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comedonchisciotte.org

C’è del marcio a Washington

di Philip Giraldi - unz.com

Scott Ritter è perseguitato dall'FBI per aver invocato la pace mentre la lobby israeliana manipola le elezioni

ritter 750x430.jpgUna cosa che si può dire dell’Amministrazione del Presidente Joe Biden è che, quasi ogni settimana, c’è qualcosa di nuovo ed emozionante di cui discutere. Di recente, la sua demenza galoppante ci ha regalato un discorso di abdicazione durato 11 minuti, in cui Joe ha annunciato che non si sarebbe candidato per un altro mandato presidenziale. Ha farfugliato che stava facendo questo passo nonostante il suo desiderio di continuare. Il Presidente, che ha 81 anni e che negli ultimi tempi si è fatto notare soprattutto per il suo carente stato mentale che lo porta a cadere dalle scale, si è sentito in dovere di dire che ritiene che i suoi risultati come Presidente “meritino un secondo mandato” e che “nulla può ostacolare la salvezza della nostra democrazia”. Ha anche affermato di essere ”il primo presidente in questo secolo a riferire al popolo americano che gli Stati Uniti non sono in guerra in nessuna parte del mondo”, anche se gli USA occupano militarmente alcune parti della Siria, bombardano lo Yemen e sono impegnati in attività antiterroristiche in Iraq, oltre a sostenere logisticamente e con l’intelligence i grandi e crescenti conflitti in Ucraina e a Gaza. Biden ha promesso che “difenderà” Israele in caso di attacco, presumibilmente indipendentemente da chi il Primo Ministro Benjamin Netanyahu assassinerà o bombarderà per provocare una guerra contro Libano, Siria e Iran. Joe ha infine celebrato la nomina di Kamala Harris come erede designata allo Studio Ovale dopo aver eliminato il fastidioso e assertivo Donald Trump, che, presumibilmente, è colui che straccerà la Costituzione degli Stati Uniti e “distruggerà la democrazia” se gliene verrà data la possibilità.

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sbilanciamoci

La Meloni, la Cina, l’auto

di Vincenzo Comito

La presidente del Consiglio ha avuto colloqui di alto livello, a partire da quello con Xi. Ma non si è portata alcun dossier aperto. Anche sull’auto e l’ingresso di produttori cinesi in Italia, mentre si decidono dazi in Europa, non si notano passi avanti

DSC 4793 PP.jpgI risultati degli incontri della Meloni in Cina

La gran parte degli atti e delle dichiarazioni dei membri di questo governo, a partire da quelli di Giorgia Meloni, si possono, almeno a parere di chi scrive, tranquillamente classificare in tre ampie categorie: quelli negativi, quelli di pura propaganda, quelli infine del tutto inutili. Per quello almeno che si sa, il viaggio della presidente del Consiglio in Cina appartiene a quest’ultima categoria sia sul fronte economico che su quello politico.

Il successo del viaggio nel paese asiatico di una delegazione straniera si misura il più delle volte con il peso economico dei progetti da realizzare annunciati; si parla così di accordi, cifrati di solito in dollari, per 1 miliardo, 5 miliardi, 20 miliardi e così via. Di tutto questo nei documenti degli incontri non c’è alcuna traccia e neanche un vago accenno. Il ministro D’Urso assicura che le intese concrete seguiranno. Vedremo…

Cina e Italia hanno firmato in effetti un accordo triennale che, dopo il recente raffreddamento dei rapporti tra i due paesi, in teoria delinea dei meccanismi per rafforzare e rilanciare la cooperazione in diversi ambiti. L’elenco è molto lungo e comprende quasi tutto; sono citati i settori dell’industria e del commercio, gli investimenti, la tutela della proprietà intellettuale e delle indicazioni geografiche, l’agricoltura e la sicurezza alimentare, l’ambiente e lo sviluppo sostenibile, la cultura e il turismo, il contrasto alla criminalità organizzata, senza infine dimenticare l’istruzione. Come ha scritto qualcuno, una bella cornice, ma manca il quadro.

Si è poi parlato in particolare di veicoli elettrici e di energia pulita, oltre che di intelligenza artificiale.

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linterferenza

Circa Trump

di Alessandro Visalli

harris trump 690x362.jpgIncombe la fase finale delle elezioni americane. Ogni quattro anni viene riproposto questo spettacolo dai toni profondamente religiosi del duello tra ‘messia’. Un giudizio di Dio accuratamente imbastito da mani sapienti. Con gran rullo di tamburi, il “popolo” viene chiamato a scegliere quale front man si dovrà fare carico di rappresentare la disgregazione che nutre il cuore dell’impero occidentale. Esiste, probabilmente, un nesso funzionalmente necessario tra questa disgregazione e la ciclica riproduzione di una guerra civile ritualizzata capace di fornire l’alias di un sistema di valori comunitari rispettivamente orientati gli uni contro gli altri. L’assenza di autentici elementi di connessione comunitaria, in un ambiente ultra-frammentato sotto ogni profilo, e nel quale la promessa della prosperità (unico sostituto plausibile della salvezza ultramondana nella quale collettivamente non si crede più) per troppi si allontana generazione dopo generazione, rende, in altre parole, necessario per poter funzionare quanto basta da conservare il proprio auto-attribuito ruolo mondiale, che sia messo in scena un sostituto. E allora si cerca la salvezza mondana non già nell’identificazione di nemici collettivi scelti dall’effettiva gerarchia sociale operante (ovvero, in quello che una volta si chiamava il ‘nemico di classe’), quanto in presunti nemici della ‘nazione’. Nemici, che sono, insieme all’identificazione di ciò che è la ‘vera’ nazione, interni e trasversali. Contro questi si alza un messia.

Chiaramente ogni quattro anni, puntualmente, ci viene raccontato con grande spesa e fine capacità retorica che la scelta è epocale. Si tratta invero di designare l’anticristo o il vero messia. Colui (o colei) il quale porterà il bene e la pace al mondo, colui che comprende e riunisce in sé tutto l’essenziale e individua il punto cruciale e dirimente.

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comedonchisciotte.org

Trump e il complottismo

di Nestor Halak

caricature 2069820 1280.jpgImmediatamente dopo il tentativo di assassinare Trump, ancora prima di conoscere esattamente cosa fosse successo, su internet già fiorivano decine di differenti ipotesi “alternative” che ci davano avviso di quanto le cose potessero essere diverse da come apparivano. Ancora prima che ci fosse una “teoria ufficiale” da smentire, già la smentivano.

Né sono stati da meno i media mainstream che fin da subito hanno fatto il possibile per minimizzare l’accaduto, per ironizzare sull’accaduto, per insinuare dubbi sulla “realtà” dell’accaduto che poteva essere in fondo anche una “rappresentazione”. Meglio non parlarne affatto, ma se proprio un accenno vogliamo farlo, non chiamiamolo attentato, piuttosto incidente, non usiamo la parola assassinio, sottolineiamo il lato umoristico: da subito sono cominciate a circolare vignette ironiche e prese in giro, tanto da far sospettare che ci siano professionisti pagati per questo.

A pochi minuti dall’”incidente” già circolavano tesi che si trattasse di un falso, magari organizzato dallo stesso Trump a scopo di propaganda, magari si era buttato per terra e aveva aperto una bustina di salsa di pomodoro per fare il drammatico: può essere, ma allora perché gli spari non erano a salve, perché ci sono morti e feriti? Ma, forse gli spari erano veri, ma si mirava al pubblico: un paio di morti aggiungono drammaticità e sapore di verità! Uno spettatore in più o in meno, che differenza fa? Be, per loro qualcuna ne fa. Maga lives don’t matter! Però il proiettile sembra essere passato pericolosamente vicino alla testa… Ma no, era tutto calcolato! E poi certa gente si ucciderebbe pur di far sembrare vero un attentato!

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lafionda 

La locomotiva arresta la sua corsa: la crisi della Germania

di Paolo Arigotti

1685368528 bundestag.jpgLa Germania era definita fino a poco tempo fa la locomotiva dell’Europa, ma le cose stanno cambiando, e molto rapidamente.

Il paese sta affrontando una grave crisi, economica e sociale, che si trasforma inevitabilmente anche in politica.

Crisi energetica, pandemia e flussi migratori sono le motivazioni principali, assieme a una frattura tra quella che fu la Germania ovest e la ex DDR, la repubblica democratica tedesca che per circa 40 anni rimase nell’orbita sovietica, fino alla caduta del regime comunista nel 1989, cui fece seguito, a nemmeno un anno di distanza dal crollo del muro, la riunificazione, o per meglio dire l’annessione[1]. Nonostante le aspettative che caratterizzarono quella fase storica, i lander orientali hanno finito per essere controllati dagli ex connazionali d’occidente, che non solo hanno riservato per sé la quasi totalità delle posizioni che contano – con la ragguardevole eccezione della ex Cancelliera Angela Merkel, nata ad Amburgo ma cresciuta nella ex Germania est[2] – ma che si sono garantiti la proprietà degli apparati produttivi e del patrimonio immobiliare[3].

Non è un caso se è soprattutto in questa parte del paese che si registra la più forte ascesa politica delle destre, a cominciare da AFD[4], una forza politica che, piaccia o meno, vede al proprio interno nostalgici del nazismo, nonostante la compagine politica affondi le sue radici nella iniziativa di alcuni docenti universitari e intellettuali, contrari alla moneta unica europea, risalente a meno di venti anni fa. Allo stesso tempo, crolla la fiducia nel partito socialdemocratico (SPD) dell’attuale Cancelliere Olaf Scholz, che alle ultime europee non ha raccolto neanche il 14 per cento dei voti (13,90 per essere precisi), certificando l’emorragia di consensi e la protesta insita nel voto, che ha fatto dell’AFD il secondo partito (15,90), dopo la CDU- CSU (30).

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giubberosse 

Il "fattore T"

di Enrico Tomaselli

photo 2024 07 11 17 13 29.jpgEssendo fortunosamente scampato all’attentato a Butler, Trump veleggia verso una assai probabile vittoria alle presidenziali di novembre. Ed è assai probabile che anche l’America sia scampata – almeno per ora – allo scoppio di una guerra civile; se fosse morto, le possibilità che si innescasse una reazione a catena erano davvero forti.

Chiaramente, l’attentato in sé è stato un evento game changer; a questo punto per i democratici la partita è sostanzialmente persa, e quindi non ha più senso cercare un candidato alternativo a Biden. Non avrebbe senso bruciare adesso una candidatura spendibile tra quattro anni. Ma faranno bene a trovare in fretta un frontman (o una frontwoman…), e a prepararlo per la sfida: J.D. Vance è giovane e grintoso (e la sua biografia, ‘Elegia americana’, è un bestseller).

Se Trump confermerà le previsioni, e verrà eletto presidente per la seconda volta, avrà dinanzi a sé un arco di tempo limitato per sviluppare la sua politica; e anche se Vance è – come dice qualcuno – un suo clone, non è detto che verrà eletto nel 2028.

In questa finestra temporale si troverà di fronte numerose sfide, sia interne che internazionali, e i due aspetti sono intrecciati.

Tanto per cominciare dovrà risanare l’economia del paese – anzi, dovrà risanare il paese. Che ha un debito pubblico di 33.000 e passa miliardi. Dovrà probabilmente scontrarsi con una fortissima resistenza istituzionale da parte dei dem, a ogni livello, e ovviamente fare i conti col deep state (che è totalmente bipartisan, quindi saldamente presente anche tra le fila repubblicane). Per quanto la sua elezione sarà probabilmente trionfale, e questo taciterà il dissenso tra i rep, le divergenze non tarderanno a emergere.

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comedonchisciotte.org

Il vecchio male

di Chris Hedges - chrishedges.substack.com

Dopo vent’anni sono tornato nella Palestina occupata, allora ero un reporter del New York Times. Oggi ho sperimentato ancora una volta il male viscerale dell'occupazione di Israele

orrore 700x430.jpgRamallah, Palestina occupata: Ritorna di colpo, la puzza di fogna, il gemito dei diesel, i lenti veicoli per trasporto truppe israeliani, i furgoni pieni di nidiate di bambini, guidati da coloni dai volti pallidi, certamente non di qui, probabilmente di Brooklyn o di qualche parte della Russia o forse Gran Bretagna. Poco è cambiato. I checkpoint con le loro bandiere israeliane bianche e blu punteggiano le strade e gli incroci. I tetti rossi degli insediamenti coloniali – illegali secondo il diritto internazionale – dominano le colline sopra i villaggi e le città palestinesi. Sono cresciuti di numero e si sono ingranditi. Ma rimangono protetti da barriere antibomba, filo spinato e torri di guardia, circondati dall’oscenità di prati e giardini. In questo paesaggio arido, i coloni hanno accesso a fonti d’acqua abbondanti che ai palestinesi sono negate.

Il tortuoso muro di cemento alto 26 metri che corre lungo i 440 chilometri della Palestina occupata, con i suoi graffiti che invocano la liberazione, i murales con la moschea di Al-Aqsa, i volti dei martiri e il volto sorridente e barbuto di Yasser Arafat – le cui concessioni a Israele nell’accordo di Oslo lo hanno reso, secondo le parole di Edward Said, “il Pétain dei palestinesi” – danno alla Cisgiordania la sensazione di una prigione a cielo aperto. Il muro lacera il paesaggio. Si attorciglia come un enorme serpente antidiluviano fossilizzato che separa i palestinesi dalle loro famiglie, taglia a metà i villaggi palestinesi, divide le comunità dai loro frutteti, dai loro ulivi e dai loro campi, si immerge e sorge dagli wadi, intrappolando i palestinesi in un Bandustan, nella versione aggiornata da parte dello Stato ebraico.

Sono passati più di vent’anni dall’ultima volta che avevo fatto un reportage dalla Cisgiordania. Il tempo sembra non essere passato. Gli odori, le sensazioni, le emozioni e le immagini, la melodiosa cadenzata dell’arabo e i miasmi di una morte improvvisa e violenta che si annidano nell’aria, evocano il male antico. È come se non fossi mai partito.

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collettivolegauche

Intervista ad Ernesto Screpanti sul suo nuovo libro “Liberazione: Il movimento reale che abolisce lo stato di cose esistente”

Ringraziamo Gabriele Repaci per averci concesso di pubblicare l’intervista

maxresdefault.jpg1. Professor Screpanti, nel suo ultimo libro Liberazione: Il movimento reale che abolisce lo stato di cose esistente, edito da Tedaliber e da Punto Rosso (PDF scaricabile gratis da qui: https://www.tedaliber.it/liberazione/), lei contesta la visione della storia come processo di liberazione, cioè di espansione della libertà, definendola una metafisica destituita di ogni pretesa di scientificità. Se in passato, lei sostiene, abbiamo avuto un’evoluzione liberatoria, nulla garantisce che possa andare così in futuro. In altre parole per lei non c’è alcuna ragione per cui la storia debba avere un senso. Quindi, se non ho frainteso ciò che vuole dire, la storia è semmai il campo sterminato di una pluralità di processi, di dinamiche, di una molteplicità di percorsi, che spesso non hanno alcun rapporto tra loro, tanto meno uno di natura causale, ma sono dominati in gran parte dalla casualità e dall’eventualità delle cose.

La tesi che la storia è un processo di liberazione determinato dalle lotte sociali è centrale nel mio libro. È un’interpretazione giustificata da uno studio del passato. Ciò che nego è che esista un senso universale della storia per cui le cose debbano andare necessariamente così anche nel futuro. Sulla base di quella interpretazione possiamo ragionevolmente aspettarci che le lotte continuino ad avere esiti liberatori – possiamo sperarlo ma non possiamo esserne certi. Affermare il contrario equivale a costruire una filosofia metafisica della storia. In un orizzonte temporale ravvicinato possiamo solo dire che in ogni momento si apre una biforcazione tra liberazione e barbarie. In un orizzonte un po’ più lungo possiamo intrattenere quell’aspettativa e quella speranza, se non altro come motivazione della partecipazione alle lotte. In un orizzonte indefinito non possiamo dire nulla.

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lafionda

Ambientalismo e sovranità popolare

di Franco Ruzzenenti

parco velino 690x335 1.jpgLa questione climatica, ancorché sarebbe auspicabile definirla come la questione ambientale o ecologica, che di questa è solo un paragrafo nel quadro di quella che potremmo chiamare la nuova lotta di classe della fase globalista e postfordista del capitalismo occidentale (una fase che auspicabilmente sta giungendo al suo epilogo) e che vede nell’ambiente uno dei suoi campi di battaglia, è sommamente divisiva e controversa.

Propongo qui una riflessione rivolgendomi a quella nebulosa della sinistra sovranista (o se preferite, di ispirazione socialista o più genericamente antisistema, ma mi rivolgo a tutti coloro che, pur dichiarandosi di sinistra, non si riconoscono in quelle forze politiche progressiste, esplicitamente o larvatamente, filo-capitaliste e cripto-neoliberiste) e perché osservo talvolta con divertito stupore, talvolta con preoccupato rammarico, la faglia che si sta aprendo sul tema del clima nell’area politica in cui mi riconosco. Una faglia paragonabile per dimensione ed esizialitá a quella che abbiamo vissuto durante la ultima epidemia e seguenti, controverse, misure sanitarie e presunte tali (e sull’analogia tra le due questioni potrei insistere, ma preferisco soprassedere proprio per evitare l’esacerbarsi di quelle faziosità già dolorosamente vissute da tutti noi).

Questa riflessione aggiunge qualcosa, forse poco, al bel numero de La Fionda, Contro il Green[1], che sviscera l’argomento (della questione ecologica come terreno di battaglia politica) da prospettive giuridiche, economiche e filosofiche con solide e non banali argomentazioni, ma che evita, forse volutamente, di affrontare direttamente la questione climatica e il suo potenziale divisivo in seno alla sinistra anticapitalista.

Mi è d’obbligo oltre che dichiarare la mia affiliazione politica, dichiarare anche quella accademica, onde evitare equivoci o precipitose conclusioni circa i titoli che si hanno o meno per esprimersi su questa annosa e divisiva faccenda.

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doppiozero

Benvenuto in America, Mister Trump

di Alessandro Carrera

Fotografia di Evan Vucci Associated Press .jpgL’inquadratura di Donald Trump che con il sangue che gli cola sulla guancia alza tre volte il pugno e grida alla folla “Lottate!” (Fight!) non è l’unica cosa da osservare con attenzione nel video del suo tentato assassinio. Ma vediamo prima che cosa entrerà nella storia. Qualunque stratega elettorale sceglierebbe la fotografia della Associated Press, scattata mentre Trump scende dal palco. La descrizione che ne ha fornito Benjamin Wallace-Wells sul “New Yorker” (versione online), è da leggere con attenzione. Traduco qui il primo paragrafo:

“Quasi subito dopo gli spari al comizio di Donald Trump a Butler, in Pennsylvania, l'ex Presidente ha avuto un sussulto sul palco, si è portato una mano al viso ed è caduto a terra. Negli attimi di caos che sono seguiti, Trump è stato aiutato a rialzarsi dagli agenti del Servizio Segreto e ha dato una prova definitiva di vita: ha alzato il pugno destro verso il cielo e ha urlato alla folla "Lottate!". Nella foto circolata poco dopo, scattata da Evan Vucci dell'Associated Press, Trump è stagliato contro un cielo azzurro e limpido, mentre quattro agenti del Servizio Segreto lo stringono. Uno di loro guarda dritto nell'obiettivo, gli occhi protetti dagli occhiali scuri. Una bandiera americana sembra quasi veleggiare sulla scena. Trump ha le labbra serrate, gli occhi stretti e il mento un poco sollevato. Strisce di sangue colano dall'orecchio destro e sulla guancia. Lo sguardo è rivolto ben oltre quello che la macchina fotografica può catturare – al pubblico, al futuro – ed è uno sguardo di sfida. Chiunque abbia cercato di ucciderlo, ha fallito. È già l'immagine indelebile della nostra epoca di crisi e di conflitto politico” (The Attempt on Donald Trump’s Life and an Image That Will Last | The New Yorker).

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laboratorio

Le pressioni di mercati e UE su una Francia in crisi

di Domenico Moro

Melenchon.jpgLe elezioni francesi hanno restituito una assemblea nazionale (il parlamento francese) spaccata in tre blocchi, nessuno dei quali in possesso della maggioranza su cui far nascere un governo con un chiaro colore politico. L’incertezza su quale sarà il futuro governo del secondo paese della UE e unica potenza nucleare europea sta preoccupando i mercati, o, per dirla in altri termini, il grande capitale finanziario francese ed europeo. Del resto la Borsa francese all’indomani delle elezioni è calata dello 0,63%. A destare preoccupazione, una volta sventato il pericolo rappresentato dalla estrema destra, temuta per il suo euroscetticismo e per le posizioni sulla guerra in Ucraina, è la vittoria relativa del Nuovo fonte popolare (Nfp) e in particolare l’egemonia che all’interno di esso esercita il partito di estrema sinistra de La France Insoumise (LFi) guidata da Melenchon. Infatti, il programma di Melenchon metterebbe in crisi il percorso di austerità iniziato dal governo Macron, che ha raggiunto il suo apice con l’approvazione della legge sulla controriforma delle pensioni, che è stata varata senza il voto del Parlamento, un autentico vulnus alla sovranità popolare esercitata attraverso il legislativo. Senza contare che LFi ha posizioni tutt’altro che allineate sulla guerra in Palestina e in Ucraina. L’obiettivo dei mercati è quindi quello di far fuori Melenchon e LFi e puntare su un governo di coalizione guidato o da un politico di cui hanno fiducia, come il socialista ed ex presidente della Repubblica Hollande, o da una figura “tecnica” come si fece in Italia con Monti e Draghi.

Una cosa però è chiara: qualsiasi governo verrà formato avrà sul collo il fiato della finanza francese e internazionale. Il problema è che la Francia è un paese non solo in grave crisi sociale, come provano le numerose e imponenti lotte di massa che si sono succedute in questi anni, ma anche economica, politica, e geopolitica.

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sollevazione2

Sei cose sulla Francia (e non solo)

di Leonardo Mazzei

fronte popoare .jpgDunque, anche il secondo turno delle elezioni legislative francesi è alle nostre spalle. I giornaloni enfatizzano la sconfitta del Rassemblement National (RN) e la relativa tenuta di Macron. Il clima è di scampato pericolo: l’Ue può andare avanti con Ursula Pfizer von der Leyen ed il fronte anti-russo non perderà pezzi. Sacrifici e guerra son dunque garantiti. Questa la sostanza del sospiro di sollievo dei media del regime.

Che i loro auspici si realizzino è tutto da vedere, ma per lorsignori questo è il momento dei festeggiamenti. Guai ad ogni analisi che vada un po’ più a fondo. A ogni ragionamento che turbi i loro sogni. Stessa cosa a “sinistra”, dove l’arte del prender fischi per fiaschi è da gran tempo la più praticata.

Proviamo allora a fornire qualche spunto di riflessione, tanto su ciò che è accaduto, quanto su quello che potrebbe accadere.

 

  1. L’effetto distorsivo dei sistemi elettorali

Nella pittoresca “sinistra” italiana ci si esalta sia per la “travolgente” vittoria dei laburisti in Gran Bretagna (mica son massimalisti loro…), sia per la “grande” sconfitta dei lepenisti in Francia. Davvero un clamoroso paradosso, reso possibile solo dai meccanismi distorsivi delle leggi elettorali. Nessuno che dica che se in Francia si fosse votato con il sistema inglese, Bardella si sarebbe già insediato a Palazzo Matignon, con un’ampia maggioranza di seggi in parlamento.

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La crisi sistemica dell’Ue e la necessità della rivoluzione

di Fosco Giannini

crisi sistemica militare.pngLa verità è quella che appare? Si può essere rivoluzionari senza la teoria e la pratica della “preveggenza”? I comunisti debbono essere rivoluzionari e lavorare per la rivoluzione? Tre domande preliminari per un più vasto dibattito.

Tre domande preliminari: la verità è quella che appare? Si può essere rivoluzionari senza la teoria e la pratica della “preveggenza” e, cioè, senza “navigare” nei flussi carsici delle fasi storiche in cui i comunisti lottano? I comunisti debbono pensare alla rivoluzione e per essa attrezzarsi?

Sono tre domande, con le conseguenti risposte, attorno alle quali intenderemmo organizzare una prima riflessione volta esplicitamente all’apertura di una più vasta discussione sullo “stato delle cose” nell’area dell’Ue e sulla verosimiglianza o meno, in questa stessa area, di condizioni in divenire potenzialmente rivoluzionarie.

Che la verità non sia quella epidermica, quella che appare, è una costatazione ovvia e persino stucchevole, nella sua ovvietà. Ma è ovvia e stucchevole solo se la si formula da una postazione di razionalità. Poiché se formulata da una postazione di “superstizione” (che è quella della stragrande maggioranza, del senso comune di massa, “superstizione”, tanto per acuminare la precisione, che può avere come sinonimo la credenza popolare vana) la verità torna a essere esattamente quella fenomenica interpretata dai sensi e non quella profonda indagata dalla scienza e auscultata dagli esploratori dei moti carsici: i rivoluzionari, in questo senso “preveggenti”. Come il Lenin de «Lo sviluppo del capitalismo in Russia», una delle sue prime opere, iniziata nel 1896 nel carcere di Pietroburgo e terminata, in cattività, in Siberia, nel villaggio di Sciuscenkoie, un’opera che attraverso l’analisi della realtà prepotentemente in divenire, ma non percettibile dagli “avatar” della “superstizione”, evoca i moti carsici sui quali fondare, dando a esso plausibilità, il processo di violenta trasformazione sociale e ideologica che avrebbe portato, solo 21 anni dopo, all’assalto al cielo, all’Ottobre rivoluzionario.

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linterferenza

Il “fascismo” contemporaneo non veste l’orbace

di Norberto Fragiacomo

630 360 1718293752 1970.jpegUna compagnia di spettri si aggira per l’Europa odierna, ma a capitanarla non è di certo una larva in fez e camicia nera, anche se qualche politicante e schiere di imbonitori mediatici sostengono allarmati (rectius: allarmisti) il contrario.

Vediamo di essere più precisi: un nuovo autoritarismo si sta per davvero affermando, e anzi a livello continentale è già dominante, ma non si identifica con i gruppuscoli di giovinastri nostalgici che marciano nerovestiti nelle vie di un borgo laziale e nemmeno con i quadri intermedi di un partito che è la versione 2.0 del MSI di Almirante. Che i meno accorti, cresciuti con quei miti, si lascino ogni tanto sfuggire un saluto romano o un Sieg Heil! è abbastanza scontato, così come non deve sorprendere che questo o quel “federale” di lungo corso sia restio a pronunciare un’abiura che striderebbe peraltro con lo spirito dei tempi. Ma come? – potrebbe ribattere il caporione di turno all’intervistatore beneducato e democratico – non siamo tutti d’accordo nel sostenere l’eroica battaglia del reggimento Azov, che la sua “fede” la esibisce con fierezza, e nel condannare il mostruoso comunismo sovietico che ha prodotto l’aggressore Putin? Non concordiamo sul fatto che il nemico sono i barbari orientali, che la NATO è un presidio di libertà e che Israele va difeso, costi quel che costi? Non abbiamo gioito insieme per la liberazione di quei quattro ostaggi, scrollando le spalle di fronte alle duecento vittime collaterali palestinesi? Noi stiamo dalla stessa parte, amico democratico: è questo ciò che conta, tutto il resto è folklore.

Ecco: se il post-missino medio muovesse oggidì una siffatta obiezione a chi, da alfiere del mainstream neoliberale, ostenta raccapriccio per certi riti e atteggiamenti, dovremmo a malincuore riconoscere che il ragionamento non fa una piega: oggetto di quotidiane reprimende retoriche, che sono a loro volta folklore, il fascismo lato sensu inteso risulta ormai nei fatti sdoganato da un sistema che tutt’al più gli chiede un minimo di compostezza e buone maniere in società.

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intelligence for the people

Assange, un viaggio nel Pacifico, e le maschere dell’Occidente

di Roberto Iannuzzi

Washington e i suoi alleati europei continuano a minare quella patina di democrazia e promozione dei diritti umani che Assange ha il merito di aver smascherato con il suo lavoro di giornalista

4ac86eb8 8e93 4912 8bcc 82a6d29b1b4a 2047x1365Dopo una battaglia durata 14 anni, 5 dei quali trascorsi a Belmarsh, famigerato carcere di massima sicurezza alla periferia di Londra, il fondatore di Wikileaks Julian Assange ha dunque inaspettatamente ottenuto la libertà.

Il giornalista australiano rischiava 175 anni di carcere per ben 18 capi d'accusa presentati dall'amministrazione Trump, poi presi in carico dal successore Biden.

Per 5 anni, il Dipartimento di Giustizia americano aveva ignorato gli appelli di tutto il mondo a far cadere le accuse dell’Espionage Act rivolte contro Assange.

 

Un patteggiamento improvviso

Tutto è cambiato a maggio, dopo che l'Alta Corte di Giustizia britannica aveva concesso al fondatore di Wikileaks un'udienza di appello sulla richiesta di estradizione negli Stati Uniti.

L'Alta Corte aveva ritenuto che il governo statunitense non avesse fornito garanzie soddisfacenti sul fatto che Assange potesse contare su una difesa in base al Primo Emendamento, se fosse stato estradato e processato negli USA.

Il Dipartimento di Giustizia, forse temendo di perdere la causa, si è affrettato a giungere a un patteggiamento con il team legale di Assange.

I procuratori statunitensi hanno accettato una dichiarazione di colpevolezza per una singola accusa di cospirazione ai sensi della legge sullo spionaggio, senza ulteriori pene detentive rispetto al periodo da lui già scontato in prigione.