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gasparenevola

Sulla comunità nell’epoca liberal-democratica

di Gaspare Nevola

 

I. Ripensare la comunità oggi

 

1846 Anti Corn Law League Meeting1. Preambolo

«Stiamo attraversando anni di oltraggio alla democrazia liberale, e questo enorme disprezzo non s’è certo esaurito. Ci è stato detto che tutto ciò che c’è di orrendo nel nostro tempo è colpa del liberalismo, o peggio, del neoliberalismo… È stato incolpato di tutta l’infelicità del mondo. I predicatori di una nuova felicità si chiamano, vantandosi, post-liberali. Talvolta uno si deve stropicciare gli occhi di fronte all’intensità dell’odio per la democrazia liberale: questi stolti capiscono ciò che stanno dicendo? (…) Questo è populismo». Dato che l’autore[1] di queste parole è un intellettuale, considerato tra i più influenti nell’area progressista statunitense, mi chiedo da quali libri e studi abbia tratto le sue conclusioni e i suoi giudizi che liquidano come stoltezza populista le critiche che da tempo investono la cultura liberal-democratica e neo-liberale: dalle colonne di battaglia giornalistiche? da comizi elettorali? Sia ben chiaro, anche le chiacchere da bar-sport politico sono legittime, così come lo sono le crociate contrapposte che imperversano sui social e che rudimentalizzano il confronto pubblico. Dato, però, che l’autore qui richiamato è un intellettuale, sarebbe sano, bello e doveroso aspettarsi meno sdegno offensivo verso chi vede le cose diversamente e più pazienza e raziocinio nel trattare il tema sul quale si intrattiene. Poco giova alla comprensione dei punti di vista altrui porsi come capo di una tifoseria che sbraita e inveisce contro la parte avversa.  Di tanto in tanto, un bagno nel tacitiano sine ira ac studio è utile anche all’intellettuale militante.

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contropiano2

Un commento su “La Guerra Capitalista”

di Leonardo Bargigli*

13486745 medium e1630500710576Il volume di Brancaccio, Giammetti e Lucarelli La Guerra Capitalista1 ha il notevole merito di affrontare un argomento molto complesso e poco trattato dalla letteratura economica, quale la centralizzazione del capitale.

Nella prima parte, e nell’appendice 1, gli autori introducono efficacemente il proprio oggetto di studio, fornendo al lettore una utile guida alla letteratura. In particolare, sottolineano opportunamente la differenza tra concentrazione della ricchezza e centralizzazione del capitale.

Con il primo termine, si indica l’accumulazione della ricchezza nelle mani di un numero sempre più ristretto di proprietari. Con il secondo termine, si indica invece la concentrazione, in poche mani, del controllo sull’impiego della ricchezza accumulato da tutte le classi sociali. Mentre l’evidenza empirica sul primo fenomeno è abbondante, lo stesso non può dirsi per il secondo2.

Nella seconda parte del volume gli autori presentano i propri originali risultati, che si riferiscono ad una particolare definizione di centralizzazione in termini di net control. Quest’ultima grandezza è definita come “il valore intrinseco del capitale controllato seguendo tutti i percorsi diretti e indiretti delle partecipazioni azionarie” (p. 107).

Mettendo tra parentesi i problemi metodologici3, concentriamoci sul messaggio principale. I risultati presentati dagli autori evidenziano che la proprietà delle imprese quotate a livello internazionale è concentrata nelle mani di un nucleo ristrettissimo di azionisti. In particolare, nel 2016 l’80% del valore del mercato azionario globale era controllato dall’1% degli azionisti (p. 115), e questa quota si era in precedenza ridotta del 25% a partire dal 2001, con un’accelerazione a partire dal 2006 (p. 116).

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machina

Per un pacifismo disincantato

di Valerio Romitelli

0e99dc 026a5406617147c9848ee4f3111a82b0mv2«Perché ci indigniamo tanto contro la guerra, Lei e io e tanti altri, perché non la prendiamo come una delle molte e penose calamità della vita? La guerra sembra conforme alla natura, pienamente giustificata biologicamente, in pratica assai poco evitabile […] finché esistono stati e nazioni pronti ad annientare senza pietà altri stati e altre nazioni, questi sono necessitati a prepararsi alla guerra...».

Questi alcuni dei passi più interessanti della risposta data da Freud ad una lettera inviatagli da Einstein nel 1932, quando i postumi della Prima guerra mondiale non erano affatto estinti e i primi vaghi presagi di quella che sarà la Seconda guerra mondiale stavano già baluginando.

Per iniziativa del circolo Maggio Filosofico da più di vent'anni attivo nei dintorni di Bologna, questo giustamente famosissimo scambio epistolare è stato assunto come punto di avvio per una o più conferenze sul fenomeno bellico dal punto di vista di filosofia, psicologie e scienze umane, alla luce di quanto sta accadendo con la guerra in Ucraina. Dandone notizia mi spendo anche nel perorare la causa di simili discussioni di livello problematico più intenso rispetto a quello della cronaca e dei suoi commenti più o meno informati, convinto che solo così si possa sollecitare l'intelligenza dell'enorme e irreversibile portata epocale di quanto sta avvenendo in questa guerra e col diretto coinvolgimento in essa di Italia ed Europa.

Segue dunque qualche congettura a questo proposito.

* * * *

I

Tornando ai passi appena riportati della risposta di Freud, dove sta dunque il loro particolare interesse? Sta nel rimettere in discussione l'intuitivo approccio pacifista che Einstein supponeva e che lo stesso Freud finisce per far proprio, ma previa una elaborazione non scontata dei suoi presupposti.

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sfero

Propagande e “complottismi”

di Andrea Zhok

20230121T184641 cover 1674326800899Quando si parla di propaganda e di manipolabilità della popolazione è un luogo comune, spesso ripreso, quello per cui il livello culturale sarebbe una variabile decisiva, in quanto capace di ostacolare l’influenzabilità dei soggetti. Questo assunto, oltre al pregio di essere gradevolmente consolatorio per chi di cultura si occupa, sembra seguire un semplice sillogismo. Dopo tutto uno non è facilmente ingannabile sulle cose che conosce, chi ha un’istruzione superiore per definizione dovrebbe conoscere più cose, ergo chi ha un’istruzione superiore dovrebbe essere meno ingannabile. Questo ragionamento è tanto apparentemente intuitivo quanto sciaguratamente sbagliato.

È possibile distinguere due forme distinte di manipolabilità soggettiva, che possiamo nominare schematicamente come manipolabilità (da istruzione) primaria e manipolabilità (da istruzione) terziaria.

 

1) Sulla manipolabilità primaria

Per istruzione primaria si intende la scuola dell’obbligo, e oggi possiamo considerare questo livello di istruzione come livello base, assumendo che tutti i cittadini ne abbiano goduto. Soggetti che abbiano limitato la propria istruzione a questo livello tendono ad entrare per primi nel mondo del lavoro con mansioni a basso tasso di specializzazione. Chi abbia questo retroterra culturale (naturalmente al netto della coltivazione autonoma di propri interessi) è sensibile ad alcune specifiche forme di manipolazione: quelle che fanno uso di una retorica della semplificazione e di appelli ad un presunto buon senso comune.

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intellettuale collettivo

Guerra, crisi e sfide per il futuro

di Alessandro Pascale

Relazione sulla politica estera e le ricadute economiche e sociali per il Comitato Scientifico di Democrazia sovrana e popolare, 14 gennaio 2023

robot 2301646 1280Vorrei iniziare ricordando la particolarità del periodo storico che stiamo vivendo, segnato dalla crisi dell’impero statunitense e dall’ascesa di un mondo multipolare caratterizzato dall’egemonia crescente della Cina comunista. È in questo quadro che dobbiamo situare gli eventi degli ultimi anni, compresa la guerra alla Russia e la pandemia COVID.

Il mantenimento stabile nell’ultimo secolo di un assetto imperialista ha fatto sì che l’Occidente abbia potuto fondare il proprio benessere sullo sfruttamento del “terzo mondo”. Il passaggio alla globalizzazione neoliberista, avvenuto dagli anni ‘70, ha però mostrato tutte le contraddizioni del sistema capitalistico, facendo perdere sul lungo termine competitività all’Occidente. La guerra in corso non è quindi un evento episodico e casuale, ma la risposta delle élite transnazionali occidentali alla perdita del controllo monopolistico dei mercati ricchi di risorse dell’Africa, dell’Asia, dell’America latina.

Che la pace non sia in effetti salutare per l’Occidente era emerso dagli esiti del World Economic Forum, che a partire dalle elaborazioni di Klaus Schwab ha lanciato la necessità di un “great reset” per garantire il rinnovamento del processo di accumulazione capitalistica occidentale: in estrema sintesi mentre non si fa nulla per cancellare gli enormi squilibri dovuti ad un’economia finanziaria ipertrofica, totalmente sganciata dall’economia reale, si lancia l’idea di una conversione economica in senso ecologicamente sostenibile.

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carmilla

Un contadino nella metropoli degli anni ‘70

di Alessandro Barile

Prospero Gallinari, Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle Brigate rosse, Pgreco 2023, pp. 352, € 20,00.

e777ea2cf7016a7d2228609e1e6d87b6La ripubblicazione di Un contadino nella metropoli a dieci anni dalla morte del suo autore, Prospero Gallinari (1951-2013), è opportuna almeno per due motivi. Il primo, rimettere in circolazione un libro stranamente introvabile, nonostante la prima edizione affidata a Bompiani, la notorietà della persona, l’attenzione (a volte genuina, più spesso morbosa) riguardo agli anni Settanta e alla lotta armata nel nostro paese. Vi è poi l’occasione di celebrarne il ricordo a dieci anni dal suo funerale-evento: al cimitero di Coviolo, Reggio Emilia, il 19 gennaio 2013 si convocarono spontaneamente un migliaio di persone, compagni di tutta Italia, reduci e giovani, brigatisti, non brigatisti, anti-brigatisti, chiunque si sentì toccato da una morte che sembrava trascinare con sé un’intera epoca. Una foto di gruppo, tra parenti spesso litigiosi, eppure accomunati, e non solo dal ricordo umano.

Ma la ripubblicazione di questo libro di «ricordi di un militante delle Brigate rosse» può servire anche ad altro, forse di più importante, o almeno di più utile. È un libro di memorie, e come tale è andato a suo tempo ad ampliare la già vasta produzione memorialistica sugli anni Settanta. Una memorialistica che, negli ultimi venti anni, ha dapprima lasciato spazio alla contro-memorialistica delle vittime (delle vittime reali ma, molto più di frequente, delle vittime indirette: familiari, amici, conoscenti); per poi cedere il passo a una storiografia che si è andata occupando molto di anni Settanta e del loro enigma indecifrato. La ricostruzione storica è rimasta però alquanto sterile. Nell’attuale, spasmodica, convalida di un suo statuto scientifico, la ricerca storica ha generato una tecnicizzazione degli eventi studiati. Siamo stati così invasi di libri sul lungo Sessantotto italiano, sulla lotta armata e sulla «strategia della tensione», sui profili umani e su quelli disumani.

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economiaepolitica

La guerra capitalista

di Roberto Romano

Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti e Stefano Lucarelli: La guerra capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista, Mimesis, 2022

39b177c3 2091 477f 9e26 124fac1992b6 xlLa guerra capitalista di Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti e Stefano Lucarelli, arricchita dalla postfazione di Roberto Scazzieri, riprende e attualizza una delle più importanti tesi di Marx: la tendenza verso la centralizzazione del capitale, “una tendenza verso la centralizzazione del capitale in sempre meno mani, che disgrega l’ordine liberaldemocratico e alimenta la guerra militare tra nazioni”. Come sottolineano gli autori nella introduzione, all’interno del libro viene spiegato e approfondito “il legame tra centralizzazione capitalistica e assedio alla democrazia” (p. 9). L’intuizione di Marx relativa al processo di centralizzazione dei capitali viene pertanto trattata e approfondita alla luce delle recenti dinamiche economiche internazionali. La forza della legge relativa alla centralizzazione del capitale viene aggiornata e sistematizzata grazie alla network analysis. Gli autori calcolano un nuovo indice di network control che misura la percentuale degli azionisti detentori dei pacchetti di controllo della parte preponderante del capitale azionario quotato nelle borse (p. 99-137). In tal modo è possibile pervenire al “valore intrinseco del capitale controllato seguendo tutti i percorsi diretti e indiretti delle partecipazioni azionarie” (p. 107) .

Attraverso l’impiego di un modello vettoriale autoregressivo bayesiano (che viene ben spiegato in modo molto chiaro nella appendice a cura di Milena Lopreite e Michelangelo Puliga) Brancaccio, Giammetti e Lucarelli possono mettere in relazione la politica monetaria delle Banche Centrali con gli indici di centralizzazione precedentemente ricavati: una politica monetaria restrittiva, cioè un aumento dei tassi di interesse, “conduce a una riduzione del net control, ovvero alla riduzione della frazione di azionisti di controllo del capitale” (p. 124).

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laboratorio

La corruzione politica come strumento del capitale

di Domenico Moro

CorruzioneRecentemente il tema della corruzione politica ha riacquistato una notevole visibilità a causa delle inchieste della magistratura belga su ex e attuali eurodeputati, accusati di aver ricevuto denaro da parte del Qatar e del Marocco. A quanto sembra, la corruzione, elevata a sistema organizzato, ruoterebbe attorno a una Ong, Fight Impunity, nel cui Board siedono personaggi politici noti come Emma Bonino e Federica Mogherini[i], e il cui presidente è Pier Antonio Panzeri, un ex deputato europeo in quota Pd, che è stato arrestato[ii]. Panzeri è stato membro della direzione del Pd e prima ancora segretario generale della Camera del lavoro di Milano. Oltre a Panzeri sono risultati coinvolti anche il segretario della Confederazione dei sindacati mondiali ed ex sindacalista della Uil, Luca Visentini, e altri deputati del gruppo parlamentare europeo dei socialisti e democratici (S&D), tra cui la vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, che è stata arrestata e sospesa dalle sue cariche.

L’inchiesta è caduta come una tegola sulla testa dei socialisti europei e su quella del Pd, già in difficoltà per la sconfitta alle recenti elezioni politiche e alle prese con la preparazione di un congresso e di primarie, che si preannunciano complicate. Tuttavia, non si può dire che, stando all’attualità, la corruzione riguardi solo l’Europa e il Parlamento europeo. Recentemente Ftx, una piattaforma di criptovalute statunitense, è fallita ed è stata accusata di frode, tanto che il suo fondatore, Sam Bankman Fried, è stato arrestato alle Bahamas per conto delle autorità statunitensi e rischia una condanna a 115 anni di prigione.

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paginauno

La guerra che fingiamo non ci sia

di Maria Rita Prette

Incontro-dibattito sul libro La guerra che fingiamo non ci sia di Maria Ri­ta Prette (Sensibili alle foglie, 2018), presso il Leoncavallo Spazio Pubbli­co Autogestito, Milano, 6 novembre 2022

7nytghyCredo sia molto importante parlare della guerra, una parola diventata un po’ tabù: nel senso che come Paese sono una trentina d’anni che fac­ciamo guerre, anche se non le dichiariamo più e le chiamiamo con altri nomi. A ben vedere, quando ho fatto questo lavoro, anch’io ho faticato a chiamare ‘guerra’ le cose che ho incontrato, perché hanno un caratte­re sleale e feroce che va ben oltre il modo in cui i conflitti sono stati concepiti dall’umanità fino al 1991. Dobbiamo quindi guardare queste nuove forme delle guerre per come si esprimono, per come vengono fatte, per i dispositivi che attuano, a partire dal momento in cui hanno cominciato a essere realizzate in queste modalità, ossia: non più due e­serciti che si confrontano.

Forse la seconda guerra mondiale è stato il conflitto ‘di passaggio’ verso questo nuovo modo, caratterizzato soprattutto dall’utilizzo dell’a­viazione; ormai ci siamo abituati al fatto che si bombardino delle città, dei quartieri, dei Paesi, che li si rada anche al suolo. Penso che dovremo rifletterci, perché bombardare una città e raderla al suolo - come han­no fatto gli americani a Dresda nel 1945 e come abbiamo fatto noi in tutti Paesi in cui siamo stati, dalla Somalia all’Afghanistan, alla Libia, alla Siria - vuol dire colpire dei civili. Questo è il primo tabù che viene rotto dalle nuove forme della guerra: a morire sono principalmente i civili, molto meno i soldati.

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sinistra

Caro amico, ti scrivo, ...
L’anno vecchio è finito, ormai Ma qualcosa ancora qui non va ...
Ma la televisione ha detto che il nuovo anno ... *

di Luca Busca

817LsuSu5cLLa fine di un anno e l’inizio di quello nuovo sono da sempre l’occasione migliore per fare bilanci. Si parte generalmente con un bilancio consuntivo per passare poi a quello preventivo per l’anno seguente. Di suo il 2022 è stato un anno di rara intensità, carico di eventi che possono essere racchiusi in quattro capitoli diversi di bilancio:

 

1. La Pandemia.

Cronologicamente viene prima la delirante gestione della pandemia di Covid-19 iniziata nel 2020. A gennaio la situazione si fa insostenibile. A causa di provvedimenti tanto coercitivi quanto inutili si superano i 250 mila contagi quotidiani. La propaganda, scatenata a favore di un vaccino privo di qualsiasi capacità di immunizzazione, ha indotto un odio feroce nei confronti di tutti coloro, incolpevoli, che hanno fatto una scelta diversa da quella imposta dal regime. Provvedimenti come il Green pass, nelle sue molteplici forme, hanno soppresso i diritti umani, civili e sociali di una minoranza composta da quasi nove milioni di individui. Numero a cui vanno aggiunti i genitori vaccinati che si sono rifiutati di far sottostare i propri figli al ricatto della somministrazione di un farmaco sperimentale. Crimine, quello di imporre una vaccinazione inutile a bambini e adolescenti, sicuramente tra i più gravi mai perpetrati da un governo nei confronti dell’unico futuro possibile del paese, i giovani.

Con il passare del tempo tutte le menzogne pandemiche sono venute a galla: l’immunizzazione nulla, anzi negativa dopo sei mesi dall’ultima somministrazione; il sostanziale e generalizzato abbassamento delle difese immunitarie, causato da vaccini e restrizioni che ha ritardato l’endemizzazione del virus; la blanda se non addirittura inesistente difesa contro le forme più gravi; il protocollo di cura sbagliato (“Tachipirina e vigile attesa”), divenuto la principale causa di morte da Covid; accanimento contro l’uso di antinfiammatori, del plasma iperimmune, delle cure precoci e domiciliari con il medico in presenza.

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tempofertile

Poche note sulla morte di Joseph Ratzinger

di Alessandro Visalli

funerale papa 158786.660x368Sono stato pochi giorni fuori dall’Italia, raggiunto a stento dalla notizia della morte del papa emerito Benedetto XVI e quindi ignaro della sorprendente ricezione della notizia. Improvvisamente alla vicenda terrena del vescovo cattolico sono state appiccicate etichette e bandierine da parte dei più diversi attori. L’intero sistema dei media, come un sol uomo, ha montato il racconto del santo e dell’eroe (nonché del genio) mentre molta parte della cosiddetta “area del dissenso”[1] ha ricalcato lo schema, riproducendovi sopra i propri stilemi.

Entrambi, abbastanza palesemente, utilizzando l’uomo contro il papa in carica che ha diverse colpe: non si allinea con il sufficiente entusiasmo alla parte dei ‘buoni’ nella guerra in corso contro la Russia[2], sostiene ancora, se pure in forma attenuata e dilavata, temi pauperistici ed anticapitalisti (peraltro tradizionali nella plurimillenaria istituzione che dirige)[3]. Ha sbandierato vistosamente uno scontro con la Curia nei primi mesi del suo papato, probabilmente giungendo ad un ‘modus vivendi’ negli ultimi. Il discorso di Francesco è del resto fortemente antimondialista e radicalmente opposto alle deviazioni dell’economia finanziarizzata, come si può apprezzare in questo frammento all’avvio della sua ultima enciclica.

“12. ‘Aprirsi al mondo’ è un’espressione che oggi è stata fatta propria dall’economia e dalla finanza. Si riferisce esclusivamente all’apertura agli interessi stranieri o alla libertà dei poteri economici di investire senza vincoli né complicazioni in tutti i Paesi. I conflitti locali e il disinteresse per il bene comune vengono strumentalizzati dall’economia globale per imporre un modello culturale unico.

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lafionda

La macchina della propaganda

di Alberto Bradanini

Introduzione

propaganda 1Secondo la narrativa dominante, la propaganda, vale a dire la sistemica produzione di falsità, colpirebbe solo le nazioni prive di libertà di espressione, i paesi autocratici, autoritari o dittatoriali (appellativi, invero, attribuiti a seconda delle convenienze). Nei paesi autoritari, con qualche diversità dall’uno all’altro, il quadro è piuttosto evidente, domina la censura: alcune cose si possono fare, altre no. A dispetto delle apparenze, tuttavia, anche nelle cosiddette democrazie, l’obiettivo è il medesimo, controllare il disagio della maggioranza contro i privilegi della minoranza, cambia solo la tecnica, una tecnica basata sulla Menzogna, che opera in modo sofisticato, creando notizie dal nulla, mescolando bugie e verità, omettendo fatti e circostanze, rimestando abusivamente passato e futuro, paragonando ostriche a elefanti.

Confondendo ulteriormente il quadro, per il discorso del potere – in cima al quale, a ben guardare, troviamo sempre l’impero americano in qualche sua incarnazione – i paesi autoritari sono poi quelli che non si piegano al dominio dell’unica nazione indispensabile al mondo (Clinton, 1999), colonna portante del Regno del Bene.

Coloro che dominano la narrativa pubblica, dunque, controllano la società e per la proprietà transitiva la ricchezza e le inquietudini che vi si aggirano. D’altra parte, persino chi siede in cima alla piramide è inquieto, preso dall’angoscia di perdere ricchezza e potere. E la coercizione non basta, occorre il consenso e il ruolo della propaganda è quello di disarticolare il conflitto, contenere quel malessere che si aggira ovunque come un felino in attesa della preda.

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marxdialectical

Annuntio vobis gaudium magnum: habemus papam!*

Ratzinger, a Roma via Friburgo

di Roberto Fineschi

hbnhhjkb1. Il “pastore tedesco”

L’evento è stato mondiale, oggi più che in passato. L’esposizione mediatica cui la Chiesa Cattolica (d’ora in poi CC) è stata sottoposta sotto Giovanni Paolo II ha reso l’elezione pontificia un fatto più internazionale che mai. Chi gode della parabola o delle fibre ottiche avrà ammirato in varie lingue – dall’inglese al francese, passando per il tedesco – agonia e funerali del fu regnante, preparativi ed elezione del nuovo: una vera e propria ubriacatura eterea.

Della concezione politico-sociale di fondo – o della Dottrina Sociale che dir si voglia – della CC si è già detto in passato (vedi Contraddizione, n. 77), vediamo che riflessioni si possono fare oggi a proposito del nuovo pontefice: Joseph Ratzinger. Il “pastore tedesco”, come è stato beffardamente ma efficacemente battezzato dal quotidiano “Il manifesto”, ha sfatato la consuetudine per cui chi entra papa esce cardinale; dato per vincente dai bookmaker, ha pagato poco chi ha scommesso su di lui: entrato papa è uscito papa col nome di Benedetto XVI.

Nato in Baviera nel 1927 in una famiglia profondamente cattolica da padre gendarme, non è tuttavia filo-nazista – così si legge nella sua autobiografia1 – anzi vive con apprensione l’entrata in guerra e la politica espansionistica hitleriana. Non ancora diciottenne, Joseph prenderà parte al conflitto nella contraerea – ma lui non spara – quando l’esercito tedesco era arrivato ad arruolare perfino i ragazzini. Studia teologia e si fa la fama di “liberal”, tanto che, giovanissimo, partecipa al Concilio Vaticano II come consulente del cardinal-arcivescovo di Colonia Frings; i buontemponi in rosso lo battezzano bonariamente il “teenager” in quanto, allora poco più che trentenne, tale sembrava in mezzo a tante cariatidi.

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contropiano2

Euroatlantismo. Come l’Occidente va alla guerra

di Giacomo Simoncelli

Nato truppe schierateQuasi due mesi fa è stato pubblicato il 2023 Index of U.S. Military Strenght del think tank Heritage Foundation, istituto molto vicino ai Repubblicani al punto da dedicare il sostanzioso studio al senatore dell’Oklahoma James M. Inhofe.

Non è uno dei nomi più conosciuti al di qua dell’Atlantico, eppure Inhofe è dalla fine del 2017 uno dei più importanti esponenti dello United States Senate Committee on Armed Services, poco dopo ha avuto un ruolo chiave nel promuovere lo stanziamento record di 716 miliardi di dollari per l’anno fiscale 2019 del Pentagono e da anni è indicato da GovTrack.us – piattaforma nata con l’intento di rendere più trasparente l’attività e la composizione delle camere statunitensi – come tra i membri più conservatori del Congresso, date anche le sue posizioni da negazionista del cambiamento climatico.

Questo per chiarire le idee sull’orientamento politico dell’Heritage Foundation.

Torniamo appunto all’Index. Arrivato alla sua nona edizione, rappresenta una fonte di informazioni straordinaria non solo per conoscere in dettaglio le linee strategiche che guidano gli USA, ma – se messo in relazione con gli indirizzi degli altri attori che in un modo o nell’altro stanno facendo emergere un mondo multipolare – diventa quasi uno strumento di formazione politica, in una fase in cui lo stallo della competizione globale si è rotto.

Questo articolo infatti nasce dalla necessità di indagare la configurazione concreta che sul piano militare l’imperialismo europeo in costruzione potrebbe assumere, con un salto di qualità sospinto dalla guerra in Ucraina, per meglio sapere come e dove combatterla.

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volerelaluna

Pacifismo radicale. Non c’è giustizia senza pace

di Francesco Coniglione

135459607 fda28e32 e61f 43b1 b9d7 0cbe0382c195La discussione sul pacifismo ha trovato nuovo alimento dalle recenti vicende belliche, di cui la questione Ucraina è la più scottante. Ma una chiarificazione sul suo senso non può incanaglirsi nella discussione minuta dei singoli fatti o nella esibizione più o meno impattante di morti e distruzioni, magari con attribuzioni di colpe che fanno proprie in modo acritico la versione di uno dei due contendenti. È necessario, a mio avviso un discorso più di fondo, che parte dalla radice e che quindi dia del pacifismo una lettura “radicale”.

A tale fine vorrei partire da un assunto da me presupposto a tutto il ragionamento che verrà: nessun valore, nessun ideale, nessuna visione del mondo o ideologia può valere più della vita di uomini, donne, anziani e soprattutto bambini. Non v’è nessuna giustificazione, di nessun tipo, che possa essere addotta per la morte e lo spegnersi del sorriso di un fanciullo, nessuna libertà o indipendenza che possa essere ritenuta prioritaria rispetto alla distruzione, della miseria e della sofferenza di una popolazione.

Perché alla morte non c’è riparo e una vita spezzata lo è in modo definitivo, mentre qualsiasi altro valore o principio, se perduto, può essere riconquistato, ritrovato: la storia non è mai “per sempre” e ogni condizione politica, sociale, economica può essere cambiata col tempo e la perseveranza degli uomini. La vita è invece data una sola volta e la morte è irreversibile.

Vedo subito la prima obiezione: con questo atteggiamento ciascuno – uomo o popolo – sarà preda del primo violento che se ne voglia approfittare. E di fronte a tale tipo di violenza, si ritiene che vi possa essere una “guerra giusta”, per difendere se stessi e i propri cari.