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lantidiplomatico

“Io capitano”, il film di Garrone, è un falso storico

di Michelangelo Severgnini

720x410c50ytjidhkmg.jpg“L'Oscar si vince con la bandiera a stelle e strisce, cambiando la realtà”.

Parafrasando la celebre frase di Mario Monicelli, potremmo dire: “Il Leone d’oro si vince con la bandiera blu stellata, cambiando la realtà”.

E che valga a questo punto di buon auspicio per la vittoria del Leone d’Oro per il film “Io Capitano” diretto da Matteo Garrone, se non altro.

In estrema sintesi questo lavoro è un falso storico, perché, ispirandosi alla realtà, la stravolge e soprattutto ne occulta i significati e i nessi reali che le danno forma e la riformula all’interno di una narrazione fiabesca, per altro ampiamente in voga già da un paio di decenni, che non è nemmeno edulcorazione: è puro depistaggio delle coscienze. A che pro? Al fine di lasciare tutto così com’è, per il compiacimento e la soddisfazione di Mamma Europa. 

Non sono nemmeno in grado di dare un giudizio estetico al film, perché non c’è corrispondenza tra scelte artistiche e significati espressi. Pertanto lo sfoggio estetico tutt’al più è un esercizio pirotecnico. L’arte è un’altra cosa.

Non sono nemmeno in grado di immaginare la reazione che provoca nello spettatore medio. I pochi spettatori presenti in sala del resto non mi hanno aiutato in questo: muti dall’inizio alla fine non mi sembra abbiano lasciato la sala delusi, ma nemmeno entusiasti.

Durante tutto il film appaiono qua e là spaccati realistici (segno che almeno qualcuno tra gli sceneggiatori ha fatto lo sforzo per informarsi), alternati a momenti verosimili per quanto improbabili e a lacune clamorose, personaggi della storia vera che nella storia finta non ci sono, spariti, come per effetto di un gioco di prestigio.

Il primo gioco di prestigio sta nelle righe di presentazione: “un’odissea contemporanea”. No, signori, l’Odissea racconta di come Ulisse dopo tante peripezie faccia ritorno a Itaca, la sua patria. L’Odissea quindi è tutta un’altra storia.

Ad ogni modo, sin dai primi minuti mi ha dato fastidio riscontrare come la storia fosse raccontata attraverso le tecniche narrative tipiche di un racconto costruito intorno alla figura dell’eroe, come da manuale del provetto sceneggiatore.

Compare subito la missione: raggiungere l’Europa. Compaiono subito i (numerosi) guardiani della soglia (la madre che gli proibisce di partire, il migrante di ritorno che gli sconsiglia di partire). Ma lui, il ragazzino senegalese del film, Seydou, siccome è un eroe, non si lascia condizionare e si lancia nell’avventura.

Se queste tecniche andavano bene per l’Edipo di Sofocle, o persino per l’Orlando dell’Ariosto, o chessò, per un Rocky Balboa, francamente applicate ad un ragazzino minorenne che nella realtà non è un eroe ma una vittima, rappresenta una scelta di cattivo gusto che mi ha messo di traverso il film sin dall’inizio. È pornografia fatta su un minorenne.

E infatti, perché lo spettatore si affezioni a considerare il protagonista del film come un eroe, ecco che il primo grande personaggio della storia reale viene omesso dalla storia finta: l’adescatore.

I ragazzini non sono adescati nel film, al contrario, tutti provano a fermarli, ma loro testardi.

Nell’unica scena in cui i ragazzini scrollano un cellulare in Senegal, per esempio, è per vedere i video e le notizie sull’Italia, come a dire: con un Paese così bello, è normale che tutto il mondo rischi la pelle per raggiungerci!

Il trafficante lo devono andare a cercare come fosse peggio di uno spacciatore: è una persona che si nasconde, che lavora in incognito, raggiunto fisicamente attraverso un passaparola. 

Il trafficante non è un adescatore nel film, è un facilitatore, un complice, un alleato da scovare.

Tutto falso.

L’adescatore africano è il perno su cui è stato costruito il fenomeno della migrazione ed è raggiungibile facilmente su internet dagli sventurati, su pagine social appositamente dedicate e impunite.

È inverosimile quando al momento della partenza il trafficante senegalese augura buon viaggio e soprattutto dice: “mandatemi i saluti quando sarete in Europa”.

L’adescatore nella storia reale è in combutta con le milizie libiche. È lui che va a cercare i ragazzini, perché convincere un ragazzino a raggiungere la Libia è suo interesse, perché anche lui prenderà una parte dei soldi estorti dai Libici. Come? Andandoli a ritirare a mano dalla famiglia del ragazzo partito quando questi sarà sotto i ferri della tortura in Libia.

Però, se nel film esistesse il personaggio dell’adescatore e il nostro protagonista si facesse adescare, allora non sarebbe più un eroe. Sarebbe una vittima, un illuso caduto nella trappola.

Ma niente. Per noi Europei la “tratta di esseri umani”, quando se ne parla, è un servizio al viaggiatore, non una trappola ordita dalle mafie per adescare ragazzini e renderli schiavi.

Si giunge quindi in Libia. Il ragazzino si vede preso da alcuni soldati e portato in una prigione. La prigione però è un edificio governativo, quando al contrario si tratta di enormi capannoni dove i migranti sono stipati tutti insieme come polli d’allevamento. Il kapò senegalese, l’adulto africano che collabora con le milizie libiche per mediare linguisticamente con i ragazzi, confida loro che quelle non sono milizie, non è il governo, è una mafia generica. 

E quindi come possono essere in un edificio governativo? Ma tralasciamo le contraddizioni di scrittura, che sono l’ultimo dei problemi. Evidentemente in questa scena si è palesata l’esigenza di non offendere il cosiddetto governo di Tripoli, che sono amici nostri. Loro escono puliti da questa scena, come dal resto del film.

Ne escono puliti perché sono un altro personaggio mancante nella storia finta.

Per non parlare delle legittime autorità libiche e del parlamento di Bengasi: niente virgola niente.

Che dal 2014 la democrazia in Libia sia esautorata e usurpata da un governo criminale e illegittimo nel film non si dice. Ma è il minimo. Questa storia non sta nemmeno sui giornali italiani.

Arriva il momento della tortura. Il kapò senegalese chiede chi ha “il numero”, il numero di telefono per chiamare la famiglia e farsi mandare i soldi del riscatto. Chi ce l’ha da una parte, chi non ce l’ha dall’altra. Ma questa non è la dinamica raccontata dai migranti-schiavi in Libia.

Numeri di telefono innanzi tutto non ce ne sono. Ormai ci si comunica attraverso internet. Chiamate internazionali ancora meno. Si comunica attraverso Facebook o Whatsapp. Basta requisire il telefono dei ragazzi e si risale ai contatti. E li si chiama d’ufficio. La tortura avviene a prescindere.

Ma lui è un eroe e quindi affronta la tortura perché rifiuta di comunicare il numero di telefono della madre.

Questa scena del tutto inverosimile stravolge il senso della vicenda, perché la tortura non serve per procurarsi il numero dei famigliari del ragazzo, ma per indurre gli stessi famigliari a consegnare i soldi del riscatto al più presto.

Alla fine si arriva a Tripoli. Il ragazzino si mette a lavorare su un cantiere edile (con il casco protettivo in testa!!!), fa il muratore e riesce a mettere da parte i soldi per imbarcarsi.

Ma nessuno produce reddito a Tripoli! Chi lavora lo fa in stato di semi-schiavitù, non si racimolano che spiccioli. Chi riesce a pagare ancora un altro trafficante per la traversata è chi ha a casa una famiglia in grado di inviare altri soldi. Gli altri restano a terra, in trappola: 600.000 migranti-schiavi bloccati da anni!!!

Inoltre imbarcarsi clandestinamente dalla Libia non è cosa che si può decidere oggi e partire domani. I dati ci dicono che 1 ogni 20 migranti presenti in Tripolitania ogni anno raggiunge l’Italia. Questa percezione della Libia paese di transito è fasulla. La Libia è per quasi tutti ormai paese di destinazione, nel senso che il viaggio finisce lì, in trappola, manodopera gratuita per le milizie di Tripoli fino a data ignota.

E quei pochi che riescono a raggiungere l’Italia lo fanno dopo anni.

Ad ogni modo, si parte.

L’imbarcazione è un classico peschereccio a fine carriera. Ma da una decina d’anni, da quando le milizie hanno preso il controllo della Tripolitania e da quando le Ong sono attive in mare, si parte quasi sempre con gommone sgonfio. Il gommone sgonfio non è in grado di raggiungere l’Italia da solo. Si affloscia e va a fondo dopo poche ore. Pertanto non un eroe, ma un folle si imbarcherebbe senza aver avuto dal trafficante l’assicurazione di trovare una nave delle Ong ad attenderli.

Ma in questo caso, inverosimile ma non impossibile, l’imbarcazione è un un peschereccio.

Ad un certo punto, nell’oscurità della notte in mare aperto, un momento di verità del film. Appaiono delle luci all’orizzonte, scambiate all’inizio erroneamente per l’Italia (effettivamente questa esperienza capita a diversi che provano la traversata dalla Libia). Ma non è l’Italia. Sono le luci delle piattaforme offshore di gas e petrolio. Sono diverse, disseminate nel mare davanti a Tripoli. Anche gli 8 miliardi portati dalla Meloni a Tripoli lo scorso gennaio sono per aprirne un’altra. Verosimilmente nel film si tratta della piattaforma di “Bouri Field”, gestita al 50% da Eni e 50% dal Noc, la società di Stato libica.

Attenzione: forse che il film voglia alludere alla connessione tra migrazione e petrolio? Macché. L’imbarcazione con i migranti sfila al lato della piattaforma in una sensazionale sequenza che però non dice quello che dovrebbe.

Anzi, già che ci siamo, diciamola tutta. La famigerata e cosiddetta guardia costiera libica finanziata e addestrata dall’Italia, è soltanto la guardia costiera di Tripoli, quella che risponde a un governo non eletto e criminale.

In Italia però si omette sempre di raccontare che come la addestriamo noi, la addestrano anche i Turchi, i Francesi, gli Inglesi, a volte persino i Tedeschi. Perché quella guardia costiera non è lì per fermare i migranti, ma per controllare e garantire il passaggio illegale di petrolio libico. Ecco perché tutti i governi la finanziano e la equipaggiano.

Ci siamo. L’Italia è vicina. Si lanciano le richieste di soccorso attraverso il telefono satellitare fornito dal trafficante, ma nessuno risponde. E qui tutti a pensare: “ah, se ci fossero le Ong a salvarli”. Un momento. Ma anche le Ong sono personaggio assente nella storia finta. 

Così come il gommone sgonfio: assente. Perché le partenze con i gommoni sgonfi sono al 50% concordate con le Ong e il 50% concordate con la guardia costiera libica che li va a prendere per riportarli terra, torturarli ed estorcere altro denaro (consegnato sempre a mano dalla famiglia alla mafia locale nel paese di partenza).

Finalmente compare terra all’orizzonte. Un elicottero delle autorità italiane sorvola l’imbarcazione, l’euforia scoppia sui volti dei migranti. In primo piano c’è lui, Seydou: il nostro eroe ce l’ha fatta.

Scoppia in un urlo, gridando “Io capitano”. A parte che gli stessi trafficanti per primi avvisano i ragazzi che appena vedono gli “Italiani” devono buttare a mare la bussola e nessuno deve farsi vedere al timone altrimenti una legge assurda condanna a diversi anni di carcere chi semplicemente si trova con le mani sul timone pur essendo un migrante come tutti gli altri. Ma no, lui invece, il nostro ragazzino, rivendica di essere il capitano: del tutto inverosimile!

Però è stupendo come l’ultima scena di questo film si concluda con un urlo, esattamente come nel film “L’Urlo”. In effetti le due inquadrature finali sono simili. Primo piano sull’urlante e sfondo di deserto per “L’Urlo” e sfondo di mare per “Io capitano”.

Ma l’analogia finisce qui. Perché sono due urli completamente diversi.

L’urlo de “L’Urlo” è l’urlo di ripudio di un occidentale nel momento in cui, al termine del film, si rende conto del meccanismo di manipolazione e di condizionamento di massa che ha dirottato la coscienza di un intero continente a suon di falsità.

L’urlo di “Io capitano” è un urlo di guerra, un urlo di vittoria, un urlo di estasi.

È l’urlo del dipendente da eroina nel momento in cui la sostanza divampa nelle vene. E l’urlo della vittima che ancora non si è accorta della trappola in cui si è messa da sola. È l’urlo dello schiavo che una volta messosi alla guida della nave negriera che lo sta portando nel luogo di schiavitù non ha altra possibilità se non credere che quella sarà la sua salvezza.

È un urlo di gioia che presto, come direbbe Collodi, si trasforma in raglio. Sono tutti partiti cercando il paese dei balocchi e presto si risveglieranno schiavi.

Eroi pertanto non sono coloro che raggiungono l’Italia. Eroi sono coloro che si sono accorti dell’inganno, che sono tornati a casa, che come Oyiza Hope denunciano gli adescatori (assenti nel film), che combattono le mafie dei propri paesi che sono in combutta con le milizie di Tripoli alle quali assicurano sempre ragazzini freschi.

Loro, i migranti di ritorno, sono i veri eroi della storia vera, ma anche loro sono assenti dalla storia finta.

E così, sforbiciando tutti i personaggi scomodi e aggiungendo un po’ di fantasia e belle inquadrature (musica mediocre però), ecco confezionato un film accomodante, una bella narrazione fiabesca, un inno alla supremazia bianca ed europea.

Gli ingredienti giusti per vincere il Festival di Venezia.

Mentre per la storia vera, quella raccontata ne “L’Urlo”, il premio è la censura.

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Comments

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Alfred
Saturday, 16 September 2023 21:02
Pongo delle domande,
Secondo voi le migrazioni hanno una sola ragione?
I trafficanti che invogliano iragazzini e fanno i loro affari?
Non esistono e coesistono altre cause e concause?
Avete mai avuto modo di conoscere ex militari o vittime di ex militari tunisini e del corno d'africa o del darfur scappati perche' non volevano piu fare i militari o perche' il loro corpo portava tutti i segni delle torture dei loro governi?
A proposito della sintesi sul film di Garrone, che avra' i suoi limiti, mi e' venuta in mente questa donna senegalese il cui figlio e' annegato e che fa parte di gruppi che non vogliono che i loro figli lascino il Senegal abbagliati dalle meravigliose luci del nord
https://www.cittanuova.it/senegal-lavorare-rimanere-patria/?ms=007&se=018
Come la migrazione interna e internazionale degli italiani e' stata ed e' riconducibile sia a interessi dei governi (manovalanza di riserva e a basso costo) che a storie familiari, personali ecc, cosi anche quelle dell'albania (a suo tempo e per le drammatiche dimensioni) e dei paesi africani.
Sono stato un migrante, fortunatamente con passaporto europeo e possibilita' di lavoro, ma ho conosciuti tanti e tante con storie veramente diverse.
Il film nel seguire una storia e modalita' esclude tutte le altre?
I lavori di Severgnini su una tipologia di migrazione danno risposta a Tutto?
Se non ce ne siamo accorti Lampedusa e' eclatante, ma gli arrivi maggiori avvengono anche da frontiere terrestri. Lunghi viaggi a piedi, da Siria, Afganistan, Pakistan ecc non mancano e molti rischiano sia rivolgendosi ai trafficanti che cercando di cavarsela in proprio.
A proposito... anche adesso da Italia c'e' migrazione di giovani o mezza eta'italiani, nativi, bianchi e con antenati italici.
Molti non avrebbero neanche bisogno (in base a sola valutazione economica), ma cercano destini diversi, non necessarimente migliori. Un africano in analoga situazione (ce ne sono, ho conosciuto uno che lavorava in una istituzione africana, ma voleva crescere i figli in europa ... piu borghese della nostra borghesia) ... a volte segue le sirene dei trafficanti, a volte inizia il viaggio in piroga. Anche per chi puo permetterselo non e' facile arrivare in aereo e ... riuscire a restare in europa.
Il film (per come raccontato qui e altrove) e' una storia tra le possibili, non mi sembra getti particolari nebbie sulla lettura del mondo delle migrazioni.
.... a meno che Garrone non abbia scritto a caratteri cubitali: questa e' la lettura ultima e sola della realta' ...
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Enza Sirianni
Sunday, 17 September 2023 08:41
Provo a rispondere gentile Alfred , nella consapevolezza che sarò insufficiente e che , raramente , le risposte sono definitive quando le questioni sono così complesse.
Le migrazioni non hanno certe una sola ragione. Per classificare quelli che da una situazione , non necessariamente di indigenza assoluta o comunque precaria, scelgono un posto dove tentare un'altra vita e magari offrire differenti opportunità ai discendenti, allettati da modelli per loro inediti, dallo stile, dall'organizzazione sociale, dai costumi, è stata coniata la dicitura generica di " migranti economici". In questo senso direi che , fondamentalmente , da che mondo è mondo, siamo stati, pressoché tutti, migranti economici. Per conoscere l'origine della mia famiglia, stanziale nel posto in cui vivo da poco più di due secoli, ho fatto una personale ricerca tra registri delle chiese e archivi. I miei antenati, di cui porto ancora il cognome, lasciarono un borgo sui monti e scesero al piano per mettere a frutto la loro arte artigiana e farne un piccolo commercio. Erano due fratelli che , presentandosi come onesti lavoratori, sposarono due ragazze dell'"università" che avevano scelto. Così si dipanò la stirpe che poi si divise in tre rami, tra cui quello del mio attuale parentato.
Nelle migrazioni di massa attuali, specie di quest'ultima ondata che, come osserva Franco, ha il suo traffico soprattutto in Tunisia, il movente è "confusamente" una vita migliore , all'occidentale, spesso quasi per sfida, gioco, avventura da parte di uomini e donne giovanissimi. La diciottenne ( mi pare camerunese) che ha partorito un bimbo, morto di stenti, su un barchino affollato di 400 persone, che pensava , che ha pensato con il suo pancione al termine, mettendosi per mare e nelle mani di sconosciuti ? Me lo chiedo e ve lo chiedo. Posso ipotizzare che immaginasse vagamente una vita migliore, magari di fare la colf, la badante o la bracciante in una famiglia italiana o tedesca, con il necessario per vivere. E il bimbo ? Avrà pensato alla creatura che si agitava nel suo ventre ? Forse pensava di affidarla a qualcuno , mentre lei sarebbe andata a lavorare, o magari aveva sentito che in Europa danno facili bonus ( nella migliore delle ipotesi) per i minori degli immigrati ? Certo, secondo il nostro modo di pensare, mai per mai, rischieremmo due vite su una insidiosa bagnarola guidata da gente senza scrupoli. Ma qualcosa che va al di là dei nostri sforzi di immedesimazione, spinge e spingerà ancora milioni di africani e asiatici a tentare la sorte qui nel continente ricco e vicino.
Alle cause storiche, per conoscenza generale delle forti asimmetrie tra sud e nord del mondo e delle nostre responsabilità a peggiorarle, ci arriviamo, ma per le ragioni individuali, ci dobbiamo fermare nel campo delle supposizioni.
Concludendo, chi lascia la propria terra per quella " promessa", ha sempre una sua giustificazione, criticabile o meno, ma da rispettare fin tanto che il mondo è di tutti e ci siano aree dove è più arduo viverci . E fin tanto che- aggiungo- sia un diritto umano, universale, connaturato alla nostra specie, aspirare, desiderare, sognare.
Sul film di Garrone, che preciso non ho visto, ribadisco quanto ho scritto nel mio primo commento. Uno su mille ce la fa, recitava una canzone di Morandi. Forse il regista ha voluto dire questo, non ha voluto escludere la speranza , ha lasciato aperte la possibilità con quell'esclamazione di Seydou alla fine, da cui il titolo.
Non credo ad un uso cinico del dramma, ma le storie che sciolgono lo spannung con un lieto fine, sono accolte meglio dal pubblico.
Come va a finire nella realtà, è un'altra storia. Il film non aveva queste pretese. Si ferma là. Un'opera di realismo magico , qualcuno l'ha definita. Un romanzo di formazione secondo lo stesso regista. Se serve ad una riflessione per chi non sa e non vuole sapere , ben venga. E dopo ? Niente. Il resto di niente, come è intitolato lo splendido romanzo storico di Enzo Striano sulla rivoluzione napoletana del 1799. O ancora il nulla indefinito, ignaro, smemorato della pianura, sfondo dei luoghi de La Chimera di Sebastiano Vassalli, là dove si compì il martirio di Antonia Spagnolini.
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Alfred
Sunday, 17 September 2023 09:39
Grazie per la risposta, e' stimolante.
Non credo che nella migrazione manchi la tratta, l'imbonimento e il lucro.
Dove si creano opportunita' di fare soldi, rapidamente e con la violenza fanno presto a crearsi le mafie.
Per quanto riguarda il cosa pensano temo proprio che pensino come noi e tra loro non mancano giovani che come certi nostri non sono in grado di valutare (o valutano diversamente) che una macchina lanciata oltre i suoi limiti (e volontariamente) spesso si va a schiantare, ma in omaggio alle dirette social questo e altro.
Ricordo sempre l'enorme nave piena di albanesi. Si aspettavano di arrivare nel paese delle meraviglie (non tutti, molti), quello che avevano visto in tv.
Oggi in Africa, e non solo, il mondo e' pieno di smartphone e di collegamenti internet. https://vociglobali.it/2023/06/28/la-nuova-era-digitale-in-africa-app-di-tendenza-e-scelte-dei-giovani/
Per giovani o persone che non hanno mai messo piede in europa (nelle sue aree di miseria ed esclusione) l'immaginario e' quello offerto dai vari media e social, una specie di mondo carosello in cui tutto e' possibile e se tutto e' possibile come ci si puo' preoccupare di un parto, di un principio di realta'. Non credo che neanche chi li ha preceduti nell'arrivo racconti loro il vero. Mi raccontavano di certi compaesani che emigravano in svizzera e tornavano con macchinoni e segni di ricchezza, poi chi li andava a trovare li vedeva vivere in miseri luoghi di esclusione.
Per tacere del fatto che chi e'arrivato prima e ha strutturato reti di sfruttamento (non di rado prostituzione, spaccio ma anche certe forme di caporalato) nei nuovi arrivati vede opportunita' di lucrare.
Le stesse opportunita' le vedono le nostre mafie autoctone, tra caporalato, traffico d'organi e sfruttamento schiavistico.
Quindi continueranno ad arrivare per molti motivi e ragionando esattamente come hanno ragionato i nostri migranti di un tempo e quelli di tempi successivi.
Purtroppo trovano e troveranno quello che anche i nostri migranti d'antan hanno trovato, da new york all'Argentina alla Svizzera ecc e... non sarebbe un dato di natura e', soprattutto una incapacita' di gestione in loco, di organizzazione legale degli ingressi e di scelte politiche e di gestione UE complessive.
Ma poi mi rendo conto che non ne so abbastanza e che i miei rimedi sono anche un modo per dirmi che le soluzioni esistono e il mondo e' governabile. C'e' un certo spazio nella mia mente che non e' del tutto convinto che 8 miliardi di umani sulla terra siano una variabile senza peso.
Buona giornata
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Alfred
Sunday, 17 September 2023 11:09
avevo scordato: dopo il terremoto in Marocco e le inondazioni in Libia (ma di disgrazie in tono minore e' pieno il mondo) temo che i disperati che si buttano in mare (comunque lo facciano, in barchino o con trafficanti) sono destinati ad aumentare sensibilmente.
No, contro la disperazione non servono i meloni e la lega, ma visto che sono loro a dirigere la baracca siamo destinati a vedere disperazione (dei migranti) sommata a disperazione (dei migranti).
Chi arriva e chi e'arrivato prima sono un comodo capro espiatorio ...
Dalli al migrante e ... oltre non guardare, non c'e'niente da vedere, caro elettore ...
Il mio e' anche uno speranzoso suggerimento per prossimi film realisti, neorealisti o fantasy su come questi politici ce la raccontano. Una migrazione filmica tanto per coprire tutta la filiera
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Enza Sirianni
Sunday, 17 September 2023 16:48
Innanzitutto grazie per il confronto stimolante anche per me. Un grazie che rivolgo altresì a chi ci ospita, all'autore dell'articolo, a Michele e a Franco.
Le tue osservazioni, gentile Alfred, hanno una forte prossimità con la mia, ripeto, insufficiente opinione su tale nodosa e vasta problematica. Le tragedie di recente abbattutesi su Libia e Marocco più che spingere alla fuga i superstiti, saranno utilizzate dai mercanti della tratta / tratte e serviranno, per le vie infinite del Signore, a far transitare nuovo denaro nelle tasche di molteplici soggetti.
Sono pessimista sulla questione per una modesta conoscenza dell'umano, con qualche studio, maturata vivendo.
Lascio a te e agli altri la buona domenica in proseguimento. Che sia lieve, preludio di una settimana serena.
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Alfred
Tuesday, 19 September 2023 01:12
C'e' un piccolo dettaglio, io non credo sia la tratta a fare i migranti. La tratta si innesta in un fenomeno in cui c'e' da lucrare. Come uno spacciatore invoglia i clienti, ma i clienti (la loro disperazione) esistono (per cause di miserie e guerre e altro) e li spingono a buttarsi in mare comunque sia. Questo il grosso. Poi ci sono anche marginali fenomeni di soggetti in prevalenza giovani che credono alle favole.
Traggo questo dalla mia esperienza personale in merito a persone conosciute e ad associazioni di volontariato che supportano. Severgnini ha visto le sue cose e non le metto in dubbio.
Non credo siano esiaustive e comprendano tutto il fenomeno.
Non metto in dubbio Severgnini e non metto in dubbio neanche quello che ho esperito direttamente.
Invito tutti ad avvicinarsi un po' agli umani che arrivano, fosse anche con la caritas o altre organizzazioni di aiuto e in veste di spettatori. Trovo poi aberranti le recenzioni lager in Italia e soprattutto quelle che l'Europa non smette di finanziare in Turchia e nord africa. Ma soprattutto credo che in quasi tutti noi ci sia il desiderio di svegliarsi una mattina e scoprire che abbiamo fatto un brutto sogno. Non e' cosi, comunque vogliamo raccontarcela. Arrivano, sono qui per restare ed e' meglio per tutti se cominciamo a conoscerci ... anche perche' ci sono indispensabili .... provi a vedere cosa succede se i migranti fanno uno scripero dell'agricoltura ( spero lo facciano al piu presto) oppure comincino a insistere (insieme agli italiani) con lotte nella logistica.... e anche in questo caso spero ci vadano giu duramente. Prima smettiamo di illuderci che si tratta di un fenomeno indotto dal gatto e la volpe, prima siamo in grado di lavorare, lottare e vivere insieme.
En passant ... nel 1952 la popolazione mondiale era di 2 miliardi e mezzo. Da fine 2022 la popolazione mondiale e' di 8 miliardi. Il pianeta terra e' sempre uguale.
Non ci si pensa mai (i nostri spazi e le nostre vite sembrano quasi immobili), ma il mondo intorno e' immerso in cambiamenti epocali anche aldila' del conflitto in Ucraina.
Gli abitanti di molte isole o di zone tipo Venezia, tempo alcuni anni e dovranno lasciare le loro terre. Terre bellissime, con mari ambiti da frotte di turisti, ma ahime a pelo d'acqua. Si finisce sommersi e non salvati o con quel poco di terra che resta inabitabile. No, non sono fenomeni da gatto e volpe, basta che il livello del mare salga di pochi centimetri.
Facciamocene una ragione nonostanre i gatti, le volpi e tutto lo zoo
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Franco
Saturday, 16 September 2023 11:48
Ho letto l'articolo e i commenti che condivido. Mi permetto solo una " correzione " : il film ha avuto il Leone d'Argento e non d'Oro.
La tratta attuale , comunque, ha come base la Tunisia ( e nuovi trafficanti, con un tariffario più basso. Si fa incetta di qualsiasi nuovo schiavo dal Centrafrica con canali alla luce del sole.
Anche a me il film non interessa e non lo vedrò.
La sora Meloni che chiama i rinforzi di Ursula è sommamente ridicola. E passino le strida sul blocco navale con cui ha sedotto milioni di razzisti italioti, ma ripetere la commedia no. Troppo pure per i gonzi.
Piuttosto, se ne è capace intervenga immediatamente contro l'Ue che ha concepito un bel servito per i porti del Mediterraneo a vantaggio di quelli del Nord Europa e degli extraeuropei.
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Michele Castaldo
Saturday, 16 September 2023 10:43
Non ho visto e non vedrò il film di Garrone, anche per l'ottimo contributo che qui espone Severgnini.
Voglio solo sottolineare una questione: c'è un solo modo per rimuovere la storia - quella vera, dei fatti - e consiste nel romanzarla, estrapolando da essa singoli aspetti (non sempre veri, come scrive Severgnini) e personaggi ed elevarli a eroi, cioè la creazione del mito dell'individuo, l'emblema della cultura colonialistica occidentale.
Cosa sta succedendo realmente in questa fase? una nuova tratta di neri dall'Africa tanto sporca quanto quella dei secoli passati. Certo con nuovi strumenti, c'è stato "progresso", e con moderne tecnologie.
Quale la causa: quella antica per lanciare una straordinaria accumulazione di un modo di produzione in esponenziale crescita; questa moderna nel tentativo di rincorrere una crisi che non trova soluzione e intanto viene fatta pagare ai nero africani.
Pertanto sono dei veri e propri miserabili quanti si prestano a utilizzare tale tragedia storica per fini lucrativi a ogni livello.
Pazienza, anche questa è l'umanità.
Michele Castaldo
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Enza Sirianni
Thursday, 14 September 2023 07:26
Mi pare che il film abbia ricevuto dieci minuti di applausi alla sua proiezione alla Mostra. L'ovazione di un pubblico che non è malevolo congetturare non sappia nulla della realtà crudelissima dei migranti che transitano dalla Libia, mi in-dispone a vedere la pellicola. Promosso, premiato da un bel mondo a cui non interessa affatto tale inaccettabile tragedia epocale- che , per essere obiettivi, continua a compiersi nella sostanziale indifferenza generale- non è garanzia di aderenza al vero. Probabilmente il regista avrà scelto il criterio della verosimiglianza o del vero poetico ( ciò che in una vicenda storica probabilmente è accaduto, lavorando d'immaginazione per i gusti del pubblico ) salvando capra e cavoli, ossia accendendo i riflettori su questa orribile tratta tanto quanto serviva per confezionare un prodotto premiabile, commerciabile, remunerativo. Non credo possa essere un film, benché traballante nel rigore storico, a squarciare le coscienze, non volendo con questo sminuire la funzione del cinema sociale di cui restano maestri insuperabili e film scolpiti nella memoria, ma se così stanno le cose, "Io capitano", non solo non aiuta a compenetrarsi nel dramma di uomini e donne che già dalla nascita hanno subito l'espulsione da ogni possibilità di vita dignitosa, ma non interroga le coscienze occidentali e le responsabilità storiche delle migrazioni dal sud verso il nord del mondo.
E se non si risale alle cause del male, alla sua diagnosi, è scontato che non si trovi la terapia.
Per quanto mi riguarda, documento di indagine irrinunciabile sulla problematica, è il libro "La frontiera " del compianto Alessandro Leogrande.
Così, dal mio piccolo, ascoltare le storie dei superstiti, di quelli che si sono " salvati" quando mi capita di starci a tu per tu. Narrare, non smetterlo di fare, è una strada di salvezza , è deterrente alle amnesie, all'oblio. Sentire il racconto di un giovane magrebino che ha percorso a piedi Africa settentrionale, Asia minore, Europa balcanica, non mi ha reso migliore forse, ma mi ha fatto capire il senso della bellissima poesia "Casa" di Warsan Shire.
E, seppur senza consolatori ottimismi, ho saputo da quel giovane che esiste un mondo solidale , nascosto , che fa il bene istintivamente, che porge l'acqua, il pane, che veste gli ignudi, che tende una mano. Sono le innumerevoli sconosciute persone , che durante il suo disperato viaggio insieme ad un compagno, non si sono girate indietro alle loro richieste di aiuto. Quelli che hanno sentito bussare e hanno aperto- spesso contadini- sfamando, dissetando, vestendo, soccorrendo.
Un grazie a Severgnini per l'analisi.
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Alfred
Wednesday, 13 September 2023 21:24
Non ho visto il film di Garrone
Ma su l'Urlo c'e' un bel dibattito
giusto per avere un quadro
https://www.labottegadelbarbieri.org/i-migranti-fanno-sempre-discutere/
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