziati, ma nello stesso tempo presentano vari tratti comuni.  Vista l’enorme vastità del tema di per sé, e nello specifico in Marx, pur fornendo un approccio complessivo al problema, mi soffermerò in particolare sul lemma società in senso stretto, Gesellschaft, cercando di farne emergere gli aspetti più rilevanti.

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consecutio temporum

Karl Marx e il suo deficit originario*

Roberto Finelli

Il deficit originario di Karl Marx

1.   Ciò che di Marx oggi non è più possibile accettare non è certamente la critica dell’economia – che invece trova sempre più conferme – quanto l’antropologia e la filosofia della storia che ne consegue. In buona parte dell’opera di Marx c’è infatti un deficit profondissimo di analisi e comprensione della soggettività, che ha avuto conseguenze assai negative nelle storie dei movimenti operai e delle emancipazioni sociali che si sono richiamate al marxismo.

Un deficit, la cui presenza è sempre stata espressa, e insieme dissimulata, proprio dal suo opposto, qual è la teoria dell’onnipotenza del soggetto che Marx ha posto a base della sua filosofia della storia e della rivoluzione.

La tesi fondamentale del materialismo storico è, com’è noto, quella della contraddizione tra forze produttive e rapporti sociali di produzione. La storia, secondo questa prospettiva, passa da una formazione economico-sociale all’altra ogni qual volta lo sviluppo delle capacità costruttive dell’homo faber (la cui accumulazione costituisce il filo rosso e il polo positivo di continuità tra le varie epoche) trova impedimenti non ulteriormente compatibili con la sua crescita.

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consecutio temporum

Il Capitale come Feticcio Automatico e come Soggetto, e la sua costituzione

Sulla (dis)continuità Marx-Hegel

Riccardo Bellofiore

Abstract: This article will deal in two steps with the Marx–Hegel (dis)connection in Capital. First, I’ll present a survey of what I take to be the most relevant positions about the role of dialectics in Marx. Second, after reviewing Marx’s criticisms of Hegel, I’ll consider the debate within the International Symposium on Marxian Theory. Third, I will argue that it is exactly Hegel’s idealism which made the Stuttgart philosopher crucial for the understanding of the capital relation. Here, I will refer to the ‘Hegelian’ Colletti of the late 1960s-early 1970s, to Backhaus’ dialectic of the form of value, and to Rubin’s interpretation of abstract labour as a process. At this point, I will provide my reading of Marx’s movement from commodity to money, and then to capital, in the first 5 chapters of Capital. Marx is moving on following a dual path. The first path reconstructs the ‘circularity’ of Capital as Subject, as an Automatic Fetish: it is here that Hegel’s idealistic method of ‘positing the presupposition’ served Marx well. The second path leads him to dig into the ‘constitution’ of the capital-relation, and therefore into the ‘linear’ exploitation of workers and class-struggle in production. Here we meet Marx’s radical break from Hegel, and understand the materialist foundation of the critique of political economy.

Introduzione

In questo articolo mi interrogherò sul rapporto di continuità/discontinuità tra Marx e Hegel. Inizierò con una rassegna personale idiosincratica delle posizioni più importanti che hanno influenzato la mia posizione.

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il rasoio di occam

Olismo o individualismo in Marx?

Sull’ultimo libro di Ernesto Screpanti, “Marx dalla totalità alla moltitudine (1841-1843)”

di Luca Basso

Nei testi fra il 1841 e il 1843 Marx comincia a elaborare una forma molto sofisticata di individualismo, definibile come “istituzionale”. A torto, perciò, gli si continua ad attribuire un’adesione al paradigma olistico ed hegeliano. Questa è la consapevolezza raggiunta nella sua ricerca critica da Ernesto Screpanti, il quale si viene così avvicinando ad alcune delle più sollecitanti traiettorie teoriche del post-althusserismo

In passato, anche sulla base di un “cortocircuito” fra valutazione del marxismo e critica dell’esperienza storica del socialismo reale, troppo spesso si è interpretato il senso complessivo del discorso marxiano all’insegna di una sorta di olismo, a scapito del riconoscimento delle capacità e delle facoltà individuali. Dall’altro lato, in particolare negli anni ’80, il marxismo analitico (Elster, Roemer…) ha fortemente valorizzato l’approccio dell’individualismo metodologico – seppur mitigato da politiche di redistribuzione sociale –, sottolineandone una potenziale compatibilità con la prospettiva delineata da Marx, e nello stesso tempo mettendo in luce, di quest’ultima, una serie di limiti e di possibili “cadute” olistiche. L’impostazione del marxismo analitico si rivela compatibile, per molti versi, con una pratica “riformista”, volta ad attutire le diseguaglianze prodotte dal sistema capitalistico, ma senza mettere in discussione in modo radicale quest’ultimo: così viene fortemente ridotto, se non annullato, l’elemento della lotta di classe, e quindi il carattere politicamente dirompente dell’orizzonte marxiano. Il libro di Ernesto Screpanti, Marx dalla totalità alla moltitudine (1841-1843) (Petite Plaisance, Pistoia 2013), presenta, in primo luogo, il merito di sottoporre a critica qualsiasi interpretazione olistica del percorso marxiano, senza però con questo aderire a una visione che in qualche modo legittimi l’individualismo capitalistico, per quanto mitigato da una serie di misure sociali.

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Crisi e intelligenza della merce

Postfazione di "Banche e crisi"*

di Gian Enzo Duci

L’attuale crisi economica e finanziaria del capitalismo mondiale, forse la più estesa e complessa di sempre, ha avuto il merito di suscitare il riemergere del pensiero critico sopito in tempi in cui si era arrivati anche a sostenere che la storia fosse finita.

Non è il caso di Sergio Bologna, che non ha mai smesso di esercitare questo ruolo magistrale nella sua lunga carriera di militante, studioso e consulente del passato e del presente della società industriale e del movimento operaio.

Con un merito in più, di essere stato tra i primi e tra i pochi (secondo me: il primo e il più autorevole) che ha sdoganato e fatto conoscere al pubblico della Sinistra e non solo (sic!) il settore dei trasporti, introducendo la dimensione della circolazione della merce nell’analisi delle strutture, dei processi, dei meccanismi e delle contraddizioni del sistema di produzione del plusvalore.

Basti citare l’inchiesta sui camionisti di Bruno Zanatta ospitata da Bologna nella rivista «Primo Maggio» da lui fondata e diretta a metà degli anni Settanta, quando, per la Sinistra, i lavoratori dell’autotrasporto erano coloro che con i loro scioperi «corporativi» avevano aperto la strada ai golpisti cileni che avevano ucciso Salvador Allende e fatto cadere il suo governo socialista.

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La moneta corrente del liberismo

Christian Marazzi

Le basi materiali del dominio finanziario sono nei nuovi modelli produttivi, nell'«innovazione» permanente della logistica, della circolazione delle merci e del mercato del lavoro

C'è sempre un po' d'azzardo editoriale nella pubblicazione di testi apparsi ormai nel corso di alcuni decenni, a maggior ragione quando si passa dal Marx che studia, come corrispondente del New York Daily Tribune, la prima crisi monetaria e finanziaria «moderna» (1856-1857), alla storia del rapporto tra petrolio e mercato mondiale, alla funzione della logistica e dei porti come «integratori di sistema» e come riedizione della logica della crisi dei subprime, esempio dell'intreccio tra processi produttivi e di circolazione delle merci e finanziarizzazione, con saggi pubblicati tra il 2012 e il 2013. Per chi questi scritti li ha letti man mano che uscivano, si tratta di una bella occasione per rivivere alcuni passaggi fondamentali della storia del pensiero critico di un «operaista indipendente» quale è sempre stato Sergio Bologna, ma per un giovane di vent'anni che, immerso anima e corpo nella crisi odierna che ha una gran voglia di agire e di costruire collettivamente nuovi strumenti di analisi e interpretazione del capitalismo finanziario (fatiscente? ipermaturo?), la fruizione de Banche e crisi. Dal petrolio al container (DeriveApprodi, pp. 200, euro 17), non è immediatamente evidente. Oltretutto in un periodo in cui la letteratura sulla crisi finanziaria è ormai sterminata e la lettura quotidiana del Sole 24 Ore o del Financial Times per capire dove va lo spread, i rendimenti sui titoli del debito sovrano, il tasso di cambio tra Euro e dollaro, le decisioni della Federal Reserve sui tassi d'interesse direttori e altre cosucce del genere, lascia poco tempo allo studio delle contraddizioni strutturali del sistema economico capitalistico.

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Attualità e inattualità del pensiero di Marx

di Claudio Valerio Vettraino

Totalità, scienza e dialettica

E’ arduo analizzare ciò che “di vivo o di morto” c’è nell’opera di Marx. Un’opera complessa e monumentale che ha attraversato i secoli e le generazioni, rappresentando per il movimento operaio internazionale la bussola organizzativa e strategica. Un filo rosso che dura ancora oggi e che fa da movente a tentativi di ricostruzione di fantomatici partiti del lavoro o fronti sociali di liberazione dalla servitù salariata. Gruppi o gruppuscoli intellettuali si richiamano a lui; tentativi oggi in atto per renderlo un “classico”, l’icona stessa di un passato che non deve tornare (come se lo stesso Marx fosse responsabile diretto e non a sua volta vittima strumentale dei disastrosi esperimenti di socialismo reale) e allo stesso tempo di una probabile ricomposizione epistemologica di un presente che ci sfugge, di un caos che ci attanaglia, di una crisi che mostra lati più oscuri della globalizzazione neo-liberista.

Ed è curioso come il Marx ufficializzato dall’establishment sia in sé duplice e scisso. Il Marx “scienziato” dell’economia politica da rielaborare alle luce delle inedite trasformazioni epocali che stiamo vivendo e il Marx politico-rivoluzionario da gettare alle ortiche.

Un’operazione ideologica, quella di scindere Marx in due tronconi del tutto incomunicabili, che non tiene assolutamente conto della dialettica che segna ed opera in tutto il suo pensiero. Da buon hegeliano, per Marx era impensabile considerare la politica senza l’economia. L’universale senza l’individuale. La storia senza la natura.

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Prefazione di "Banche e crisi"

di Sergio Bologna

Quando Marx inizia la collaborazione con la «New York Daily Tribune» è alle prese con la prima stesura di quel nucleo d’idee che sarà sviluppato nei tre libri de Il Capitale. È un magma incandescente che prende forma pian piano, alimentato più che dalle conoscenze e dalle riflessioni sedimentate negli anni precedenti, dalla realtà di tutti i giorni dell’innovazione capitalistica[1]. Non sappiamo come definire questa coincidenza. Un caso o in realtà non si tratta di coincidenza ma di genesi? Marx si è costruito propri schemi di lettura ma la realtà superava la sua immaginazione e lo aiutava a perfezionare i suoi schemi, a renderli più sofisticati, più calzanti. Mi è sembrato utile, quando scrissi questo saggio qui ripubblicato, capire meglio cosa stava accadendo in quel momento nel mondo, alla metà dell’Ottocento, piuttosto di scavare nell’intimità del processo di pensiero di Marx. Era cominciata la seconda rivoluzione industriale, non era una cosa da nulla, si stava facendo il passo decisivo verso la creazione di un mercato mondiale. Si agiva su due piani: sul piano immateriale, con la moneta, con la finanza, e sul piano fisico, con le infrastrutture, con i mezzi di trasporto. La forma «società per azioni», le banche d’affari, nascono per realizzare queste infrastrutture fisiche, il Canale di Suez, le reti ferroviarie, i porti. Uno dei principali partner finanziari dei fratelli Péreire, grandi protagonisti degli articoli di Marx per la «Tribune», è quel De Ferrari a cui si deve il lascito che ha permesso di costruire il porto moderno di Genova. Uno dei principali partner finanziari di Lesseps, non a caso da lui nominato Vicepresidente della Compagnia del Canale di Suez, è quel barone Revoltella al quale si deve la prima impostazione «logistica» del porto di Trieste.

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Denaro senza valore!

di Franco Senia

E' trascorso più di un anno da quel 18 luglio del 2012, quando, in seguito ad un errore medico, Robert Kurz è morto, all'età di 68 anni. Una morte prematura che ha interrotto un immenso lavoro durato più di 25 anni. Nato a Norimberga, dove ha trascorso tutta la sua vita, Kurz partecipò alla "rivolta degli studenti", al cosiddetto "1968", e alle discussioni che ne seguirono all'interno della "nuova sinistra". Dopo una brevissima adesione al marxismo-leninismo, e senza mai aderire ai "Verdi", nel 1987 fondò la rivista "Marxistische Kritik", ribattezzata dopo qualche anno "Krisis". La rilettura di Marx proposta da Kurz e dai suoi compagni (fra cui, Roswitha Scholz, Peter Klein, Ernst Lohoff e Norbert Trenkle) non creò loro molti amici nella sinistra radicale, dal momento che ne attaccava, uno dopo l'altro tutti i dogmi, dalla "lotta di classe" al "lavoro", rimettendo in discussione gli stessi fondamenti della società capitalista: valore di mercato, lavoro astratto, denaro e merce, stato e nazione. Ne "Il collasso della modernizzazione", scritto nel 1991, afferma che, nel momento stesso del "trionfo occidentale", conseguente alla fine dell'Unione Sovietica, i giorni della società del mercato mondiale sono contati, e che la fine del "socialismo reale" è stata solamente una tappa.

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il rasoio di occam

Marx, Wall Street e la lotta di classe

di Riccardo Cavallo

Da poco è apparsa l’ultima fatica di Domenico Losurdo, La lotta di classe. Una storia politica e filosofica [1] che, muovendosi controcorrente rispetto alla vulgata liberista imperante, si sofferma su uno dei nodi problematici più significativi dell’opus marx-engelsiano: la teoria della lotta di classe. Si tratta di un ulteriore tassello che va inserirsi nel ventennale percorso di ricerca del filosofo urbinate che, oltre a stilare un vero e proprio cahier de doléance sui misfatti dell’Occidente liberal-capitalista, intende intervenire nelle ferite ancora aperte della tradizione marxista mettendone in evidenza luci ed ombre

 1. What would Marx Think? Questo interrogativo campeggia sulla copertina della versione europea del Time del febbraio 2009, cioè nel momento clou della crisi finanziaria che partita dall’esplosione del sistema dei mutui subprime originatasi negli Stati Uniti, stava per dilagare anche nel resto del mondo. Non è un caso allora che il prestigioso magazine decida di dedicare la propria cover story ad un possibile ritorno alle tesi marxiste nell’epoca di Wall Street. Così il celebre ritratto del filosofo di Treviri diviene immagine pop, dai pixel giallo-oro che scorre al posto dei valori dei titoli azionari sul rullo della Borsa cui si accompagnano altre frasi fluorescenti che rimandano alla necessità di elaborare nuove idee per uscire dalla crisi e allo spauracchio del ritorno della povertà. Tutto insomma lascia presagire che le tesi di Marx, prima fra tutte quella sulla lotta di classe, siano più che mai da riprendere in considerazione come utile strumento per evitare il baratro generato dalla voracità autodistruttiva dei mercati.

Malgrado le apparenze, nel suo articolo intitolato Rethinking Marx[2], l’editorialista Peter Gumbel è ben lungi dal voler inneggiare ad un ritorno del marxismo, cercando anzi di evidenziare come le idee di Marx, seppur profetiche e a tratti geniali, abbiano nella pratica miseramente fallito.

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Leggere "Il Capitale Finanziario"*

di Emiliano Brancaccio e Luigi Cavallaro

Oggi […] l’economia borghese non conduce più energiche e gaie battaglie sul piano teorico. In quanto portavoce della borghesia, interviene soltanto là dove questa ha degli interessi pratici, rispecchiando fedelmente gli interessi conflittuali delle cricche dominanti nelle lotte economiche quotidiane, ma evitando accuratamente di prendere in considerazione la totalità dei rapporti sociali, ritenendo giustamente che tale considerazione sia inconciliabile con la propria esistenza di economia borghese. E anche quando per necessità dei suoi «sistemi» e nei suoi «compendi» deve esprimersi sui nessi della totalità, può cogliere la totalità soltanto rappezzando faticosamente assieme i singoli frammenti. Avendo cessato di essere fondata su principi e di essere sistematica, è diventata eclettica e sincretistica.
Rudolf Hilferding

1. La teoria economica dominante è ancora lì, ferma sul suo trono. La «Grande Contrazione» iniziata nel 2008 l’ha colta di sorpresa, quasi del tutto impreparata, ma non sembra averle inferto gravi danni. La reputazione dei modelli ortodossi di funzionamento del capitalismo ne è uscita senza dubbio appannata, ma le prescrizioni che se ne derivano continuano ugualmente a rimbombare nell’arena politica. Si tratta ormai di una vera e propria geremiade, sulla cui capacità di far presa in modo duraturo non ci si deve però ingannare. Sotto di essa covano profonde contraddizioni, potenzialmente in grado di minare la solidità delle attuali convenzioni e deviare il corso storico degli eventi. Approfondirle è senz’altro possibile, ma occorre innanzitutto un chiarimento sul concetto di teoria dominante, a partire dal suo nucleo originario: l’analisi neoclassica.

Stando a una celebre definizione1, una teoria economica può dirsi «neoclassica» (o «marginalista») se si propone di descrivere il funzionamento del sistema capitalistico sulla base dei seguenti dati esogeni: la tecnologia di produzione, le dotazioni delle risorse e le preferenze degli individui. Date le risorse di cui dispone, ciascun soggetto decide di consumarle oppure di scambiarle sul mercato in base alle proprie preferenze, ossia al fine di massimizzare la propria utilità personale. La logica delle azioni individuali viene quindi espressa nei termini di quella che Robbins definiva una relazione tra fini e mezzi scarsi aventi usi alternativi2 e che Samuelson ha poi formalizzato mediante il criterio dell’ottimizzazione vincolata3.

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Dalla filosofia alla concezione materialistica della storia

Appunti per un'introduzione al materialismo storico e alla dialettica, n.1

Antiper

particolare VOLANTINO 8 marzopeg1236332427Del rapporto tra marxismo e filosofia hanno trattato tanti libri da riempire intere biblioteche. Il “dilemma” è ricondotto, in definitiva, alla questione, posta da tutti i filosofi “di mestiere”, dell’insufficiente, nascosto, frainteso o addirittura mistificato “statuto filosofico” del marxismo. Nel parlare di marxismo e filosofia si va da chi afferma che il problema del marxismo è quello dell’assenza di uno specifico spazio filosofico (Preve) a chi afferma che un po’ di buona filosofia c’è, ma bisogna depurarla da deformazioni economicistiche, storicistiche, umanistiche (Althusser), a chi sostiene che in Marx è posto in modo tutto sommato chiaro il problema ontologico fondamentale (Lukacs).

Come è naturale, i filosofi chiedono più filosofia. Così come, del resto, gli economisti chiedono più economia, i sociologi più sociologia, ecc… Molto raramente si ricorda che una delle conclusioni teoriche di Marx – giusta, o anche sbagliata che possa essere considerata – è quella del superamento della divisione disciplinare della conoscenza (si potrebbe dire, della divisione del lavoro nel campo della conoscenza) e l'adozione di un approccio olistico – diciamo, interdisciplinare -ai problemi che in genere vengono catalogati come “filosofici”, “economici”, “storici”, “sociali”, “psicologici”, ecc...

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Impiccarsi al "comunismo" di Badiou o al "comune" di Negri? Meglio vivere!

di Sebastiano Isaia

Nell’ultimo libro Il risveglio della storia. Filosofia delle nuove lotte mondiali (Ponte alle Grazie, 2012) Alain Badiou si è difeso da par suo dalla sanguinosa critica scagliatagli da un altro pezzo grosso del pensiero “alternativo” mondiale, Toni Negri: «Io in definitiva sarei soltanto un idealista senza rapporti con la realtà. Per di più, non sarei nemmeno attento alle sorprendenti trasformazioni del capitalismo, trasformazioni che autorizzano a parlare, con aria da intenditori, di un “capitalismo postmoderno”. [Negri] mi ha pubblicamente assunto quale esempio di tutti quelli che pretendono di essere comunisti senza neanche essere marxisti. In sostanza, gli ho risposto che era sempre meglio che pretendere di essere marxisti senza essere nemmeno comunisti» [1]. Chi la spunterà in questa lotta tra giganti del pensiero altermondista?

Quando Badiou bastona le pretese postmoderniste di Negri, e sottolinea la vitalità della critica marxiana dell’economia politica, almeno per i punti essenziali, non posso che battergli le mani, e rimandare il lettore alla mia annosa polemica che ha come oggetto la teoria negriana dell’oltrismo:  oltre Marx, oltre la legge del valore, oltre il socialismo, oltre il comunismo, oltre l’imperialismo, oltre il postmoderno, oltre… l’oltre. Il tutto, forse, per dare l’impressione di essere sempre al passo con i tempi, anzi: decisamente oltre. Scrive Badiou: «La mia posizione è esattamente opposta: il capitalismo contemporaneo presenta tutti i tratti del capitalismo classico».

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Sottoconsumista sarà lei!

di Sebastiano Isaia

Nessuno ha compreso come Marx la potenza mostruosa e la vitalità
della società borghese (Wilhelm Liebknecht)
.

Insieme alla tesi che individua nella maligna speculazione finanziaria la causa ultima della crisi economica, la tesi sottoconsumista è senz’altro quella che gode dei maggiori suffragi negli ambienti economici e politici orientati “a sinistra”. E fin qui nulla da dire. Il fatto è che la vulgata economica progressista da sempre (da Karl Kautsky a Conrad Schmidt) cerca inopinatamente di arruolare il barbuto di Treviri nel triste partito sottoconsumista.

Scrive ad esempio Robert Skidelsky, emerito professore di economia politica alla University of Warwick, nonché illustre biografo di Keynes:

«Hobson sostiene che a causa della distribuzione diseguale del reddito e della ricchezza le famiglie rimangono con troppo poco potere d’acquisto per acquistare i prodotti che contribuiscono a produrre. Per dirla più precisamente, il gap eccessivo tra consumo e produzione o, che è lo stesso, “l’eccesso di risparmio” fa sì che si produca di più di quanto il reddito disponibile per il consumo possa acquistare a prezzi che garantiscono un profitto ai produttori. Quindi la società si ritrova periodicamente con troppo capitale, e la conseguenza è la crisi. Questo punto di vista ha diverse affinità con la teoria della crisi del capitalismo di Karl Marx, o almeno con una delle sue teorie. Marx sostiene che poiché la classe dei lavoratori è privata di una parte della crescita della produttività, non possiede i mezzi per acquistare una quantità sempre crescente dei beni prodotti dal suo lavoro. Quindi, come nell’economia di Hobson, in quella di Marx ci sono periodiche “crisi di realizzazione”» (1).

E per chiarire il concetto, il nostro professore cita

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Il capitalismo oggi

Risposta a Toni Negri

Alain Badiou

Vi proponiamo un estratto dal libro di Alain Badiou "Il risveglio della storia. Filosofia delle nuove rivolte mondiali" in cui il filosofo francese rispondendo alle critiche di Toni Negri traccia un profilo dell'attuale fase del capitalismo

Mi si rimprovera spesso, anche nel «gruppo» dei miei potenziali compagni di fede politica, di non tener conto delle caratteristiche del capitalismo contemporaneo, e di non proporne un’«analisi marxista». Di conseguenza per me il comunismo sarebbe soltanto un’idea campata in aria, e io in definitiva sarei soltanto un idealista senza rapporti con la realtà. Per di più, non sarei nemmeno attento alle sorprendenti trasformazioni del capitalismo, trasformazioni che autorizzano a parlare, con aria da intenditori, di un «capitalismo postmoderno».

Antonio Negri, per esempio, durante una conferenza internazionale sull’idea di comunismo – ero e sono molto contento di avervi preso parte – mi ha pubblicamente assunto quale esempio di tutti quelli che pretendono di essere comunisti senza neanche essere marxisti. In sostanza, gli ho risposto che era sempre meglio che pretendere di essere marxisti senza essere nemmeno comunisti. Considerando il fatto che, per l’opinione corrente, il marxismo consiste nell’accordare un ruolo determinante all’economia e alle contraddizioni sociali che ne derivano, chi, oggi, non è «marxista»? I nostri padroni, che, non appena la Borsa comincia a traballare o i tassi di crescita ad abbassarsi, tremano e si riuniscono col favore della notte, sono tutti «marxisti». Provate invece a mettere sotto il loro naso la parola «comunismo», e vedrete come cominceranno a dare in escandescenze, considerandovi alla stregua di un criminale.

Qui invece vorrei dire, senza più preoccuparmi degli avversari e dei rivali, che anch’io sono marxista, in buona fede, pienamente e in un modo così naturale che non è neanche il caso di ripeterlo.

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L’accusa di marxismo

Scritto da Diego Fusaro

Dall’11 al 28 luglio si tiene a Civitanova Marche un importante evento culturale, il cui nome è “Futura Festival” (www.futurafestival.it). Molti gli ospiti, tantissimi gli appuntamenti, tra cui Marc Augé, Achille Varzi e Lucio Caracciolo. Anche lo scrivente terrà un suo intervento, il 27 luglio alle ore 19:30, sul tema della società della fretta e della rimozione del futuro, a partire dal suo libro Essere senza tempo. Accelerazione della storia e della vita (Bompiani 2010, presentazione di A. Tagliapietra).

È curioso il fatto che sui blog si sia scatenata un’infuocata polemica contro la partecipazione del sottoscritto al Festival. Fusaro è marxista – si dice – e, in quanto tale, non è bene invitarlo a “Futura Festival”. Così su alcuni blog: “come la prenderà la quasi totalità dei civitanovesi (dati elettorali alla mano) – con il cui denaro si finanzia Futura Festival – che con il marxismo non si riconosce?”. E ancora: “Fusaro è invece un marxista dichiarato impegnato nella rivalutazione del pensiero di Marx. Invitarlo è una scelta sballata da un punto di vista culturale e politico”. Non ha, in effetti, senso rispondere a queste patetiche critiche, che offendono più l’intelligenza dei loro autori che non la persona del destinatario. E, tuttavia, alcune considerazioni possono essere utili per ragionare sullo statuto dell’ideologia oggi onnipervasiva, quale si manifesta nelle sue forme più grossolane e grezze nelle frasi poc’anzi riportate.

Che la nostra sia la società dell’equivoco, della chiacchiera e della curiosità, l’aveva già detto splendidamente Heidegger in Essere e Tempo e non vale la pena tornarci sopra.