Anni ’70. Sconfitti sì, pentiti no
di Ennio Abate
Ho letto negli ultimi giorni varie reazioni alla presa di posizione della filosofa Donatella Di Cesare in occasione della morte di Barbara Balzerani.I E mi sono chiesto perché noi ex della nuova sinistra torniamo sull’argomento del lottarmatismo degli anni ’70, anche quando siamo fuori gioco rispetto all’attuale svolgimento della lotta politica.
E mi chiedo anche perché i commenti su quelle vicende non riescono ad andare, ancora oggi, oltre la demonizzazione dei brigatisti e l’assoluzione dei governanti d’allora. Mi ha colpito anche che quanti hanno difeso almeno il diritto d’opinione della Di Cesare diano per scontato il giudizio negativo sul lottarmatismo (o terrorismo) ma tacciano su come lo Stato lo abbia vinto e abbia vinto anche le formazioni politiche della nuova sinistra (Avanguardia Operaia, Lotta Continua, Pdup, MLS) che il lottarmartismo criticarono. E, cioè, non accennino più ai danni subiti dalla democrazia italiana proprio da quella vittoria dello Stato.ii Ancora nel 2024, dunque, il dibattito non può uscire dall’oscillazione: compagni criminali o compagni che sbagliarono. (E a sbagliare oggi sarebbe la Donatella Di Cesare).
Non è in questione la competenza di chi ha preso posizione sulla vicenda, di letture fatte o non fatte, di conoscenza della letteratura sul fenomeno. Ce n’è stata tanta. E l’abbiamo tutti più o meno macinata. Il blocco più che cognitivo mi pare emotivo.
Siamo tuttora bloccati di fronte a un tabù. Troppo influenzati o sottomessi alla interpretazione autoritaria dei vincitori.
Ne subiamo l’egemonia. Fino a non riuscire neppure più a rimetterla in discussione. Come sarebbe giusto fare. E come fecero nel pieno del dramma degli anni ’70 Rossana Rossanda, Franco Fortini, Stefano Rodotà e altri. Noi superstiti non riusciamo più a dire la verità che essi dissero: e, cioè, che non ci fu da una parte solo e subito “terrorismo” (rosso) né dall’altra solo e da sempre Stato “democratico” (da difendere comunque, indipendentemente dal suo reale grado di democraticità).
Per uscire da questo blocco emotivo, la prima domanda da fare sarebbe proprio questa: quanto c’era di terroristico nelle BR e quanto di democratico nello Stato italiano degli anni ‘70. Oppure: se le BR furono “schegge impazzite”, quante schegge impazzite ci furono anche dall’altra parte.iii
La seconda domanda potrebbe essere questa: come si sarebbe potuto sfuggire all’aut aut: schierarsi con lo Stato o con le BR?
La terza: si poteva evitare di finire ai margini di quello scontro (asimmetrico) prendendo la posizione del né con lo Stato né con le BR?
Certo, se ne discusse e ci furono risposte, ma se si torna su quegli anni anche ora che siamo vecchi, temo che accada perché un po’ di coda di paglia l’abbiamo, non avendo rielaborato a sufficienza la contraddizione esistente tra quel prima (dal ‘68-’69 all’uccisione di Aldo Moro) e il poi (dell disgregazione della nuova sinistra, dello scioglimento del PCI).
Il prima. Quando partecipammo attivamente a organizzazioni che si dicevano e si volevano rivoluzionarie, allora genericamente dette “extraparlamentari” – si trattase di AO, LC, MLS o Pdup – e fondate tutte all’incirca su premesse ideologiche prevalentemente leniniste-operaiste. Che, dunque, criticavano quella democrazia (“costituzionale”) e il PCI che la dichiarava solo riformabile ma insostituibile. Anche se continuava a richiamarsi – ufficialmente e fino a Berlinguer – a una comune cultura terzinternazionalista. Con varie sfumature o deviazioni “eretiche” essa era in fondo una ideologia alle BR ma anche a noi della nuova sinistra. Come ebbe il coraggio di riconoscere Rossanda quando parlò di “album di famiglia”(qui).
Il poi. Che è consistito nel prosaico – a volte dignitoso, altre opportunistico – ritorno all’ovile o a una accettazione comunque passiva della “democrazia esistente”.
Negli anni ’70, dunque, ad accomunarci alle BR poteva essere il riferimento alla rivoluzione russa del 1917. A differenziarci, invece, da esse la valutazione politica contingente che il tratto di storia che stavamo vivendo per noi della nuova sinistra non portava i segni precisi di una situazione rivoluzionaria o prerivoluzionaria. Non era differenza da poco. Tuttavia, non dovremmo negare che la prospettiva di una rivoluzione era da noi desiderata e anche teorizzata. O che oscillammo – diciamo così – tra rivoluzione e democrazia. La prima rimaneva progetto o strategia. La seconda tattica o trampolino di lancio provvisorio, necessario ma sostituibile e da sostituire. Come ha chiarito molto bene il da poco scomparso Mario Tronti in un intervento del 2007 pubblicato sulla rivista Machina.iv
Se si riconoscesse tutto ciò – oggi, 2024 – noi superstiti di quella stagione politica dovremmo almeno dire – onestamente e senza rinnegare quel che fummo o pensammo o desiderammo allora – che le BR fecero male quello che avremmo potuto o dovuto fare noi pure “al momento giusto”.
Male, come si è visto. E come ha ammesso lo stesso Renato Curcio, uno dei fondatori delle BR, nel libro “A viso aperto”, che l’amico ed ex dirigente di Avanguardia Operaia, Claudio Cereda, ha ripreso in mano e recensito sul suo blog (qui) in occasione del clamore mediatico suscitato dalla “voce dal sen fuggita” (ma subito azzittita e rientrata) di Donatella Di Cesare al momento della morte di Barbara Balzerani.
Ora, se le circostanze fossero maturate e si fosse presentato il “momento rivoluzionario” o il “momento giusto”, noi della nuova sinistra avremmo fatto meglio delle BR? La nostra rivoluzione sarebbe stata un piacevole “pranzo di gala”? Cose simili o quasi o peggiori di quelle fatte dalle BR (eliminazionie di avversari) non ce ne sarebbero state?
Non lo si potrà mai più sapere. Certo. E “la storia non si fa coi sé. Certo. Ma andrebbe ricordato agli smemorati o ai sepolcri democratici variamente imbiancati che scommessa (risultata sbagliata) fu quella delle BR e scommessa (senza garanzia di riuscita) sarebbe stata anche per noi.
L’acuto e non sottovalutabile Machiavelli, il quale di politica s’intendeva, lo sapeva bene. Nella storia umana non tutto dipende dalla volontà o dalla virtù degli uomini, rivoluzionari o democratici o reazionari che siano: ”Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi” (Machiavelli, Il principe, Cap. XXV).
Le BR hanno sbagliato e combinato un disastro politico, ma – bisogna dirlo – peggio delle BR, perché ben più autorevoli, con vasto consenso, economicamente potenti e attrezzati sui piani politici, culturali e militari, hanno fatto proprio i difensori dello Stato democratico o di questa democrazia.
Si dica pure che le posizioni politiche delle BR erano “aberranti”, ma i difensori dello Stato democratico, e in particolare il PCI, non fecero – anche questo si è visto bene – che accelerare la crisi della democrazia. Non riuscirono nemmeno a salvare la vita di Aldo Moro. Non riuscirono neppure a salvaguardare la sopravvivenza culturale e politica della Sinistra storica e nuova. Nessuno, dunque, può vantarsi o essere soddisfatto di come hanno difesa non la democrazia, che è stata soffocata e agonizza, ma la “loro” democrazia. E resta valido il giudizio conciso che diede Fortini nel 1985 in “Quindici anni da ripensare”: «Se il terrorismo è stato vinto, i suoi vincitori non hanno convinto» (qui).
Ancora sulla coda di paglia. Il problema della dissociazione e del pentitismo non andrebbe circoscritto, come fosse faccenda che abbia riguardato soltanto brigatisti e lottarmatisti vari. Riguardò, in forme diverse, anche noi della nuova sinistra.
Per i brigatisti e gli altri lottarmatisti si pose l’aut aut: continuare la lotta armata o smettere. E smettere per ottenere conti di pena o vantaggi. O perché si riconosceva l’errore politico, come scrive Curcio negli stralci riportati da Claudio Cereda sul suo blog, senza rinunciare alla “mentalità” rivoluzionaria.
Per quanti la scelta della lotta armata l’avevamo respinta (spesso in modi esorcistici e troppo appiattiti sulla posizione del PCI) si pose la scelta di prendere atto del nostro fallimento come rivoluzionari. E di rientrare nella logica democratica: quella del PCI, quella di Democrazia Proletaria, prima criticata (Cfr. Appunti sulla storia di AO, qui). O di starsene ai margini, fuori dalla politica (come tanti). Ma, per favore, cari ex compagni, non ditemi ancora che ci fu continuità tra quel che progettavamo da rivoluzionari e quello che si è cercato di progettare dopo, entrando nel PCI o costruendo DP o ritrovandosi da soli.







































Comments
La rivoluzione? Non si teorizza, quando è se avviene si discutono le cause che l'hanno generata.
Abbiamo dato a vario titolo, bene così.
Poi la storia procede e chi torna sul passato in un modo o nell'altro nega il futuro proprio quando una crisi generale del modo di produzione può provocare una vera rivoluzione.
Siamo vecchi e incapaci di guardare avanti? Possiamo sempre tacere che è un'arte nobile.
Michele Castaldo
Che non vi riesca di dire: le Brigate Rosse e gli altri movimenti combattenti hanno cercato di fare la stessa identica cosa che han fatto i patrioti della mitologia risorgimentale, i partigiani di quella resistenziale, i bolscevichi in Russia, i Vietmin in Vietnam, i Freikorps nella Germania di Weimar e ogni rivoluzionario che si rispetti da che mondo è mondo: la rivoluzione.
Han cercato di farla nello stesso identico modo dei Mazzini, dei fratelli Cervi, dei Lenin e dei von Salomon: ammazzando o gambizzando poliziotti, giornalisti, politici e militari del regime che combattevano nella speranza d’innescare un circolo virtuoso/vizioso (a seconda del punto di vista) di violenza che sfociasse nella guerra civile.
Il crollo dell’Unione sovietica e la fine dell’epoca degl’impegni li hanno isolati e condannati alla sconfitta. Il fatto di schierarsi dall’una o dall’altra parte è funzione dei valori etico-politici in cui l’individuo si riconosce e quindi una scelta perfettamente arbitraria e soggettiva.
Ci vuol tanto?
Questo a partire dal sequestro Sossi. Cioè fin dalla nascita. Ricordo bene il movimento della P38 di P.O. La rivoluzione armata non si prepara così come un impulso emotivo e vendicativo. E infatti ha finito per fare il gioco del nemico.