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lafionda

Democrazia, ultimo atto?

di Laura Bazzicalupo

190950931 6d7736ab a0c7 4ed9 80e6 68550bbfac58.jpgIl libro che qui si recensisce – Democrazia: ultimo atto? di Carlo Galli – è il libro di un maestro. Cioè di qualcuno capace di prendere la distanza dal coro dominate del pensiero unico, e indicare una rotta, un modo di pensare critico. Controcorrente rispetto al presentismo assoluto, statico e incapace di ragionare sulla complessità dei fatti, schiacciati su posizioni predefinite. Siano esse ciniche “è così e così deve andare”, o normative-astratte e moraliste: ineffettuali e, alla fin fine, funzionali allo status quo. Eppure l’urgenza è evidente: la democrazia sta morendo, forse è già morta e siamo al suo ultimo atto. Carlo Galli, certo, non poteva scegliere un titolo migliore per trasmettere il senso di urgenza, di fragilità e di chiamata all’impegno. Non c’è quasi più tempo: è l’ultima, più recente crisi della democrazia o è il suo tramonto, il finale del dramma?

Il metodo magistrale di Galli è storico-genealogico: dialettico, attiva anche la radicalità del pensiero negativo. Si fa carico totalmente della contingenza, focalizzando discontinuità e persistenze, sempre contestualizzate. Una storicità dunque non storicista, ma radicale e come tale inevitabilmente geostorica e geopolitica.

La storia non va di moda – al massimo la si evoca per farne un tribunale funzionale alla retorica, falsandola, dunque, e piegandola a piacimento.

Galli ci dice che è ora di riprenderla sul serio, assumendo quel pensiero non analitico e astratto ma dialettico che solo – mettendo in gioco tempi e spazi – rende tangibile appunto la contingenza della democrazia (dice Galli: non è un destino…), la sua fragilità, ma anche la sua modificabilità.

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intelligence for the people

Netanyahu, la parabola del capitalismo israeliano e la crisi di Israele

di Roberto Iannuzzi

E’ ormai una “classe capitalista transnazionale” a controllare le sorti economiche, e spesso anche politiche, del paese. Ed è il premier Netanyahu ad averne supervisionato l’ascesa

d1650a9d 702e 40b3 b1d9 14eb11a33e09 2048x1447A fine ottobre, un gruppo di 300 economisti israeliani ha inviato una lettera al primo ministro Benjamin Netanyahu e al ministro delle finanze Bezalel Smotrich, chiedendo loro di bloccare immediatamente tutte le voci di spesa non essenziali nel bilancio statale, e di riconsiderare le priorità di spesa per far fronte all’incombente crisi economica provocata dalla guerra in corso con Hamas.

“Non cogliete l’entità della crisi che l’economia israeliana sta per affrontare”, affermava la lettera. “Proseguire nell’attuale condotta danneggia l’economia, mina la fiducia dei cittadini nel sistema pubblico e compromette la capacità dello Stato di Israele di riprendersi dalla situazione in cui si trova”.

Tra i firmatari vi era l’ex governatore della Banca di Israele, Jacob Frenkel, ed altri economisti che avevano ricoperto ruoli di spicco nella banca, nel ministero delle finanze, e nel sistema economico e finanziario israeliano.

 

Ripercussioni economiche del conflitto

Secondo un sondaggio, già a fine ottobre circa il 70% delle aziende tecnologiche e delle startup israeliane si trovava a fare i conti con interruzioni delle proprie attività poiché molti dei loro dipendenti erano stati richiamati come riservisti nell’esercito.

Michel Strawczynski, economista presso l’Università Ebraica di Gerusalemme ed ex direttore del dipartimento di ricerca della banca centrale israeliana, ha affermato che due precedenti conflitti – la guerra in Libano nell’estate del 2006 e quella contro Hamas nel 2014 – erano costati a Israele fino allo 0,5% del PIL avendo colpito principalmente il settore turistico.

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italiaeilmondo

La fine del Gabinetto di Guerra

Putin e Moltke spaccano gli Stati

di Big Serge

72c7cf5c 0fcb 4f86 87d3 336881072adb 1663x1036Il secolo che va dalla caduta di Napoleone nel 1815 all’inizio della Prima guerra mondiale nel 1914 è solitamente considerato una sorta di età dell’oro per il militarismo prussiano-tedesco. In questo periodo, l’establishment militare prussiano ottenne una serie di vittorie spettacolari su Austria e Francia, stabilendo un’aura di supremazia militare tedesca e realizzando il sogno di una Germania unificata attraverso la forza delle armi. La Prussia di quest’epoca ha anche prodotto tre delle personalità militari simbolo della storia: Carl von Clausewitz (un teorico), Helmuth von Moltke (un pratico) e Hans Delburk (uno storico).

Come si suol dire, questo secolo di vittorie e di eccellenza creò nell’establishment prussiano-tedesco un senso di arroganza e di militarismo che portò il Paese a marciare impetuosamente verso la guerra nell’agosto del 1914, per poi naufragare in una guerra terribile in cui le nuove tecnologie vanificarono il suo approccio idealizzato al warmaking. L’orgoglio, come si dice, precede la caduta.

Si tratta di una storia interessante e soddisfacente, che propone un ciclo di arroganza e caduta piuttosto tradizionale. A dire il vero, c’è un elemento di verità in questa storia, poiché molti elementi della leadership tedesca possedevano un grado di sicurezza eccessivo e indecoroso. Tuttavia, questa non era l’unica emozione. Ci furono anche molti pensatori tedeschi di spicco prima della guerra che professarono paura, ansia e timore assoluto. Avevano idee preziose da insegnare ai loro colleghi – e forse anche a noi.

Torniamo indietro, fino al 1870, alla guerra franco-prussiana.

Questo conflitto è generalmente considerato l’opera magna del titanico comandante prussiano, il feldmaresciallo Helmuth von Moltke.

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lavocedellelotte

Boicottare le università israeliane è una rivendicazione legittima e importante

di Lorenzo Lodi*

la scritta apparsa all universita di firenze.jpegUna raccolta firme lanciata da un gruppo di accademici e le mobilitazioni degli studenti nelle università hanno acceso il dibattito sul boicottaggio degli atenei israeliani. Personaggi del mondo della cultura, come Tomaso Montanari, hanno criticato la rivendicazione in nome dell’ “autonomia e dell’indipendenza dell’università”. Si tratta invece di una parola d’ordine efficace contro la macchina di morte israeliana e per fare pressione sullo Stato sionista, colpendone l’economia. La rivendicazione dà inoltre il pretesto per smascherare l’idea che le università possano essere considerate contesti neutrali e al di sopra delle parti.

* * * *

Nelle ultime settimane le azioni militari genocide del governo Netanyahu ai danni della popolazione palestinese hanno suscitato un moto di indignazione nelle università in Italia, coinvolgendo sia settori di studenti, che di docenti e ricercatori. In particolare, un gruppo di accademici dell’Università di Bologna ha redatto e fatto circolare una raccolta firme rivendicando un cessate il fuoco e la rottura dei rapporti di collaborazione tra atenei italiani e israeliani, spesso implicati nelle pratiche di colonizzazione promosse dal governo di Tel Aviv. Una rivendicazione del genere risuona con i principi della campagna di boicottaggio collegata al movimento internazionale BDS (Boycott Disinvestment Sanctions), per la fine delle politiche di apartheid israeliane. L’iniziativa ha interagito con le occupazioni e le proteste che vari collettivi universitari hanno messo in campo in alcune città, accogliendo tra le rivendicazioni la richiesta degli studiosi di Bologna.

Naturalmente, il comunicato ha suscitato le ire della componente maggioritaria dell’accademia, coinvolgendo non solo fasce apertamente sioniste, ma anche studiosi vicini alla sinistra, che hanno attaccato duramente l’idea del boicottaggio accademico.

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lacausadellecose

W la guerra

di Michele Castaldo

11desk2 riapertura gaza ansaNon me ne vogliano i pacifisti, ma dopo aver letto l’editoriale, annunciato da una “civetta” in prima pagina, di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della sera di lunedì 6 novembre, e avendo deciso di scrivere un commento, non sono riuscito a trovare un titolo diverso che ne sintetizzasse al meglio il contenuto.

Il lettore si chiederà: perché questa “ostinazione” di una critica politica alla stampa dell’establishment?Perché nel cosiddetto mondo dei militanti della sinistra si preferisce mirarsi nelle proprie idee contrapponendo modelli ideali al modo di produzione invece di analizzare i fatti e come sono utilizzati da parte di chi si prefigge di consolidare le leggi che regolano gli attuali rapporti sociali incentrati sulla legge del valore e dell’accumulazione capitalistica, ritenuta fulcro dell’Occidente. [Nota 1]

Veniamo così al dottor Ernesto Galli della Loggia e del suo ultimo scritto « La storia figlia delle guerre (che si vuole dimenticare) ».

Innanzitutto c’è un primo svarione fin dal titolo, perché la storia non è figlia delle « guerre », perché queste sono espressione di effetti causali determinati dallo spirito di concorrenza generato a sua volta da necessità. Dunque volendo ricostruire certe “ragioni” storiche – come il nostro editorialista intende fare – dovrebbe risalire alle cause originarie non dei due ultimi conflitti mondiali, ma riandare un “poco” più indietro nel tempo dello « scambio » e intrattenersi sul periodo tanto caro ai nostri rinascimentalisti occidentali, ovvero a quella decantata impresa della « Scoperta dell’America » che permise il grande balzo agli europei.

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contropiano2

Antisionismo, antiebraismo, antisemitismo

di Dante Barontini

antisemitismo antiebraismo antisionismo.jpgScriviamo spesso che essere a favore della libertà della Palestina, del diritto del popolo palestinese a vivere sulla terra in cui vive da sempre, non ha nulla a che vedere con l’”antisemitismo”. Una di quelle parole-stigma che chiudono ogni discussione e lasciano, perciò, la parola alle mazzate oppure al lasciar perdere.

Per fortuna non mancano ebrei capaci di spiegare meglio di noi – per internità a quell’universo culturale – che le cose stanno in tutt’altro modo. E che la religione, anche in quel mondo, viene usata strumentalmente dai “sionisti” per giustificare una politica di colonizzazione e apartheid.

Sono “sionisti” coloro che hanno voluto e costruito uno Stato confessionale – Israele è per legge, oggi, uno “stato ebraico”, che per noi atei non è diverso da uno “stato islamico” o uno “cristiano” – ben poco parente delle “democrazie liberali”.

Sono “ebrei” quelli che condividono quella religione, tradizione, cultura, che ha dato grandi menti all’umanità, in tutti i campi (Marx ed Einstein su tutti).

Sono “semiti” coloro che invece appartengono ad un ceppo linguistico che “che in origine occupava la regione compresa fra i monti Tauro e Antitauro a nord, l’altopiano iranico a est, l’Oceano Indiano a sud, il Mar Rosso e il Mediterraneo a ovest”. E dunque parlano “siriaco, aramaico, arabo, ebraico e fenicio”. Cinque lingue, non una sola. Cinque etnie, almeno, non una sola.

Si può insomma essere ebreo ma non sionista, semita ma non ebreo (i palestinesi lo sono, e gli arabi anche), e così via. Così come si può essere arabi ma non islamici; e soprattutto “terroristi” sia da islamici che da ebrei o anglosassoni.

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maggiofil

Da Machiavelli a Moro. Sulla storia politica italiana dal Rinascimento a oggi elaborata da Gianfranco Borrelli

di Valerio Romitelli

risorgimento 755x491.jpgDopo quasi ottant’anni di antifascismo militante e istituzionale, eccoci alla prese con un governo che non si può dire propriamente fascista solo perché è così opportunista e cialtrone che non ce la fa neanche a imitare le fanfaronate ideologiche del Ventennio. Una tragedia dunque che si potrebbe dire ritorna come farsa, ma non senza le sue proprie conseguenze tragiche. Urgerebbero allora bilanci di tutto quello che non è stato fatto per impedire questo ritorno inimmaginabile solo qualche anno fa. Ma non pare che molti dibattiti pullulino a riguardo. Prevale piuttosto il consolarsi pensando che il vento della destra più estrema sta imperversando anche fuori d’Italia, in Europa e nel mondo intero. Vista però anche l’importanza del nostro paese, sia nell’inventare a suo tempo lo stesso fascismo, sia poi nel riscattarsene grazie alla lotta partigiana, resta da chiedersi perché l’attuale riemergere di un passato che si credeva morto per sempre non susciti adeguate reazioni. Di sicuro almeno si è per sempre invalidata l’insulsa teoria già dominante del Ventennio del Duce come parentesi in una storia supposta tutta diversa del popolo italiano. Sarebbe dunque arrivato il momento giusto per cercare di rileggere questa storia come sì punteggiata da situazioni, personaggi e opere politicamente eccellenti, ma anche reiteratamente esposta al pericolo di catastrofiche esperienze simili a quelle di cui il fascismo è stato esempio proverbiale.

Per farsi buone domande a questo riguardo è ora disponibile uno strumento particolarmente stimolante. Suo grande merito è di permettere uno sguardo d’insieme, tanto vasto, quanto dettagliato su tutta la storia politica italiana moderna, giungendo anche a proiettarsi sulla contemporanea.

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marx xxi

Il sionismo ideologia razzista di un movimento coloniale

di Ilan Pappé

marzano copertinaQuella che segue è una conferenza tenuta da Ilan Pappé il 19 ottobre scorso all’università di Berkeley in California (il titolo è nostro). Pappé, attualmente direttore del Centro europeo per gli studi sulla Palestina presso l’Università di Exeterer nel Regno Unito, è uno storico che ha insegnato all’università di Haifa, dalla quale è stato espulso per le sue denunce del carattere razzista del sionismo e per il suo lavoro di storico che ha documentato in modo inoppugnabile la pulizia etnica della Palestina che i sionisti hanno sempre cercato di occultare attribuendola a cause diverse ma non a una loro deliberata programmazione. Il suo lavoro del 2006 su questo argomento è disponibile anche in italiano (La pulizia etnica della Palestina, Fazi Editore 2008). Sua tra molte altre anche l’opera su Gaza e Cisgiordania, anche questa disponibile in italiano (La più grande prigione del mondo, storia dei territori occupati, Fazi Editore, 2022).

Video originale sotto:

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carmilla

Il nuovo disordine mondiale / 23: Israele perduta tra le sue guerre

di Sandro Moiso

ostaggi offesi.jpgIl comportamento dell’attuale governo di Israele rischia di essere il peggior nemico degli ebrei. (Primo Levi- intervista a «la Repubblica», 24 settembre 1982)

Ieri Israele ha perso la guerra. (Domenico Quirico, «La Stampa», 31 ottobre 2023)

Come ha annotato in una singola frase Domenico Quirico, essenziale come sempre, si può affermare che ciò che covava tra le fiamme e sotto le ceneri ancora ardenti del conflitto a Gaza ieri è balzato agli occhi di tutti. Soprattutto di una comunità mediatica che, nonostante le intimidazioni, le fake news, i divieti e le deformazioni di parte governativa israeliana, e filo-occidentale più in generale, non ha potuto fare a meno di notare che in quei 76 secondi di messaggio, filmato e trasmesso da Hamas il 30 ottobre dall’inferno di Gaza, le parole e l’urlo di Danielle Aloni, la donna presa in ostaggio insieme alla figlia di sei anni durante l’incursione del 7 ottobre, segnano una definitiva rottura di fiducia tra gli ebrei di Israele e l’attuale capo del governo Benyamin Netanyahu, la sua conduzione di una guerra scellerata e la pericolosità di una politica di occupazione coloniale sempre più genocidaria e arrogante. Ma non solo.

L’urlo di Danielle, insieme ai sondaggi che rivelano come un israeliano su due sia contrario all’operazione di terra a Gaza1, rivela una frattura più profonda. Quella che formalmente ha iniziato a manifestarsi da tempo con le dimostrazioni di piazza contro il governo Netanyahu, ma che da tempo una parte della comunità ebraica denunciava e continua a denunciare, dentro e fuori le mura del ghetto dorato di Israele.

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labottegadelbarbieri

Palestina mon amour

di Giorgio Ferrari

GiorgioF palestinImmag.jpgOgni cosa a suo tempo. Così si diceva una volta, ma poi di tempo ne è passato troppo e le cose non sono state messe a posto.

Ora s’è fatto tardi, quasi per tutto.

Passato è il tempo delle ribellioni e poco ne resta per fare fronte al peggio che avanza.

Eppure lo sapevamo, noi che gentili non fummo, ma non abbastanza da scuotere l’indifferenza del mondo per i crimini commessi contro l’umanità più indifesa.

Ci sono molti modi di uccidere.

Si può uccidere una persona con le armi, privarla di cibo e acqua, impedirle di curarsi, confinarla in una prigione a cielo aperto, espropriarla della terra su cui è nata, spingerla al suicidio, negarle lo status di essere umano.

Nessuno di questi modi è proibito a Gaza e solo alcuni lo sono per il diritto internazionale.1

Per questo, a Gaza, si muore di più che in ogni altro luogo.

In questa striscia di terra c’è tutta l’indifferenza del mondo occidentale, l’immagine nascosta della sua ingannevole predicazione universalistica.

Gaza è una bugia, il significante osceno di un linguaggio che ammicca all’esistenza di un mondo capovolto: l’apartheid ammicca ai diritti; i diritti ammiccano alle libertà; le libertà ammiccano alle privazioni che ammiccano ai bisogni, alla terra, e a tutto ciò che è vanto e gloria del mondo occidentale, ingessato com’è dentro una colossale menzogna.

Gaza è inumana e perciò sfugge a qualsiasi rappresentazione, anche la più ardita che si possa concepire.

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sinistra

Hamas e la società palestinese

di Leila Seurat

seurat.jpgNota Introduttiva – Sebbene la realtà spesso cozzi in modo patente con i nostri desideri di comunisti e internazionalisti, non saremmo «materialisti» se nascondessimo la testa sotto la sabbia o, peggio, se scambiassimo i secondi per la prima. «Analisi concreta della situazione concreta», significa in primo luogo considerare le condizioni reali, empiricamente constatabili, in cui si svolgono i conflitti sociali, politici e geo-politici, rinunciando ad applicare formule e schemi precostituiti, buoni per tutte le stagioni. Oggi, piaccia o meno, tra i proletari di Gaza, della Cisgiordania, e persino tra gli arabi israeliani, il neo-nazionalismo di Hamas gode di un consenso vastissimo. Alle posizioni antisioniste, venate di razzismo antigiudaico1, o a quelle dell’antimperialismo a senso unico (il cosiddetto campismo), che si schierano «senza se e senza ma» con Hamas, con la resistenza palestinese e con i suoi sponsor internazionali – posizioni inaccettabili per un comunista – fa da contraltare un internazionalismo astratto che, come un disco rotto, continua inascoltato ma imperterrito a lanciare i suoi appelli alla «unità di tutti i proletari», al di là delle divisioni nazionali, etniche, religiose etc., senza avvedersi che – soprattutto nel contesto del conflitto israelo-palestinese (!) – mai come oggi si tratta di una prospettiva completamente fuori portata; così come non riesce a cogliere le precise ragioni materiali che stanno alla base di questo stato di cose, limitandosi tutt'al più a rimuginare amaramente sul fatto che i suddetti proletari, «contro i loro stessi interessi» (sic!) e contravvenendo alle aspettative dei «rivoluzionari», si farebbero stoltamente abbindolare dalle sirene ideologiche delle rispettive borghesie (Cfr., in appendice, L’intramontabile appeal del nazionalismo e le sue ragioni materiali). L'articolo riportato qui sotto, vuole essere un piccolo contributo nella direzione di una lettura non ideologizzata del conflitto in corso in Medio Oriente. [F. B.]

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ilpungolorosso

Cosa è accaduto realmente il 7 ottobre?

di Robert Inlakesh e Sharmine Narwani

siti oscurati 1.jpgCi è stata segnalata, e la riprendiamo, questa prima, dettagliata inchiesta sull’attacco palestinese del 7 ottobre scorso, fondata in larga parte sulla documentazione del quotidiano israeliano Haaretz e su dichiarazioni di donne israeliane fatte prigioniere. Non siamo in grado di avere una nostra ricostruzione di prima mano, e siamo ben coscienti che una guerra è una guerra con tutte le sue atrocità, e questa di sicuro, da più di 75 anni, è una guerra, di oppressione coloniale e di sterminio da un lato, di liberazione nazionale dall’altro; ma questa ricostruzione, con le molteplici smentite della narrazione di stato israeliana e occidentale che contiene, fa capire – a chi vuol capire – a cosa sia servita la catena di false notizie diffuse in tutto il mondo dai mass media asserviti: a legittimare lo spaventoso eccidio in corso da giorni a Gaza. Sulla più infame di queste false notizie (i 40 bambini “decapitati”) abbiamo pubblicato negli scorsi giorni dei materiali. (Red.)

* * * *

Stanno emergendo prove che più della metà degli israeliani uccisi erano combattenti; che le forze israeliane sono state responsabili della morte di alcuni dei loro stessi civili; e che Tel Aviv ha diffuso false storie sulle “atrocità di Hamas” per giustificare il suo devastante attacco aereo contro i civili palestinesi a Gaza.

Due settimane dopo l’assalto di Hamas contro Israele il 7 ottobre, un quadro più chiaro di ciò che è accaduto, chi è morto e chi ha ucciso, sta ora cominciando a emergere.

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lacausadellecose

Due popoli due stati? Si, due stati d’animo

di Michele Castaldo e Alessio Galluppi

Albert Einstein.jpgEd ecco che di fronte alla carneficina che sta operando lo Stato di Israele a Gaza, pro doma sua e per conto di tutto l’Occidente, proprio dai potentati di questo, in primis gli Usa, si tira fuori dal cilindro la vecchia proposta di due popoli due Stati, ventilata sempre ma realizzata mai. Inutile dire che dietro tale cosiddetta proposta si è sempre nascosta l’ipocrisia tutta occidentale tendente a mascherare le ragioni vere della nascita dello Stato di Israele. Perché se così non fosse stato in 75 anni si sarebbe trovato il modo di dare una parvenza statuale ai palestinesi piuttosto che rinchiuderli in una prigione a cielo aperto ricattandoli e reprimendoli continuamente per tenerli sotto controllo.

Su quello che sarà il “dopo” si vedrà, intanto si sta procedendo a un vero e proprio genocidio del popolo palestinese e la distruzione di gran parte delle abitazioni in terra di Gaza. Contemporaneamente si procede nella colonizzazione della Cisgiordania espellendo i palestinesi. Dunque si sta procedendo in modo da fare terra bruciata di uomini e cose tali da determinare un vero e proprio stato, si, ma uno stato d’animo dei sopravvissuti. Insomma siamo di fronte al tentativo di una soluzione finale di una aspirazione di un popolo ma senza affermarlo, o per meglio ancora dire, in nome della distruzione di Hamas. Questi sono i fatti sui quali si tenta di costruire poi una propaganda tanto falsa quanto infame. Pertanto non basterebbe nessun tipo di propaganda alternativa per smontare quello che è a tutti chiaro, anche perché gli uomini si schierano in base a quello che per necessità sono spinti a credere.

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lantidiplomatico

Gaza. Social media e censura

di Redazione - Alan Macleod

720x410c50sdfr.jpgIl coro dei governi, soprattutto occidentali, rappresentato dai suoi organi di informazione mostrano all’opinione pubblica un mondo che non rispecchia la realtà. La stessa opinione pubblica, ormai, non è più disponibile a sorbirsi le menzogne del mainstream. La guerra a Gaza, la ferocia criminale di Israele sta producendo un’ondata mondiale di solidarietà per la Palestina e la sua lotta di liberazione. La criminalizzazione della Resistenza palestinese non serve.

Allo stesso tempo come ha sottolineato il portale CovertAction, “le proteste in tutto il mondo in solidarietà con la Palestina stanno costruendo un movimento di sostegno alla resistenza e alla causa palestinese, mostrando ai leader che persone dagli Stati Uniti al Regno Unito, allo Yemen e alla Giordania e oltre, stanno dalla parte del popolo palestinese nella sua lotta contro gli israeliani sostenuti dagli Stati Uniti. Queste proteste stanno cambiando la forma della copertura mediatica e influenzando l'opinione popolare e il dibattito sulla questione.”

Proprio per questa ragione “le società di social media come Twitter e Meta hanno tentato di censurare i contenuti filopalestinesi. Un video che elenca gli ospedali bombardati da Israele è stato rimosso da Instagram dopo aver ottenuto 12 milioni di visualizzazioni. L'account Twitter di Palestine Action US non è stato più seguibile per molti giorni. Ma le informazioni continuano a diffondersi rapidamente, mantenendo vivo il movimento di solidarietà.”

La censura senza vergogna è servita.

Le guerre non si sono mai fatte solo con le armi tradizionali, ci sono anche quelle mediatiche.

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contropiano2

Cosa succederà adesso? Una analisi della situazione in Palestina e cosa dobbiamo fare noi

di Potere al Popolo

Palestina Gaza bella con bandiera.jpgLa domanda che ci facciamo tutti, o che ci dovremmo fare, quando smettiamo di farci gli occhi rossi davanti ai video che arrivano dalla Palestina è: che succederà adesso? Se siamo sinceri, possiamo ammettere che non ne abbiamo troppo idea.

D’altronde non sembrano averla nemmeno gli attori in campo, che infatti, com’è evidente, sono sorpresi dagli effetti delle loro azioni, esitano e vanno a tentativi.

Abbiamo la consapevolezza di trovarci nel bel mezzo di una “frattura” storica, causata dalla modifica degli assetti tradizionali dell’imperialismo che abbiamo conosciuto sin’ora, non solo in Medioriente, ma a livello globale.

Ecco perché abbiamo bisogno di capire a fondo cosa sta succedendo, e cosa potrebbe succedere, per provare a intervenire e non assistere passivamente a un genocidio e perché gli effetti di ciò che si muove in queste ore ci riguardano direttamente.

Nelle prossime righe vogliamo provare a restituire un quadro della situazione che non si trova spesso sui media, una lettura delle dinamiche sociali e politiche in Palestina, e qualche indicazione su cosa possiamo fare noi e come bisogna muoversi a livello internazionale per far avanzare la causa dell’umanità in questi tempi di barbarie.

 

1. Capire l’eccezionalità del momento

Siamo davanti a uno di quei momenti in cui la Storia si fa. Questo è il primo punto che dobbiamo fissare. Anche se a molti può sembrare che a scorrere sia sempre lo stesso sangue, questa non è una situazione già vista, qualcosa che può essere gestito con gli strumenti tradizionali.