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Marx e il capitale come rapporto sociale

di Paolo Ciofi*

TYP 465971 4815891 marx gOgni qual volta il capitalismo entra in crisi - e ciò si verifica sempre più frequentemente, fino a diventare uno stato permanente - Carlo Marx, dato per morto e sepolto, regolarmente ricompare e oggi il suo spettro aleggia di nuovo in Europa e nel mondo. Al punto tale che Time, settimanale americano con svariati milioni di lettori, è arrivato a scrivere che «Marx aveva ragione». E l’Economist, caposcuola britannico del pensiero liberale, ha affermato di recente che «la principale ragione per cui Marx continua a suscitare interesse è che le sue idee sono più pertinenti oggi di quanto non lo siano state negli ultimi decenni».

Tuttavia, una reticenza permane proprio sulla questione di fondo, ossia sulla natura del capitale. Giacché, scoprendo l’arcano del capitale, vengono in chiaro le ragioni delle sue crisi e le condizioni del suo superamento. Due aspetti inscindibili che hanno fatto di Marx uno dei pensatori più potenti e al tempo stesso un rivoluzionario instancabile, che concretamente lottava per trasformare la realtà: un esempio di coerenza, di alta moralità. La personificazione dell’unità tra teoria e prassi.

Una «immane raccolta di merci», osserva il pensatore e rivoluzioanrio di Treviri, caratterizza la società dominata dal capitale. Ma cos’è il capitale? Non semplicemente una somma di denaro, che a conclusione della produzione e della circolazione della merce, o dell’impiego nella finanza, si trasforma in una somma maggiore di quella investita; e che ci appare nelle più svariate forme di capitale industriale, bancario, fisso, costante, variabile e così via. Fino al capitale cosiddetto umano, in cui nel nostro tempo, ridotti a cose, si identificano gli esseri umani che producono ricchezza.

Che cos’è allora il capitale? Una cosa? Un’entità materiale o immateriale? Un insieme di macchinari e di materie prime? Di conoscenze scientifiche e tecnologiche? È un algoritmo? Un accumulo di mezzi finanziari ben nascosti nei paradisi fiscali? «Il capitale - risponde Marx - non è una cosa, bensì un determinato rapporto di produzione sociale, appartenente ad una determinata formazione storica». Ed «è costituito - sono sue parole - dai mezzi di produzione monopolizzati da una parte della società» con lo scopo di ottenere un profitto. Mentre un’altra parte della società, che comprende di gran lunga la maggioranza, «è soltanto proprietaria della condizione personale della produzione», ossia delle proprie soggettive capacità fisiche e intellettuali che chiamiamo forza-lavoro, venduta al mercato in cambio dei mezzi per vivere.

Quindi, secondo Marx, lo sfruttamento di esseri umani da parte di altri esseri umani sulla base di determinati rapporti di proprietà caratterizza il capitale come rapporto sociale. Una contrapposizione tra classi sociali oggettiva, su cui s’innalza l’intero edificio della economia, della società e dello Stato, della cultura e della politica.

Non ci sono, in tale visione, presunte leggi economiche che alla stregua di quelle naturali renderebbero immodificabile lo stato delle cose presente. Risalendo dalle merci e dunque dal rapporto tra cose, e da impersonali entità numeriche e quantitative, Marx porta alla luce le relazioni tra gli esseri umani, che proprio in quanto tali hanno un inizio e una fine. E perciò si possono cambiare edificando una civiltà più avanzata in cui si ridefiniscano i principi di libertà e di uguaglianza. Emerge così la possibilità di un processo rivoluzionario che rovesci l’ordine costituito, e in pari tempo un filo rosso che lega l’intero percorso di una vita, e che potremmo chiamare l’umanesimo integrale di Carlo Marx.

Il capitale, sempre mutevole e proteiforme, nel corso della sua storia e del suo movimento senza fine non ha mai rinunciato allo sfruttamento del lavoro, a sua volta mai uguale a se stesso. Se lo avesse fatto, avrebbe decretato la sua morte. Con l’ascesa della borghesia – è scritto nel Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels - «si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di concetti antichi e venerandi». «All’antica autosufficienza e all’antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio universale». E come per la produzione materiale, così per quella intellettuale.

Un processo che ha coinvolto miliardi di esseri umani, liberando e diffondendo ovunque nel mondo la forza-lavoro, ovvero la merce indispensabile per ottenere i profitti. Una merce speciale, di certo non scomparsa nella fase del capitalismo digitale finanziarizzato e anzi oggi massimamente diffusa, il cui uso in cambio di un salario genera per chi la compra un valore superiore al suo costo: un plusvalore determinato dal lavoro non pagato, che misura il grado di sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori, ed è alla base del profitto e dell’accumulazione dei capitali.

Per «forza-lavoro o capacità di lavoro - chiarisce Marx - intendiamo l’insieme delle attitudini fisiche e intellettuali (sottolineo intellettuali) che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente di un uomo (e di una donna, diremmo noi oggi), e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d’uso di qualsiasi genere». E poiché il suo valore è determinato dai mezzi di sussistenza necessari a conservare e riprodurre «l’individuo che lavora nella sua normale vita», ne deriva che il «valore della forza-lavoro, al contrario che per le altre merci, contiene un elemento storico e morale». Una visione che conferma l’umanesimo integrale di Marx.

Il concetto di classe lavoratrice si riferisce quindi non all’applicazione tecnica della forza-lavoro in un determinato procedimento produttivo, ma al fatto che miliardi di individui, tutti diversi tra loro come persone e indipendentemente dal lavoro che svolgono, hanno una caratteristica comune: quella di vendere l’insieme delle proprie capacità fisiche e intellettuali in cambio dei mezzi per vivere. D’altra parte, se l’universalità del lavoro si esprime nella concreta attività e nella vita di ogni persona, ciò significa - nella visione marxiana - che la liberazione della classe oppressa non può risolversi nella soppressione della libertà dei singoli. E infatti per lui il comunismo è una condizione sociale nella quale «il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti».

Nella condizione sociale del capitalismo, invece, la separazione del produttore diretto dai mezzi di produzione e dal prodotto del suo lavoro fa sì che mentre si realizzano nel mercato le merci che incorporano un plusvalore, si riproduce in pari tempo il rapporto di proprietà. Di modo che, annota Marx, dal momento che il processo produttivo crea non solo il prodotto per il consumatore ma anche il consumatore per il prodotto, la distribuzione della ricchezza dipende in ultima analisi dalla distribuzione della proprietà.

Ma, osserva ancora Marx, «il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è la fonte dei valori d’uso (…) altrettanto quanto il lavoro». Per questo motivo, il capitalista proprietario dei mezzi di produzione, al fine di ottenere un profitto, deve poter disporre del lavoro e della natura, che vengono coinvolti insieme in un unico meccanismo di sfruttamento.

Diversamente - precisa il nostro interlocutore - «dal punto di vista di una più elevata formazione economica della società, la proprietà privata del globo terrestre da parte di singoli individui apparirà così assurda come la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo». I beneficiari dei frutti della terra, infatti, sono soltanto «i suoi usufruttuari - conclude - e hanno il dovere di tramandarla migliorata, come boni patres familias, alle generazioni successive».

Ancora di recente è stato osservato che, essendo «l’incremento indefinito del profitto privato» lo scopo dell’agire capitalistico, ne deriva «inevitabilmente» che il capitalismo «distrugge la terra, la sua ‘base naturale’». Ma già lo stesso Marx, in un’altra epoca storica, aveva notato che il capitale, a un certo grado della sua crescita, mette a rischio le condizioni stesse della riproduzione di se medesimo: «la grande industria e l’agricoltura gestita industrialmente» - scrive - concorrono congiuntamente a dilapidare, da un lato, «la forza-lavoro, e quindi la forza naturale dell’uomo», dall’altro, «la forza naturale della terra».

Qeusto sistema, che sfrutta congiuntamente gli esseri umani e la natura, incalza Marx, è segnato da una insuperabile contraddizione. Infatti, per alzare i profitti, il capitale ha bisogno di contenere i salari, ma i bassi salari comprimono il potere d’acquisto riducendo la domanda, e quindi impediscono la realizzazione dei profitti. Si direbbe che il capitale è vittima delle sue stesse macchinazioni. In questo sistema piuttosto primitivo non vengono riconosciuti i bisogni reali, bensì solo quelli solvibili, espressi in tangibile domanda pagante, l’unica valida per incamerare un profitto. Emerge così in modo clamoroso il paradosso del capitale, per cui, in presenza di crisi da sovrapproduzione per difetto di domanda pagante, si assiste in pari tempo al diffondersi della povertà a causa di bisogni reali insoddisfatti.

«Gli economisti che pretendono di spiegare le periodiche contrazioni di industria e commercio con la speculazione - annota l’autore del Capitale - assomigliano a quella scuola ormai scomparsa di filosofi della natura che considerava la febbre la vera causa di tutte le malattie». La crisi», precisa, «scoppia dapprima nel campo della speculazione e solo successivamente passa a quello della produzione». Perciò agli occhi dell’osservatore superficiale la speculazione appare come causa della crisi.

Nelle mani del capitalista che punta al massimo profitto le innovazioni scientifiche e tecnologiche servono per intensificare il lavoro, ridurre il numero degli addetti, contenere il monte salari. Di conseguenza, secondo Marx, la diminuzione della quota degli investimenti destinati alla forza-lavoro generatrice del plusvalore, rispetto a quella investita in strumenti tecnici, produce tendenzialmente la caduta del saggio del profitto. Nel lungo termine non diminuisce la quantità dei profitti, bensì il livello di remunerazione del capitale rispetto all’ammontare complessivo degli investimenti.

Contro tale tendenza vengono poste in atto le più diverse contromisure, ma il segnale è chiaro: il sistema in sé perde efficienza e ha bisogno di potenti correttivi. E questi vengono dispiegati non solo nel campo dell’economia, ma anche nell’organizzazione della società e dello Stato, in quella che Marx chiama la sovrastruttura, comprendente le istituzioni culturali e politiche attraverso le quali la classe dominante esercita la funzione dell’egemonia, del comando e della violenza, fino alle guerre per la spartizione del mondo. È la storia del capitalismo.

La borghesia - troviamo scritto nel Manifesto - «non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l’insieme dei rapporti sociali». Dal che si dovrebbe dedurre che per analizzare le incessanti mutazioni del capitale c’è bisogno di un pensiero critico dinamico, in divenire, aperto alle continue innovazioni della scienza e della tecnica, in grado di decodificare la società capitalistica in continuo movimento. Il contrario delle varie ortodossie che hanno imbalsamato il pensiero dirompente di Carlo Marx in un catalogo senza vita di formule e formulette. Non a caso Marx dichiarava di non essere marxista.

A un certo grado dello sviluppo del sistema - ci dice Max - si determina una condizione nella quale «i rapporti borghesi di proprietà, la moderna società borghese, che ha evocato (…) così potenti mezzi di produzione e di scambio, rassomigliano allo stregone che non può più dominare le potenze sotterranee da lui evocate». In altri termini, i rapporti di proprietà capitalistici si dimostrano troppo angusti per contenere la debordante potenza delle forze produttive. La proprietà sociale dei mezzi di produzione bussa alle porte.

Il punto di massima tensione si raggiunge nella fase in cui è la scienza stessa a configurarsi come forza produttiva e motore dell’innovazione, che impiega la tecnica come strumento di manipolazione e comunicazione. In questa fase il lavoro non scompare, ma assume caratteristiche sempre più qualificate, di ricerca e di controllo. Osserva Marx che quando «l’intero processo di produzione (…) si presenta come applicazione tecnologica della scienza» c’è bisogno di una classe lavoratrice «superiore» con un grado sempre più elevato di conoscenze. Fino a formare l’intelligenza generale dell’intera comunità. In questa fase - sottolinea il Moro di Treviri - «la specializzazione cessa», e «la tendenza verso lo sviluppo integrale dell’individuo comincia a farsi sentire».

Tuttavia il passaggio a una civiltà superiore, in cui il rapporto organico tra lavoro e sapere non sia continuamente spezzato dalla dittatura del capitale, avviene non in modo automatico, per spontanea evoluzione. È noto che Marx non intendeva apparecchiare pietanze per le osterie del futuro, intendendo con ciò che non era nelle sue corde una visione utopica della nuova società. Come era a lui del tutto estranea l’idea schematica e primitiva che il passaggio rivoluzionario a una società superiore possa avvenire seguendo un modello unico, ovunque e indipendentemente dalle condizioni storiche concrete.

Ma al di là di come e per quali vie si possa compiere il rivoluzionamento dell’economia, della società e dello Stato, per Marx resta fermo il principio che la classe lavoratrice debba comunque organizzarsi in partito politico, perché - sono sue parole - «ogni lotta di classe è lotta politica». Senza «organizzazione dei proletari in classe, e quindi in partito politico», - aggiunge - coloro i quali vivono del proprio lavoro restano nella condizione di una massa dispersa e impotente.

Dunque, perché la classe degli sfruttati si costituisca come tale ha bisogno di riconoscersi come tale, conquistando coscienza di sé e della propria funzione storica. E ciò non si ottiene senza l’organizzazione in partito politico, e senza la visione della politica come strumento di lotta per la liberazione - cito testualmente - della «enorme maggioranza nell’interesse dell’enorme maggioranza».

In conclusione possiamo dire che non vi è nel pensiero di Marx alcun determinismo. Sono gli esseri umani il fattore decisivo. Questo ci insegna Carlo Marx. Ma proprio perciò, una volta portato alla luce il meccanismo di funzionamento del capitale, non basta - come egli ci avverte - interpretare diversamente il mondo. Occorre agire per trasformarlo.


* Introduzione alla giornata di studio in occasione del bicentenario della nascita di Karl Marx, svoltasi il 18 ottobre 2018 presso l’Università Roma Tre Dipartimento di Scienze della formazione, e promossa da Cesme, Futura Umanità, Proteo Fare Sapere

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Paolo Selmi
Sunday, 11 November 2018 11:06
Cari compagni,
scrivo anche su questa frequentata pagina per una comunicazione di servizio, riprendendo per altro il capitolo non scritto di Stato e Rivoluzione richiamato da Eros alla fine del suo ultimo intervento. Avrei un compito, meglio, un tema libero, da proporre a chi, con un po' di buona volontà e competenze in materia, possa/voglia mettersi in gioco su questo argomento.

L'ultimo mio mese di lavoro extra-lavoro è stato dedicato alla traduzione e commento di questo capitolo di Syroezhin, appena pubblicato.
https://www.sinistrainrete.info/teoria/13648-ivan-mikhajlovic-syroezin-pianificabilita-pianificazione-piano-2.html
Il succo di quella trentina di pagine scritte prima che crollasse tutto è che si può, si deve, in un'economia sociale e di piano, continuare ad assegnare un ruolo fondamentale all'idea stessa di "pianificabilità", come UNICO ELEMENTO IN GRADO REALMENTE DI COMPIERE QUEL +1 VERSO L'OBBIETTIVO PREFISSATO, ma non solo, COSTITUENDO INFATTI L'UNICO ELEMENTO IN GRADO DI MISURARE CONCRETAMENTE L'ANDAMENTO DI TALE TRASFORMAZIONE (da lì quello spataffio di dimostrazioni matematiche che sfruttano tutte le potenzialità offerte dal Teorema di Kendall per l'avvicinamento del reale all'ideale). Questo, peraltro, impone un'idea di Stato ben definita e difficilmente equivocabile. Ma non è questo il motivo per cui scrivo. Riporto ora un'appendice a questo capitolo che, a mio avviso, merita la massima attenzione da parte di cervelli più allenati e addentro alla materia del mio.

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"Aggiungo [a quanto scritto] quella che, al momento, è una pura suggestione, ma che mi piacerebbe che possa servire come spunto di lavoro a chi ne sa più di me. E che mi è venuta ora in mente in modo del tutto casuale.
Tema: Un'economia socializzata di piano + tecnologia BLOCKCHAIN.
Breve spiegazione: la tecnologia blockchain, nata per le criptovalute, oggi è oggetto di ENORME attenzione da parte del grande capitale. Su questo avevo già scritto verso la fine di quella decina di pagine dedicate al tema dei bitcoin nel mio ultimo lavoro (https://www.academia.edu/37305627/Riportando_tutto_a_casa._Appunti_per_un_nuovo_assalto_al_cielo pp. 143-152). Ai vantaggi riportati aggiungerei, fondamentale in un'economia di piano - ed è lì poi che mi è scattata l'idea - ciò che è alla base dell'idea stessa di blockchain: il "registro" incancellabile di tutte le attività / transazioni / occorse dalla sua creazione sino a quel momento. Uno "storico" immediatamente a disposizione, in grado di tracciare l'intero percorso e misurare Risultanza, Qualità ed Efficienza applicate nel concreto al piano in questione. Ma non solo, blockchain di settore, di area, intersettoriali, interregionali, ciascuno con il compito di misurare, trasmettere, e rappresentare lo storico dell'intero percorso. Un grado di coordinamento possibile solo con un'economia sociale e di piano, uno strumento potentissimo a sua disposizione allora inimmaginabile, e oggi usato solo per speculare sulle criptovalute o, nel massimo dell'immaginario capitalistico-borghese (cinesi compresi), per trasmettere trasferimenti cifrati di denaro e di informazioni.
Chiunque sia in grado di raccogliere ciò che al momento è poco più di un messaggio nella bottiglia, e svilupparlo ulteriormente, è il benvenuto. Io continuerò a lavorare su questo testo, perché oggi più di ieri mi rendo conto dell'enorme potenziale in esso contenuto. Non avessi avuto questo capitolo sotto mano, non avrei mai collegato quanto in esso espresso, ovvero la definizione concreta, plastica, di "pianificabilità" in applicazione a una "legge economica fondamentale" di un modo di produzione completamente diverso e alternativo agli attuali esistenti, con questa nuova tecnologia non a caso oggi sotto la lente di ingrandimento del grande capitale. E qui saremmo di colpo anni luce avanti rispetto a Casaleggio, pienamente dentro gli ultimi ritrovati tecnologici anzi, talmente addentro da determinarne un utilizzo consapevole ed efficace a nostro favore."
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Lancio anche qui questa bottiglia. Penso che sia un'ottima idea per rilanciare un'idea di Stato diversa da quella attuale e innovativa, in una nuova battaglia con una nuova cassetta degli attrezzi, in un gioco completamente all'attacco su una terra di studio completamente vergine e, aggiungo, completamente compatibile con un'idea di socialismo a questo punto non più denigrabile da nessuno, neanche dal nostro peggior nemico, come nostalgica o passatistica.

Una buona domenica a tutti.
Paolo
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Eros Barone
Friday, 09 November 2018 17:12
Il vero centro di gravità di questo dibattito è, sì, il problema dello Stato, ma in rapporto al leninismo (e non invece a partire da altre dottrine sorte all’interno del movimento operaio internazionale). E affermo ciò per tre ragioni di fondo: a) perché sulla base del leninismo è stata fatta l’unica rivoluzione classicamente proletaria del secolo XX; b) perché il pensiero di Lenin si presenta come un blocco compatto e organico,tale quindi da semplificare la discussione politica e da rendere evidenti le implicazioni pratiche da essa ricavabili ad opera del movimento di classe; c) perché le radici essenziali del movimento di classe (se non tutte, quelle principali) vanno ricercate nel leninismo, di volta in volta assunto come matrice che si vuol riconoscere, correggere o distruggere). I problemi sono dunque quelli attinenti allo Stato borghese e allo Stato proletario, nonché al ruolo della classe operaia e del partito rivoluzionario. In questo senso, il problema del metodo non è affatto un problema dottrinario, ma è invece profondamente politico. Gyorgy Lukács lo aveva già riconosciuto quando in “Storia e coscienza di classe” (1923) aveva scritto: «Il marxismo teorico non significa quindi una adesione acritica ai risultati della ricerca di Marx, non significa una ‘fede’ in questa o in quella tesi, o l’esegesi di un libro “sacro”. L’ortodossia in materia di marxismo si riferisce, al contrario, unicamente al ‘metodo’. Essa è la convinzione scientifica che con il marxismo è stato trovato il giusto metodo di ricerca, che questo metodo può essere elaborato, sviluppato e approfondito solo nel senso dei suoi fondatori, e che tutti i tentativi di superarlo o di ‘migliorarlo’ hanno condotto e non potevano condurre ad altro che ad appiattirlo, trivializzarlo e renderlo eclettico» (cfr. R. Luxemburg,”Scritti politici”, a cura di L. Basso, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 25). Ciò premesso, vediamo di chiarire il problema centrale, ossia la concezione leninista dello Stato borghese e di quello proletario, nonché il problema dell’attualità (o non attualità) di tale concezione. Si tratta pertanto della tesi fondamentale di “Stato e rivoluzione” (1917): quella della distruzione dell’apparato statale borghese, laddove l’obiettivo dell’attacco di Lenin non è il Kautsky più o meno apertamente riformista del 1917, ma il Kautsky che vuole ancora la conquista anche violenta del potere, ma non la distruzione dello Stato. Sennonché la prima cosa da osservare a proposito di questo tema, in cui la rottura della macchina statale borghese è il centro del discorso, è che quel modello di Stato proletario era strettamente connesso alla rivoluzione mondiale e fallì già al tempo di Lenin. La domanda è allora: fallì per un insieme di accidenti o per ragioni più profonde? Come è noto, la contraddizione tra immaturità delle condizioni strutturali ed esigenze rivoluzionarie fu risolta da Stalin nell’unico modo possibile, cioè privilegiando il rafforzamento dello Stato socialista e procedendo, sulla scorta della teoria leniniana dello sviluppo ineguale, alla “costruzione del socialismo in un paese singolarmente preso” (questa è la traduzione corretta della formula volgarmente nota come “costruzione del socialismo in un solo paese”). Certo, lo Stato borghese è irrecuperabile; le illusioni della socialdemocrazia sono state smentite dai fatti e tutti i tentativi di governare in modo progressista all’interno del sistema sono falliti; la crisi economica mondiale ha ridotto i margini riformistici; le istituzioni democratiche sono state svuotate (accentramento del potere nell’esecutivo e nella tecnocrazia, gerontomorfosi del parlamentarismo, crisi dei partiti e loro carattere oligarchico, populismo). La conclusione che si ricava da queste premesse è che, pur essendo ormai chiara la contraddizione tra il capitalismo e la stessa democrazia rappresentativa borghese, altrettanto chiara è l’impossibilità di portare avanti una lotta per una democrazia più avanzata nel quadro di questo sistema sociale e dell’assetto istituzionale esistente. Al tempo stesso, a differenza che nel periodo storico in cui operò Lenin, aumentano le basi oggettive del socialismo: infatti, non vi sono più problemi di accumulazione primitiva, vi sono enormi risorse di conoscenza non utilizzate, vi sono grandi riserve di lavoro e di capitale non utilizzate, ma la transizione al socialismo appare più che mai problematica. D’altra parte, Lenin doveva saper bene che Marx stesso aveva partecipato alle lotte dei Cartisti per il suffragio universale e che l’ultimo Engels aveva teorizzato l’uso del parlamentarismo in funzione rivoluzionaria. Dallo sviluppo ineguale del capitalismo, con le sue strozzature e il conseguente sottosviluppo, sorse il rafforzamento dello Stato proletario con Stalin: in questo senso, il contenuto reale del terrorismo staliniano fu la difesa del primo Stato socialista del mondo, la lotta al fascismo, lo sviluppo di una nuova società. In tutto ciò il potere bolscevico ritrovava il suo significato oggettivo e l’URSS il suo collegamento con le masse e con le forze progressive di tutto il mondo. La non-verifica storica di “Stato e rivoluzione”, così come quella, a maggior ragione, della marxiana “Critica del programma di Gotha”, a mio avviso ripropongono con forza, nell’epoca dell’imperialismo e del conflitto tra i blocchi imperialisti, il problema del superamento della democrazia borghese di tipo parlamentare. Ma ciò significa che, sulla base della teoria e del metodo marxista, nonché delle esperienze storiche del proletariato mondiale, si pone il problema di discutere e, quando le condizioni lo consentiranno, di scrivere il capitolo mancante di “Stato e rivoluzione”: il capitolo sulla democrazia proletaria e sui soviet.
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Paolo Selmi
Friday, 09 November 2018 08:05
Cara Anna,
grazie mille per la tua a ora più che tarda e scusami anzi il disturbo, visto che ti ho chiamato in causa ma potevo fare anche un esempio più astratto, mannaggia a me. Però ho capito bene ora il tuo punto di vista. Ora, mai dire mai, ma penso proprio che la terra promessa non la vedremo mai, finché saranno questi i rapporti di forza. Tuttavia, torniamo al mio esempio... "da ciascuno secondo le sua capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro": ti metterei non solo alle verdure, ma a capo di una squadra di lavaggio e, anzi, se te la sentissi, al controllo degli standard igienici (quelli sociali e lavorativi li darei per scontati in un'economia socialistica... ma forse anche qui sarei troppo ottimista e ti farei dare un occhio) nel processo produttivo e di distribuzione: perché una puntigliosa, rigorosa, e che ci crede, come te, a lavare verdure sarebbe sprecata. Mentre magari al controllo ci sarebbe uno che guarda l'orologio e aspetta le sei, o le cinque. E non lo dico per fare qualche commento gratuito, ma perché questo traspare in ogni tuo scritto, sia che mi trovi d'accordo, sia che non mi trovi d'accordo. E, anzi, avere degli yes-men in una squadra, ovvero circondarsi di leccapiedi, è quando di meglio auguro a un padrone... perché contribuisce ad accelerare la fine del capitalismo! :-)
D'altro canto, una volta al Gosplan, un capo dovrebbe risolvere il problema di ri-localizzare la produzione: e non solo perché è idiota (perché la nave che le porta inquina come 1/15 di tutte le macchine del mondo messe assieme) e criminale (per motivi etici) che le magliette (ovvero, produzioni a basso valore aggiunto) che usi a Viggiù siano fatte in Bangladesh perché lì costano due dollari (2 DOLLARI!) a capo e tu le puoi rivendere a 9 euro e 90.
Ma anche perché è compito del Gosplan trovare una giusta proporzione fra settori economici di modo che l'intera economia sociale (ovvero anche scuole e ospedali, per intenderci) trovi piena soddisfazione ai propri bisogni. In attesa che si arrivi al comunismo e le proporzioni si trovino sempre più "da sole", in una società libera e senza sfruttamento. Vabbeh, vado a timbrare che è ancora venerdì.
Un abbraccio
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Anna
Friday, 09 November 2018 02:30
Caro Paolo ,
forse è colpa mia che non mi sono spiegata , ma in verità ti risponderei qualcosa del tipo “non accetto imposizioni , ma non essendo più utile a nessuno che continui a fare pagnotte , mi metto a lavare le verdure”. E' un pò diverso . E’ importante non dividere la parola libertà dalla parola uguaglianza regalando la prima al discorso capitalista e la seconda al discorso disciplinare e militarista , entrambi in realtà gerarchici ed escludenti . Il continuo allargamento della democrazia e l’invenzione continua di diritti sociali di cui ho parlato , si risolvono inevitabilmente in un quadro che fa esplodere il paradigma della proprietà privata e dello Stato che ne è gendarme . E in una prospettiva e contesto simili , la pianificazione diventa una conseguenza , è implicita , anche se non cade dall’alto , anche se è libertaria e parte dal basso , anche se è federale e transtatale . D’altro canto classe e nazione stanno in una relazione antinomica , sono inconciliabili ; ci sono Stati di soli borghesi , e facendo dello Stato un feticcio si rischia di confondere la sovrastruttura con la struttura ; Marx , per dire , era per la cancellazione di 38 Stati in un colpo solo , con un tratto di penna , a favore dello Zollverein . Comunque , sto scrivendo da un cellulare , se ho fatto degli errori mi scuso , ma spero di aver chiarito come mi comporterei con le pagnotte e perchè . Ciao
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Paolo Selmi
Thursday, 08 November 2018 22:31
Caro Mario,

Io sono un meticcio, figlio di una conciliazione tra Lombardia ed Emilia, fra città e campagna, fra industria ed agricoltura, fra non avere un soldo in tasca e avere due genitori che non mi hanno mai fatto mancare niente di ciò di cui avevo bisogno. In piena esplosione ormonale non ho fatto una brutta fine solo perché, a parte qualche scappellotto ben assestato, praticavo per 11 ore la settimana il judo, che oltre a costituire un'ottima valvola di sfogo mi insegnava a usare la forza dell'avversario per atterrarlo (via della cedevolezza). Altra conciliazione. Andare a Venezia, vincere i miei pregiudizi, rimettermi di nuovo in discussione, senza mettere in discussione le 400 000 mila lire al mese con cui mi pagavo affitto, vitto e alloggio, e i quattro anni tassativi entro cui dovevo chiudere tutto, è stata anche quella una conciliazione. Andare a Venezia ed entrare in contatto con culture dove il tuo pensiero di origine vale meno di zero, perché ragionano su presupposti completamente diversi, e riuscire a valorizzare entrambe, senza tentare di inglobarne una o denigrarla, che è la stessa cosa, è anche questo uno sforzo di conciliazione. Uscire con 110 e lode e decidere di "servire il popolo", ovvero fare il mediatore culturale (lo dice la parola stessa) senza tentare improbabili, vista la testa che mi ritrovavo, carriere accademiche è stata un'ulteriore conciliazione. E il resto è venuto di conseguenza, per cui Mario non ti sto a tediare con i successivi vent'anni dove ho mantenuto lo stesso atteggiamento. Ho imparato e continuo a imparare da te, da tutti, da gente che la pensa più come me e gente che la pensa meno o completamente diverso da me.

Vuoi sapere invece come la penso veramente? In tutto ciò che scrivo, giusto o sbagliato che sia, in tutti i miei lavori, l'unica cosa che non mi si può rimproverare è di non avere coerenza.

Di una cosa, tuttavia, ti do pienamente ragione. Ed è un mio difetto. Un brutto difetto, che però ho scelto consapevolmente. Usare lo stesso registro sia nel parlato, che nello scritto individuale che, come in questo caso, nello scritto collettivo. Non ce la faccio a essere tre, quattro Paoli Selmi. Quindi, quando mi trovo al telefono un autista che è andato a ritirare a Malpensa senza traspallet e mi chiede cosa deve fare, anche se la prima cosa che mi viene in mente è indicibile, la seconda è chiamare i colleghi perché gli diano una mano. E lo stesso sul lavoro, che non ho scelto io, con colleghi che non ho scelto io, con la vita che non ho scelto io, ma che una volta che timbri entrata devi fare girare come se l'avessi scelta tu, e conciliare, e trovare uno sforzo di sintesi, e fare lavoro di squadra. COME SE, ed è qui il succo del discorso. Come notava Gramsci, il gorilla ammaestrato in queste strutture di comando elementari ha molto spazio per elaborare un proprio pensiero, per analizzare ciò che ha davanti agli occhi e trarne conclusioni... "inaspettate", da un punto di vista padronale. Discorso analogo per quando torno a casa, anche se lì la scelta è tutta mia: dove vuoi andare se non medi, se non concili, se imponi? Stesso discorso per quando intrattengo un confronto, che può essere nel comitato genitori dell'asilo o nella commissione cultura del mio piccolo comune, ma anche in uno scambio epistolare con chi mi scrive sulla mail di casa. E a questo punto, perché no, anche qui, dove sto scrivendo a te ma so che non mi stai leggendo solo te, e lo stesso fai tu, e lo stesso fanno tutti, perché usare un tono diverso da quello che userei se ti trovassi al bar del mio paese davanti a un caffé o a un grappino?

Come la penso è noto, tornando al caso di Anna non è che lei non l'abbia capito. Che senso ha continuare ad alzare i toni? Io credo che socializzare l'economia e pianificare sia impossibile senza realizzare un governo efficace dall'alto, lei probabilmente ama di più un'idea libertaria, dove ci si ferma al consiglio di fabbrica o di paese. La motivazione è più che condivisibile: il potere è violenza. Chi nega il contrario è un ipocrita. Lo stato ha il monopolio dell'uso della forza, in teoria... anche questo, negarlo, è ipocrisia. La mia conciliazione finisce qui. Perché poi io "faccio violenza a me stesso" e mi metto nei panni di chi deve decidere come e quando, in un'economia pienamente socializzata, produrre le impastatrici e i forni con cui produrre un pane a sua volta realizzato da prodotti raffinati che, a loro volta, in un ciclo più ampio, divengono prodotti intermedi. E penso che governare questo con l'anarchia è impossibile. Punto. Ma lei lo sa che la penso così e io idem, so che più di un tot non abbiamo in comune. Ho ragione se domattina finisco in un immaginario Gosplan con un obbiettivo di piano concreto e realizzabile per un panificio che deve servire le mense di scuole e ospedali e mi trovo da un'altra parte un'Anna che mi dice no: faccio quante pagnotte voglio io perché non accetto quote o imposizioni da nessuno. Ma qui non c'è nessun Gosplan, il potere è SOLO violenza di una classe su un'altra e quindi, in questo modo di produzione, con questo schifo di società e di mondo che stiamo lasciando ai nostri figli, che senso è metterci a litigare, a baruffare come i "do gobeti" della canzone su un futuro che, stanti gli attuali rapporti di forza, non arriverà neppure fra 10 vite?

Ti faccio un ultimo esempio: la "leva leninista": in meno di dieci anni, il PCUS (che non si chiamava ancora così) da 200.000 iscritti aumenta di centinaia di migliaia di unità. La pensavano tutti alla stessa maniera? No. L'ingresso è stato fatto dopo aver fatto a ciascuno leggere il Capitale e poi avergli fatto l'esamino? No. Al contrario, la politgramota, l'alfabetizzazione politica, è venuta dopo. La pensavano tutti però allo stesso modo sui bianchi, sui padroni, su quelle sanguisughe che ogni giorno ci ciucciano linfa vitale per il loro profitto. E questo bastava.

Quindi basta che non sei dalla parte dei padroni, che non mi canti "faccetta nera" o mi esci con qualche frase razzista, che non offendi o te la meni, che, pur essendo della mia parte, non fai il furbo e non mi dici che è giusto nella vita "pararsi il culo" (scusami ma io lo sento così da chi mi fa salire il sangue alla testa), anche - soprattutto - alla faccia degli altri, che sfruttare altri popoli, creare biecamente dipendenza economica, è "cooperare", è win-win, specialmente dopo nove ore passate a registrare, sdoganare e mandare via merce, di ogni tipo, con le fatture di prima vendita sott'occhio e i curriculum di espulsi dal ciclo produttivo che arrivano con frequenza maggiore che negli anni passati; basta che non mi prendi in giro, sfruttando magari la mia buona fede per poi trarne vantaggio o, peggio ancora, pugnalarmi alle spalle, cosa che nel mondo del lavoro è molto più frequente di quanto si pensi, specialmente fra colleghi; basta che non accada tutto questo, e io da te ho solo da imparare, e apprezzare quello che vorrai, avrai da insegnarmi. E se sarò d'accordo a 7 e in disaccordo a 3, cercherò di dirti prima che sono con te in accordo a 7.

E se sbaglio io, ti chiedo di perdonarmi.
Ciao!
Paolo
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Mario Galati
Thursday, 08 November 2018 21:04
Non ho mai messo in discussione il diritto esclusivo di Paolo Selmi di decidere con chi essere d'accordo. Ma io penso di avere il diritto di meravigliarmi della conciliazione che fa tra alcuni presupposti teorici e la valutazione di alcune situazioni, quando mi appaiono, a torto o a ragione, contraddittorie. Tutto qua.
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claudio.dellavolpe
Thursday, 08 November 2018 19:14
Sono rimasto anche io sconcertato dall'affermazione di Anna che lOttobre, la rivoluzione bolscevica è contro "il capitale di Marx"; mi sembra al contrario che sia perfettamente in linea; Lenin chiarisce che si tratta di una rivoluzione socialista in unpaese arretrato non ancora pienamente trasformato dal capitalismo e si pone il problema se potrà resistere fino alla rivoluzione socialista nei paesi avanzati; la storia ha risposto che non era possibile; il problema è chiaro da una parte: perchè la rivoluzione non è avvenuta nei paesi avanzati ma in quelli arretrati (Russia, Cina, Cuba) facendogli fare un alto avanti di secoli in pochi decenni e non direttamente nei paesi avanzati? (il salto di secoli fa capire o se volete giustifica anche le enormi contraddizioni, osservare l'accumulazione primitiva oggi nei paesio che sboccano nel mercato mondiale mostra la morte l la desolazione, la distruzione e rimette in scala le "colpe" dello stalinismo. La risposta è che la classe operaia non è come la borghesia che dentro la società feudale si scava il proprio spazio; la CO non ha questa possibilità; la risposta è l'approccio dell'anello debole; la rivoluzione in un paese arretrato è la rottura che avviene dove è possibile per i rapporti di forza fra classe operaia e stato borghese; non è la negazione del marxismo;è il suo ampliamento, è la scienza della politica; rimane che la rivoluzione ripartirà e si affermerà nei paesi avanzati. rispondere alla domanda in senso negativo vuol dire negare Marx e l'analisi della situazione concreta; non ci porta da nessuna parte. Al contrario invece la risposta di lenin è completamente marxista; non sappiamo se riusciremo ma ci proviamo, come il Marx sulla Comune: De l'Audace, de l'audace, encore de l'audace! Oggi sta a noi analizzare la situazione concreta. per esempio che spazi di manovra ci apre la crisi ambientale ed ecologica, il limite della crescita incontrato per una espansione che ha raggiunto il confine delle capacità di carico della biosfera? Marx era conscio che l'agricoltura borghese non era "razionale"; oggi lo sappiamo tutti; oggi è la borghesia europea a chiedere di chiudere il ciclo ; solo che non sa come conciliare tale chiusura con la crescita continua di cui ha bosgno il capitalismo; la finanziarizzazione può essere una risposta o almeno un tentativo; il dramma è lo scollamento fra queste istanze e una organizzazione comunista; che la decrescita sia un tema da cinque stelle che hanno scelto la parola sbagliata svela che noi comunisti non riusciamo a dominare quel terreno; ritardo teorico? può essere; per questo dicevo ; analizzare la nostra situazione concreta alla luce delle leggi del capitale svelate da Marx ; io la vedo così. noto di passaggio il tentativo di Bontempelli sul tema.
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Paolo Selmi
Thursday, 08 November 2018 13:38
Caro Mario,
ti ringrazio del tuo intervento ma, su cosa sono d'accordo e su cosa non sono d'accordo, ti prego di lasciarlo decidere a me. La mia impostazione è abbastanza trasparente. Può un mio punto di vista ostacolare un dialogo, quando la maggior parte degli elementi in questione mi accomunano al mio interlocutore, mi danno almeno una parvenza di dialettica? Se si, faccio a meno di pronunciarlo, non è interessante. Se ti ricordi, invece, su altre cose non sono andato tenero. In altre parole guardo alla luna, e non al dito. Cosa che hai fatto anche tu all'inizio del tuo lungo intervento. Continuiamo a guardare la luna, e a preparare la Soyuz che, incidenti si, incidenti no, è l'unica che va ancora su.
Ciao!
paolo
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Mario Galati
Thursday, 08 November 2018 13:26
Claudio Della Volpe perde il suo tempo con i suoi interventi incisivi e diretti. Non ha capito che qui si parla di Stato, Nazionalismo, Frontiere, Socializzazione della produzione da riempire a piacimento data l'indeterminatezza di Marx (il vagomarxismo) e l’inessenzialità della storia e delle condizioni storiche ed economico-sociali concrete. In questo vagomarxismo l’internazionalismo di classe può benissimo coincidere con il no frontiers capitalistico, l’antirazzismo con la semplice avversione morale al razzismo. In esso il Nazionalismo (notare la maiuscola) è l’origine dei conflitti e le Frontiere non sono altro che semplici ostacoli alla fratellanza umana. Lo Stato è una entità essenziale, non un termine che sta ad indicare un’organizzazione sociale storicamente determinata e con caratteristiche determinate e che può essere sinonimo di concreta organizzazione sociale in generale (per cui, se Marx nella Critica al programma di Gotha usa l’espressione “futuro stato della società comunista” sarà stato vittima di un refuso o di una contraddizione: “Il Partito operaio tedesco - almeno se fa proprio il programma - mostra come in esso non sono penetrate a fondo le idee socialiste; perchè, invece di trattare la società presente (e ciò vale anche per ogni società futura) come base dello Stato esistente (e futuro per la futura società), tratta piuttosto lo Stato come un ente indipendente, che ha le sue proprie basi spirituali e morali libere”; “Si domanda quindi: quale trasformazione subirà lo Stato in una società comunista? In altri termini: quali funzioni sociali persisteranno ivi ancora, che siano analoghe alle odierne funzioni dello Stato? A questa questione si può rispondere solo scientificamente, e componendo migliaia di volte la parola popolo con la parola Stato non ci si avvicina alla soluzione del problema neppure di una spanna”; “Tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell'una nell'altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico transitorio, il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato. Ma il programma non si occupa né di quest'ultima né del futuro Stato della società comunista”. Riferendosi agli autori del programma di Gotha : “Che, in realtà, s'intende (cioè: “essi intendono soltanto”. Nota mia) per "Stato" la macchina del governo, ossia lo Stato, in quanto costituisce un organismo a sé, separato dalla società in seguito a una divisione del lavoro, lo mostrano già le parole…”; “La libertà, consiste nel mutare lo Stato da organo sovrapposto alla società in organo assolutamente subordinato ad essa”. Dunque, o si fa la battaglia delle citazioni tra l’estinzione dello stato e il futuro stato della futura società comunista in Marx, oppure si ragiona seriamente bandendo le pulsioni anarcoliberali che albergano nei cuori di tanti compagni libertari e le pulsioni autoritarie che possono albergare in altri cuori. Ma si ragiona in termini marxisti, non all’interno delle categorie puramente e tipicamente liberali “statalismo/antistatalismo”. E mi meraviglio che si possa difendere la pianificazione e dichiarare di essere d’accordo con certe impostazioni, come fa Paolo Selmi. Come si può constatare, Marx non contrappone il comunismo allo statalismo, alla categoria ipostatica Stato, ma il comunismo e la sua organizzazione all’involucro statale borghese, forsanche democratico borghese, strumento del dominio di classe borghese, apparato coercitivo separato, e funzionale ai rapporti capitalistici).
Continuando nel vagomarxismo, la socializzazione della produzione e l’autogoverno dei produttori possono assumere le forme definitive (non parlo delle transitorie) più varie. Tanto, tra forma e sostanza non esiste alcun nesso; tra negativo e positivo non c’è nessuna relazione, decostruzione e costruzione sono momenti indipendenti. L’importante è abbattere i Moloch “Stato”, “Frontiere”, “Nazionalismo”, “Razzismo”, dare “diritti” alle persone. Il socialismo vien da sé. Non perdiamoci in queste inezie, tanto Marx nulla ha detto, se non qualche sporadica frasetta (così possiamo dormire sonni tranquilli anche con la nostra coerenza marxista). Si parte dalla sovrastruttura (basta scambiarla per la struttura) e la base ne conseguirà. Che ci importa del come?
In questa fantasmagoria di ipostasi un discorso serio e ragionato non ha ingresso, per il fatto che non vi hanno ingresso la storia e le condizioni materiali concrete della società.
E i ragionamenti ipostatici, anche se apparentemente problematici ed elevati, sono in realtà categorici e assertivamente privi di meta significati, non interpretabili. Il Corano non ammette traduzioni ma almeno ammette perifrasi. Questi tipi di discorsi, invece, se interpretati attirano sempre l'accusa di deformazione e le critiche ad essi rivolti sono sempre insulti. Ammettono solo l’interpretazione autentica degli autori-creatori.
P.S. Che l’affermazione del l’Ottobre come evento in linea col marxismo venisse contestata me l’aspettavo. Non sono così ingenuo. Ma che Gramsci, pur con i possibili errori, come sottolinea Eros Barone, considerasse davvero contro “Il Capitale” e non contro le sue deformazioni deterministiche da parte della II Internazionale la rivoluzione d’Ottobre, non lo pensavo sostenibile.
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Anna
Thursday, 08 November 2018 12:51
Quoting Anna:

In ogni caso , se non si fosse capito :
a) non mi riferivo all’opera omnia di Lenin , ma alla Rivoluzione d’Ottobre in quanto tale ; e che si trattasse di una rivoluzione “contro il Capitale” ( si intende contro il Capitale di Marx ) lo sosteneva notoriamente , all’indomani della stessa rivoluzione , già Gramsci .
b) sono contenta che ci sia stata la Rivoluzione d’Ottobre e il mio giudizio storico sulla Rivoluzione d’Ottobre è tutto sommato positivo almeno fino al ’24 ( “tutto sommato” , nel senso che avrei preferito fosse stata una rivoluzione “sovietica” , ma non lo fu . Fu , appunto , una de-cisione bolscevica e contro i soviet ; ci sono poi altri aspetti condannabili , anche fino al ’24 . Ma anche qui occorre considerare il contesto storico , la controrivoluzione che si scatenò contro i bolscevichi , il discorso è complesso ecc. )
ciao

aggiungo , sempre se non si fosse capito , :
c) non ho volevo sostenere giudizi di merito sul pensiero cosiddetto negativo o decostruzionista in quanto tale . Lo si trova a Destra ( C.Schmitt ad es. ) , ma molto anche a Sinistra , nella Scuola di Francoforte , in Foucault , Derrida , in Sartre ecc.. Ma poi questi stessi autori attingono a pieni mani da Marx . Ok , basta cosi .
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Anna
Thursday, 08 November 2018 12:29
claudio.dellavolpe
Se ti accontenti di una risposta sommaria , “Meglio meno, ma meglio” mi pare lo sia a tratti : c’è la decisione scollegata dal processo storico e quindi collocabile , più che all’interno del pensiero dialettico , in quello , anche qui , cosiddetto negativo o decostruzionista ( decisione appunto da de-caedere , tagliare , tagliare via ) . Ribadisco che mi riferisco alle forme del pensiero , al modo di ragionare , non ai contenuti ( anche in “Meglio meno , ma meglio” si trovano parole d’ordine marxiane ) . Forse potevi prendere altri testi leninisti ( ce ne sono ) più tipicamente marxiani anche nella forma del pensiero .
In ogni caso , se non si fosse capito :
a) non mi riferivo all’opera omnia di Lenin , ma alla Rivoluzione d’Ottobre in quanto tale ; e che si trattasse di una rivoluzione “contro il Capitale” ( si intende contro il Capitale di Marx ) lo sosteneva notoriamente , all’indomani della stessa rivoluzione , già Gramsci .
b) sono contenta che ci sia stata la Rivoluzione d’Ottobre e il mio giudizio storico sulla Rivoluzione d’Ottobre è tutto sommato positivo almeno fino al ’24 ( “tutto sommato” , nel senso che avrei preferito fosse stata una rivoluzione “sovietica” , ma non lo fu . Fu , appunto , una de-cisione bolscevica e contro i soviet ; ci sono poi altri aspetti condannabili , anche fino al ’24 . Ma anche qui occorre considerare il contesto storico , la controrivoluzione che si scatenò contro i bolscevichi , il discorso è complesso ecc. )
ciao
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claudio.dellavolpe
Wednesday, 07 November 2018 21:52
Ci troviamo così, nel momento attuale, davanti alla domanda: saremo noi in grado di resistere con la nostra piccola e piccolissima produzione contadina, nelle nostre condizioni disastrose, fino a che i paesi capitalistici dell'Europa occidentale non avranno compiuto il loro sviluppo verso il socialismo? Ed essi tuttavia non lo compiono come ci attendevamo. Essi lo compiono non attraverso una "maturazione" uniforme del socialismo, ma attraverso lo sfruttamento di alcuni Stati da parte di altri, attraverso lo sfruttamento del primo Stato vinto nella guerra imperialistica, unito allo sfruttamento di tutto l'Oriente. L'Oriente d'altra parte, è entrato definitivamente nel movimento rivoluzionario appunto in seguito a questa prima guerra imperialistica, ed è stato trascinato definitivamente nel turbine generale del movimento rivoluzionario mondiale. Possiamo noi salvarci dall'incombente conflitto con questi Stati imperialistici? Possiamo noi sperare che gli antagonismi e i conflitti interni fra i floridi Stati imperialistici dell'Occidente e i floridi Stati imperialistici dell'Oriente ci diano un periodo di tregua per la seconda volta come ce l'hanno dato la prima volta, allorché la campagna della controrivoluzione dell'Europa occidentale, volta ad appoggiare la controrivoluzione russa, fallì a causa delle contraddizioni esistenti nel campo dei controrivoluzionari d'Occidente e d'Oriente, nel campo degli sfruttatori orientali e degli sfruttatori occidentali, nel campo del Giappone e dell'America?

A questa domanda, io penso, dobbiamo rispondere che la soluzione dipende qui da troppe circostanze, e che l'esito di tutta la lotta in generale può essere previsto solo considerando che, in fin dei conti, il capitalismo stesso educa e addestra alla lotta l'enorme maggioranza della popolazione del globo.

L'esito della lotta dipende, in ultima analisi, dal fatto che la Russia, l'India, la Cina, ecc. costituiscono l'enorme maggioranza della popolazione. Ed è appunto questa maggioranza che negli ultimi anni, con una rapidità mai vista, è entrata in lotta per la propria liberazione, sicché in questo senso non può sorgere ombra di dubbio sul risultato finale della lotta mondiale. In questo senso la vittoria definitiva del socialismo è senza dubbio pienamente assicurata.

Ma quel che c'interessa non è l'ineluttabilità della vittoria finale del socialismo. Ci interessa la tattica alla quale dobbiamo attenerci noi, Partito comunista russo, noi, potere sovietico della Russia, per impedire agli Stati controrivoluzionari dell'Europa occidentale di schiacciarci. Affinché ci sia possibile resistere sino al prossimo conflitto armato tra l'Occidente controrivoluzionario imperialistico e l'Oriente rivoluzionario e nazionalista, tra gli Stati più civili del mondo e gli Stati arretrati come quelli dell'Oriente, che peraltro costituiscono la maggioranza, è necessario che questa maggioranza faccia in tempo a diventare civile. Anche noi non abbiamo un grado sufficiente di civiltà per passare direttamente al socialismo, pur essendoci da noi le premesse politiche Lenin Meglio meno ma meglio; E questo sarebbe non marxiano? bah egregia Anna non ho capito cosa intendi con le tue sentenze; Lenin è stato marxista o marxiano come ti pare e fino in fondo; la questione è esserlo NOI ADESSO NEL NOSTRO TEMPO.
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Anna
Wednesday, 07 November 2018 16:53
Non ho parlato della dialettica , ma della rivoluzione nel pensiero dialettico ( della rivoluzione in Marx ). E si può essere d’accordo o meno , ma ciò che ho scritto dell’Ottobre è chiaramente leggibile e non ha nulla a che fare con il virgolettato pieno di tagli e omissioni selezionati a piacere da Eros Barone . Non ho nemmeno equiparato Zarathustra a Lenin ; ho parlato dell’Ottobre dal punto di vista marxiano . E l’Ottobre ovviamente non è dipeso solo da Lenin e di per se non basta a descrivere Lenin ; e ovviamente c’è un Lenin politico da un lato ( con i suoi pro e contro , il discorso è complesso ) ma poi ci sono gli scritti di Lenin ecc.. . Ma il fatto è che non è che mi chiedano spiegazioni : no , mi interpretano a piacimento , etichettando a casaccio . Sembra di essere all’asilo .
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Paolo Selmi
Wednesday, 07 November 2018 16:28
Caro Eros,

era una battuta... tra l'altro il mio paese d'origine, nulla più ancora oggi di un villaggio di campagna, è a 3/4 d'ora di macchina da Brescello. Quella stazione è uguale alla sua. Quella piazza è molto simile (quella di Brescello è un piazzone), e la gente e le vicende di quel piccolo mondo erano molto, molto simili a quelle narrate da Guareschi. E ne ho visti tanti di "tipi", finché i miei nonni erano vivi e passavo le mie estati da loro (ovvero fino ai miei trent'anni) ad aiutarli in campagna o a farmi dei giri sull'appennino. Poi Guareschi era un reazionario. E su questo non ci piove. Occorre però, tornando seri, capire quanto nei suoi racconti avesse un fondo di realtà. E non era poco. Anche perché, se torniamo alla storia, quell'Emilia "da bere" che passò dal PCI al PDS con la stessa nonchalance con cui io passo dal primo al secondo bicchiere di lambrusco, occorre chiedersi come mai fosse arrivata a ciò.
Ti piacciono i gialli. Anche a me piace molto Simenon. Che non era un compagno. Certi ritratti della nord della Francia, io che ho avuto la fortuna di conoscere sia per esserci stato, che per aver avuto come amici francesi che venivano da lì, li ho trovati come se fossero stati scritti in quel momento.
Ciao!
Paolo
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Eros Barone
Wednesday, 07 November 2018 15:59
“...dal punto di vista della filosofia politica , l’Ottobre può avere molto più a che fare se mai con il pensiero cosiddetto negativo o decostruzionista che con Marx ( mi riferisco alla forma del pensiero, non ai contenuti : Nietzsche è a-politico , non è un pensatore politico ): se l’Ottobre invece di Lenin l’avesse fatto Nietzsche, al posto di “rivoluzione” avremmo parlato di ‘volontà di potenza’."
“Non voglio giudicare moralmente o biasimare l’Ottobre...ma mi sembra evidente che c’entri veramente poco con la filosofia politica marxiana.”
“Nel pensiero dialettico la rivoluzione non è una cesura improvvisa che vuole spaccare il mondo, ma è come una spintarella finale che vuole completare dei processi già maturi.”
“...la rivoluzione intesa come rivolta fine a se stessa non fa parte del suo [di Marx] impianto teorico”.
Che dire di questo insano miscuglio di ingredienti eterogenei? Abbiamo il menscevismo controrivoluzionario (‘alias’ gradualismo socialdemocratico), la ‘volontà di potenza’ con relativa equazione tra il signor Zarathustra e il bolscevico Lenin (ovvero fra “la marcia su Roma” e l’assalto al Palazzo d’Inverno: qui fa capolino Curzio Malaparte!), il mito piccolo-borghese e reazionario del carattere apolitico del pensiero nicciano, la piatta antitesi tra un evento storico e una concezione filosofica (laddove la gramsciana “rivoluzione contro il ‘Capitale’”, pur erronea, aveva almeno un carattere antigradualista), una caricatura della dialettica (dove il ‘salto di qualità’ è ridotto ad una “spintarella” e viene obliterato il concetto della “rottura dell’anello più debole della catena” e della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria) e, per finire, una tautologia del tutto ovvia per chiunque abbia una minima conoscenza del pensiero marxiano e marxista. Insomma, questo modo di riferirsi al socialismo scientifico è così speciale, che è proprio difficile a definirsi, a renderne il sapore. Cercherò allora di aiutarmi con una citazione inusitata. Ebbene, in uno dei “Gialli Mondadori” (Agatha Christie,“Il ritratto di Elsa Geer”) si può leggere, a proposito di una vecchia zitella inglese, questo gustoso passaggio: «Però, era un uomo – disse. La signorina Williams tentò di mettere in questo vocabolo un significato prettamente vittoriano. – Gli uomini... – proseguì la signorina Williams e si fermò. Come un ricco proprietario dice: Bolscevichi!; come un acceso comunista dice: Capitalisti!; come una buona massaia dice: Scarafaggi! – così la signorina Williams disse: Uomini!”. Anna è come quella buona massaia: per lei il bolscevismo è lo “scarafaggio” della storia.
Stupisce poi che in un sito come questo si arrivi, con dovizia di particolari e una non controllata ebefrenia, a citare don Camillo e Peppone, riproponendo uno dei moduli più frusti e ridondanti dell’anticomunismo degli anni Cinquanta (non a caso riproposto, in questi ultimi anni, dai canali televisivi berlusconiani): una sindrome che rivela il sedimento di una subcultura parrocchiale particolarmente radicata in certi ambienti clericali della provincia italiana. Il grande critico letterario Luigi Russo, a tale riguardo, esaminando certe manifestazioni riconducibili a questa sindrome, scrisse, sempre negli anni Cinquanta, sulla rivista "Belfagor", da lui fondata e diretta, un articolo dal titolo significativo: “L’oggettività di Gallarate”. È superfluo aggiungere che si trattava di una “oggettività” reazionaria, anticomunista e clericale.
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Ernesto09
Wednesday, 07 November 2018 14:52
Quoting Anna:
Non esiste una ricetta prestabilita per questa idea regolativa , se non ogni volta che se ne ha l’occasione allargare le frontiere della democrazia ( non solo formale , ma materiale ) e dell’emancipazione ( civile e sociale ) alla “parte dei senza parte” . Stare quindi ogni volta dalla “parte dei senza parte” , secondo la nota formula di Rancière .


Mi pare un buon programma . Approvo .
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Paolo Selmi
Wednesday, 07 November 2018 13:37
Anna sei stata chiarissima. E ti ringrazio molto per gli ulteriori approfondimenti. Ho conosciuto tanti cittadini ex-sovietici, dopo la caduta del muro, ci ho convissuto per anni (altrimenti il russo non lo saprei alla Totò come ora, non lo saprei proprio). Nessuno di loro, che ormai ha i capelli grigi, o bianchi, o non c'è più, ha mai, MAI, detto: non parlo con quello perché è un armeno, o un azero, o un ceceno, o un daghestano, o un ossetino, o un russo russo, o un georgiano, o un curdo (avevamo anche i curdi ex-sovietici... non ci facevamo mancare nulla). 15 repubbliche, 10 fusi orari, uno stato da estinguere e che è stato estinto non dal socialismo divenuto comunismo, ma sull'altare degli interessi oligarchici di criminali con la tessera del partito. Non voglio pensarci oggi, almeno oggi.
Ti saluto con questa scena che mi hai fatto venire in mente con il tuo ultimo e che a me ha sempre fatto morire dal ridere... specialmente se ripenso a quelle due maschere di Cervi e Fernandel. Parola di Giuseppe Bottazzi, Peppone:
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Cittadini lavoratori! (applausi)

Prima di presentarvi il compagno indipendente avvocato Cerratini (applausi) voglio dire due parole alla reazione clericale, atlantica e guerrafondaia che tutti ben conosciamo (applausi), a quegli sporchi corvi neri che parlano di patria, di sacri confini minacciati e di altre balle nazionaliste che la Patria siamo noi, la Patria è il Popolo!

E questo popolo non combatterà mai contro il glorioso Paese del socialismo che porterà al nostro proletariato oppresso la libertà e la giustizia! (applausi)
E voi giovani che andate nelle barbare caserme, direte a coloro che tentano di armarvi e di usarvi per i loro sporchi interessi, direte a coloro che diffamavo i lavoratori…
(Dal campanile della chiesa di Don Camillo si levano le note della Canzone del Piave)
…direte ai calunniatori del Popolo, direte che i vostri padri…
(Gli occhi di Peppone iniziano a farsi lucidi)
…hanno difeso la Patria dal barbaro invasore che minacciava i sacri confini e che noi del ’99 che abbiamo combattuto sul Monte Grappa, sulle pietraie del Carso e sul Piave saremo sempre quelli di allora e che quando tuona il cannone è la voce della Patri che chiama e noi risponderemo “Presente!”.
(Don Camillo dalla torre campanaria si mette sull’attenti e sussurra “Presente!”)
Noi vecchi che abbiamo sul petto le medaglie al valore conquistate sul campo di battaglia ci troveremo come allora a fianco dei giovani e combatteremo sempre ed ovunque, getteremo l’anima oltre l’ostacolo e difenderemo i sacri confini d’Italia contro qualsiasi nemico, dell’Occidente e dell’Oriente, per la difesa del Paese e al solo scopo del bene indissolubile del Re e della Patria!
Viva la Repubblica, viva l’Esercito! (applausi)
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Un abbraccio
Paolo
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Anna
Wednesday, 07 November 2018 12:55
Quoting Anna:

Il mio ideale regolativo non è sostituire lo Stato Nazionale , con un Super Stato Nazionale più grande

Sottinteso ( mi pare di essere stata già chiara nei commenti precedenti , ma per sicurezza ) , dicevo , sottinteso cioè che bisogna sempre andare nella direzione del superamento proprio dell’idea reazionaria di Stato Nazionale territorialmente chiuso , che ha come premessa la chiusura delle frontiere e l’esclusione : una frontiera si riesce a legittimare e a difendere dall’interno solo se si incoraggiano , e si inscrivono nel funzionamento delle istituzioni , sentimenti identitari nazionalistici ( come attestato da molte pubblicazioni di questo stesso sito ) ; il che apre inevitabilmente la strada al neorazzismo culturalista ( che ha preso il posto del vecchio razzismo biologista , squalificato dalla scienza ) e sciovinista . E questo sciovinismo identitario , oltre ad essere notoriamente il cuore delle ideologie di estrema destra ( il cui antiliberismo si coniuga in chiave neorazzista e reazionaria ) , va chiaramente contro gli interessi dei lavoratori ( che non hanno patria ) e la democrazia moderna .
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Anna
Wednesday, 07 November 2018 12:34
In realtà , per quanto mi riguarda ( a prescindere dagli insulti che non meritano risposta e descrivono solo chi li esprime ) ho molti dubbi sul fatto che l’Ottobre fosse stato “marxiano” . Poichè
“una formazione sociale non perisce finchè non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso” ( Marx ), dal punto di vista della filosofia politica , l’Ottobre può avere molto più a che fare se mai con il pensiero cosiddetto negativo o decostruzionista che con Marx ( mi riferisco alla forma del pensiero , non ai contenuti : Nietzsche è a-politico , non è un pensatore politico ) : se l’Ottobre invece di Lenin l’avesse fatto Nietzsche , al posto di “rivoluzione” avremmo parlato di “volontà di potenza” . Non voglio giudicare moralmente o biasimare l’Ottobre ( anzi non solo la pace di Brest-Litovsk , che ne è conseguente , rappresentò il primo atto unilaterale di cessazione della carneficina della Grande Guerra ; ma fece anche divampare entusiasmo in ogni angolo del mondo , basato su ideali e speranze emancipatrici eccetera ) , ma mi sembra evidente che c’entri veramente poco con la filosofia politica marxiana .Nel pensiero dialettico la rivoluzione non è una cesura improvvisa che vuole spaccare il mondo , ma è come una spintarella finale che vuole completare dei processi già maturi ( tanto che l’elemento carente in Marx è proprio la rivoluzione : certo descrive le giornate della Comune come “la soluzione al fin trovata” , anche se nelle giornate precedenti aveva provato a disincentivare i futuri comunardi per scongiurare un inutile massacro ; ma la rivoluzione intesa come rivolta fine a se stessa non fa parte del suo impianto teorico ) .
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Anna
Wednesday, 07 November 2018 12:17
Preciso che non volevo sostenere che Marx non avesse mai parlato di piano o pianificazione . Come mi è stato ricordato , accenna qualcosa nei “Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica” ; non solo , non vorrei sbagliarmi , ma se non ricordo male c’è un veloce accenno al piano anche nel III Libro del Capitale . In ogni caso Marx ha detto veramente ben poco sulla questione . Ha se mai sostenuto , in un noto discorso , un ragionamento ben più articolato a favore del libero scambio e contro i dazi . Se ne deduce che Marx fosse un liberista ? No , certo che no , ma nemmeno uno statalista : se mai auspicava l’estinzione dello Stato . Queste elucubrazioni sono solo strumentali perché il ragionamento dell’opera omnia marxiana è altro , ben più ampio , e non si è preoccupato di fornire ricette economiche ben precise .
Ho sostenuto invece il dato di fatto che la prima vera ed elaborata teoria di un’economia centralizzata e pianificata dallo Stato sia stata elaborata nei primi anni del XX sec da un liberale conservatore , che non si ispirava di certo a Marx ( dubito che Federico Caffè abbia potuto sostenere questo , forse si è confuso riferendosi ad un generico tipo di socialismo ; tra l’altro se non ricordo male Enrico Barone anticipa le stesse conclusioni di un saggio sul socialismo di von Mises degli anni ’20 , cioè che la pianificazione statalista non può fare altro che utilizzare le stesse categorie dei sistemi di libero mercato che invece dovrebbe sostituire . Ne deduciamo che anche von Mises si ispirasse a Marx ? Sarebbe ironico no ? La verità è che sono solo strumentalizzazioni fini a se stesse ) .
Poi , all’opinione su Stalin come “vero marxista” , credo sia meglio non rispondere ; penso che rispondere non abbia nemmeno senso .

@Paolo Selmi
Leggerò la tua traduzione e complimenti per la tua scelta sul servizio civile .
Il mio ideale regolativo non è sostituire lo Stato Nazionale , con un Super Stato Nazionale più grande . Ma riarticolare forme e pratiche di antagonismo tra capitale e lavoro attraverso tutti i livelli ( che siano percepiti come locali , glocali , metropolitani , regionali , continentali , globali , transtatali ecc ) e pensare ai diritti sociali e civili come appartenenti non al cittadino , ma alla persona , quale che sia il luogo del mondo in cui si trova . Non esiste una ricetta prestabilita per questa idea regolativa , se non ogni volta che se ne ha l’occasione allargare le frontiere della democrazia ( non solo formale , ma materiale ) e dell’emancipazione ( civile e sociale ) alla “parte dei senza parte” . Stare quindi ogni volta dalla “parte dei senza parte” , secondo la nota formula di Rancière .
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Paolo Selmi
Wednesday, 07 November 2018 11:49
Caro Mario,

capisco al 100% il tuo punto di vista, ma perdonami perché no, non torno a Marx e butto un secolo di lotte insieme all'acqua sporca... lo devo a mio nonno, a mio padre, lo devo pure a te, Mario (ho la sensazione che tu abbia più di 44 anni e sia maggiore di me... e quindi qualche lotta in più di me tu l'abbia fatta), e a tutti quelli che ho conosciuto e che mi hanno fatto diventare quello che sono, e che - aggiungo - ci hanno fatto diventare quello che siamo. E che, giurin giuretta concludo per davvero, non conosciamo neppure, perché dall'altra parte di un muro dove erano tutti sporchi, cattivi, mangiavano i bambini, ma che al solo nominarne lo spettro qui i padroni calavano le braghe. La prova del nove ce l'hai con le grandi conquiste operaie ottenute da quando non c'è più l'URSS, anzi, da poco meno di dieci anni prima, quando morivano tutti di raffredore (fa freddo da quelle parti...) e han capito che non poteva fare paura più a nessuno. A parte in Rocky IV, Rambo III e Invasion USA con Chuck Norris che difende il patrio suolo a stelle e strisce dall'invasione... cubana (sic!).

Un'ultima cosa, Mario. Proprio perché abbiamo avuto un laboratorio lungo un secolo, parliamo di ricette, davvero. Non è tempo buttato via. Primo perché in epoca di pensiero unico, da oriente a occidente, non lo fa nessuno. Vuoi sapere cosa dice un "marxista" cinese dei brani di Marx (di MARX, non dei brutti sporchi cattivi seguenti) che stiamo citando? Che sono come le barzellette con bestemmia di Berlusconi agli occhi di un compiacente cardinale... che vanno "contestualizzate". Quindi Marx parla di proprietà sociale? Va contestualizzato... Parla di piano? Va contestualizzato... parla di superamento del modo capitalistico di produzione? Va contestualizzato... dal marxismo al marxianesimo (sono marxiano ma non marxista...), dal marxianesimo alla marxologia, dalla marxologia al marxume, e da quello... al marciume ideologico di un relativistico, eclettico, hard discount dove ognuno pesca qualcosa di ciò che vuole.

Parliamo quindi di ricette. Per esempio, io e Anna abbiamo avuto uno scambio davvero molto proficuo. Alla fine lo scoglio da affrontare non era proprietà sociale si proprietà sociale no, non era pianificazione si pianificazione no: non ritieni che sia un grande passo avanti, visto che su questi due punti c'è gente che si dice non "comunista così", ma "comunista così!!!!", alla Mario Brega, ma che poi difende l'indifendibile, chiama marxismo ciò che non lo è, e dice che la Cina si incammina a grandi passi verso il socialismo? Un socialismo... che va contestualizzato, come le barzellette col porco finale di B. Chierici di tutto il mondo, unitevi...
Alla fine la dialettica, tra me e Anna, è virata sul concetto di Stato. E su qui, alla fine, ci siamo capiti tutti, perché lo Stato è da superare. Non si sa bene come, e su questo siamo ancora tutti d'accordo. Fino ad allora ci tocca tenercelo, e su questo siamo ancora tutti d'accordo. Occorre sviluppare entrambe i sensi della verticale del potere, dal basso verso l'alto e non solo la prima variante. E su questo siamo ancora tutti d'accordo. E allora, rinnovo il mio invito: parliamo di ricette. Sulla base di un secolo scorso dove Stalin non è sineddoche di URSS, e chiamando le cose con il loro nome, ovvero senza chiamare socialismo ciò che non lo è.
Un carissimo saluto... e auguri a tutte le compagne e compagni per oggi!
Paolo
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Mario Galati
Wednesday, 07 November 2018 10:28
Marx non era marxista. Marx non cucinava ricette per l'osteria dell'avvenire. Il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti. L'URSS, Stalin, la pianificazione, il comunismo novecentesco, anzi, tutto il novecento, il secolo dell'"orrore", sono stati la deviazione, la degenerazione, il tradimento di Marx (e di Lenin e dell'Ottobre, unico sussulto in linea con Marx), e del vero comunismo. In pratica, il movimento reale che ha tradito l'ideale "movimento reale".
Abolire lo Stato (con la S maiuscola) è il vero compito del Comunismo (anch'esso con la s maiuscola).
Torniamo a Marx. Tiriamoci fuori, prendiamo le distanze dall'irreale movimento reale che lo ha tradito. La bellezza della nostra anima aumenterà e rifulgirà più intensamente. Però, non al Marx tratteggiato da Eros Barone, ma a quello un po' bakuninista e proudhoniano immaginato da tutta la piccola borghesia rivoluzionaria del mondo, non dogmatica, non dottrinaria (ma che frequenta con assiduità i sacri testi e respinge con sdegno il movimento reale della storia) e libertaria.
Sinceramente, a differenza di Paolo Selmi, comincio ad apprezzare un po' poco una discussione trita e ritrita intorno a luoghi comuni cucinati nell'osteria dell'avvenire senza l'indicazione degli ingredienti. Mi sembra una perdita di tempo che non muterà posizioni consolidate e ideologiche (nel senso proprio di visioni deformate dalla posizione (dal proprio posizionamento) di classe che, tra noi, non mi sembra identica).
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Franco Bianco
Wednesday, 07 November 2018 10:23
«Quando era ormai chiaro che la democrazia italiana, sempre governata dallo stesso partito, aveva bisogno di una svolta [...] affrontai il tema [....] della teoria generale dello Stato democratico e delle sue regole. Il dibattito si svolse intorno al tema: "Esiste una teoria marxista dello Stato che possa valere come modello contrapposto alla democrazia dei moderni?". La mia risposta nettamente negativa suscitò un ampio dibattito. Sostenevo che Marx non si era molto preoccupato di prevedere quali dovessero essere le regole per dar vita ad uno Stato "col volto umano",.........perché lo Stato in quanto tale era destinato a scomparire. Siccome lo Stato non era scomparso e non sembrava destinato a scomparire nel prossimo futuro, il problema era ancora una volta "Quale Stato?". Esisteva un'alternativa accettabile alla democrazia rappresentativa? Dal dibattito nacque un libro apparso nel 1976 intitolato "Quale socialismo?"».

Norberto Bobbio, dal "De senectute", Cap. intitolato "Un bilancio".
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Paolo Selmi
Tuesday, 06 November 2018 23:26
Cara Anna,
capisco pienamente il tuo punto di vista. Se ho fatto il civile e non il militare, finendo in un centro di prima accoglienza prima e in un altro centro, ma per malati terminali di AIDS poi (in "punizione" per aver rivendicato personalmente le istanze degli "ospiti" di quel centro), è perché anch'io ho condiviso e condivido la tua impostazione. Nei confronti dello Stato. Ieshua, ovvero il Cristo del Maestro e Margherita di Bulgakov, si piglia la sua prima scarica di legnate quando esce con "Ogni potere è violenza sulle persone" (всякая власть является насилием над людьми).
Premesso questo, "faccio violenza a me stesso" e cerco di fare un passo ulteriore. Oggi, concretamente, esiste una forma diversa da quella di "Stato" attraverso cui passare per una transizione al socialismo? Posso fare una repubblica partigiana in Val d'Ossola, "Quaranta giorni di libertà", come cantava Anna Identici, ma alla fine non creo anche lì un mini-Stato, come quelli che costellavano la nostra Italietta? Parliamo allora di macro-regioni (no!!! mi sto "maronizzando"... esci da questo corpo!), ovvero di aree contigue che attraversano diversi Stati. Per dare loro un minimo di coordinamento, creo strutture para-statali, che poi tanto para- non sono, divenendo statali a tutti gli effetti. Spariglio tutte le carte, allora: una bella rivoluzione, tutto il potere ai soviet. Soviet ovunque. Come hai riconosciuto molto lucidamente, fu una democrazia completamente diversa da quella parlamentare. Anche lì, tuttavia nasce la necessità di maggiore coordinamento, ecc. e si ricade su strutture che controllano strutture che governano territori. E allora arrivo al dunque: non è che i manuali sovietici di economia politica non avessero poi tutti i torti, quando scrivevano che nel SOCIALISMO, che non è il COMUNISMO, lo Stato sopravvive, mantiene alcune funzioni, in attesa che i rapporti sociali evolvano fino a compiere il passo successivo, quello della sua estinzione?
Premetto che non centra niente quello che sto dicendo col sovranismo, fossimo stati negli Stati uniti d'Europa, faccio un ipotesi, o nel Sacro romano impero, io ragionerei su quella base senza pensarci due volte.
Premetto anche che quello che sto traducendo attualmente, ovvero il manuale di pianificazione di Syroezhin, parla sempre più spesso di autoorganizzazione (самоорганизация) e autoregolazione (самонастройка) dell'economia di piano. Ovvero, di uno Stato più reattivo ai mutamenti e meno Moloch pachidermico nel rispondere alle sfide dei bisogni sociali crescenti. Vedrò a fine traduzione dove mi avrà portato.
Un grosso abbraccio.
Paolo
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Eros Barone
Tuesday, 06 November 2018 23:07
Il comunismo, così come la transizione socialista, richiede uno sviluppo molto più complesso, molto più grande e molto più profondo di quello oggi esistente (la vera storia comincerà infatti allora, a partire dal 2517, ossia almeno mille anni dopo la Riforma...). Per arrivarci, occorre prima giungere a una crescita materiale della ricchezza planetaria, che comprenda anche la cultura e la scienza, quindi i presupposti, sia strutturali che sovrastrutturali, del passaggio a tale modo di produzione. Il piano della produzione sociale è il punto di approdo dei lavoratori associati in quanto proprietari e produttori delle loro stesse condizioni, oggettive e soggettive: “Presupposta la produzione sociale, meno è il tempo di cui la società ha bisogno per produrre frumento, bestiame, ecc., tanto più tempo essa guadagna per altre produzioni, materiali e spirituali. La società deve ripartire il suo tempo in maniera pianificata per conseguire una produzione adeguata ai suoi bisogni complessivi. Economia di tempo e ripartizione pianificata del tempo di lavoro nei diversi rami di produzione rimane dunque la prima legge economica sulla base della produzione sociale” (Marx, "Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica", Quad. I, foglio 27). Dal canto suo, Antonio Labriola, nei suoi saggi “Discorrendo di socialismo e di filosofia” (https://www.liberliber.it/mediateca/libri/l/labriola/discorrendo_di_socialismo_e_di_filosofia/pdf/discor_p.pdf), si domandava già nel 1898 (ma era una domanda retorica) se “gli scritti di Marx e di Engels furono mai letti 'per intero' da nessuno”. Così, quando capita di leggere in un intervento che Marx non ha mai parlato di pianificazione (essendo naturalmente questo concetto, per lo sprovveduto che lo ha escluso dal dominio teorico-pratico marxiano, un orrendo ‘idolum theatri’ dello...stalinismo), si ha l’ennesima riprova del fatto che la crisi della sinistra italiana non nasce dal fallimento del marxismo, ma da basilari carenze nella conoscenza, nell’applicazione e nell’uso di quello che resta un gigantesco patrimonio politico e intellettuale. Converrà quindi rileggere, sempre a proposito del concetto di piano, un passo estremamente significativo che lo stesso Marx scrisse analizzando il carattere di feticcio della merce: “La figura del processo vitale sociale, cioè del processo mate-riale di produzione, si toglie il suo mistico velo di nebbie soltanto quando sta, come prodotto di uomini liberamente uniti in società, sotto il loro cosciente controllo e condotto secondo un piano. Tuttavia, affinché ciò avvenga, si richiede un fondamento materiale della società, ossia una serie di condizioni materiali di esistenza che a loro volta sono il prodotto naturale originario della storia di uno svolgimento lungo e tormentoso” (Marx, "Il capitale", a cura di Delio Cantimori, Editori Riuniti, Roma, 1967, libro I, cap. 1, par.4, pp. 111-112). Che poi si arrivi a contrapporre “il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente” alla pianificazione socialista è veramente un paradosso, dal momento che questa è proprio l’espressione più alta, tecnicamente concreta e socialmente progressiva, di tale movimento. Espungere, inoltre, dal pensiero marxista la teoria della pianificazione, in quanto è stata sostenuta da un economista di formazione liberale, quale fu Enrico Barone, è veramente puerile, giacché proprio l’esempio di Barone, con l’onestà scientifica che ne caratterizza il significato storico e teorico dimostra, attraverso la costruzione di un modello matematico del sistema collettivista, che l'efficienza economica in un tale sistema non è affatto inconcepibile, ragione per cui Federico Caffé, autore della voce a lui dedicata in un prestigioso dizionario inglese degli economisti, lo qualifica come “uno dei fondatori della teoria pura dell’economia socialista”. Per quanto riguarda, infine, la figura di Amadeo Bordiga (o, se si preferisce, dell’ingegner Bordiga), evocata dai due confessi partenopei che hanno interloquito in questo dibattito, mi piace ricordare quale sia stato, pur nel quadro di rapporti duramente conflittuali sul piano politico-ideologico, il giudizio del fondatore del P.C.d’I. su Stalin: “un marxista con tutte le carte in regola”.
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Paolo Selmi
Tuesday, 06 November 2018 22:51
Caro Mario,
nella complessa galassia della sinistra tante sono le stelle polari, non ne esiste una sola. Divento molto "centralista democratico" se dobbiamo parlare di cose concrete, di cosa fare qui ed ora. Giusto per non fare la fine dell'asino di Buridano. E allora che si dibatta, si discuta, poi si alzino tutte le manine e chi prende più voti vince e chi non vince si adegua. Poi starà all'intelligenza di chi vince cercare di sussumere anche idee, posizioni, suggerimenti, critiche di chi ha perso, per coinvolgerlo, per costringerlo a partecipare, a crescere e a pungolare se necessario chi, in quel momento, temporaneamente, è "maggioranza". Detto questo, oggi abbiamo bisogno di un'elaborazione teorica che sia all'altezza delle sfide che ci troviamo ad affrontare. E tale elaborazione può e deve avvalersi di TUTTI i contributi di chi la pensa nella stessa direzione. Attenzione, non uguale, nella stessa direzione. Chi è convinto che Keynes abbia molto da dire, non vedo perché non possa esprimerlo liberamente. Lo stesso potrei dire di Polanyi. Poi, ma lo dico proprio per esemplificare, se uno tira fuori una teoria dove, per esempio, un barcone pieno di migranti che affonda è il male minore, o che è meglio che il porto di Vado Ligure sia comprato dalla Cosco che dalla Maersk, io qui di "stessa direzione" ne vedo proprio poca... ma sarò limitato io.

Tornando al dibattito, al bello del dibattito, che il marxismo-leninismo sia, per Paolo Selmi, il tentativo più riuscito di sintesi fra teoria e praxis in direzione di quell'assalto al cielo che puntava alla creazione di un ordine nuovo, alla fine, non interessa a nessuno. A che serve recitare così il credo, qualsiasi credo?
Che invece il marxismo-leninismo abbia molto da dire, anche a chi comunista non è, in questa fase storica, perché possibile propulsore non di "cose vecchie con il vestito nuovo", come direbbe il buon Guccini fra un fiasco di vino e l'altro, ma di istanze, rivendicazioni, idee alternative di trasformazione della società, una diversa politekonomija, direbbero loro, insieme alla prassi che accompagnò questo grandioso tentativo di assalto al cielo e che merita di essere studiata al pari della teoria, io di questo ne sono più che convinto e, intervenire in questo senso, può essere molto fecondo così come lo fu in un passato non troppo remoto.
Pensiamo solo all'America Latina mezzo secolo fa: un continente cattolico, attraversato dal fermento rivoluzionario, ben centrato sul marxismo-leninismo, reagisce producendo un Leonardo Boff, una teologia della liberazione, gesuiti massacrati e Oscar Romero, non da ultimo, un cardinale, esponente quindi della gerarchia, non un prete operaio, che fece la stessa fine. Le stesse ACLI da noi nei Settanta non erano le ACLI di adesso. Ma mi sto dilungando troppo...

Ciao!
Paolo
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Mor
Tuesday, 06 November 2018 22:36
@Anna , intanto mi piacciono molte cose che dici e complimenti . Solo una curiosità , se vuoi rispondere . "Anna" e' un nome di fantasia , vero ? Sei per caso una certa Tania che scriveva una volta su un altro blog ?
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Anna
Tuesday, 06 November 2018 22:09
Caro Paolo Selmi ,
non mi hai tediata . A partire da quel particolare passaggio della Critica del Programma di Gotha , hai ragione a pensare che l’idea di pianificazione in sé non sia una forzatura deduttiva . Ma faccio notare che ho parlato di “pianificazione statale” e penso che tu abbia ancora più ragione quando sottolinei che Marx vada preso nel suo complesso , all’interno dell’intera sua opera omnia . E , come avrai capito , il punto dirimente è chiaramente lo Stato . Come scrive Marx nella “Prefazione all’edizione tedesca del 1872” del Manifesto ( siamo quindi appena dopo la Comune ) , l'esperienza della Comune ..”ha fornito la dimostrazione del fatto che la classe operaia non può semplicemente impossessarsi della macchina statale così com’è e metterla in moto per i propri scopi” . Nella stessa Critica del Programma di Gotha troverai tanti passaggi contro lo Stato e la mistificazione del comunismo in statalismo . Così come li trovi facilmente ne “Il Capitale” , ne “La Guerra civile in Francia” , ne “L’Ideologia tedesca” , ne “Il Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte” , ne “Per la Critica dell’economia politica” ecc. Marx mette al centro i liberi produttori , non lo Stato di cui professa se mai l’estinzione . Poi , marxianamente , questa dei liberi produttori , rimane una formula indeterminata e non poteva che essere tale . Lenin , seguendo Marx , in Stato e Rivoluzione , ha provato contingentemente a riflettere sul famoso “dualismo di potere” ( tra Soviet e Stato ) concludendo che i liberi produttori estinguono lo , e non sono più , Stato . Oggi , a maggior ragione , dato lo sviluppo e l’interdipendenza raggiunti , ritengo ancor più urgente immaginare e creare istituzione altre e oltre lo Stato. Qualsiasi Stato oggi , da solo , si presenta come inevitabilmente incapace di articolare politiche sociali ed economiche “progressive” : le uniche “pianificazioni” che , da solo , può attuare , sono quelle securitarie , repressive , e , a colpi di esenzioni fiscali e di abbassamento del valore del lavoro , tentare di attirare maggiori capitali liquidi del proprio vicino . Diciamo che , per regolamentare il Mercato e democratizzare il Capitale , ritengo che oggi la “pianificazione” ( se vogliamo usare questo termine ) possa essere solo oltre lo Stato .
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Mario M
Tuesday, 06 November 2018 18:01
Caro Paolo, cari tutti, le mie poche e sparute conoscenze di quelle vicende provengono dalla lettura di Victor Serge, anarchico, giornalista agitatore, politico rivoluzionario accanto a Lenin, Trotsky e a tutti gli altri protagonisti, storico della rivoluzione bolscevica, biografo, ma soprattutto potente e raffinato romanziere. Inspiegabilmente Serge è stato rimosso, o forse non è mai stato considerato.
.
Ho letto solo le prime pagine del Capitale, comunque ho sempre diffidato di alcune nozioni capisaldi del pensiero dell'autore: il valore-lavoro e la lotta di classe. Il lavoro si può facilmente trasformare nel suo opposto, il gioco, così come succede nel gioco del calcio, o con il sesso che si trasforma in prostituzione, il mestiere più antico. Anche le classi sono frutto dell'operare umano, infatti ci sono le classi scolastiche, le classificazioni e le classifiche. Trovo più convincente Karl Polanyi con la denuncia del mercato autoregolato. Mentre il capitalismo è una forma razionale e scientifica dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, che è sempre avvenuto, il mercato autoregolato invece è una nuova forma di manifestazione economica: "La nostra tesi è che l'idea di un mercato autoregolato implicasse una grande utopia. Un'istituzione del genere non poteva esistere per un qualunque periodo di tempo senza annullare la sostanza naturale e sociale della società; essa avrebbe distrutto l'uomo fisicamente e avrebbe trasformato il suo ambiente in un deserto."
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Paolo Selmi
Tuesday, 06 November 2018 17:45
Cara Anna,

Finalmente dibattito! Cerco di replicarti con alcuni spunti che ritengo interessanti. Breve premessa: tra Marx e Stalin c'è Lenin, e dopo Stalin ci sono altri trent'anni di URSS, e quindi Stalin = URSS è una sineddoche inaccettabile, ma su questo concorderai anche tu.

Sul rapporto fra Marx e pianificazione, la materia è MOLTO controversa, complessa, ma anche decisamente affascinante. Alcuni argomenti, che a questo punto definirei, usando un linguaggio obsoleto, elementi di storia dell'economia politica (o, meglio, della critica all'economia politica).

Marx, la sua storia umana e intellettuale, sono considerabili come un percorso, un unicum. Durante questo viaggio, maturò, cambiò il proprio punto di vista da cui partire per l’assalto al cielo, cercò di mantenere una coerenza che era anzitutto rigore scientifico nella propria ricerca, senza però fossilizzarsi su una visione: in questo senso, Marx economista e Marx filosofo sono due facce della stessa medaglia, non concordo affatto con chi li pone in contrasto fra loro.

Parliamo ora dell’ultimo Marx. Il Capitale non fornisce ricette. Ma setaccia, analizza, spacca il capello in quattro, al Capitale e a tutti i suoi meccanismi. Per superarlo. La Critica del programma di Gotha è decisamente più esplicita, andando a meglio sbirciare “nell'interno della società collettivista, basata sulla proprietà comune dei mezzi di produzione” (“Innerhalb der genossenschaftlichen, auf Gemeingut an den Produktionsmitteln gegründeten Gesellschaft tauschen” https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1875/gotha/cpg-cp.htm et http://www.mlwerke.de/me/me19/me19_013.htm#Kap_II ). I paragrafi successivi sono decisamente più espliciti. Te li risparmio perché sicuramente, decisamente, li sai meglio di me. Sull’idea di
- Superamento del capitalismo
- Proprietà sociale dei mezzi di produzione
Marx ha detto quindi abbastanza la sua. Persino su quella che i sovietici chiamavano “Legge economica fondamentale”, pur non chiamandola con questo nome, interviene nel Capitale quando, per esempio, scrive: “Che l’accumulazione si compia a spese del consumo, è di per sè — in un senso così generale — una illusione, che è in contrasto con l’essenza della produzione capitalistica, poichè presuppone che lo scopo e il motivo conduttore di essa siano il consumo e non già l’appropriazione di plusvalore e la sua capitalizzazione, cioè l’accumulazione.” (Daß die Akkumulation sich auf Kosten der Konsumtion vollziehe, ist - so allgemein gefaßt - selbst eine Illusion, die dem Wesen der kapitalistischen Produktion widerspricht, indem sie voraussetzt, daß ihr Zweck und treibendes Motiv die Konsumtion sei, nicht aber die Ergatterung von Mehrwert und seine Kapitalisation, d.h. Akkumulation. Il Capitale, Libro II, Cap. 21, http://www.criticamente.com/marxismo/capitale/capitale_2/Marx_Karl_-_Il_Capitale_-_Libro_II_-_21.htm et http://www.mlwerke.de/me/me24/me24_485.htm ).

E sulla pianificazione?
Non solo Lenin… anche il buon Carletto ebbe qualcosa da dire. Per esempio, nella pluricitata lettera a Ludwig Kugelmann del 11/07/2018: “Il senso della società borghese consiste appunto in questo, che A PRIORI non ha luogo nessun cosciente disciplinamento sociale della produzione.” ( Der Witz der bürgerlichen Gesellschaft
besteht ja eben darin, daß a priori keine bewußte gesellschaftliche Reglung der Produktion stattfindet. Qui in inglese https://www.marxists.org/archive/marx/works/1868/letters/68_07_11-abs.htm e qui in lingua originale https://marxwirklichstudieren.files.wordpress.com/2012/11/mew_band32.pdf p. 553). Insomma, quando parla di “cosciente disciplinamento sociale della produzione” da effettuarsi “a priori”, non penso che da qui a “piano” il passo sia così lontano. Onestamente, davvero Anna, non lo ritengo una forzatura.

“Il grande Lenin indicò la strada”… cantavano fino a trent’anni fa i cittadini sovietici – a proposito, AUGURI a tutte e tutti per domani, per chi festeggia, quantomeno. Ma la indicò e basta. Morì, come noto, prima del primo piano quinquennale. E sulla pianificabilità, sulla pianificazione, sul piano, l’elaborazione teorica sovietica andò avanti, evolvendosi insieme all’evoluzione della struttura socioeconomica, dei bisogni sociali continuamente crescenti, con tutte le luci e ombre, certo, di un processo storico singolare e inedito, fino alla cosiddetta “ristrutturazione”, o perestrojka.

Scusa se ti ho tediato, ma ritenevo interessante apportare questi contributi.

Un abbraccio,
Paolo
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Anna
Tuesday, 06 November 2018 17:13
Preciso su Marx e il cosiddetto lavoro immateriale . Nel famoso “Frammento sulle macchine” , Marx intuisce una tendenza che pare si sia realizzata . Il “sapere sociale generale” , incorporato nelle macchine , nel capitale fisso , diventa “forza produttiva immediata” e quindi la produzione di ricchezza dipende sempre meno dal tempo di lavoro ma dallo “stato generale della scienza e dal progetto della tecnologia” ( Marx , Grundrisse , Einaudi , pag 716 ) . Quindi , se il lavoro diventa un’attività di regolazione “il furto di tempo di lavoro altrui .. si presenta come una base miserabile” ( pag 717 ) e appaiono quindi le condizioni materiali per il crollo del dispotismo del modo di produzione capitalista a favore finalmente del “libero sviluppo delle individualità” ; inoltre , dice Marx , “le condizioni del processo vitale .. della società passano sotto il controllo dell’intelligenza generale ( general intellect )” ( pag 719 ) . Queste pagine marxiane sono state male utilizzate : da un lato , dando importanza al protagonismo dello sviluppo del capitale fisso e poca all’autonomia del lavoro vivo e della cooperazione sociale ; da un altro lato , riducendo il “general intellect” al lavoro altamente specializzato ( che non era l’intenzione di Marx ) . In entrambi i casi si rischia di far evaporare la lotta di classe sostituendola con una sorta di determinismo autonomo e progressista del terziario avanzato e delle startup ( che vanno bene , ci mancherebbe , ma di per se non risolvono come per magia la lotta di classe , se pure la favoriscono ) . Questo malinteso è dovuto al fatto che i ragionamenti politici partono e finiscono sempre dal , e con il , punto di vista nazionale ( anche a sinistra purtroppo , il che è assurdo ) : punto di vista nazionale che oggi ( da tanto tempo ormai ) è largamente insufficiente per mettere al centro il proletario marxiano ; perché il proletariato marxiano a) è la maggioranza dell’umanità ma non ha cittadinanza nei paesi dell’ex Primo Mondo; b) è messo a valore appunto dal general intellect ancora privatizzato soprattutto nei paesi dell’ex Primo Mondo .
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Anna
Tuesday, 06 November 2018 15:59
Se qualcuno ne avesse l’intenzione , eviterei di attribuire a Marx ricette economiche del XX secolo che non gli appartengono come la cosiddetta pianificazione statale . La prima teoria di un’economia centralizzata e pianificata non è stata elaborata da Marx , ma da Enrico Barone nel 1908 , che non era certo un comunista , ma un liberale conservatore . L’etichetta di “borghese” o “capitalista” a chi dubita del militarismo statale lascia quindi il tempo che trova e andrebbe rovesciata ; d’altro canto lo Stato e la Sovranità ( come la Nazione e la Patria ) sono un prodotto e una necessità esclusivamente borghese e capitalista . Ce lo spiega Locke , quando mostra chiaramente il ruolo che la proprietà di un terreno delimitato svolge nel porre il fondamento politico della sovranità dello Stato : la partecipazione al contratto sociale è motivata dall’ottenimento di uno status giuridico e di una partecipazione alla proprietà , mentre il potere politico è “un diritto di emettere leggi .. per il regolamento e la conservazione della proprietà” ( Locke , “Due Trattati sul Governo” , UTET , 1960 , pag 238 ) . Le cosiddette “enclosures” sono le metafore più ricorrenti nel Secondo Trattato dove si spiega cosa sia e a cosa serva la sovranità statale . Non a caso , e per converso , secondo Locke , il motivo per cui non si può dire che gli indiani d’America godano di sovranità politica è soprattutto per via della mancanza di un dominio definito e stabile sul territorio ( Locke , “Due Trattati sul Governo” , UTET , 1960 , pag 325-26 ) . Potrei continuare con Rousseau : “il primo che , recintato un terreno , ebbe l’idea di dire “questo è mio” , e trovò tante persone ingenue da credergli , fu il vero fondatore della società civile” ( Rousseau , “Discorso sull’Ineguaglianza” ; mi scuso ,non ho voglia di cercare la pagina , ma è un passaggio noto ). Oppure potrei continuare con il “Nomos della Terra” di C.Schmitt , oppure con gli stessi Marx ed Engels , o con Foucault e tanti altri . Insomma che lo Stato e la Sovranità ( e anche la prima teoria di un’economia centralizzata e pianificata dallo Stato ) siano prodotti e necessità “borghesi” e “capitalisti” ce lo hanno mostrato tutti . Aggiungo che l’etichetta di “borghese” e “capitalista” anche a chi rifiuta di prendere ad esempio dallo Stalinismo non meriterebbe commento : se la parola “comunismo” è diventata difficile da pronunciare (nel senso che richiede precisazioni e spiegazioni ) lo dobbiamo a tutti coloro che hanno accostato Stalin al comunismo e a Marx . In sintesi , tornando a monte , quello di Marx è un pensiero che rifiutava di esercitarsi nello stilare il menu per l’osteria dell’avvenire, come scrive lui stesso ( dovrei riprendere la citazione precisa , ma se non ricordo male mi pare lo scriva introducendo il primo libro de Il Capitale ) . Il Capitalismo per fortuna non è un sistema naturale , è un sistema storico , ma non attribuiamo a Marx ricette che non gli appartengono . Marx definisce notoriamente il comunismo non come un’idea da mettere in pratica ma come “il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente” ( ne “L’Ideologia tedesca, 1846” ) .
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Mario Galati
Tuesday, 06 November 2018 15:23
Leggo solo adesso l'articolo e i relativi commenti. Franco Bianco reclama maggiore chiarezza e semplicità per le cuoche di Lenin. Sarò ancora più semplice e terra terra e non mi avvicinerò minimamente alle questioni trattate dagli altri commentatori.
Franco Bianco conosce il numero approssimativo dei proletari mondiali? Conosce il numero degli addetti a lavori manuali esecutivi, esclusi gli addetti al terziario e al lavoro intellettuale (anch’essi spesso proletari, comunque), in tutto il mondo? Il proletariato nel mondo è aumentato o diminuito negli ultimi decenni? Gli è mai venuto il dubbio che il mondo non consista soltanto nella parte del pianeta a capitalismo avanzato in cui abitiamo? Si è mai domandato se esiste un nesso tra le produzioni "avanzate" e quelle "arretrate", se esista, cioè, un sistema unitario mondiale, come sosteneva Samir Amin? Si è mai veramente posto in questa prospettiva mondiale?
Lo inviterei a farlo e, soprattutto, si faccia dire queste cose dai teorici della fine del lavoro, che sembra non frequentino con assiduità volgari dati statistici, ma solo alati discorsi sull'immaterialità, sul general intellect (senza molta chiarezza su cosa esso sia effettivamente nel pensiero di Marx) e, tra un po', forse anche sull'anima e il paradiso (nel quale le anime non hanno più bisogno di soddisfare primordiali e arcaici bisogni fisici come mangiare, bere, vestirsi, ecc., e circolano soltanto sostanze eteree e puro pensiero. Anzi, algoritmi. Un posto nel quale è superata anche la necessità della produzione affidata esclusivamente a robot intelligenti ideati da liberi pensatori).
Si chieda, insieme a loro, cosa possono pensare di certe teorie, non tanto la cuoca di Lenin o i valorizzatori cognitari, con le loro fantasie particolaristiche elevate a realtà oggettiva e generale, ma anche gli africani estrattori di coltan (contenuto nello smartphone che, presumo, Bianco usi), i braccianti raccoglitori di pomodori (che, presumo, mangi, in mancanza dei pomodori immateriali), i muratori che costruiscono le case nelle quali abitiamo, gli operai delle fabbriche trasferite all’estero che producono le scarpe che porta ai piedi, i tanti precari pseudoautonomi, ecc.
Questo misconoscimento delle condizioni materiali della produzione (non dico della teoria che le analizza e le spiega) potrebbe essere indice di miopia e disprezzo delle vaste masse che vi concorrono per la comodità dei pensatori cognitari e dei piccoli borghesi delle professioni intellettuali di ogni tipo, convinti che l'unico valore sia generato dal proprio esimio libero pensiero creativo (non creativo nel senso di originale, ma proprio nel senso di creatore di tutto ciò che ci occorre per vivere) e che l'attività di pensiero, il lavoro intellettuale, sia una novità assoluta della storia che riguarda solo loro.
Per il resto, l’eternità e naturalità del sistema di produzione capitalistico è solo un pregiudizio ideologico, una superstizione. E le superstizioni sono difficili da sradicare. Non basta la dimostrazione scientifica o razionale, ma un occorre un mutamento storico generale che interessi i rapporti di produzione.
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Paolo Selmi
Tuesday, 06 November 2018 13:21
Caro Franco,
si può essere in disaccordo e continuare a dialogare. Senza cercare di convincere nessuno. Tra l'altro con la storia sugli editori mi hai fatto venire in mente un mio carissimo amico, sempre di Napoli, recentemente scomparso: Sergio Manes. Anche lui era un "compagno editore", anzi, per me era IL "compagno editore": lo ricordo con tantissimo affetto. E capitava anche che fossi in disaccordo con lui, o che lui fosse in disaccordo con me, nelle nostre lunghe telefonate fra Varese e Napoli. Ma trovavamo sempre il modo di proseguire nell'ascoltarci a vicenda. Passavano mesi prima che ci sentissimo nuovamente, così non ho saputo neppure che era morto. Qualche trafiletto è stato tutto quello che ho trovato, non è stata distrazione mia. I "compagni"... a cui aveva dedicato la vita. Voleva pubblicare la mia tesi di dottorato.
Ciao
Paolo
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Franco Bianco
Tuesday, 06 November 2018 12:41
Convengo, egregio Della Volpe: la sinistra a cui faccio riferimento NON è comunista, ma è una sinistra "radicalmente riformista" (dopo una vita a pensarmi e proclamarmi comunista, e dopo 11 anni In Rifondazione, dal 2008 ho rivisto tutto ed ho pensato - pensato - di capire che quello che la gente vuole, e di cui ha bisogno - bisogno! -, è un riformismo serio che incida concretamente, o che miri a farlo, nelle loro condizioni di vita qui ed ora; ed un mondo senza pizzerie o con le soluzioni da lei proposte al post 7 a me napoletano - questo abbiamo in comune - fa una tristezza infinita, mi ricorda tanti film sul "comunismo realizzato" o dei romanzi di Christa Wolf; e Amadeo Bordiga - pure lui è rispuntato! ingegnere napoletano come me, le sole cose che abbiamo in comune lui ed io - lavorava in proprio - che per me non è una colpa, intendiamoci -, era cliente di mio suocero a Napoli, e non mi risulta che disdegnasse di fare attività privata; nel suo per me glorioso "Il mare non bagna Napoli" Annamaria Ortese incontra il figlio di Bordiga, Orio, e dice che aveva fondato la società S.A.S.E. - società autori senza editori - alla quale, scriveva Ortese, "probabilmente le cose non andavano a gonfie vele" . il che lo angustiava visibilmente -, ed anche quella del figlio dell' "ex capo dei comunisti italiani" - sempre Ortese - era un'attività privata, legittimamente). Mi sono fatto trascinare, pensavo di non intervenire più, dato il livello di discussione troppo alto per me: credo che quando si spazia nelle vaste praterie dell'Ideologia non ci sia possibilità di incontro, come avviene con le religioni che sono fra loro intrinsecamente inconciliabili (e l'Ideologia non è altro che una religione laica, con tutti i dogmi di una religione): naturalmente questo uditorio non sarà per nulla d'accordo con me, ma me ne faccio una ragione. Saluti a tutti.
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claudio.dellavolpe
Tuesday, 06 November 2018 11:02
Scusi Bianco ma perchè invece di fare ironia fuori luogo non risponde nel merito? A me appare chiaro (absit iniuria verbis) che lei come tanti altri "di sinistra" di fatti è un (piccolo) -borghese di sinistra ed è in buona compagnia; come scrivevo anche Longo parlava di "giusto profitto" e con lui Berlinguer e tutto il filone vecchioPCI e molti anche "extraqualcosa" di oggi; lei difende una sorta di capitalismo naturale e fuori del tempo, come se la natura umana fosse inviolabile, sacra e dettata dal padreterno; se non è così (e non lo è) l'uomo si può riplasmare; che poi il metodo stalinista fosse quello giusto a questo scopo convengo che è discutibile e non lo condivido; credo che Lenin sarebbe stato messo alla gogna se fosse sopravvissuto, però questo non toglie che la lotta sociale può essere dura (lo è anche adesso). Stabilire per principio che non si può uscire dal capitalismo ma solo dal liberismo attuale è un atto di fede da parte sua e presuppone una visione secondo me lontanissima da quella di Marx e del marxismo (e anche dei fatti storici). Spero lei non si offenda e non inetndo essere offensivo lei può pensare quel che vuole, e anche dire che è di sinistra, ma alora io sono padrone di dire che la sinistra a cui lei fa riferimento è non comunista e di fatto borghese (tertium non datur).
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Paolo Selmi
Tuesday, 06 November 2018 10:44
La "mitica" cuoca di Lenin, Franco!

Kazhdaja kuharka dolzhna nauchit'sja upravljat' gosudartsvom! (каждая кухарка должна научиться управлять государством)
"Ogni cuoca deve imparare ad amministrare lo Stato!"
Ma ti dirò di più: con i nostri potenti mezzi abbiamo anche un ritratto della cuoca. Può partire il contributo:
https://medprosvita.com.ua/kuharka-upravlyaet-gosudarstvom-ili-kto-provodit-reformu/

oppure qui:

http://wiki.istmat.info/%D0%BC%D0%B8%D1%84:%D0%BA%D1%83%D1%85%D0%B0%D1%80%D0%BA%D0%B0

A fianco c'è scritto:
Non stare a casa seduta in cucina!
Vai alle elezioni al soviet!
Prima l'operaia stava nell'ombra,
Oggi anche lei decide nel soviet!

Può sembrare strano, Franco, ma tutto è iniziato da lì. Tutto, anche quello di cui dibattiamo. E che trovava una sua concretizzazione circa mezzo secolo più tardi in un film bellissimo, stranamente tradotto in italiano, dal titolo "Mosca non crede alle lacrime" (Moskva slezam ne verit, Москва слезам не верит)
Si trova anche qui: https://ok.ru/video/23391701563

Buona visione, e per il tema e per la simpatica Aleksandra.

Ciao!
Paolo
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Franco Bianco
Tuesday, 06 November 2018 09:15
L'evolversi del dibattito - al quale ho smesso di partecipare per mia, da me stesso dichiarata, inadeguatezza intellettuale e culturale - mi ha richiamato alla mente, chissà perché, la metafora della "cuoca di Lenin": forse perché mi viene da chiedermi quale eccellente contributo ad un confronto di così alto livello avrebbe potuto fornire lei, abbandonando per qualche istante il governo dei soviet. Sono sicuro che grandi masse di cittadini e lavoratori siano in grado di gustare la chiarezza che emana da tanti e cotanti interventi. Scusate l'intromissione.
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Paolo Selmi
Tuesday, 06 November 2018 08:17
Caro Mario,
Touché! Io però non confonderei i mezzi con il fine. Perché i casi sono due: o al socialismo si può pervenire e tale sistema si può mantenere solo massacrando milioni di persone, e allora è un conto, e andiamo avanti a scrivere libri neri, peraltro abbondando di falsi storici per meglio avvalorare la nostra tesi, oppure no, e allora cerchiamo un modo il più possibile incruento di pervenire al socialismo. Dico il più possibile perché quando avrai i contras a bussare alla porta di casa tua ti auguro di aver fatto lo spioncino dove infilare la bocca del mitra e farli fuori tutti (e darti alla macchia), prima di diventare l'ennesimo desaparecido. Il capitalismo non accetta che libere elezioni lo aboliscano. Il problema, però, Mario, non è questo, anche se il tema è interessantissimo e meriterebbe pagine e pagine di interventi su sinistrainrete e non solo. Il problema è che molti compagni, mettiamola così, pensano che il socialismo sia una cosa diversa dalla proprietà sociale dei mezzi di produzione in un'economia di piano. Anzi, a pensarla così siamo un po' pochini. E nessuno si pone neanche più il problema di una transizione al socialismo. Perché chiama socialismo un'altra cosa.
Comunque Eros, abbiamo sbagliato tutto. Hanno ragione i cinesi, lo ammetto! L'anno scorso sono riusciti a creare due nuovi miliardari alla settimana! Due miliardari (due nuovi miliardari cinesi alla settimana (https://www.pwc.com/gx/en/financial-services/Billionaires%20insights/billionaires-insights-2017.pdf)!!! Ora è tutto più chiaro: tra 500 milioni di settimane saranno tutti, anche il contadino tibetano o uighuro, tutti miliardari! Avranno ridotto a un porcile l'intera galassia e in schiavitù il resto dei mondi, perché la terra non è abbastanza per il loro piano, ma sono sulla buona strada. Scusami Mario se mi sono permesso questa battuta pre-timbratura, ma quando leggo certe cose e poi altre da parte di compagni che solo dieci anni fa parlavano da "centri studi di transizione al socialismo" e oggi fanno da megafoni al "Il forte che si mesce col vinto nemico" e, insieme, continuano a schiavizzarci, mi gira la ciribiricoccola.
Ciao!
paolo
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Mario M
Tuesday, 06 November 2018 05:45
Scrive Eros Barone: "Non a caso, Stalin, quando ebbe a definire l'uguaglianza, la caratterizzò come l'abolizione della proprietà privata per tutti." Purtroppo per attuarla sterminò milioni di contadini e la classe dirigente che lo aveva preceduto e anche sostenuto. Capisco che le rivoluzione comportano dei prezzi, però...
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Eros Barone
Tuesday, 06 November 2018 00:45
Alcune osservazioni sul sovranismo di sinistra e sulla proprietà privata in un regime socialista. Ciò che caratterizza la concezione dei sovranisti di sinistra è l'idea che l'emancipazione sociale debba prima passare attraverso l'emancipazione nazionale, anziché marciare di pari passo con essa. Una simile idea è del tutto infondata e porta, in nome dell'indipendenza e della sovranità, a sostenere di fatto il capitale monopolistico nazionale, allontanando la prospettiva socialista. Dal canto suo, la concezione gradualista di derivazione buchariniana rappresenta un potente freno al processo rivoluzionario poiché, teorizzando la necessità di tappe intermedie nella trasformazione dei rapporti di produzione e proprietà in senso socialista, sostiene la possibilità di una coesistenza della proprietà sociale con forme di proprietà privata. I teorici del "socialismo del XXI secolo" amano citare la NEP come giustificazione del “socialismo di mercato”. Dimenticano però che Lenin considerava la NEP come un chiaro passo indietro, un temporaneo espediente tattico di breve durata imposto dal basso livello di accumulazione conseguente alle distruzioni subite per effetto della guerra imperialista e della successiva guerra civile, ma non
come un indirizzo strategico dello sviluppo socialista. Dimenticano quindi che, dopo la fine della NEP,
solo la socializzazione totale dei mezzi di produzione e l'avvio della collettivizzazione nelle campagne hanno reso possibile l'attuazione dei grandi piani quinquennali che hanno consentito all'URSS di superare in breve tempo 150 anni di arretratezza e diventare una delle massime potenze economiche del mondo. Come insegna Lenin e come la storia dimostra, la proprietà privata di qualsiasi mezzo di produzione, indipendentemente dalle sue dimensioni, riproduce “giorno per giorno” il capitalismo e tende a restaurarlo come modo di produzione dominante anche dopo la vittoria politica della rivoluzione, in quanto mantiene le basi materiali per la conservazione della borghesia come classe e lascia intatto il suo potere economico. Inoltre, l'esistenza di un settore privato perpetua l'anarchia della produzione, impedendo e vanificando la pianificazione, in quanto sfugge al
controllo dello Stato. Al contrario, solo la soppressione della proprietà privata e la socializzazione
totale dei mezzi di produzione possono avviare il processo di estinzione delle classi e garantire uno sviluppo economico pianificato e stabile, finalizzato non allo scambio mercantile, ma al soddisfacimento dei bisogni materiali e spirituali dell'uomo. Consentire dopo il XX congresso la nascita di una “seconda economia” privata in URSS ha rappresentato probabilmente la causa principale del dissolvimento, creando con le politiche gorbacioviane danni enormi all'economia socialista, diffondendo la corruzione e favorendo la costituzione di una base sociale antiprolertaria, fino al sovvertimento della società socialista. Non a caso, Stalin, quando ebbe a definire l'uguaglianza, la caratterizzò come l'abolizione della proprietà privata per tutti.
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Eros Barone
Tuesday, 06 November 2018 00:10
Avendo letto soltanto ora questo interessante dibattito, mi sembra opportuno sottolineare che il carattere materiale della produzione non va inteso unicamente come carattere materialmente 'tangibile' del prodotto, in quanto concerne semmai la forma ineliminabile del valore d’uso, ossia l'aspetto della 'ricchezza sociale' che esso assume. In questo senso, mi pare difficile negare che la tangibilità,ovvero la dimensione concretamente fisica della ricchezza prodotta, abbiano a che fare, ancora e sempre, con la parte di gran lunga più grande della produzione mondiale. Sennonché una frazione significativa di essa può anche essere utilizzata in forma non separabile dall’attività lavorativa stessa o in forma intangibile, come accade da oltre un secolo con l’elettricità o, negli ultimi decenni, con i flussi informatici. Ma ciò non ha nulla a che vedere con una presunta “immaterialità” della produzione, concepita, a seconda delle diverse tendenze (integrazioniste o apocalittiche) come paradiso o inferno di quella Divina Commedia in cui vagano i teorizzatori della virtualità postmoderna, fautori del capitalismo e del profitto privato, ma critici del liberismo e dei suoi 'eccessi'. In questo caso, con buona pace del pregiudizio smithiano che alberga, anche se denegato, nelle menti degli immaterialisti, la materialità non dipende dalle particolari qualità 'fisiche' del prodotto, ma piuttosto dall’universalità (nel senso di riproducibilità pressoché illimitata) del valore d’uso prodotto in quanto merce o capitale. Questo significa che il carattere produttivo o improduttivo del lavoro salariato dipende solo dalla forma specifica che assume il rapporto sociale del capitale con il lavoro salariato in questione. Vi è poi una quota della produzione sociale, che contiene e veicola plusvalore, la quale fa sì che il lavoro produttivo non sia circoscritto al solo àmbito della riproduzione o accumulazione. Si tratta delle attività, pagate con capitale in quanto assai utili per esso, inerenti alla circolazione: attività che, in un altro modo di produzione, sparirebbero. Del resto, nel sistema capitalistico attuale esse dipendono solo dal carattere di merce che l’intera produzione sociale assume, laddove quest'ultima raggiunge il suo scopo proprio grazie a quelle attività di circolazione che procurano profitto ai capitalisti particolari che le esercitano per conto dell’intera loro classe (si pensi alla contabilità, al commercio, alle banche ecc.). Infine, vale la pena di rammentare che lo sviluppo del mercato mondiale e la forma finanziaria dell’imperialismo, attraverso cui opera la borghesia costituita come classe transnazionale, sono i potenti fattori che determinano sia l’estendersi della sfera della circolazione internazionale sia le caratteristiche del lavoro produttivo e improduttivo (di plusvalore) entro il proletariato mondiale. In questo senso, più si sviluppa la fase monopolistica e più esigua percentualmente e differenziata territorialmente diviene la classe dei produttori, affiancata invece da un aumento relativo e da una diversa dislocazione di lavoratori 'improduttivi', i quali, ancorché classificati come espressione fenomenica e 'post-industriale' del terziario più o meno avanzato, sono semplicemente il prodotto socio-economico di un'area crescente di intermediazione finanziaria, commerciale e statale.
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Luciano Pietropaolo
Monday, 05 November 2018 11:06
Emendamento all'ultima frase: finché la sinistra imperialista e quella "radicale" che hanno sfacciatamente tradito gli interessi del popolo e dalla clase operaia non siano state completamente sradicate...
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Luciano Pietropaolo
Monday, 05 November 2018 10:41
Sulla questione sovranismo-sovranità mi pare si stia perdendo la bussola. È chiaro che la destra (Salvini e company ormai si dichiarano esplicitamente "di destra") cerca di contrabbandare attraverso il concetto di sovranità l'idea dello "stato forte" tutto "legge e ordine", pronto a reprimere ogni contestazione o insubordinazione dal basso: questo contrabbando la destra lo fa da sempre, prima lo faceva interpretando a modo suo la "democrazia", oggi usa lo schermo del "sovranismo" approfittando del fatto che i nodi della costruzione europea (dalla questione migratoria ai vincoli sul bilancio nazionale) sono ormai
venuti al pettine. Se questa è la situazione, io penso che come in passato i comunisti non hanno mai rinunciato al concetto di democrazia regalandolo ai liberali, così oggi non debbano rinunciare a difendere la sovranità, che significa sostanzialmente "indipendenza" e autodeterminazione del popolo, secondo il dettato costituzionale, altrimenti si farebbe un grazioso regalo alla destra mistificatrice. Oggi la nostra indipendenza-sovranità è vilipesa non solo dalla Nato, ma anche dagli iniqui trattati europei che impongono all'Italia scelte di campo liberiste in contrapposizione netta ai principi della nostra Costituzione. Allora, difendere la sovranità dell'Italia significherebbe colludere con la destra? Non scherziamo! Andiamo a vedere le carte del poker e ci accorgeremo ben presto come gli atteggiamenti gladiatori di Salvini in fatto di sovranità siano una mascheratura maldestra degli interessi di classe che la destra da sempre persegue. Ma per questo non ci si può contapporre aprioristicamente al governo giallo-verde, almeno fintanto che la sinistra imperialista e quella "radicale" non siano state del tutto sradicate dal nostro paese: confondersi con esse sarebbe un errore mortale.
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claudio.dellavolpe
Sunday, 04 November 2018 20:24
PS Caro Bianco mi risulta difficile omologare l'art. 1 ai trattati internazionali sottoscritti con i pescecani francoeuropei sul pareggio di bilancio o ai trattati segreti con gli USA per le basi USA in Italia; quei trattati sono pezzi di carta imposti con la forza mentre l'art. 1 è parte di una Costituzione fra le più avanzate, sia pur non socialista e difesa con i denti finchè si è potuto; ma si vede che non bastava; occorrerà tornare in montagna credo.
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claudio.dellavolpe
Sunday, 04 November 2018 20:18
concordo con Selmi; aggiungo che non mi riesce di capire da dove venga questa polemica con sovranismo e populismo; chi li ha nominati? Oppure chi parla contro il capitalismo (e non semplicemente contro il liberismo come fa Bianco) come tale diventa passibile di essere condannato per qualche motivo? liberismo forma moderna del capitalismo, ma è il capitalismo che rinasce sotto mille forme; Bianco essendo a favore dell'iniziativa "privata" non è contro il capitalismo e dunque potrebbe lui andare d'accordo con i populismi moderni; mi ricorda per certi aspetti il vecchio PCI di Longo del giusto profitto, del blocco storico dove si cercava una giustificazione del profitto "giusto"; il profitto privato è sempre ingiusto; e oggi e anche reazionario. Consiglio a Bianco la lettura di Proprietà e capitale un classico di Bordiga a torto dimenticato dove l'ingegnere fra molte altre cose discrimina anche fra privato e personale.
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Franco Bianco
Sunday, 04 November 2018 17:18
Mi associo alla condanna di Anna del sovranismo, dal quale rifuggo con tutte le mie forze, che fa ormai parte delle posizioni di molta ("sedicente?) sinistra detta "alternativa". Considero populismo e sovranismo - che spesso vanno assieme - nemici pericolosi della democrazia rappresentativa: è curioso che ci sono fasce di sinistra che da un lato si richiamano alla Costituzione (giustamente) e dall'altro propugnano tesi fortemente sovraniste, senza rendersi conto della contraddizione (e giocando sull'art.1, che richiama la sovranità che "appartiene al popolo", ma omettendo la parte finale "che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione", ed in quelle forme e limiti ci sono i trattati internazionali sottoscritti). Il "sovranismo" è un male da combattere (anche curioso che a sostenerlo siano coloro che, marxisti dichiarati, hanno dimenticato che "l'internazionalismo " - proletario, ma sempre internazionalismo - fosse uno dei cavalli di battaglia della dottrina a cui si ispirano).
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Paolo Selmi
Sunday, 04 November 2018 17:14
Cari compagni,

prima di intervenire una comunicazione di servizio: mi rendo conto, leggendo in appendice, che dietro questo lavoro c'è, probabilmente, un lavoro di paziente "sbobinatura" dell'intervento di Ciofi. Tuttavia, cerchiamo di citare sempre le fonti. Mi rendo conto che è un lavoraccio, che spesso basta andare su un motore di ricerca e digitare la frase tra virgolette per trovare tutto il testo, ma farlo prima, questo lavoro, sarebbe di grande aiuto.

Sono d'accordo con Claudio. Leggere questo dibattito, mi ha fatto venire in mente un documentario passato qualche giorno fa a un orario improponibile su Rai Scuola. Parlava del dibattito sulla fisica quantistica di inizio secolo scorso; Bohr, Schrödinger, Heisenberg, fino a Pauli (poi sono crollato, ma probabilmente sarebbe andato avanti ancora). Ricerche sensazionali, in tutti i sensi, un dibattito proficuo, continuo, affascinante fra formulazioni logico-matematiche ed elaborazione di modelli complessi, dimostrazioni sperimentali che confermavano, smentivano, rimettevano in discussione, successive riformulazioni, ecc.: tutto questo nelle università pubbliche. Del resto, a quale multinazionale privata (e ne esistevano, all'epoca, e avevano i loro "centri ricerca") è mai interessato, e mai interesserebbe, riformulare su base quantistica la tavola degli elementi di Mendeleev?

Ecco allora che parliamo di iniziativa individuale, più che privata. Essa non solo non è incompatibile con un'economia sociale dei mezzi di produzione, ma trova in essa un supporto inesistente nel modo capitalistico di produzione, dal momento che può andare avanti, con la ricerca, per "soddisfare immediatamente, ovvero senza alcun passaggio intermedio obbligato, i bisogni sociali", ovvero seguendo quella che, secondo me ancora oggi, si potrebbe definire "legge economica fondamentale" di un modo di produzione, il suo motivo conduttore, la sua tendenza generalizzata e dominante: che non è, certo, la stessa del modo capitalistico di produzione.

Per quanto riguarda Lenin, non dimentichiamoci mai che la NEP fu un mezzo, non un fine. Lenin fu COSTRETTO a cercare un compromesso con il Capitale, nazionale e straniero, perché la guerra mondiale prima e quella civile poi avevano ridotto il Paese allo stremo. E occorrevano soldi, per quanto sporchi, ma subito. Ma che non fosse quello lo sbocco a cui tendesse, E NON SOLO, CHE TEMESSE - E A GIUSTISSIMA RAGIONE! - QUESTA COPRESENZA, appare chiaramente. Per esempio, quando legge la situazione corrente in questi termini:
"Il problema è tutto qui: chi arriverà prima? Se riusciranno i capitalisti a organizzarsi per primi, allora cacceranno i comunisti, e questo sarà la fine di tutto. Bisogna veder queste cose lucidamente: chi avrà il sopravvento su chi? O sarà invece il potere statale proletario, appoggiandosi ai contadini, capace di tenere i signori capitalisti per la cavezza, così come loro conviene, per guidare il capitalismo lungo il solco statale e creare un capitalismo subordinato allo Stato e posto al suo servizio? Bisogna porre lucidamente la questione. " (versione italiana, con alcune correzioni, qui: https://www.marxists.org/italiano/lenin/1921/10/17-nep.htm , originale: Весь вопрос — кто кого опередит? Успеют капиталисты раньше сорганизоваться, — и тогда они коммунистов прогонят, и уж тут никаких разговоров быть не может. Нужно смотреть на эти вещи трезво: кто кого? Или пролетарская государственная власть окажется способной, опираясь на крестьянство, держать господ капиталистов в надлежащей узде, чтобы направлять капитализм по государственному руслу и создать капитализм, подчиненный государству и служащий ему? Нужно ставить этот вопрос трезво. Vladimir Ilic Lenin, La Nuova politica economica e i compiti dei centri di educazione politica - Новая экономическая политика и задачи политпросветов, 17/10/1921, Opere complete (Польное собрание сочинении), Istituto di marxismo leninismo del CC del PCUS, V ed., Mosca, 1970, Vol. 44, p. 161)

La traduzione italiana tradizionale è più "alata" del testo leninistico, molto terreno: il gesto è quello del contadino, che prende il muso della bestia e la costringe sul solco (in attesa di prendere un trattore e risolvere la questione altrimenti...): anche perché il capitalista è una "bestia" strana, non pia come il pio bove, o mansueta come un bel ciuchino. Si riorganizza, e appena alza la testa ti piazza due bei carri armati davanti al parlamento come durante il colpo di stato del 1993 e non esita a prenderti a cannonate e a costringerti alla resa. Da allora furono tutti avvisati. E infatti la Russia oggi è quello che è. Lenin, dopo due anni di guerra contro i "bianchi" e contro l'imperialismo straniero, lo aveva ben presente. Ecco perché egli ha sempre ben chiaro il quesito del Kto pobedit?(Кто победит?), del "Chi vincerà?".

Poi, per carità, quanto scritto può piacere o non piacere, ma l'esperimento sovietico fu quello che fu anche per l'impostazione leninistica data sin da allora.

Un saluto a tutti.
Paolo
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claudio.dellavolpe
Sunday, 04 November 2018 17:08
rispondo a Mario; la rivoluzione d'ottobre avvenne in un contesto di paese che stava entrando nel capitalismo, 80 milioni di contadini e 3 milioni di operai; questo era il rapporto della popolazione; Lenin si chiede ripetutamente se la rivoluzione avvenuta nell'anello debole Russia potrà aspettare che il cambiamento avvenga nei paesi avanzati; in quel contesto dunque c'era da sviluppare la produzione anche in senso capitalistico; ma noi paesi avanzati già compiutamente capitalistici non abbiamo questo problema, noi siamo nel contesto del brano delle macchine; la borghesia e il profitto non ci servono ci frenano; basta guardarsi attorno: crisi ecologica, crisi energetica, crisi sociale, la crisi dovuta ad un eccesso di "crescita" da capitale che non trova sbocchi; siamo "troppo" non troppo poco. rendimenti decrescenti, enormità del capitale fisso, per riassumere noi dobbiamo tenere costante o ridurre il PIL non aumentarlo
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Anna
Sunday, 04 November 2018 16:04
@Franco Bianco
Marco Revelli si è sempre schierato a fianco dei "beni comuni" , del "comune" etc.. ( trovi facilmente in rete ) . Ma credo anche Gallino. Questa del Comune , dei beni comuni , non ti pare una prospettiva marxianamente oltre il capitalismo ?
Per quanto riguarda la componente immateriale ( le idee , i progetti etc.. ) come nettamente maggioritaria nella costituzione sia dei costi che del valore di una merce , hai senza dubbio ragione . A patto di considerarne l'obsolescenza che tende , nel tempo , ad abbassarne il valore : obsolescenza che come noto ha meno influenza ( se pure esiste comunque ) sulle componenti materiali della merce , il cui valore è composto in maniera preponderante da lavoro vivo . Da qui l'ineluttabilità del Comune , che oggi è soprattutto ( anche se non solo ovviamente ) una battaglia , appunto , sui brevetti ( Ma anche qui Marx non è mai un ferro vecchio : è grazie alle sue intuizioni sul general intellect nei Grundrisse che possiamo permetterci questi ragionamenti . Certo poi ma Marx va storicizzato ; ci sono , e ci mancherebbe , tanti altri autori etc. Ovvio ) . La difficoltà di comprendere un mondo senza negozietti di vario genere in un sistema sociale oltre capitalista , è comprensibile . Io per prima ne ho difficoltà e Marx non ci ha lasciato “menù per l’osteria dell’avvenire” . Ma , a rigor di logica , in un mondo di abbondanza e non di scarsità , è probabile che ci siano molti negozietti di qualsiasi tipo.. Che poi la motivazione al lavoro ( sociale ) sia l'avidità sembra sia un mito , almeno seguendo Marcel Mauss e tanti altri . Ma il fatto è che la questione non si porrebbe nemmeno in questi termini . In termini marxiani classici , la base materiale necessita di essere sviluppata fino al punto in cui essa possa semplicemente negare la propria brutale e invadente presenza e andarsene via in buon ordine dalla coscienza , come un servo ( non umano ) che soddisfi con discrezione ogni bisogno rimanendo invisibile . La questione è che ad un certo livello la forma merce di questa ricchezza collettiva diventa oggettivamente improduttiva per i bisogni umani : per continuare a perpetuarsi necessita di bolle e crisi , scarsità , mercificazione della natura , alienazione e sacrifici umani . La svolta della dialettica marxiana è che solo materialmente ci libereremo dalla “silenziosa coazione” del materiale .
PS . credo che fra un pò eliminerò questo sito dalla pagina dei preferiti ; nel poco tempo che ho a disposizione credo sia giusto non avere nulla a che fare con la rozza propaganda sovranista e rossobruna ( non mi riferisco a questo articolo in particolare , ma alla maggioranza degli articoli di questo sito , che storpia senza pudore la parola sinistra , si confondono i confini tra destra e sinistra in maniera ormai sistematica ; nei periodi storici di "interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati” . Tra questi sintomi patologici , lo sviluppo del rossobrunismo sovranista è ( a mio avviso , per chi è di Sinistra come me ) il più rozzo e il più pericoloso .
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Mario M
Sunday, 04 November 2018 15:48
I primi anni della rivoluzione bolscevica in Russia, se non vado errato, furono attraversati anche dalla questione della libera iniziativa: in che misura e su quali attività era da accettare. Purtroppo Lenin presto scomparve, e arrivò Stalin.
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claudio.dellavolpe
Sunday, 04 November 2018 13:51
la risposta è semplice; gli studiosi che lei cita pur rispettabilissimi non sono COMUNISTI; sono di sinistra, appunto, sinistra socialdemocratica che non riesce a vedere nel proprio orizzonte il superamento del capitalismo; che dire ; me ne farò una ragione; i casi che lei cita sono tutti oggi risolubili con valori d'uso appropriati: le finestre possono essere prodotte da aziende a proprietà comune non solo privata, le pizze , mai fatta in casa da solo? da napoletano come sono apprezzo la pizza fatta in casa; dato che sono anche un chimico ci tengo a dire che IL GROSSO della ricerca famaceutica di avanguardia non è fatta da aziende private le quali seguendo solo il profitto hanno prodotto dei guasti inenarrabili; molti dei farmaci potenti di oggi sono stati prodotti da piccoli gruppi pubblici e poi VENDUTI ad aziende private che ne hanno fatto oggetto di iperprofitto (il caso dei farmaci anti eptatite è esemplare a riguardo) gli antibiotici sono stati usati per fare grandi profitti e poi la ricerca è stata abbandonata dai privati proprio quando si vede che quella politica di sviluppo progettata solo per fare soldi rapidi ha condotto alle resistenze diffuse da pare della maggior parte dei batteri; oggi non ci sono aziende PRIVATE che fanno ricerca sugli antibiotici proprio adesso che servirebbe, ma costa troppo!!!; i gruppi pubblici delle università si sono lanciati sul cosiddetto quorum quenching, ossia ingannare i segnali intrabatterici; ricerca di base che non ha prodotto ancora risultati ma che certo UNA VOLTA CHE LO AVRA' fatto sarà poi usata dalle grandi multinazionali; scusi Bianco ma la vulgata degli eroici ricercatori PRIVATI che volendo fare soldi scoprono tante cose utili è una vulgata fallace; oggi la principale fonte di ricchezza non è nemmeno l'estrazione diretta di plusvalore (tempo di lavoro) ma lo sfruttamento dell'individuo sociale (si rilegga i grundrisse, brano delle macchine); e cavoletti se il capitalismo è sbattuto col naso su questo noi non dovremmo avvantaggiarcene?
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Franco Bianco
Sunday, 04 November 2018 13:24
Dunque, secondo Della Volpe, lo stuolo di studiosi e sociologi che scrivono del "post-industriale" e dei "beni immateriali" (o Paul Mason con il suo "Post-capitalismo" di poco tempo fa) non hanno capito niente, E se, domani, avremo bisogno di lavori di falegnameria - che so?, per cambiare gli infissi o per farsi costruire una libreria - ci sarà un'azienda di Stato che lo farà; ed andremo da parrucchieri "di Stato" e, il sabato o quando ne avremo voglia, in pizzerie "di Stato"; per il benessere fisico potremo avvalerci di palestre anch'esse "di Stato". E tutte le Aziende che fanno ricerca farmaceutica (chissà se la ricerca, essa almeno, è immateriale), così importante per la nostra salute, saranno "di Stato". Et similia. Vabbè. Il problema di molti di "noi" è, è stato, e continua ad essere, quello che con unico termine si definisce "Ideologia" (benché un sociologo di sinistra come Daniel Bell abbia scritto, circa 50 anni fa, "La fine dell'ideologia"). C'è da chiedersi come mai sociologi di vaglia come il compianto Luciano Gallino, o come Marco Revelli o Aldo Bonomi, che così criticamente hanno analizzato il capitalismo, non abbiano mai - dico mai: sfido chiunque a provare il contrario - proposto come soluzione il superamento del capitalismo (n quanto tale: non - ripeto - del neo-liberismo, sul quale credo pochi non concordino). Mi fermo qua, perché non se ne esce.
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claudio.dellavolpe
Sunday, 04 November 2018 12:56
Rispondo a Bianco; beh qualunque azione umana è pensata, qualunque oggetto è anche progettato, ma questo non lo rende immateriale; i servizi non sono affatto immateriali; non cambia nulla rispetto alla produzione industriale, in quanto servono materia ed energia soggette all'azione umana; non vedo alcuna differenza pratica; si vorrebbe che ci fosse, ci si illude che ci sia, ma nel generale non ce n'è; ce n'è nel dettaglio operativo, ma non più di quanta ce ne sia fra due settori industriali tradizionali; è un pio desiderio che l'immaterialità o peggio i robot cambino la situazione; quanto all'iniziativa umana, non è necessario che sia privata; se la condizione della mia libertà è la libertà degli altri l'iniziativa privata ed il conseguente profitto privato sono un residuo protostorico dell'epoca della scarsità; l'iniziativa umana resta ma diventa una iniziativa dell'uomo in quanto essere sociale e non in quanto membro della classe dominante dei possessori di capitale;il concetto stesso di profitto viene superato; non potrei inventare se non avessi seguito una scuola e studiato e compreso il precedente; vivo e lavoro sulle spalle dei miei predecessori e contemporanei; dunque l'iniziativa che si avvale di me è una iniziativa pienamente sociale; non confondiamo il privato con il personale!!!
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Franco Bianco
Sunday, 04 November 2018 12:15
Caro Della Volpe, la questione non è dove il software sia "scritto", ma è che esso deve essere pensato, ed in quella "ideazione" - non nella scrittura, che è un atto banale, da scimmia ammaestrata - consiste la "creazione di valore", della massima parte del valore). E l'economia dei servizi, che dilaga e sempre più lo farà, si avvale certamente di strumenti "materiali" (bisogna pur lavare le scale e la biancheria, e cucinare), ma non ha per oggetto delle "merci tangibili": forse sarebbe il caso di guardare qual è la percentuale di ricchezza creata oggi dai servizi, sia quelli di tipo tradizionale che quelli del cosiddetto "terziario avanzato". Forse io sono "indietro di gran lunga", come dice Della Volpe: ma sono in nutrita compagnia di studiosi di grande valore, dei quali potrei fare i nomi (molti sono della "nostra" parte: intendo della sinistra, anche se non comunisti) se non lo ritenessi inutile. E non leggo nessuna risposta, pur critica come è legittimo, alle mie considerazioni sull'iniziativa privata: la quale o è necessaria o non lo è. Nel secondo caso bisognerebbe spiegare da cosa e come essa potrebbe essere sostituita; ma se lo è,specialmente nel mondo complesso del XXI secolo, essa è incompatibile con l'abbattimento del capitalismo - non dico del "neo-liberismo", che è un male da combattere, una deriva negativa - che sull'iniziativa privata è basato: non c'è l'una in assenza dell'altro.
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claudio.dellavolpe
Sunday, 04 November 2018 11:54
Il commento di Bianco mi appare veramente inaccettabile; a partire dalla considerazione sulla immaterialità; altro che immateriale; il software è scritto in un dispositivo materialissimo fatto di materiali sofisticati e si può leggere solo usando grandi quantità di energia a sua volta prodotta da giganteschi dispositivi, la rete è una strutura fisica mondiale fatta di fili di rame o di silice e di antenne; altro che immateriale; è il sogno impossibile di chi pensa che sia possibile fare a meno della materia e dell'uomo per il puro pensiero; che non a caso sfocia poi nella proprietà e nel profitto; egregio Bianco lei è indietro di gran lunga e non ha compreso il mondo moderno; più sottile mi appre l'altra critica; ma pure lì trovo che il determinismo sia una invenzione; un sistema complesso non è quasi mai deterministico; è instabile, e non ci sono o almeno non le conosciamo a parte l'ipotesi del MEPP (maximum entropy production principle)criteri generali di evoluzione della materia; da ricordare caro Castaldo che nel manifesto marx scrive che le lotte di classe si sono sempre concluse o con la vittoria di una classe o con la distruzione dell'intera società; cosa che non è esclusa nemmeno adesso.
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michele castaldo
Sunday, 04 November 2018 11:15
E' più che dubbio che non vi sia nel pensiero di Marx alcun determinismo, basta considerare che lui definisce il modo di produzione capitalistico "impersonale e storicamente determinato" dunque non dato dalla volontà degli uomini ma ad esso asserviti. Più determinismo di così? Evidentemente per noi comunisti d'oggi i problemi si presentano ben più complessi di come per un secolo e più li abbiamo considerati. Se oggi non esistono partiti comunisti di un certo spessore (caricature a parte) ci devono essere delle ragioni; e indagarle è complicato perché ci toglie molte certezze che fino a alcuni decenni fa avevamo. Questo è il dramma vero.
Dunque: può darsi una organizzazione della classe proletaria in ogni circostanza? Certamente che no, essa si dà in circostanze "determinate" e con "caratteristiche specifiche" del contesto. Sicché il Partito - cioè lo strumento di massima espressione dell'organizzazione della classe - avrà le caratteristiche che il contesto richiede. Siamo all'ABC del materialismo storico. O no?
Esiste però - ecco l'obiezione di fondo - la volontà dell'uomo, di quelli che si richiamano alle necessità degli oppressi e degli sfruttati, è vero, ma questi non possono in alcun modo capovolgere la forza delle determinazioni storiche di un movimento generale degli uomini con i mezzi di produzione che hanno generato il modo di produzione capitalistico che vige finché è sorretto dalla forza delle sue energie sintetizzabili in quella doppia espressione di Marx: M D M e D M D' ovvero merce denaro merce e denaro merce denaro aumentato. Si tratta di un rapporto - giustissima definizione - che risponde a leggi oggettive, determinate ma destinate a esaurirsi. Questo è il punto fondamentale. Per il passato si è pensato che la rivoluzione potesse essere l'organizzazione del proletariato in classe e in partito politico potesse abbattere il capitalismo, quasi che si trattasse di un modello di rapporti piuttosto che di un movimento storico. Ci siamo sbagliati disse lo stesso Engels. Il comunismo del passato, che chiamiamo novecentesco, era da un lato l'espressione di una classe , il proletariato che rivendicava quota parte in un processo di accumulazione che cresceva; dall'altro lato è stato un movimento dei paesi oppressi dal colonialismo a prevalenza contadino per entrare a pieno titolo nel movimento generale del movimento storico del modo di produzione capitalistico.
Il comunismo degli anni a venire sorgerà dalle ceneri del moto-modo di produzione attuale e si caratterizzerà non per un diverso rapporto di proprietà con i mezzi di produzione ma come un nuovo rapporto tra gli uomini e i mezzi di produzione.
Quello che in questi anni ci appare come un arretramento rispetto alle conquiste del passato, altro non è che l'interludio tra un movimento generale che si va esaurendo e il nuovo che ancora non può apparire. Ma l'impossibilità di prosecuzione del vecchio ciclo ci fornisce già l'idea della sua decomposizione. Un interludio che - come ogni cosa terrena - non può durare all'infinito. Spiegare le ragioni della crisi del modo di produzione e l'approssimarsi della sua implosione deve costituire il fulcro programmatico del nuovo Partito Comunista Mondiale sapendo che: . «Non c’è nulla di più mutevole della psicologia umana. Soprattutto la psiche delle masse racchiude in sé, come “thàlatta”, il mare eterno, tutte le possibilità allo stato latente: mortale bonaccia e bufera urlante, la più abbietta vigliaccheria ed il più selvaggio eroismo. La massa è sempre quello che deve essere a seconda delle circostanze storiche, ed è sempre sul punto di diventare qualcosa di totalmente diverso da quello che sembra. Bel capitano sarebbe uno che dirigesse il corso della nave solamente in base all’aspetto momentaneo della superficie delle acque e che non sapesse prevedere l’arrivo delle tempeste in base ai segni del cielo e del mare. Bambina mia, essere “delusi dalle masse” è sempre il peggiore attestato delle qualità di un capo politico. Un dirigente in grande stile regola la sua tattica non in base all’umore momentaneo delle masse, ma in base a leggi eterne dello sviluppo, si attiene alla sua tattica a dispetto di qualunque delusione e quanto al resto lascia tranquillamente che la storia porti a maturazione la sua opera» come scriveva Rosa Luxemburg a una sua amica 16 16 gennaio 1917 a poco più di un mese dalla rivoluzione di "febbraio" di quell'anno.
Per concludere: quello che oggi ci appare come nero seppia non è altro che il preludio di nuovi e sconvolgenti rapporti tra gli uomini. Noi ci adoperiamo perché sbocchino nella nostra direzione, ben sapendo che il tutto dipende da molteplici fattori. Facciamo la nostra parte fino in fondo, il resto si vedrà.
Michele Castaldo
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Franco Bianco
Sunday, 04 November 2018 10:28
Ciofi pensa ancora che il lavoro sia quello dell'epoca fordista - volto alla produzione di merci, di beni "materiali" - e che sia, quasi esclusivamente, quello di tipo industriale, manifatturiero. Al contrario, oggi la produzione industriale non supera - quando ci arriva - il 30% (trenta) del Pil. Siamo da tempo entrati - ciò che sembra sfuggire ad alcuni "pensatori" - in un'era che, in mancanza di altri termini, viene definita "post-industriale", caratterizzata dall'immaterialità, dalla "non-tangibilità", di quanto viene realizzato: pur sussistendo, nelle proporzioni minoritarie suddette, la produzione manifatturiera - che peraltro assume forme assolutamente diverse da quelle del tempo di Marx, ma anche da quelle da lui immaginate per il futuro (si pensi solo alla robotica, all'Intelligenza Artificiale, alle stampanti 3-D) -, la più larga parte della produzione di ricchezza consiste oggi, e sempre di più nel futuro, nella "ideazione" (un esempio: uno smartphone è composto da circa 600 componenti, che vengono prodotti in parti diverse, e spesso lontanissime fra loro, del mondo, che vengono poi, per stadi successivi, assemblati in altri luoghi, e tuttavia il valore del prodotto finale non sta nella somma dei suoi componenti materiali ma nel software che è alla base del suo funzionamento, ed è per questo che la Apple fa utili colossali: dove avviene, in questo semplice esempio che può essere ripetuto per milioni di altri casi, la cosiddetta "estrazione di plus-valore"?). Ma poi come farebbero le società complesse attuali e future, a non avere una miriade di di imprenditori che "intraprendono", immaginano cose nuove da produrre o modi nuovi per produrle, e lo fanno creando posti di lavoro dove è inevitabile che una parte della ricchezza prodotta venga trattenuta dall'imprenditore, che altrimenti non darebbe luogo a nessuna attività? Chi creerebbe, per fare esempi banali, le pizzerie, chi aprirebbe un cinematografo, chi metterebbe in piedi una qualunque attività (con personale che lavora, nelle une e negli altri), se non dovesse traci un utile ("plus-valore"? Plus-valore, va bene) personale? Senza iniziativa privata il mondo tornerebbe indietro di millenni, e crollerebbe su se stesso: il problema che ci sta davanti è quello NON di eliminare l'iniziativa privata, ma di vegliare (anche con il conflitto, quando occorre) sui diritti di chi lavora e sulle condizioni del lavoro, spostando il più possibile la ricchezza prodotta dal datore di lavoro - quale che il lavoro sia - a chi mette le sue energie in quell'impresa - quale che essa sia: una pizzeria, un negozio, un bar, una fabbrica, una palestra, una società di software, e via enumerando. Ma senza la possibilità di guadagno privato - di cui si deve controllare l'entità, non avversare l'esistenza - tutte queste attività non nascerebbero (nessuno vorrà pensare, c'è da sperare, alle pizzerie di Stato, o ai negozi di Stato, e così via), e sarebbe molto peggio per tutti (si possono richiamare innumerevoli esperienze storiche, a tragica conferma). Marx è stato un gigante del pensiero, ma molte delle sue analisi non sono più, oggi, né valide né applicabili: nella "cassetta degli attrezzi" odierna bisogna conservare il cacciavite e la chiave inglese, ma occorre metterci anche gli strumenti richiesti dalle condizioni attuali.
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