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laboratorio

Le pressioni di mercati e UE su una Francia in crisi

di Domenico Moro

Melenchon.jpgLe elezioni francesi hanno restituito una assemblea nazionale (il parlamento francese) spaccata in tre blocchi, nessuno dei quali in possesso della maggioranza su cui far nascere un governo con un chiaro colore politico. L’incertezza su quale sarà il futuro governo del secondo paese della UE e unica potenza nucleare europea sta preoccupando i mercati, o, per dirla in altri termini, il grande capitale finanziario francese ed europeo. Del resto la Borsa francese all’indomani delle elezioni è calata dello 0,63%. A destare preoccupazione, una volta sventato il pericolo rappresentato dalla estrema destra, temuta per il suo euroscetticismo e per le posizioni sulla guerra in Ucraina, è la vittoria relativa del Nuovo fonte popolare (Nfp) e in particolare l’egemonia che all’interno di esso esercita il partito di estrema sinistra de La France Insoumise (LFi) guidata da Melenchon. Infatti, il programma di Melenchon metterebbe in crisi il percorso di austerità iniziato dal governo Macron, che ha raggiunto il suo apice con l’approvazione della legge sulla controriforma delle pensioni, che è stata varata senza il voto del Parlamento, un autentico vulnus alla sovranità popolare esercitata attraverso il legislativo. Senza contare che LFi ha posizioni tutt’altro che allineate sulla guerra in Palestina e in Ucraina. L’obiettivo dei mercati è quindi quello di far fuori Melenchon e LFi e puntare su un governo di coalizione guidato o da un politico di cui hanno fiducia, come il socialista ed ex presidente della Repubblica Hollande, o da una figura “tecnica” come si fece in Italia con Monti e Draghi.

Una cosa però è chiara: qualsiasi governo verrà formato avrà sul collo il fiato della finanza francese e internazionale. Il problema è che la Francia è un paese non solo in grave crisi sociale, come provano le numerose e imponenti lotte di massa che si sono succedute in questi anni, ma anche economica, politica, e geopolitica.

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sollevazione2

Sei cose sulla Francia (e non solo)

di Leonardo Mazzei

fronte popoare .jpgDunque, anche il secondo turno delle elezioni legislative francesi è alle nostre spalle. I giornaloni enfatizzano la sconfitta del Rassemblement National (RN) e la relativa tenuta di Macron. Il clima è di scampato pericolo: l’Ue può andare avanti con Ursula Pfizer von der Leyen ed il fronte anti-russo non perderà pezzi. Sacrifici e guerra son dunque garantiti. Questa la sostanza del sospiro di sollievo dei media del regime.

Che i loro auspici si realizzino è tutto da vedere, ma per lorsignori questo è il momento dei festeggiamenti. Guai ad ogni analisi che vada un po’ più a fondo. A ogni ragionamento che turbi i loro sogni. Stessa cosa a “sinistra”, dove l’arte del prender fischi per fiaschi è da gran tempo la più praticata.

Proviamo allora a fornire qualche spunto di riflessione, tanto su ciò che è accaduto, quanto su quello che potrebbe accadere.

 

  1. L’effetto distorsivo dei sistemi elettorali

Nella pittoresca “sinistra” italiana ci si esalta sia per la “travolgente” vittoria dei laburisti in Gran Bretagna (mica son massimalisti loro…), sia per la “grande” sconfitta dei lepenisti in Francia. Davvero un clamoroso paradosso, reso possibile solo dai meccanismi distorsivi delle leggi elettorali. Nessuno che dica che se in Francia si fosse votato con il sistema inglese, Bardella si sarebbe già insediato a Palazzo Matignon, con un’ampia maggioranza di seggi in parlamento.

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La crisi sistemica dell’Ue e la necessità della rivoluzione

di Fosco Giannini

crisi sistemica militare.pngLa verità è quella che appare? Si può essere rivoluzionari senza la teoria e la pratica della “preveggenza”? I comunisti debbono essere rivoluzionari e lavorare per la rivoluzione? Tre domande preliminari per un più vasto dibattito.

Tre domande preliminari: la verità è quella che appare? Si può essere rivoluzionari senza la teoria e la pratica della “preveggenza” e, cioè, senza “navigare” nei flussi carsici delle fasi storiche in cui i comunisti lottano? I comunisti debbono pensare alla rivoluzione e per essa attrezzarsi?

Sono tre domande, con le conseguenti risposte, attorno alle quali intenderemmo organizzare una prima riflessione volta esplicitamente all’apertura di una più vasta discussione sullo “stato delle cose” nell’area dell’Ue e sulla verosimiglianza o meno, in questa stessa area, di condizioni in divenire potenzialmente rivoluzionarie.

Che la verità non sia quella epidermica, quella che appare, è una costatazione ovvia e persino stucchevole, nella sua ovvietà. Ma è ovvia e stucchevole solo se la si formula da una postazione di razionalità. Poiché se formulata da una postazione di “superstizione” (che è quella della stragrande maggioranza, del senso comune di massa, “superstizione”, tanto per acuminare la precisione, che può avere come sinonimo la credenza popolare vana) la verità torna a essere esattamente quella fenomenica interpretata dai sensi e non quella profonda indagata dalla scienza e auscultata dagli esploratori dei moti carsici: i rivoluzionari, in questo senso “preveggenti”. Come il Lenin de «Lo sviluppo del capitalismo in Russia», una delle sue prime opere, iniziata nel 1896 nel carcere di Pietroburgo e terminata, in cattività, in Siberia, nel villaggio di Sciuscenkoie, un’opera che attraverso l’analisi della realtà prepotentemente in divenire, ma non percettibile dagli “avatar” della “superstizione”, evoca i moti carsici sui quali fondare, dando a esso plausibilità, il processo di violenta trasformazione sociale e ideologica che avrebbe portato, solo 21 anni dopo, all’assalto al cielo, all’Ottobre rivoluzionario.

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linterferenza

Il “fascismo” contemporaneo non veste l’orbace

di Norberto Fragiacomo

630 360 1718293752 1970.jpegUna compagnia di spettri si aggira per l’Europa odierna, ma a capitanarla non è di certo una larva in fez e camicia nera, anche se qualche politicante e schiere di imbonitori mediatici sostengono allarmati (rectius: allarmisti) il contrario.

Vediamo di essere più precisi: un nuovo autoritarismo si sta per davvero affermando, e anzi a livello continentale è già dominante, ma non si identifica con i gruppuscoli di giovinastri nostalgici che marciano nerovestiti nelle vie di un borgo laziale e nemmeno con i quadri intermedi di un partito che è la versione 2.0 del MSI di Almirante. Che i meno accorti, cresciuti con quei miti, si lascino ogni tanto sfuggire un saluto romano o un Sieg Heil! è abbastanza scontato, così come non deve sorprendere che questo o quel “federale” di lungo corso sia restio a pronunciare un’abiura che striderebbe peraltro con lo spirito dei tempi. Ma come? – potrebbe ribattere il caporione di turno all’intervistatore beneducato e democratico – non siamo tutti d’accordo nel sostenere l’eroica battaglia del reggimento Azov, che la sua “fede” la esibisce con fierezza, e nel condannare il mostruoso comunismo sovietico che ha prodotto l’aggressore Putin? Non concordiamo sul fatto che il nemico sono i barbari orientali, che la NATO è un presidio di libertà e che Israele va difeso, costi quel che costi? Non abbiamo gioito insieme per la liberazione di quei quattro ostaggi, scrollando le spalle di fronte alle duecento vittime collaterali palestinesi? Noi stiamo dalla stessa parte, amico democratico: è questo ciò che conta, tutto il resto è folklore.

Ecco: se il post-missino medio muovesse oggidì una siffatta obiezione a chi, da alfiere del mainstream neoliberale, ostenta raccapriccio per certi riti e atteggiamenti, dovremmo a malincuore riconoscere che il ragionamento non fa una piega: oggetto di quotidiane reprimende retoriche, che sono a loro volta folklore, il fascismo lato sensu inteso risulta ormai nei fatti sdoganato da un sistema che tutt’al più gli chiede un minimo di compostezza e buone maniere in società.

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intelligence for the people

Assange, un viaggio nel Pacifico, e le maschere dell’Occidente

di Roberto Iannuzzi

Washington e i suoi alleati europei continuano a minare quella patina di democrazia e promozione dei diritti umani che Assange ha il merito di aver smascherato con il suo lavoro di giornalista

4ac86eb8 8e93 4912 8bcc 82a6d29b1b4a 2047x1365Dopo una battaglia durata 14 anni, 5 dei quali trascorsi a Belmarsh, famigerato carcere di massima sicurezza alla periferia di Londra, il fondatore di Wikileaks Julian Assange ha dunque inaspettatamente ottenuto la libertà.

Il giornalista australiano rischiava 175 anni di carcere per ben 18 capi d'accusa presentati dall'amministrazione Trump, poi presi in carico dal successore Biden.

Per 5 anni, il Dipartimento di Giustizia americano aveva ignorato gli appelli di tutto il mondo a far cadere le accuse dell’Espionage Act rivolte contro Assange.

 

Un patteggiamento improvviso

Tutto è cambiato a maggio, dopo che l'Alta Corte di Giustizia britannica aveva concesso al fondatore di Wikileaks un'udienza di appello sulla richiesta di estradizione negli Stati Uniti.

L'Alta Corte aveva ritenuto che il governo statunitense non avesse fornito garanzie soddisfacenti sul fatto che Assange potesse contare su una difesa in base al Primo Emendamento, se fosse stato estradato e processato negli USA.

Il Dipartimento di Giustizia, forse temendo di perdere la causa, si è affrettato a giungere a un patteggiamento con il team legale di Assange.

I procuratori statunitensi hanno accettato una dichiarazione di colpevolezza per una singola accusa di cospirazione ai sensi della legge sullo spionaggio, senza ulteriori pene detentive rispetto al periodo da lui già scontato in prigione.

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I cinque principi per la coesistenza pacifica e il ruolo del Partito comunista

di Gianmarco Pisa*

originalnub.jpgUn’analisi in occasione del 70° anniversario della proclamazione dei Cinque principi per la coesistenza pacifica e all’indomani del 103° anniversario della fondazione del Partito comunista cinese. Non solo la capacità del marxismo e del leninismo, attraverso gli strumenti del pensiero e dell’opera di Marx e di Lenin, del materialismo e della dialettica, di adattarsi e di corrispondere ai diversi contesti nazionali, ma anche la sua straordinaria modernità, nel costruire percorsi autonomi, originali, di pace, progresso, giustizia sociale.

Un’importante conferenza, in occasione del 70° anniversario dei Cinque principi per la coesistenza pacifica, si è svolta lo scorso 28 giugno, a Pechino, con la partecipazione di oltre seicento persone, tra rappresentanti istituzionali, diplomatici provenienti da oltre cento Paesi, studiosi, analisti, ricercatori e media.

La ricorrenza non è importante solo per il suo aspetto celebrativo, quanto, in particolare, per la stringente attualità delle questioni cui rimanda. I Cinque principi furono infatti avanzati, per la prima volta, dall’allora premier cinese Zhou Enlai il 31 dicembre 1953 in occasione di un incontro con una delegazione del governo indiano; successivamente, nel giugno 1954, lo stesso premier cinese visitò l’India e l’allora Birmania (oggi Myanmar); al termine di questo percorso diplomatico, nel mondo uscito dalla Seconda guerra mondiale, nel quale si andava sempre più consolidando la contrapposizione bipolare propria della Guerra fredda e in cui maturavano i presupposti delle grandi lotte di liberazione contro il colonialismo e per l’affermazione, a partire dal 1961, del Movimento dei non allineati, le due dichiarazioni congiunte, Cina-India del 28 giugno 1954 e Cina-Birmania del 29 giugno 1954, avanzavano i Cinque principi per la coesistenza pacifica come principi guida nelle rispettive relazioni bilaterali e, in generale, come criterio generale per le relazioni internazionali.

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jacobin

Le basi istituzionali di un panico morale

di Donatella Della Porta

Note sulla repressione della solidarietà con la Palestina in Germania: come si costruisce il folk devil

germania israele jacobin italia 1536x560.jpgNell’aprile del 2024, la filosofa Nancy Fraser, lei stessa ebrea, ha visto il suo contratto per la cattedra Albertus Magnus rescisso unilateralmente dall’università di Colonia. Nella dichiarazione firmata dal rettore dell’università si legge che: «è con grande rammarico che la cattedra Albertus Magnus 2024 non sarà assegnata. Il motivo è la lettera pubblica ‘Filosofia per la Palestina’ del novembre 2023, firmata dalla professoressa di filosofia Nancy Fraser, invitata alla cattedra Albertus Magnus. In questa lettera si mette in discussione il diritto di Israele di esistere come ‘Stato etno-suprematista’ dalla sua fondazione nel 1948. Gli attacchi terroristici di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023 vengono elevati ad atto di resistenza legittima. I firmatari chiedono il boicottaggio accademico e culturale delle istituzioni israeliane». Dopo una serie di proteste da parte di professori e istituzioni accademiche, che tra l’altro hanno contestato l’interpretazione del contenuto della lettera pubblica come tendenziosa, l’università ha pubblicato un’appendice in cui si poneva l’accento sull’appello al boicottaggio, citando i numerosi legami con le istituzioni accademiche israeliane come componente centrale delle attività dell’università: «Quando si considera la questione, non si tratta di decidere se alla signora Fraser viene data o meno una piattaforma all’Università di Colonia. Si tratta piuttosto del fatto che la cattedra Albertus Magnus è un onore speciale conferito dall’intera università. Naturalmente è difficile conciliare questo con l’invito a boicottare le istituzioni partner israeliane contenuto nella dichiarazione “Filosofia per la Palestina”, quando noi dell’Università di Colonia abbiamo così tanti legami con istituzioni partner in Israele». Mentre la decisione di offrire la cattedra era stata presa nel 2022 e la lettera aperta era datata novembre 2023, la cancellazione è avvenuta poche settimane prima che la professoressa tenesse la sua lezione, quando il rettore era in visita in Israele.

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ilpungolorosso

Il capitalismo britannico cambia cavallo per non cambiare nulla. I lavoratori potranno accettarlo?

di Il Pungolo Rosso

Keir starmer 1Le elezioni anticipate in Francia e Gran Bretagna, tra fine giugno e la prima settimana di luglio, preannunciano scossoni politici ma, a guardar bene, più di facciata che di sostanza: in Francia sarà il ballottaggio a decidere se il Rassemblement National di Le Pen otterrà la maggioranza in Parlamento; in Gran Bretagna è data per certa la vittoria dei laburisti dopo 14 anni di governo Tory. Quel che è certo è che l’alternanza politica nel Regno Unito non porterà a grossi cambiamenti della linea politica dei precedenti governi conservatori, soprattutto sul tema della guerra e dell’economia di guerra, su cui convergono praticamente tutti i partiti che sono nel “gioco” elettorale. D’altra parte l’attuale leader laburista, Keir Starmer, diversamente dal suo predecessore Jeremy Corbyn, compete con il premier conservatore Rishi Sunak e con i liberaldemocratici per il sostegno del grande capitale, che gli sta facendo credito.

 

Più cannoni, meno burro

Un esame dei programmi dei due principali partiti britannici, il laburista dato in vantaggio con il 40% dei voti contro il 20% dei conservatori, ci conferma il fatto che entrambi sono accomunati da ciò che le rispettive borghesie imperialiste ritengono essenziale: il riarmo con l’aumento della spesa per quella che è ipocritamente chiamata la “Difesa”, nonché l’appoggio all’Ucraina contro la Russia. Anche i liberaldemocratici sono allineati in politica estera, mentre solo il partito populista anti-immigrati di estrema destra, Reform UK di Nigel Farage, che i sondaggi danno al terzo posto con il 16,5% dei voti, esprime posizioni più mediate nei confronti della Russia.

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dellospiritolibero

“Mario dacci la linea”

Antonio Gnoli intervista Rita di Leo

IMG 2278 500x380.jpgA volte dice: questo non lo scrivere. A volte però insiste: questo ci terrei che lo dicessi. È ondivaga Rita di Leo, la donna che abbracciò l’operaismo come forma suprema di emancipazione: «Furono anni interessanti che naufragarono in una disfatta. Eravamo io, Mario, Alberto e Umberto. Venivano da me. Giuseppina cucinava, e che piatti faceva… Discutevamo, anche con accanimento. Ma se oggi mi guardo indietro loro, i miei amici, non ci sono più. E non c’è più neanche Giuseppina. Come vedi sono sola. Abbracciata alla mia memoria». Ho letto con curiosità il nuovo libro di Rita di Leo: L’età dei torbidi (edito da DeriveApprodi). L’età in cui tutto si confonde e alla fine c’è un solo vincitore.

* * * *

C’è ancora la lotta di classe su cui tu hai scritto, sperato, partecipato?

«Morta e sepolta, almeno quella alla quale noi avevamo dato il nostro appoggio».

 

Dici noi, a chi pensi?

«Mario Tronti, Alberto Asor Rosa, Umberto Coldagelli, io. E poi si aggiunsero Toni Negri, Massimo Cacciari e altri ovviamente. Tutto ebbe inizio con Raniero Panzieri. Ma non vorrai fare la storia dell’operaismo».

 

Vorrei capire il tuo punto di vista di donna allora molto giovane e impegnata.

«Ti dico subito che non sono mai stata iscritta al partito comunista. Ma a 16 anni percepivo acutamente le ingiustizie sociali. Forse in questo agevolata dal sentimento della famiglia».

 

Che famiglia era la tua?

«Decisamente borghese. Un padre avvocato, una madre pedagogista. Due fratelli, uno dei quali era Fernando di Leo, regista cinematografico».

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sollevazione2

Francia: chi votare alle prossime legislative?

di Jacques Nikonoff

elezioni francia.jpgMolti si chiedono quali siano le vere ragioni che hanno spinto il Presidente della Repubblica a sciogliere l’Assemblea Nazionale. Al di là del narcisismo patologico dell’individuo, ci sono ragioni politiche ben ponderate. Ad esempio, un gruppo di consiglieri di Emmanuel Macron, una decina di persone — “cocciniglie” secondo l’ex ministro delle Finanze Bruno Lemaire — ha lavorato a questo piano per diversi mesi nella massima segretezza. L’obiettivo dello scioglimento era quello di rafforzare il “blocco centrale” (Macronisti) sfruttando le debolezze e le divisioni a sinistra e a destra. Infatti, a sinistra e tra gli ecologisti, diverse personalità si erano unite a Macron, così come molti dirigenti dei Repubblicani (LR).

Di fronte alla crisi politica e all’ansia che la dissoluzione avrebbe provocato, l’obiettivo era quello di spaventare i cittadini con la solita retorica del rischio dei “due estremi”, Marine Le Pen e il Rassemblement National (RN) da una parte, Jean-Luc Mélenchon di La France Insoumise (LFI) dall’altra. La prima ha ottenuto il 23,15% dei voti espressi al primo turno delle elezioni presidenziali del 2022 e si è qualificata per il secondo turno con il 41,45%, mentre Jean-Luc Mélenchon ha ottenuto il 21,95% al primo turno. Il caso sembrava semplice e ovvio.

Ma questa strategia è fallita miseramente. Sfidando tutte le previsioni, la sinistra ha formato un cartello elettorale chiamato Nuovo Fronte Popolare (NFP), mentre una parte dei repubblicani si è unita al RN invece che al partito di Macron. Nessuno si è unito al “polo centrale” perché oggi la mangiatoia è vuota e la prospettiva è quella di una batosta alle elezioni legislative.

La posta in gioco nelle elezioni legislative del 30 giugno e del 7 luglio è duplice: o una maggioranza assoluta per il Rassemblement National o per il Nouveau Front Populaire, improbabile ma comunque possibile; o una maggioranza relativa nell’Assemblea Nazionale per uno dei due.

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ilpungolorosso

Francia: tre proposte politiche, l’una più reazionaria e anti-proletaria dell’altra

di Il Pungolo Rosso

Macron Le Pen MelenchonLe elezioni anticipate in Francia a meno di un mese da quelle europee offrono tre alternative della stessa salsa nazionalista, e qualunque sarà il risultato, il prossimo governo francese proseguirà sulla strada del riarmo e dell’economia di guerra.

Riponiamo le nostre speranze non nella vittoria di un “nuovo fronte popolare” tutto interno al sistema, ma nella ripresa delle lotte sociali e nella presa di coscienza e mobilitazione internazionalista contro tutte le guerre del capitale, e contro il “nemico interno” che le prepara e alimenta.

* * * *

Il risultato delle elezioni europee del 10 giugno 2024, in Francia, con l’affermazione del Rassemblement National i come primo partito, ha indotto il presidente Macron a sciogliere l’Assemblea Nazionale e indire nuove elezioni politiche per il 30 giugno. Un azzardo secondo molti, comunque un calcolo che si basa sulla speranza, forse mal riposta, di arrivare comunque al ballottaggio grazie a una maggiore affluenza alle urne ii, e di avere di nuovo i voti della sinistra contro la destra, quale “male minore”. iii

 

Macron accusa il colpo e gioca l’azzardo

Il risultato alle Europee non costringe Macron alle dimissioni, tuttavia lo indebolisce in Europa, dove i 13 seggi del suo partito Renaissance lo ridimensionano dentro Renew Europe, che scesa a 79 seggi è a sua volta socio di minoranza nella coalizione a guida Von der Leyen – PPE (Partito Popolare Europeo), 186 seggi, e S&D (Socialisti e Democratici), 135 seggi iv. Anche se il RN della Le Pen con i suoi 30 seggi è sì maggioranza in ID (Identità e Democrazia) che tuttavia coi suoi 59 seggi non ha i numeri per riunire una maggioranza alternativa v. Il voto europeo indebolisce quindi la posizione dell’imperialismo francese nel Parlamento UE, e indirettamente nel Consiglio e nella prossima Commissione Europea.vi

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chartasporca

Cittadini ucraini “russi”, “russofoni” e “filo-russi”: un po’ di chiarezza

di Andrea Muni

Prima puntata di un trittico di approfondimento sulla guerra civile ucraina e sul conflitto russo-ucraino (qui il link alla presentazione)

083959237 d7669462 c392 4079 a97d 2766f12b5d07.jpgRiavvolgere il filo

Dopo il golpe/rivolta di Maidan del 2014 la fazione politica filo-occidentale e nazionalista che ha preso il potere nel Paese ha cercato di far passare in Occidente, con l’avvallo dei media, l’idea che non esista una parte considerevole di ucraini che è russo-ucraina, russofona e, in certi casi, filorussa. In questo approfondimento chiariremo come questi tre termini indichino tre cose diverse, da non confondere e sovrapporre necessariamente. Per la narrazione ultra-nazionalista filo-occidentale sposata dai nostri media, questi ucraini (russi, russofoni e/o filorussi) sarebbero una sorta di serpe in seno, un corpo estraneo, uno sparuto nemico interno eterodiretto dai russi da scacciare o rieducare. Eppure questi ucraini popolano buona parte del Sud e dell’Est del Paese, dove è condensata la minoranza etnica russa, dove gli ucraini sono maggioritariamente russofoni e dove è più frequente incontrare persone di orientamento geopolitico filo-russo. I cittadini ucraini che la nostra propaganda definisce genericamente filorussi: 1) raramente sono a favore o entusiasti della guerra, che infuria soprattutto nella loro parte di Ucraina e di cui patiscono nella carne e negli affetti come ogni altro ucraino, 2) non sono affatto tutti ideologicamente putiniani o ultra-nazionalisti, spesso sono anzi nostalgici dell’Urss, 3) non desiderano necessariamente l’annessione alla Federazione Russa, né tanto meno la desideravano dieci anni fa allo scoppio della guerra civile, 4) non si trovano solo nel Donetsk e nel Luhansk, ma sono diffusi in tutto l’Est e il Sud.

I cosiddetti filorussi sono quindi una parte dei cittadini ucraini dell’Est e del Sud del Paese, che è accomunata da alcune posizioni:

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lantidiplomatico

Il problema dei diritti fondamentali negli Stati Uniti (e non solo)

di Paolo Arigotti

720x410c50dthcg.jpgFabrizio De André, in uno dei suoi pezzi più celebri[1], cantava “Si sa che la gente dà buoni consigli, Sentendosi come Gesù nel tempio, Si sa che la gente dà buoni consigli, Se non può più dare cattivo esempio”.

Se applicassimo lo stesso principio ai rapporti internazionali, allora emergerebbe come in diversi stati, di ieri e di oggi, specialmente tra quelli che si ergono a difensori dei diritti umani – contemplati nella dichiarazione del 10 dicembre 1948, uno dei primi documenti approvati dall’Assemblea generale dell’ONU[2] - magari utilizzando tale scudo per giustificare una serie di azioni discutibili, esistono una serie di problemi di non poco conto: un qualcosa che potremmo facilmente inquadrare in quei “buoni esempi” di cui parlava il famoso cantautore genovese.

In effetti, gli Stati Uniti d’America detengono una serie di poco invidiabili primati sul fronte dei diritti umani.

Se molto si potrebbe dire, ed è stato detto, sulle guerre illegali (secondo lo statuto delle Nazioni Unite) condotte in giro per il mondo[3], magari in nome della presunta “esportazione della democrazia”, oggi preferiamo soffermarci sul versante interno.

Prima di spostare la nostra attenzione sulla realtà degli States, ci sembra importante ricordare come da più parti sul banco degli imputati vengano messe le enormi spese militari, che così tanto incidono sul debito americano, dovute non solo alle operazioni belliche tout court, ma anche al mantenimento di un colossale apparato – composto di basi, installazioni e forze dislocate nei quattro angoli del pianeta – che sottraggono non poche risorse alla cittadinanza.

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lafionda

Dall’indignazione all’azione

di Davide Sali

4 1 1021x557 1.jpg«La base psicologica su cui si erge il tipo delle individualità metropolitane è l’intensificazione della vita nervosa, che è prodotta dal rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni esteriori e interiori.»

«Quella rapida successione e quella fitta concentrazione di stimoli nervosi contraddittori […] sollecita costantemente i nervi a reazioni così forti che questi alla fine smettono di reagire.»

G. Simmel, La metropoli e la vita dello spirito

Quante volte capita di sentire, all’interno del soverchiante flusso di informazioni a cui siamo impietosamente sottoposti tutti i giorni, frasi come “le immagini della guerra indignano”, “è opportuno condannare con fermezza le infelici uscite del tal ministro”, “si deve stigmatizzare senza ambiguità il terribile episodio” o, infine, l’immortale “è polemica!”. Queste espressioni si trovano nel linguaggio giornalistico quando si deve riportare brevemente una vasta reazione dell’opinione pubblica, per esempio legata al clamore scaturito da certi fatti. Ma si trovano altresì nel linguaggio istituzionale: sono cioè gli stessi politici o personalità pubbliche che le utilizzano direttamente al di là della mediazione giornalistica. Questo fatto, lungi dal rappresentare un semplice vizio di forma volto magari a rendere fruibile brevemente un pensiero complesso, è sintomatico dell’atteggiamento prevalente con cui si affrontano tematiche di attualità e non nasconde nessun pensiero complesso: è, al contrario, tutto il pensiero. Ciò significa che oltre la presa di posizione, la condanna a parole, la stigmatizzazione estemporanea non c’è nient’altro. A titolo d’esempio, cos’è la richiesta ripetitiva e pedante del PD affinché l’attuale esecutivo “condanni” esplicitamente il fascismo se non una genuina espressione del loro modo di pensare e una effettiva indicazione dell’unica differenza che li separa da FdI?

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fuoricollana

La Palestina in testa

di Donato Caporalini

La Palestina è una Storia che ritorna, un passato che non passa. L’ultimo esempio di colonialismo di insediamento, pulizia etnica e apartheid su vasta scala. Nessuno di noi sarà davvero libero finché non faremo davvero i conti con il colonialismo e il razzismo

Gaza senza aiuti.jpgC’è rabbia. C’è dolore. Chi legge Ernesto Galli della Loggia sulla prima del Corriere lo capisce subito che l’uomo ci soffre. Poveretto! Ancora una volta i suoi occhi vedono una masnada di barbari, venuti chissà da dove, deturpare il volto bello della civiltà liberale. Gente orribile. Ignoranti. Al cui confronto i contestatori del 68 meritano un sentimento di nostalgico rimpianto: quelli almeno avevano letto Marcuse! E anche se si ispiravano a Lenin, e perfino a Stalin, con loro ci si poteva intendere. Oggi invece… Eh, che tempi!

Ma la colpa è di chi le alleva queste capre ignoranti. Che osano rinfacciare a Israele e all’Occidente liberale la giusta punizione che stanno infliggendo ai palestinesi. Che mordono la mano che li cresce. Ingrati. E suicidi. Perché quello che in realtà cercano con le manifestazioni e le occupazioni dei campus universitari è nientemeno che la distruzione dell’Origine. La rimozione del Padre. La negazione dell’ascendenza su cui si fonda tutto l’Occidente. Altro che protestare per i crimini di guerra e la violazione dei diritti umani! Tutte scuse. Questi sono i nostri Nemici peggiori. I Nemici dei nostri Valori, delle nostre Radici. Quelli che rinnegano la nostra Tradizione, la nostra Storia!

 

La Storia del vincitore

Diciamolo: come sono patetici e noiosi i conservatori. Sempre lì a fare le vittime. Sempre a lamentarsi della corruzione dei costumi, della mancanza di Autorità. Sempre a pronosticare sfracelli. E a costruire Nemici interni, alleati del Nemico esterno di turno. Lo fanno ogni volta che la società si divide. Ogni volta che sorge un conflitto. Un conflitto vero. Uno di quelli che possono davvero cambiare la realtà. In meglio o in peggio, certo. Ma cambiarla.