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comedonchisciotte.org

Anche se è un genocidio, non verrà fermato

di Chris Hedges - chrishedges.substack.com

La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia è stata una vittoria legale per il Sudafrica e i palestinesi, ma non fermerà il massacro

hand 750x430.jpgLa Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) si è rifiutata di soddisfare la cruciale richiesta avanzata dai giuristi sudafricani: “Lo Stato di Israele dovrà sospendere immediatamente le sue operazioni militari a Gaza e contro Gaza”. Ma, allo stesso tempo, ha inferto un colpo devastante al mito fondamentale di Israele. Israele, che si dipinge come eternamente perseguitato, è stato accusato in modo credibile di aver commesso un genocidio contro i palestinesi di Gaza. I palestinesi sono le vittime, non gli autori, del “crimine dei crimini“. Un popolo, un tempo bisognoso di protezione dal genocidio, ora lo starebbe commettendo. La sentenza della Corte mette in discussione la stessa ragion d’essere dello “Stato ebraico” e sfida l’impunità di cui Israele ha goduto fin dalla sua fondazione, 75 anni fa.

La Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato a Israele di adottare sei misure provvisorie per prevenire atti di genocidio, misure che saranno molto difficili, se non impossibili, da realizzare se Israele continuerà a bombardare a tappeto Gaza e a colpire indiscriminatamente le infrastrutture vitali.

La Corte ha chiesto a Israele di “prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio”. Ha chiesto a Israele di “adottare misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base e assistenza umanitaria urgentemente necessari”. Ha ordinato a Israele di proteggere i civili palestinesi. Ha chiesto a Israele di proteggere le circa 50.000 donne che partoriscono a Gaza. Ha ordinato a Israele di prendere “misure efficaci per prevenire la distruzione e garantire la conservazione delle prove relative alle accuse di atti che rientrano nell’ambito dell’articolo II e dell’articolo III della Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio contro i membri del gruppo palestinese nella Striscia di Gaza”.

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gliasini

La memoria della Shoà: due posizioni in conflitto

di Stefano Levi Della Torre

MAJIDBITACC 13 BN 1536x1095.jpgQuesta è una tragica lezione della storia: i discendenti di un popolo perseguitato per secoli dall’Occidente, cristiano e poi razzista, possono diventare al tempo stesso i persecutori e il bastione avanzato dell’Occidente nel mondo arabo.

Edgar Morin, La resistenza dello spirito, La Stampa, 24 gennaio 2024

 

“Le vittime che si fanno carnefici”? Fino a ieri, ho sempre obiettato a questa formula accusatoria, per l’incommensurabile sproporzione tra gli atti subiti dagli ebrei come vittime fino alla Shoah, e gli atti compiuti da ebrei come persecutori o carnefici. Ma ora questi due termini, vittime e carnefici, si confrontano in modo ravvicinato: il 7 ottobre 2023 ebrei, e Israele nel suo insieme, sono stati vittime della terribile aggressione, strage, stupro, rapimento di massa di Jihad e Hamas, ma in sequenza immediata degli ebrei e Israele, perché vittime, sono diventati carnefici, e da settimane stanno devastando e facendo strage indiscriminata nella Striscia di Gaza, con 25000 morti finora, e un numero imprecisato di feriti e mutilati. Il fatto che le vittime si siano fatti carnefici è evidente. È contestabile?

Sullo sfondo di questa parabola compiuta, che le parole di Edgar Morin descrivono in breve, si svolge la Giornata della Memoria del 2024.

 

1. Sulla memoria della Shoah, si sono contrapposte in questi anni due tesi. Secondo la prima, la Shoah è paradigma di ogni strage programmata e genocidio in quanto riassume tutte le modalità che in altre persecuzioni compaiono in parte, e la memoria della Shoah vale non solo per se stessa, ma anche a focalizzare l’attenzione su ogni altra “crudeltà di massa” del passato e del presente al fine di mobilitare le coscienze e l’azione perché fatti simili non si ripetano né per gli Ebrei né per altri.

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comedonchisciotte.org

E’ già “tutta colpa di Netanyahu”: esecutore spietato e parafulmine del Sistema

di Konrad Nobile

photo 2024 01 26 00 49 02.jpgÈ fin dai primi giorni della efferata reazione israeliana ai fatti del 7 ottobre che noto un certo fenomeno che definisco di “Netanyahu-izzazione” nella descrizione dell’operato di Israele.

Vi è una tendenza molto diffusa infatti, che riguarda anche certi canali e personaggi “alternativi”, a puntare la lente d’ingrandimento e a concentrare le critiche nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Probabilmente anche sull’onda della crescente e forte impopolarità, interna a Israele, al presidente del Likud (ovvero il partito sionista, conservatore e nazionalista, che ha preso la maggioranza dei voti alle elezioni parlamentari del 2022) si è progressivamente accesa una corsa internazionale alla polemica contro “Bibi”, visto da alcuni come il maggior responsabile del 7 ottobre, da altri come uno spregiudicato leader genocida troppo influenzato dalla destra sionista, da altri ancora come il principale ostacolo alla pace tra Israeliani e Palestinesi.

E così, in un crescendo che partendo dal basso va dal grottesco sinistro Fratoianni, che blatera sul processare Netanyahu per crimini di guerra, fino ad arrivare a un’amministrazione statunitense insofferente per le scelte del capo dell’esecutivo di Tel Aviv, con tanto di accese tensioni (narrateci da molte testate giornalistiche -1) tra un irritato Biden e Netanyahu, pare che i vari problemi che stanno infiammando il Medio Oriente possano essere alla fin fine ricondotti a uno scellerato primo ministro, talmente cinico da giocare con l’allungamento di un conflitto, rendendosi responsabile di migliaia di morti e tensioni internazionali sempre più incandescenti, pur di salvare la sua carriera politica e tutelarsi da beghe giudiziarie.

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lantidiplomatico

21 gennaio 1924: 100° anniversario della morte di Lenin

di Fabrizio Poggi

720x410c50mjsdoikhtIn occasione del 100° anniversario della morte di Valdimir Il'i? Lenin, si ripropone un tema legato all'ultimissimo periodo della sua vita, accuratamente indagato da una parte della storiografia russa, ma meno conosciuto in Italia (se si escludono i lavori, per un verso, di Grover Furr e quelli, di stampo opposto, di Luciano Canfora): l'autenticità, o la paternità leniniana, degli ultimi testi inseriti tardivamente nel volume 45 delle Opere complete (PSS: Polnoe Sobranie So?inenij; 5° ed. russa; 1964) e qua e là definiti “Testamento” di Lenin.

Più precisamente, il tema è quello della dubbia attribuzione a Lenin di lettere, dettati, appunti compresi tra il 23 dicembre 1922 e il 2 marzo 1923, prima del forte peggioramento del suo stato di salute, tra il 6 e il 10 marzo del '23: “Lettera al Congresso” e “Aggiunta alla lettera”; “Sull'attribuzione di funzioni legislative al Gosplan”; “Sull'aumento del numero di membri del CC”; “Per la questione delle nazionalità o sulla “autonomizzazione””; “Pagine di diario”; “Sulla cooperazione”; “Sulla nostra rivoluzione”; “Come riorganizzare la RabKrIn”; “Meglio meno, ma meglio”.

In un'esposizione necessariamente limitata, si concentrerà l'attenzione quasi esclusivamente sulla “Lettera al Congresso” e su alcuni passaggi degli altri testi che, in qualche misura, ruotano attorno alla presunta volontà di Lenin di estraniare Stalin dalle funzioni di General'nyj Sekretar' (GenSek) del CC del RKP(b).

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pinocabras.png

Due Popoli, uno Stato: per il tramonto del «Sionismo Reale»

di Pino Cabras e Simone Santini

Ricopio per intero un lungo articolo pubblicato nel libro “Demoni in Terra Santa” (Visione editore, ottobre 2023). L’articolo ha come autori Pino Cabras e Simone Santini e riprende una vecchia riflessione sulla nuova Guerra dei Cento Anni e su un percorso di soluzione politica che esce da tutti gli schemi. Buona lettura!

israstineQuel che ora leggete – un’analisi controcorrente sul tema più grave della crisi del Vicino Oriente – è un articolo in gran parte già edito, così come già edita è la dinamica che periodicamente si ripete con nuovi episodi che replicano lo stesso cliché nella Guerra dei Cento Anni in Terrasanta. Avevamo già pubblicato sul sito Megachip nel giugno 2010 gran parte di queste riflessioni, ma sentiamo l’esigenza di riproporle a nuovi lettori, con alcune notevoli attualizzazioni.

Non è facile parlarne mentre va in onda a reti unificate Tele Netanyahu. Il 15 ottobre 2023 sulla piattaforma X il premio Pulitzer Glenn Greenwald (forse il giornalista più autorevolmente impegnato al mondo sulla libertà di parola) è stato in proposito lapidario: «Esattamente come è accaduto con il COVID, e poi con la guerra in Ucraina, il sistema di censura su più fronti implementato dai governi occidentali è stato nuovamente attivato – ancora una volta a un livello sorprendentemente nuovo – per vietare il dissenso dalla politica dell’UE nei confronti di Israele/ Guerra di Gaza».

Ancora oggi in tanti estraggono da un cilindro sempre più consumato la vecchia idea della soluzione “Due Popoli Due Stati”. Temiamo che questo sia un coniglio morto e in avanzato stato di decomposizione. Riproponiamo perciò un’analisi controcorrente che per la Terrasanta invece immagina una soluzione certo più complessa, ma che forse meglio garantirebbe tutti. Naturalmente è una soluzione che rimanda al futuro. Per ora (lo sappiamo e non lo scordiamo), stanno parlando le armi e le stragi. Per ora impera nei media occidentali il marketing della disumanizzazione del Nemico. Ma dopo cosa accadrà?

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sinistra

I tempi storici non ammettono confronti

Due stuzzichini

di Michele Castaldo e Alessio Galluppi

* * * *

Il popolo, la destra, le compagnerie di sinistra e la dirompenza della talpa

di Michele Castaldo - www.michelecastaldo.org

youknowwhatSi è accesa una disputa su un accadimento di rilevanza uguale a zero, ovvero sui saluti romani di un gruppo di persone che si sono radunate per celebrare l’anniversario di Acca Larenzia, cioè dell’uccisione di alcuni militanti di estrema destra da parte di militanti di estrema sinistra nel 1978.

I fatti: «Acca Larenzia è la denominazione giornalistica del pluriomicidio a sfondo politico avvenuto a Roma il 7 gennaio 1978, per opera di un gruppo armato afferente alla sinistra, nel quale furono uccisi due giovani neofascisti appartenenti al Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, assassinati davanti alla sede del Movimento Sociale Italiano in via Acca Larenzia, nel quartiere Tuscolano. A tali fatti è strettamente legata la morte di un terzo attivista della destra sociale, Stefano Recchioni, ucciso qualche ora dopo negli scontri con le forze dell’ordine avvenuti durante una manifestazione di protesta organizzata sul luogo stesso dell’agguato».

Dai fatti menzionati ne scaturisce una onorificenza che ogni anno fanno i militanti di estrema destra, o dichiaratamente fascisti, recandosi sul luogo commemorando i morti col saluto romano, ovvero col braccio teso in avanti e la mano aperta.

Apriti cielo! «L’ombra del fascismo s’avanza ancora! » «Perché la presidente del consiglio tace? » e ancora «Perché non si dichiara apertamente antifascista»?

Mettiamo i piedi per terra e cerchiamo di ragionare seriamente non tanto sul passato, dove pure molte cose andrebbero chiarite solo per amore della verità, ma siccome la storia la raccontano e la scrivono i vincitori, pazienza.

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megachip

Le Bimbe di Bibi coprono le Bombe di Bibi

di Pino Cabras

Come nascondere un genocidio. Un pezzo di borghesia italiana filoisraeliana vuol far dichiarare il 7 ottobre “femminicidio di massa”. Si nasconde il massacro di migliaia di donne a Gaza e le gravi incongruenze del New York Times

netanyau.jpgQualche settimana fa, un gruppo di donne molto in vista di un settore della borghesia italiana filoisraeliana ha lanciato una poderosa raccolta di firme per dichiarare “femminicidio di massa” la strage del 7 ottobre. Non bastava più la strage in sé, ormai soverchiata simbolicamente dai numeri della carneficina di massa perpetrata dai Netanyahu Boys con più kilotoni di Hiroshima e Nagasaki messi insieme. Serviva unirla a uno dei vettori di esecrazione più usati da qualche anno in qua per innescare indignazione: la parola femminicidio. Hamas, secondo le autrici dell’appello, non si è limitata a un’azione di violenza terroristica, perché voleva colpire le donne in quanto donne. Nell’appello non viene fatto cenno alcuno alla furia genocida che ha distrutto quasi tutte le case, le scuole, gli ospedali e qualsiasi altra infrastruttura di Gaza. Non si fa menzione alcuna delle quasi diecimila donne innocenti, in buona parte minorenni, sventrate fin qui dalle bombe di Bibi il genocida seriale. Non sono citate le migliaia di giovani madri che hanno visto profanare la loro maternità nella penosa raccolta dei corpicini esanimi o a brandelli dei loro figlioletti o che non riescono più a dissetare e nutrire quelli che sono scampati alla caccia dei droni. Non si fa cenno, insomma, al più grande femminicidio di massa mai perpetrato da quando è stata inventata la parola femminicidio: ossia il femminicidio di massa delle donne di Gaza.

Me le vedo, emozionate e indignate, le raffinate signore, durante l’impeto di un “facciamo qualcosa”, “scriviamo qualcosa”, tese a sostenere “il diritto-di-Israele-di-difendersi” a tutti i costi. C’è Andrée Ruth Shammah, rinomata regista teatrale che in Israele vede «un esperimento meraviglioso di integrazione, quel mettere insieme tutte le genti del mondo, arabi, russi, polacchi, francesi, ashkenaziti, sefarditi.»

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La trasformazione europea digitale, smart e verde: un imbroglio nero come il carbone

di Franco Maloberti

decennio digitale.pngAllegria! L’Europa diventa digitale, e saremo tutti meglio serviti. Mica è uno scherzo, la Commissione è decisa a fare di questo spicchio di millennio il decennio digitale europeo. “L’Europa deve ora rafforzare la propria sovranità digitale e fissare norme, anziché seguire quelle di altri Paesi, incentrandosi chiaramente sui dati, la tecnologia e le infrastrutture“. Tutto grazie anche all’intelligenza artificiale. L’ha detto anche Ursula nel suo discorso sullo stato dell’unione del 13 settembre 2023; infatti “ha affermato che la prima priorità dell’UE è garantire che l’intelligenza artificiale abbia uno sviluppo antropocentrico, trasparente e responsabile“. Antropocentrico, perbacco! Con l’uomo al centro, mica pissi-pissi bau-bau. E non ha detto solo questo. Ha anche detto che “È il momento di mostrare ai giovani che possiamo costruire un continente in cui ognuno può essere ciò che è, amare chi desidera e cercare di realizzare le sue ambizioni. Un continente riconciliato con la natura e che funga da guida nel settore delle nuove tecnologie. Un continente unito nella libertà e nella pace. Ancora una volta, per l’Europa è giunta l’ora di farsi trovare pronta all’appuntamento con la Storia“. Mecojoni! Continente unito nella libertà? Si fa per dire!…Nella pace? Beh, quella c’è davvero. Basta fare un giro in Ucraina o a Gaza e…ecco la pace. Macché Ucraina e Gaza? Loro non sono continente europeo, loro non contano. Poi, chissenefrega se tanti bambini muoiono ammazzati e anche scuoiati, mica sono nostri i bambini, i loro (i sette, grandicelli, di Ursula – ‘membro di Classe I dell’ordine di Jaroslav il Saggio‘ (Ucraina)) e la bambina di Giorgia, sono ben al sicuro. Le mamme di quei bambini che vengono ammazzati da bombe amiche, graziosamente fornite dal pacifico e avanzato Occidente, se ne faranno bene una ragione (se non sono già morte anche loro)…

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ilrovescio

Un test chiamato Gaza – Dal fronte umano (III)

di Collettivo Terra e Libertà

Riprediamo da terraeliberta.noblogs.org, il nuovo “Dal fronte umano”, dedicato al laboratorio-Israele, con uno sguardo specifico sulle collaborazioni delle università e delle fondazioni tecno-scientifiche trentine con il sistema israeliano. Ciò che si sperimenta contro la popolazione di Gaza (e della Cisgiordania) peserà a fondo sulle nostre vite. In tutti i sensi.

Palestina2.pngIl vasto movimento internazionale contro il genocidio di Gaza e in solidarietà con gli oppressi palestinesi, benché ancora insufficiente a porre fine al massacro in corso, contiene diversi aspetti positivi e alcuni caratteri in parte inediti. Il primo è senz’altro il protagonismo di immigrate e immigrati, per i quali oggi «Gaza è il cuore del mondo» e la Palestina «la patria di tutti gli sfruttati», mentre le complicità occidentali con la pulizia etnica condotta dallo Stato di Israele rappresentano qualcosa di incancellabile e senza ritorno. Da questo deriva la consapevolezza di doversi fare carico direttamente di spezzare le collaborazioni ideologiche, economiche, tecnologiche e militari con il colonialismo israeliano. Ecco allora le tante iniziative di lotta e le azioni contro multinazionali, banche, fabbriche di armi e logistica di guerra: dai blocchi ferroviari a quelli dei porti, dai picchetti fuori dalle aziende belliche alle incursioni o sabotaggi contro Amazon, McDonald’s, Carrefour, H&M, Axa Assurances. Ancora più inedita è la messa in discussione della neutralità della ricerca accademica e universitaria da parte di studentesse e studenti. La crescente indistinzione tra civile e militare, che trova nel sistema israeliano il proprio paradigma, ha reso sempre più stretti i rapporti tra i laboratori universitari, le varie fondazioni tecno-militari e l’industria bellica. «Fuori la guerra dall’università» è uno slogan che sta accompagnando occupazioni, blocchi della didattica, cortei di denuncia dentro e fuori degli Atenei. Il limite di tali importanti iniziative è la consapevolezza ancora scarsa sul fatto che l’intero apparato tecnologico è ormai una potenza di guerra (agli oppressi, alla natura, alla variabile umana e conflittuale). Un modo per avanzare nella critica teorica e pratica è quello di cogliere quanto ciò che Stati e capitalisti di mezzo mondo forniscono allo Stato d’Israele torni indietro affinato e testato sul campo, pronto all’uso per le città e le campagne smart in costruzione anche alle nostre latitudini.

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Tesi sul cybercapitalismo

di Liberiamo l’Italia

Questo importante documento analizza le profonde trasformazioni del sistema capitalistico e indica quale potrebbe essere il suo eventuale punto di approdo. Esso venne approvato nel novembre 2021 dalla II. Conferenza nazionale per delegati di Liberiamo l’Italia.

capitalismo 4.0 638x368.jpgIl tornante storico

  1. 1. Con il crollo dell’Unione Sovietica l’élite americana (sia neocon che clintoniana) scatenò un’offensiva a tutto campo per trasformare l’indiscussa preminenza degli U.S.A. nei diversi campi — economico, finanziario, militare, scientifico, culturale — in supremazia geopolitica assoluta. L’offensiva si risolse in un fiasco. Invece del nuovo ordine monopolare sorse un disordinato e instabile multilateralismo.
  2. 2. La grande recessione economica che colpì l’Occidente, innescata dal disastro finanziario americano del 2006-2008, fu un punto di svolta dalle molteplici conseguenze. Indichiamo le principali: (1) il “capitalismo casinò” — contraddistinto dalla centralità della finanzia predatoria: accumulazione di denaro attraverso denaro saltando la fase della produzione di merci e di valore — dimostrava di essere una mina vagante per il sistema capitalistico mondiale; (2) il modello economico neoliberista, quello che aveva consentito la metastasi della iper-finanziarizzazione, esauriva la sua spinta propulsiva; (3) la globalizzazione liberoscambista a guida americana giungeva al capolinea sostituita da una “regionalizzazione” delle relazioni economiche mondiali e dalla rinascita di politiche protezionistiche; (4) la Cina, uscita dallo sconquasso come principale motore del ciclo economico mondiale, occupava il ruolo di nuovo alfiere della globalizzazione; (5) una profonda scissione maturava in senso alle élite occidentali: la crisi di egemonia delle frazioni mondialiste alimentava il fenomeno del populismo. Così ci spieghiamo la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti, l’avanzata dirompente di nuove forze politiche “sovraniste” in diversi paesi europei (Italia in primis), la Brexit.

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Siamo noi i cattivi?

Il sostegno occidentale al genocidio a Gaza significa che la risposta è sì

di Jonathan Cook

La disperata campagna diffamatoria volta a difendere dei crimini di Israele mette in luce la miscela tossica di menzogne su cui si regge da decenni l’ordine democratico liberale

Baddies 750x430.jpgIn un popolare sketch comico britannico ambientato durante la Seconda guerra mondiale, un ufficiale nazista vicino alle prime linee si rivolge a un collega e, in un momento di improvviso – e comico – dubbio su se stesso, chiede: “Siamo noi i cattivi?“.

A molti di noi è sembrato di vivere lo stesso momento, prolungato per quasi tre mesi, anche se non c’è stato nulla da ridere.

I leader occidentali non solo hanno appoggiato retoricamente una guerra genocida da parte di Israele contro Gaza, ma hanno fornito copertura diplomatica, armi e altra assistenza militare.

L’Occidente è pienamente complice della pulizia etnica di circa due milioni di palestinesi dalle loro case, nonché dell’uccisione di oltre 20.000 persone e del ferimento di molte altre decine di migliaia, la maggior parte delle quali donne e bambini.

I politici occidentali hanno insistito sul “diritto di difendersi” di Israele, che ha raso al suolo le infrastrutture critiche di Gaza, compresi gli edifici governativi, e ha fatto crollare il settore sanitario. La fame e le malattie stanno iniziando a colpire il resto della popolazione.

I palestinesi di Gaza non hanno dove fuggire, dove nascondersi dalle bombe di Israele fornite dagli Stati Uniti. Se alla fine gli sarà permesso di fuggire, sarà nel vicino Egitto. Dopo decenni di sfollamento, saranno finalmente esiliati in modo permanente dalla loro patria.

E mentre le capitali occidentali cercano di giustificare queste oscenità incolpando Hamas, i leader israeliani permettono ai loro soldati e alle milizie di coloni, sostenuti dallo Stato, di scatenarsi in Cisgiordania, dove non c’è Hamas, attaccando e uccidendo i palestinesi.

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Il genocidio di Israele tradisce l’Olocausto

di Chris Hedges - chrishedges.substack.com

Oscurando e falsificando la lezione dell'Olocausto perpetuiamo il male che lo aveva caratterizzato

oloc.jpgIl piano generale del lebensraum di Israele per Gaza, copiato dallo spopolamento dei ghetti ebraici da parte dei nazisti, è chiaro. Distruggere le infrastrutture, le strutture mediche e i servizi igienici, compreso l’accesso all’acqua potabile. Bloccare l’invio di cibo e carburante. Scatenare una violenza indiscriminata per uccidere e ferire centinaia di persone al giorno. Lasciare che la fame – le Nazioni Unite stimano che più di mezzo milione di persone stia già morendo di fame – e le epidemie di malattie infettive, insieme ai massacri quotidiani e allo sfollamento dei palestinesi dalle loro case, trasformino Gaza in un obitorio. I palestinesi saranno costretti a scegliere tra la morte sotto le bombe, le malattie, lo stare all’addiaccio, la fame e l’allontanamento dalla loro terra.

Presto si arriverà a un punto in cui la morte sarà così onnipresente che la deportazione – per coloro che vogliono vivere – sarà l’unica opzione.

Danny Danon, ex ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite e stretto alleato del Primo Ministro Benjamin Netanyahu, ha dichiarato alla radio israeliana Kan Bet di essere stato contattato da “Paesi dell’America Latina e dell’Africa che sarebbero disposti a farsi carico dei rifugiati dalla Striscia di Gaza“. “Dobbiamo rendere più facile per i gazesi partire per altri Paesi“, ha detto. “Sto parlando di migrazione volontaria da parte dei palestinesi che vogliono andarsene“.

Il problema per ora “sono i Paesi disposti a farsene carico, e stiamo lavorando su questo“, ha detto Netanyahu ai membri della Knesset del Likud.

Nel ghetto di Varsavia, i tedeschi distribuivano tre chilogrammi di pane e un chilogrammo di marmellata a chiunque si registrasse “volontariamente” per la deportazione.

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lafionda

Democrazia, ultimo atto?

di Laura Bazzicalupo

190950931 6d7736ab a0c7 4ed9 80e6 68550bbfac58.jpgIl libro che qui si recensisce – Democrazia: ultimo atto? di Carlo Galli – è il libro di un maestro. Cioè di qualcuno capace di prendere la distanza dal coro dominate del pensiero unico, e indicare una rotta, un modo di pensare critico. Controcorrente rispetto al presentismo assoluto, statico e incapace di ragionare sulla complessità dei fatti, schiacciati su posizioni predefinite. Siano esse ciniche “è così e così deve andare”, o normative-astratte e moraliste: ineffettuali e, alla fin fine, funzionali allo status quo. Eppure l’urgenza è evidente: la democrazia sta morendo, forse è già morta e siamo al suo ultimo atto. Carlo Galli, certo, non poteva scegliere un titolo migliore per trasmettere il senso di urgenza, di fragilità e di chiamata all’impegno. Non c’è quasi più tempo: è l’ultima, più recente crisi della democrazia o è il suo tramonto, il finale del dramma?

Il metodo magistrale di Galli è storico-genealogico: dialettico, attiva anche la radicalità del pensiero negativo. Si fa carico totalmente della contingenza, focalizzando discontinuità e persistenze, sempre contestualizzate. Una storicità dunque non storicista, ma radicale e come tale inevitabilmente geostorica e geopolitica.

La storia non va di moda – al massimo la si evoca per farne un tribunale funzionale alla retorica, falsandola, dunque, e piegandola a piacimento.

Galli ci dice che è ora di riprenderla sul serio, assumendo quel pensiero non analitico e astratto ma dialettico che solo – mettendo in gioco tempi e spazi – rende tangibile appunto la contingenza della democrazia (dice Galli: non è un destino…), la sua fragilità, ma anche la sua modificabilità.

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intelligence for the people

Netanyahu, la parabola del capitalismo israeliano e la crisi di Israele

di Roberto Iannuzzi

E’ ormai una “classe capitalista transnazionale” a controllare le sorti economiche, e spesso anche politiche, del paese. Ed è il premier Netanyahu ad averne supervisionato l’ascesa

d1650a9d 702e 40b3 b1d9 14eb11a33e09 2048x1447A fine ottobre, un gruppo di 300 economisti israeliani ha inviato una lettera al primo ministro Benjamin Netanyahu e al ministro delle finanze Bezalel Smotrich, chiedendo loro di bloccare immediatamente tutte le voci di spesa non essenziali nel bilancio statale, e di riconsiderare le priorità di spesa per far fronte all’incombente crisi economica provocata dalla guerra in corso con Hamas.

“Non cogliete l’entità della crisi che l’economia israeliana sta per affrontare”, affermava la lettera. “Proseguire nell’attuale condotta danneggia l’economia, mina la fiducia dei cittadini nel sistema pubblico e compromette la capacità dello Stato di Israele di riprendersi dalla situazione in cui si trova”.

Tra i firmatari vi era l’ex governatore della Banca di Israele, Jacob Frenkel, ed altri economisti che avevano ricoperto ruoli di spicco nella banca, nel ministero delle finanze, e nel sistema economico e finanziario israeliano.

 

Ripercussioni economiche del conflitto

Secondo un sondaggio, già a fine ottobre circa il 70% delle aziende tecnologiche e delle startup israeliane si trovava a fare i conti con interruzioni delle proprie attività poiché molti dei loro dipendenti erano stati richiamati come riservisti nell’esercito.

Michel Strawczynski, economista presso l’Università Ebraica di Gerusalemme ed ex direttore del dipartimento di ricerca della banca centrale israeliana, ha affermato che due precedenti conflitti – la guerra in Libano nell’estate del 2006 e quella contro Hamas nel 2014 – erano costati a Israele fino allo 0,5% del PIL avendo colpito principalmente il settore turistico.

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italiaeilmondo

La fine del Gabinetto di Guerra

Putin e Moltke spaccano gli Stati

di Big Serge

72c7cf5c 0fcb 4f86 87d3 336881072adb 1663x1036Il secolo che va dalla caduta di Napoleone nel 1815 all’inizio della Prima guerra mondiale nel 1914 è solitamente considerato una sorta di età dell’oro per il militarismo prussiano-tedesco. In questo periodo, l’establishment militare prussiano ottenne una serie di vittorie spettacolari su Austria e Francia, stabilendo un’aura di supremazia militare tedesca e realizzando il sogno di una Germania unificata attraverso la forza delle armi. La Prussia di quest’epoca ha anche prodotto tre delle personalità militari simbolo della storia: Carl von Clausewitz (un teorico), Helmuth von Moltke (un pratico) e Hans Delburk (uno storico).

Come si suol dire, questo secolo di vittorie e di eccellenza creò nell’establishment prussiano-tedesco un senso di arroganza e di militarismo che portò il Paese a marciare impetuosamente verso la guerra nell’agosto del 1914, per poi naufragare in una guerra terribile in cui le nuove tecnologie vanificarono il suo approccio idealizzato al warmaking. L’orgoglio, come si dice, precede la caduta.

Si tratta di una storia interessante e soddisfacente, che propone un ciclo di arroganza e caduta piuttosto tradizionale. A dire il vero, c’è un elemento di verità in questa storia, poiché molti elementi della leadership tedesca possedevano un grado di sicurezza eccessivo e indecoroso. Tuttavia, questa non era l’unica emozione. Ci furono anche molti pensatori tedeschi di spicco prima della guerra che professarono paura, ansia e timore assoluto. Avevano idee preziose da insegnare ai loro colleghi – e forse anche a noi.

Torniamo indietro, fino al 1870, alla guerra franco-prussiana.

Questo conflitto è generalmente considerato l’opera magna del titanico comandante prussiano, il feldmaresciallo Helmuth von Moltke.