Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 1121
Astensione di massa e vincolo esterno
di Geminello Preterossi
Il vero dato politico delle elezioni europee, per quello che riguarda l’Italia, è la vastissima astensione: non era mai successo in queste proporzioni. È il segno di una crisi radicale di legittimazione, le cui cause profonde andrebbero indagate, invece di fermarsi alla superficie (come avviene nei talk show televisivi, ma anche in quello che resta dei giornali, tranne rarissime eccezioni). Il minimo che si può dire è che il popolo italiano nella sua maggioranza non ha raccolto l’appello di Mattarella a “consacrare” la “sovranità europea” nel rito elettorale. Un invito retorico, emotivo, perciò forzato e precario in quanto non fondato sul piano concettuale e dottrinale: l’UE non è uno Stato (né nazionale né federale), quindi non può possedere alcuna sovranità. L’UE è una strana costruzione tecnocratica, finanziaria e giurisdizionale, vocata prevalentemente ai dogmi mercatisti neo- e ordoliberali, frutto di accordi internazionali i cui “signori” continuano a essere, logicamente, gli Stati (i quali infatti possono recedere da quegli accordi, come si è visto con la Brexit). Un’istituzione a bassa intensità politica, dominata dai particolarismi, senza una visione unitaria (ma subalterna alla NATO); un costrutto “hayekiano”, funzionale a presidiare il vincolo esterno mercatista (e atlantista), a disciplinare i più deboli ma in generale i riottosi, che si ostinino eventualmente a credere nell’autonomia della politica, nella legittimità del conflitto sociale, nella sua proiezione democratica. L’UE ha nel Consiglio dei Capi di Stato e di governo (statali) la propria camera di compensazione politica degli interessi nazionali, e nella BCE il proprio custode dell’ortodossia monetaria ordoliberale, simboleggiata dall’euro (una moneta senza Stato: cioè un paradosso che non può funzionare, perché alla lunga ha costi sociali e democratici insostenibili).
- Details
- Hits: 1183
Tra delegittimazione e ristrutturazione: la dialettica circolare dell’astensione
di Eros Barone
“Motus in fine velocior”
“Il moto è più veloce verso la fine”: la frase latina ben si attaglia alla descrizione di questa tappa del processo che scandisce la crisi organica del parlamentarismo borghese. Queste sono infatti le prime elezioni della storia della Repubblica in cui i votanti sono meno del 50%, per l’esattezza il 49,7%, nonostante la partecipazione diretta di molti leader di partito a questo tipo di campagna elettorale. Prendendo in considerazione i soli votanti e guardando non i voti assoluti ma le percentuali (giacché in termini assoluti ha votato meno della metà del corpo elettorale e lo stesso primato di Fdi è stato conseguito perdendo 600.000 voti rispetto alle elezioni politiche del 2022), i tre partiti di governo (Fdi, Forza Italia e Lega) vedono rafforzati i propri numeri, che insieme li portano a sfiorare il 48%. Nell’altra ala del bipolarismo competitivo avanzano il Pd, che rispetto alle politiche cresce sia in termini di voti assoluti che di percentuali (24%), e Alleanza Verdi Sinistra che, sull’onda della “candidatura-civetta” di Ilaria Salis, raggiunge il 6,6%. “Deludente”, come ha ammesso Giuseppe Conte, è il risultato di M5S, che scende sotto la soglia del 10%. Ancor più deludente il risultato conseguito dalla cosiddetta “area riformista”: né Stati Uniti d'Europa (3,76%) né Azione (3,35%) superano la soglia del 4% necessaria per mandare eletti a Strasburgo.
Sennonché la discesa in campo di molti leader (Meloni, Tajani, Schlein) e i toni radicali con cui alcuni partiti hanno cercato di vivacizzare una campagna elettorale caratterizzata dal silenzio, in parte indifferente e in gran parte ostile, della maggioranza del corpo elettorale, non sono bastati a convincere la maggioranza dei cittadini a recarsi alle urne. Tanto più sguaiato appare pertanto lo strepitio levato dai leader dei maggiori partiti nel magnificare le vittorie di Pirro conseguite in una campagna elettorale in cui ha votato meno della metà del corpo elettorale.
- Details
- Hits: 1064
Sorveglianza e interferenza. La guerra segreta di Israele alla Corte Penale Internazionale
di Giacomo Marchetti
“Alti funzionari del governo e della sicurezza israeliani hanno supervisionato un’operazione di sorveglianza durata nove anni che ha preso di mira la CPI e i gruppi per i diritti dei palestinesi per cercare di ostacolare un’indagine sui crimini di guerra”. La rivelazione arriva da un’indagine congiunta di Yuval Abraham e Meron Rapoport, di Local Call +972, In collaborazione con Harry Davies e Bethan McKernan del The Guardian.
Da quanto emerge dall’inchiesta l’operazione “multi-agenzia”, che risale al 2015, ha visto la comunità di intelligence israeliana sorvegliare regolarmente l’attuale procuratore capo della Corte Karim Khan, il suo predecessore Fatou Bensouda e decine di altri funzionari della CPI e delle Nazioni Unite.
L’intelligence israeliana ha anche monitorato il materiale che l’Autorità Palestinese ha presentato all’ufficio del procuratore e ha sorvegliato i dipendenti di quattro organizzazioni palestinesi per i diritti umani le cui denunce sono al centro dell’indagine.
Secondo le fonti dei giornalisti, “l’operazione segreta ha mobilitato i più alti rami del governo israeliano, la comunità dei servizi segreti e i sistemi legali civili e militari al fine di far deragliare l’indagine”.
Di fatto, l’intero apparato di potere israeliano.
Le informazioni di intelligence ottenute attraverso la sorveglianza sono state trasmesse a un gruppo segreto di avvocati e diplomatici del governo israeliano, che si sono recati all’Aia per incontri riservati con funzionari della Corte penale internazionale nel tentativo di “fornire a [il procuratore capo] informazioni che le avrebbero fatto dubitare delle basi del suo diritto di occuparsi di questa questione”.
- Details
- Hits: 1626
Il genocidio in atto a Gaza è un fatto: la bestemmia è di chi strumentalizza Segre e la Shoah
di Giuseppe D'Elia
Il caso Segre, esploso in questi giorni, è letteralmente la punta dell’iceberg di una montagna ghiacciata di propaganda con la quale si cerca di sommergere e soffocare ogni tentativo di far comprendere la concretezza e la serietà dei crimini di cui è accusato il governo israeliano in carica, da entrambe le corti internazionali di giustizia, ovvero: a) l’International Court of Justice (ICJ), che si occupa di giudicare gli Stati; b) l’International Criminal Court (ICC), che invece processa le singole condotte individuali.
Sono passati ormai quattro mesi da quando le accuse di genocidio, mosse dal Sudafrica contro Israele, sono state reputate credibili dalla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) – di seguito CIG – che ha emesso pertanto una Ordinanza per l’esecuzione di misure cautelari, nel caso “Sudafrica contro Israele”, con specifico riferimento all’applicazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio nella Striscia di Gaza.
È appena il caso di ricordare che l’articolo III della “Convenzione sul genocidio” definisce lo spettro delle condotte genocidiarie punibili e che – per prevenire con ogni mezzo queste nefandezze – lo spettro degli atti vietati risulta assai ampio.
La norma citata punisce infatti:
«a) il genocidio;
b) l’intesa mirante a commettere genocidio;
c) l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio;
d) il tentativo di genocidio;
e) la complicità nel genocidio».
- Details
- Hits: 1023
Sovietologi. Scelte
di Pierluigi Fagan
Sovietologi
Durante la Guerra fredda, c’erano degli osservatori di cose russe, i sovietologi, i quali cercavano di dedurre cosa stava succedendo politicamente dietro la cortina di ferro, osservando le apparizioni pubbliche dei leader, le loro posture, le posizioni più centrali o periferiche di tizio o caio. Null’altro trapelava dal Cremlino.
L’esercizio era riservato agli addetti ai lavori, stante che nulla di ciò che si sarebbe notato o detto avrebbe minimamente alterato qui in Occidente il giudizio sul potere sovietico.
Con l’inizio della guerra in Ucraina, il lavoro di chi pur non essendo più ai tempi del PCUS continuava a cercar di seguire i movimenti di composizione del potere russo, è finito nel cestino. MI ricordo una sola intervista a una studiosa (O. Moscatelli) che cercava - invano - di ragguagliare sulla pluralità interna al massimo potere russo in quei convulsi giorni iniziali del confitto. Il fatto è che non interessava a nessuna sapere cosa veramente stesse succedendo al Cremlino, interessava solo ridurre la complessità ovvia di una Paese di 150 milioni di anime, alla famelica e delirante volontà d potenza dello zar Putin. Il giudizio sul potere russo entrava a far parte della propaganda di guerra e ne abbiamo viste e sentite di ogni tipo in questi due anni.
Si arriva così all’altro ieri dove si è annunciato un nuovo giro di nomine di alto livello. Tizio silurato da Caio, forse già tradotto in Siberia, Putin accoltella personalmente i vecchi amici, scorre sangue nei corridoi del Cremlino, purghe, la vendetta di Prighozin, Mosca allo sbando! Ma cosa è successo e come interpretarlo?
- Details
- Hits: 1047
Italia: riarmo e ampliamento delle forze armate, primi passi (ma decisi!)
di Il Pungolo Rosso
Come si colloca l’Italia nel quadro dell’incremento mondiale delle spese militari? La risposta è semplice: ai primi posti! E se perfino il Sole24ore ci sommerge di dati in proposito, allora possiamo esserne certi. Nella graduatoria mondiale dei primi trenta big della “difesa” (ma bisognerebbe smetterla con questa ipocrita dizione e chiamarla col suo vero termine: guerra!) quindici di essi sono statunitensi, dieci sono europei e cinque asiatici; ma tra la decina UE due sono italiani, e chi, se non Leonardo e Fincantieri?
I dati dell’anno scorso sono già superati da quelli del primo trimestre del ’24. Il rialzo medio dei titoli dei produttori di armi è del 22,8%, più del triplo dell’indice azionario globale che misura il 7,1%. In questa media mondiale il primo posto tocca all’UE con il 42,3% contro l’8,6% degli Usa. Inutile aspettare: il temuto effetto Trump che vedrebbe, forse, un disimpegno degli Usa nel finanziamento dell’armamento Nato viene considerato come una realtà di fatto e l’Europa, “culla mondiale di pace e civiltà”, sfodera tutta la sua grinta con l’Italia in ottima forma. I titoli di Leonardo si piazzano al quarto posto superando quel 42,3% di media europea e sfiorando il 56%. Fincantieri è al nono posto raggiunto con la recente acquisizione della linea di armamenti per sottomarini cedutale da Leonardo e di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo1. Ma quello che caratterizza l’impresa italiana sono gli alti ricavi che portano Leonardo all’8° posto nel mondo con 11,5 miliardi di euro2.
I maligni mormorano che questo sia dovuto ai bassi salari e alle condizioni di aspro sfruttamento dei proletari d’Italia e quindi i nostri sinistri, per non essere accusati di opportunismo, di codismo, di aver abbandonato perfino la difesa degli interessi minimi delle masse, si sono lanciati con ardore rivoluzionario in una battaglia per il salario minimo a nove euro (lordi, si badi!).
- Details
- Hits: 726
Una radiografia della storia mentre cammina
di Luca Baiada
Domenico Gallo, Guerre, Delta 3 Edizioni, Grottaminarda 2024, pp. 200, euro 16
Una guerra che a volte è sembrata quasi ad armi pari, in Ucraina; una strage che vuole sembrare una guerra, a Gaza. Hanno qualcosa in comune? Costringono a riflettere, le due direzioni tematiche di questo studio in presa diretta, fatto di articoli sulla stampa, interventi in convegni e inediti.
Forte della preparazione giuridica – l’autore è stato un magistrato con funzioni presidenziali in Cassazione – e di attenzione ai dati, Domenico Gallo confronta i fatti con le esigenze della condizione umana e con norme rigorose. Sono le garanzie della legalità internazionale e del diritto penale, violate in nome della ragion di Stato, della lotta al terrorismo, della sicurezza, della difesa, dell’identità.
Per un quadro generale. George Kennan, teorico del contenimento del blocco socialista, sul «New York Times» a febbraio 1997, indicò la decisione di espandere la Nato come il più grave errore del dopo guerra fredda. Due anni dopo, nel 1999, la Nato abbandonò il carattere di alleanza difensiva:
Con la scelta che gli Usa hanno imposto alla Nato nel luglio del 1997, il treno della storia è stato deviato su un altro binario, verso un percorso che ci ha sempre più velocemente allontanato dall’orizzonte del 1989 e alla fine è arrivato al capolinea il 24 febbraio 2022, data che simbolicamente rappresenta l’evento opposto e contrario a quello del 9 novembre 1989.
Ci sono rilievi più specifici. Si cita Benjamin Abelow, Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina (Fazi 2023), commentando:
La sciagurata avventura militare di Putin, che ha varcato il Rubicone la mattina del 24 febbraio 2022, [costituisce] una risposta del tutto prevedibile, e perciò prevenibile, a una trentennale storia di provocazioni alla Russia, cominciate durante la dissoluzione dell’Unione sovietica e proseguite, in un crescendo inarrestabile, fino all’inizio del conflitto attuale.
- Details
- Hits: 846
Una luce di speranza
di Raúl Zibechi
La grande rivolta giovanile nelle università degli Stati Uniti non smette di crescere e mostra una meraviglia di organizzazione e l’incredibile diversità di coloro che vogliono fermare il genocidio a Gaza, arrivando a contagiare anche l’Europa. Le kefiah fanno parte ormai dello scenario urbano su treni, metropolitane e strade delle grandi città. “Non possiamo sapere se la repressione e il bombardamento mediatico faranno retrocedere il movimento – scrive in un reportage di grandissimo interesse Raúl Zibechi da Philadelphia e Los Angeles – Il percorso di queste settimane e già abbastanza trascendente, una luce di speranza per le persone coinvolte…”
Brecha (settimanale uruguayano per il quale hanno scritto, tra gli altri, Eduardo Galeano e Mario Benedetti, ndr) ha girato gli accampamenti nelle università della Pennsylvania e di Los Angeles, mentre migliaia di studenti in tutti gli Stati Uniti manifestavano contro l’aggressione di Israele a Gaza, chiedendo di porre fine agli affari redditizi tra le istituzioni educative e il regime di apartheid di quel paese. In pieno anno elettorale, la protesta preoccupa il governo e le élite statunitensi.
Il 17 aprile gli studenti della prestigiosa Università Columbia di New York hanno iniziato a piantare tende nel campus in solidarietà con Gaza. La polizia ha provato a sgomberare ma hanno resistito. La repressione ha indignato studenti e insegnanti e ha attirato un gran numero di persone all’accampamento. Una settimana dopo, quando centinaia di studenti si sono riuniti in uno spazio centrale dell’accogliente campus dell’Università della Pennsylvania, a Philadelphia, c’erano già più di sessanta accampamenti in tanti altri edifici accademici.
Quest’esplosione di attivismo ha mostrato l’incredibile diversità di coloro che vogliono fermare il genocidio a Gaza. A Philadelphia i più attivi sono stati i giovani bianchi, spesso circondati da afroamericani; tanti anche i migranti latini che mostravano whipalas e bandiere messicane, un gruppo di mussulmani pregavano inginocchiati indossando abiti tradizionali, c’erano moltissime giovani donne e persone queer e trans. Alcuni professori si sono avvicinati con cartelli scritti a mano, manifestando il loro appoggio agli studenti, continuamente minacciati di rappresaglia. Un piccolo gruppo di ragazze ebree si è unito, con il prezioso e audace appoggio degli ebrei antisionisti alla ribellione causata da una guerra che sentono profondamente ingiusta, che non li rappresenta ed è una macchia indelebile nella storia dell’ebraismo.
- Details
- Hits: 20461
La Ostpolitik che ricerca Sahra Wagenknecht: un commento di Wolfgang Streeck al piano per la pace proposto da BSW
di Federico Musso
In una Germania in piena recessione e colpita da una crisi sociale, la sorpresa alle prossime elezioni europee potrebbe essere il nuovo partito Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW, Alleanza Sahra Wagenknecht), guidato appunto dalla ex leader di Die Linke.
Obiettivo di Wagenknecht, storico volto della sinistra tedesca, è strappare il voto di cittadini estremamente critici verso le politiche del governo Scholz, formato dai partiti appartenenti all’Ampelkoalition (Spd, Verdi e liberali), dall’astensionismo e dal sostegno ad Alternative für Deutschland.
Tuttavia, il bersaglio preferito della lista BSW è il partito dei Verdi (Bündnis 90/Die Grünen), guerrafondaio e intransigente sulla transizione ecologica. Queste due caratteristiche rendono i Verdi tedeschi il partito più “anti-popolare” sulla scena politica, i perfetti “Selbstgerechten” (presuntuosi) ritratti nel libro del 2021 scritto proprio da Sahra Wagenknecht (tradotto in Italia con il titolo “Contro la sinistra neoliberale”).
BSW si caratterizza, inoltre, per un diverso approccio verso la Russia, volto alla distensione e alla ricerca di un equilibrio tra la Germania e Mosca. Questo tema è stato affrontato, con la consueta lucidità, da un articolo, comparso sui giornali Frankfurter Rundschau e The New Statesman, scritto dal Prof. Wolfgang Streeck, già direttore del Max-Planck-Institut für Gesellschaftsforschung. Si ripropone il testo dell’articolo tradotto in italiano.
* * * *
Il piano per la pace di Sahra Wagenknecht. Perché vuole liberare la Germania dalle grinfie di Washington
di Wolfgang Streeck
- Details
- Hits: 1417
I tredici giorni di Columbia. Breve storia del nuovo ’68 americano, dalle tende a Hind’s Hall
di Gioacchino Orsenigo
Descrivere quanto accaduto a Columbia e più in generale nelle università degli Sati Uniti non è facile, soprattutto per me, che mi ci sono ritrovato coinvolto un po’ per caso, per via di alcune ricerche accademiche che mi hanno portato a New York, in quella che sarebbe diventata il cuore della protesta. Il lavoro perde d’importanza quando la storia ti capita così improvvisamente tra i piedi e provare a ricostruire quello che ho vissuto in questi giorni è un grande onore.
Rimando anche all’intervista che ho fatto ad Aidan, attivista queer e una delle voci della rivolta, per Napoli Monitor e Radio Onda d’Urto, e che ha ispirato questo articolo (disponibile qui e qui).
La notte tra il 30 aprile e il primo maggio, abbiamo assistito a una brutale prova di forza da parte delle autorità di Columbia e della polizia di New York. Almeno un migliaio di agenti ha fatto incursione all’interno del Campus, istituendo una zona rossa che militarizzava di fatto tutto l’Upper West Side. Sono state arrestate circa 170 persone, tra occupanti e solidali. Immagini di studenti trascinati e scaraventati giù dalle scale sono state diffuse sui social dagli stessi studenti presenti perché l’accesso al Campus era stato in parte limitato anche ai giornalisti e agli osservatori legali. Nel frattempo, veniva sgomberato anche l’accampamento di CCNY – City College of New York – mentre a UCLA, in California, l’accampamento degli studenti veniva attaccato da manifestanti pro-israele con lanci di fuochi d’artificio, mattoni e spranghe. Quanto accaduto quella notte è stato l’evento culminate di giorni di grande tensione e l’ultimo atto della politica di zero tolleranza promossa dalle autorità della Columbia.
- Details
- Hits: 748
Controstoria
di Salvatore A. Bravo
Una delle necessità non più rimandabili, in un momento storico caratterizzato dalla cultura della cancellazione-riscrittura della storia, “è ridare voce” a testi che hanno scritto la controstoria dell’Occidente. La storia presentata da manuali e dai media ufficiali ha il suo focus sui “grandi”; la storia sembra essere il campo di battaglia di eroi, manager e imprenditori che con la loro azione hanno condotto i popoli verso la libertà. In tale cornice ideologica il popolo e i ceti subalterni sono solo soggetti passivi che attendono di essere agiti. È il modo più efficace per eternizzare il presente e santificare l’uomo-imprenditore. La restante parte dell’umanità è solo un mezzo nelle fatali mani dei “grandi”. Si addestrano le classi subalterne del nostro tempo a diventare plebi che attendono la soluzione dei “grandi”. Devono adattarsi a una realtà, in cui sono solo materia grezza che attende il Demiurgo-imprenditore.
La controstoria, invece, pone in evidenza senza dogmatismi o idealizzazioni che la storia è lo spazio e il tempo della resistenza di popoli e dei gruppi oppressi. Le sconfitte sono imputabili al deficit politico. Nessun progetto di cambiamento è realizzabile senza un’organizzazione stabile e una chiara visione dei fini politici da realizzare. Capire le ragioni della lotta e delle sconfitte è la modalità con cui comprendere gli errori del presente e, specialmente, significa non cadere nella trappola del fatalismo. Uomini e donne che ci hanno preceduto hanno lottato e il loro sacrificio non è stato vano, se la loro testimonianza ci è d’ausilio per resistere al pessimismo che la montante ideologizzazione della storia sta mettendo in atto.
Il testo di J. Hobsbawm, I Ribelli Forme primitive di rivolta sociale, ricostruisce i movimenti di resistenza evidenziando che il popolo e gli oppressi nella storia sono stati protagonisti. Le sconfitte non cancellano la traccia di libertà di coloro che hanno lottato per la giustizia.
- Details
- Hits: 944
Conflitto nelle università: studenti, professori e guerre
di Maria Chiara Pievatolo
Kant e Humboldt avevano ben compreso i rischi portati da interessi privati o di Stato all’autonomia della ricerca universitaria. Le odierne manifestazioni di dissenso ci ricordano quanto sia importante distinguere i funzionari del sapere da coloro che studiano, tutelando entrambi dagli abusi del potere
1. Un punto di vista indipendente
Il professor Kant, alla seconda edizione (1796) dell’ideale trattato internazionale per istituire la Pace perpetua che è la sua opera politica più coraggiosa, aggiunse un articolo segreto col seguente dispositivo:
“Le massime dei filosofi sulle condizioni di possibilità della pace pubblica devono essere consultate dagli Stati armati per la guerra” (AA, VIII, 368).
Da professore, Kant aveva sperimentato la censura quando aveva provato a scrivere di religione, cioè di ciò che fondava il diritto divino della monarchia assoluta al potere in Prussia e fresca di decapitazione altrove. La sua richiesta, in questo articolo segreto solo in senso ironico, che i “filosofi” siano consultati è un modo per prendersi, sotto la protezione di un espediente retorico, la libertà dell’uso pubblico della ragione sulla pace e sulla guerra.
Con questa libertà, in un momento in cui le guerre si giustificavano di nuovo con motivazioni ideologiche, in appoggio agli interessi statali, Kant si permette di affermare qualcosa che oggi torna a suonare scandaloso: per superare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali occorre riconoscere che, sebbene ci siano guerre che sono o paiono necessarie, non ci possono essere guerre giuste. I belligeranti possono accampare ottime ragioni ideologiche per mandare al massacro militari e civili, ma chi fa combattere una guerra presuntivamente giusta non si appella alle ragioni del diritto, che avrebbero bisogno di essere accertate da un giudice terzo non in conflitto di interessi e secondo una legge pubblicamente e universalmente riconosciuta, bensì a quelle della forza.
- Details
- Hits: 734
La tensione tra Israele e Iran non giova alla causa palestinese
di Il Pungolo Rosso
Abbiamo voluto attendere che si concludesse lo scambio di colpi tra Israele e Iran per dire la nostra, che – però – a vicenda per il momento conclusa, resta identica: nonostante le possibili (e realmente esistenti) illusioni a riguardo, l’innalzamento della tensione tra i due stati non giova alla causa palestinese.
Un indizio di fondamentale importanza dovrebbe essere nel fatto che è stato il regime sionista a prendere l’iniziativa di colpire duro a Damasco abbattendo mezza ambasciata iraniana e alcuni alti ufficiali del regime di Teheran. Un avvertimento dato in due direzioni: verso gli Stati Uniti e l’Europa; verso l’Iran. Ai suoi protettori la banda di Netanyahu (e la sua finta opposizione) hanno mandato a dire: noi siamo in grado, e siamo determinati, se necessario, a far deflagrare la guerra in tutto il Medio Oriente, ben sapendo voi Stati Uniti, voi Unione Europea, non siete pronti a questo. Ricatto pesante. Ai prudentissimi ayatollah (che, ricordatelo, avevano sconsigliato Hamas dall’agire in modo offensivo, e che fino alla fine di marzo hanno tenuto un profilo d’azione molto basso) lo stato sionista ha mandato a dire: continuate a restare prudenti, perché noi siamo in grado di colpirvi duro (il sottinteso riguarda le centrali di arricchimento dell’uranio e quant’altro di strategico possa essere colpito). Altro ricatto pesante.
Dopo l’attacco del 1° aprile, era impossibile, per Teheran, restare con le mani in mano, salvo perdere la faccia. La risposta è stata accorta, spettacolare, di sicuro dannosa per il mito di invincibilità di Israele – già fatto a pezzi dall’offensiva della resistenza palestinese del 7 ottobre -, ma nello stesso tempo prudente. Un piccolo capolavoro tattico, nell’esclusivo interesse dell’Iran come potenza regionale, senza nessuna ricaduta positiva per il popolo palestinese. Anzi.
- Details
- Hits: 894
Le tante faglie che attraversano gli Stati Uniti d’America
di Paolo Arigotti
La Treccani definisce[1] faglia la “frattura in un corpo roccioso, caratterizzata dal movimento relativo fra i blocchi adiacenti che essa separa”. Ma non siamo qui per parlare di geologia, bensì di un altro tipo di fratture, intese in senso politico e sociale, che da tempo interessano gli Stati Uniti d’America. Non ci occuperemo, pertanto, di questioni collegate alla politica internazionale, ma a una serie di criticità interne alla federazione a stelle e strisce.
Ai primi di novembre, precisamente il giorno 5 - come da tradizione il primo martedì dopo il primo lunedì del mese - gli statunitensi saranno chiamati per la sessantesima volta nella loro storia a scegliere (con un elezione di secondo grado) il prossimo Presidente, e stando così le cose la sfida sarà la stessa di quattro anni fa: Joe Biden contro Donald Trump, anche se a parti invertite, visto che stavolta è il primo a occupare la prestigiosa residenza al numero 1600 di Pennsylvania Avenue, Washington D.C. Se l’attuale Amministrazione sembra ancora proiettata alla politica internazionale – ricordiamo il recente voto della Camera dei rappresentanti, col contributo decisivo della maggioranza repubblicana guidata dallo Speaker Mike Johnson, che ha approvato un nuovo pacchetto di aiuti destinato a Ucraina, Israele e Taiwan (con qualche briciola destinata agli aiuti umanitari, magari per le stragi provocate dalle stesse armi incluse nelle misure licenziate)[2], che finirà per lo più appannaggio dell’apparato militare industriale a stelle e strisce[3] - sembrano ben altri i problemi coi quali deve fare i conti l’americano medio.
Per introdurne uno, particolarmente avvertito in “casa repubblicana”, pensiamo all’immigrazione clandestina, che solo pochi mesi fa rischiava (e non è detto che non lo possa fare ancora) di innescare un vero e proprio scontro istituzionale tra centro e periferia: ci stiamo riferendo al Texas[4].
- Details
- Hits: 879
I fatti e le chiacchiere
di Algamica*
Discutiamo del 25 aprile, del valore della Resistenza, del fascismo e dell’antifascismo di ieri e di oggi, delle mobilitazioni e contro mobilitazioni di questa fase. Lo facciamo senza veli, in modo schietto, chiamando in causa anche nostre illusioni e fraintendimenti storici, teorici, politici e pratici. Lo facciamo relazionandoci sempre e solo ai fatti, e non alle chiacchiere più o meno interessate a spaziare esclusivamente nella propaganda, perché mancano argomenti al liberismo in profonda crisi di prospettiva e dunque, come dicono a Napoli, «chiacchiere e tabacchiere di legno il banco di Napoli non le impegna».
Finalmente, dopo 79 anni, si apre uno squarcio diverso su una ipocrisia storica durata fin troppo: cosa fu esattamente la resistenza in Italia? Basterebbe solo leggere con attenzione le date della storia per dare ai fatti e alle parti in causa reali connotazioni.
Quando un Aldo Cazzullo titola il suo editoriale «Bastava un gesto» sul giornale più importante dell’establishment d’Italia, mostra tutta la povertà argomentativa che ha il potere capitalistico in un paese occidentale come l’Italia. Mostra, cioè la mancanza assoluta di forza di attrazione politica, teorica e culturale, insomma mostra la crisi valoriale del liberismo. La qualcosa fa il paio con la ufficializzazione della candidatura di tal Vannacci, da parte della Lega di Salvini, come capolista in tutte le circoscrizioni per le elezioni europee.
Diamo la parola a chi, da vero liberista, chiama le cose per il loro nome, a quel Alessandro Sallusti che scrive «Purtroppo non da oggi il ricordo della giornata della Liberazione è diventato una baraccata». Ma perché un liberista arriva a definire la celebrazioni per il giorno della Liberazione una baraccata? Lo sintetizza in modo chiaro e netto nella chiusa: «Viva il 25 aprile, ma quello del 1945».
Page 10 of 66