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Federalismo o feudalesimo?

Marco Esposito

Le tasse del Nord restino al Nord. E quelle di Belluno ai bellunesi? Quando ogni territorio rivendica la propria sovranità fiscale non si produce una riforma tributaria ma il ritorno al Medioevo

Decreto più decreto meno, il federalismo fiscale è ormai in dirittura d’arrivo. E già si intravedono i delusi. C’è chi si aspettava di più, c’è chi teme di averci rimesso le penne. Una cosa però è certa. Il Carroccio è riuscito a vincere una battaglia culturale: convincere gli italiani tutti del principio che le tasse sono dei territori, con le province ricche che per generosità più o meno forzata danno una mano a quelle meno fortunate.

Parlare di “tasse dei territori” sembra una banalità, quasi un fatto ovvio e invece la potestà dei territori sulle imposte ricorda il feudalesimo più che il federalismo. In Italia dalla fine del Medioevo non esistono tasse pagate “dai territori”. Infatti chi versa le imposte, il contribuente, può essere una persona fisica, cioè un cittadino, o giuridica, cioè un’impresa. Non è mai una città, una provincia, una regione. Eppure, con uno dei tanti cortocircuiti linguistici ideati dai leghisti, si parla ormai senza più farci caso di “Nord che paga le tasse”. “Tasse del Veneto”. Si dirà: si intende “cittadini e imprese del Nord (o del Veneto) che pagano le tasse”. Ma la differenza c’è ed è concettualmente decisiva.

Se si difendono i cittadini che fanno il proprio dovere con il fisco, li si difende tutti, ovunque si trovino. Non vi è dubbio che ce ne siano più al Nord che al Sud per ragioni legate alla ricchezza oggettiva, nonché al livello di fedeltà fiscale. Ma anche il Mezzogiorno ha i suoi contribuenti di peso. Tuttavia la Lega quando dice “Nord che paga” intende non i cittadini ma proprio il territorio, altrimenti non potrebbe compiere il passaggio logico successivo e affermare cioè che “le tasse devono rimanere dove sono prodotte”. Ecco il punto. Se le tasse, com’è corretto, sono prodotte dai contribuenti, dire che debbano rimanere ai cittadini che pagano le tasse sarebbe un nonsenso: chi le finanzia le scuole, gli ospedali, le forze dell’ordine? Dire che le tasse sono “del Nord” (della Lombardia, di Belluno e via spezzettando) vuol dire introdurre un intermediario fiscale che, come ai tempi del Medioevo feudale, riscuote le tasse su un territorio e poi contratta con un’autorità superiore il prezzo della propria indipendenza politica.

L’idea che le tasse non siano il frutto della ricchezza prodotta da cittadini e imprese ma siano una proprietà del “territorio” porta a forme di egoismo sconosciute in Paesi federalisti da sempre come gli Usa, dove tutti gli Stati, quelli ricchi come quelli meno agiati, ricevono un contributo dal Governo federale che dà il senso della convenienza dello stare insieme e che è frutto appunto delle imposte versate da cittadini e imprese e che finiscono a Washington per essere spese indipendentemente dalla residenza di chi le ha prodotte.

Negli Usa il fisco federale funziona così. Ogni Stato è libero di introdurre imposte locali sul reddito e sui consumi e per ogni dollaro incassato riceve una quota dal Governo federale. Se lo Stato è ricco, riceve un dollaro federale per ogni dollaro locale, se lo Stato è povero riceve una somma maggiore fino a un rapporto di quattro dollari federali per ogni dollaro incassato con la fiscalità locale. Tale sistema ha il vantaggio che tutti i governatori devono prendersi la responsabilità (e sfidare l’impopolarità) di introdurre una tassa locale se vogliono un contributo federale. Nessuno quindi è aiutato se non provvede ad aiutarsi un po’ da solo. è vero che i governatori degli Stati relativamente poveri hanno un contributo maggiore, ma è anche vero che quando i redditi sono bassi è più dura pagare tasse locali e quindi è più forte il freno dell’impopolarità. Il sistema, insomma, è in equilibrio e permette di coniugare responsabilità locale con solidarietà nazionale.

Sia chiaro, a Seattle sanno benissimo che tra i residenti c’è un Paperon de’ Paperoni di nome Bill Gates ma non si sognano affatto di considerare come “proprio” l’assegno che il fondatore di Microsoft stacca per pagare le tasse al Governo federale, nonostante il guru di internet sia nato e viva da sempre a Seattle. In America infatti i cambiamenti di residenza sono all’ordine del giorno e se uno Stato volesse “tenere per sé” la ricchezza prodotta da un cittadino rischierebbe di perdere in breve tempo gli abitanti perché si scatenerebbe una corsa ad accaparrarsi le residenze fiscali dalla quale nessuno sarebbe certo di uscirne vincitore. Gli Stati possono invece stabilire addizionali sul reddito o sui consumi e soltanto quelle sono imposte “proprie”. Ma, sempre per non allontanare i contribuenti, il livello fiscale locale non è mai troppo alto e per esempio nello Stato dove risiede Gates l’addizionale locale sui redditi è zero. E ciò forse spiega la fedeltà di uno degli uomini più ricchi del pianeta alla sua città affacciata sul Pacifico.

Tornando dalle nostre parti, il ragionamento leghista (e ormai in Italia non più soltanto dei leghisti) ha due effetti perversi, velenosi. Il primo è che è una volta che si spezzetta la penisola in tanti feudi è impossibile definire quale sia il confine del territorio cui “appartengono” le tasse. Ciascuna regione, provincia, città ha per definizione al proprio interno aree più ricche e altre relativamente povere per cui una volta che si fa il conteggio, per esempio, di quante tasse si pagano nel centro di Milano e di quante se ne versano nella periferia, i “centromilanesi” potrebbero trovare conveniente e chiedere a buon diritto che le tasse restino al territorio e cioè entro la cerchia dei Navigli. E che a Quarto Oggiaro si arrangino con le imposte raccolte da chi vive lì.

Il secondo frutto velenoso è questo: come si è detto, ci sono persone ricche o agiate anche al Sud. Persone e imprese che pagano regolarmente le proprie tasse quanto i (e più dei, a causa delle maggiori addizionali locali) propri equivalenti professionali delle aree ricche. Oggi hanno sovente servizi sociali inferiori a causa della minore efficienza della pubblica amministrazione meridionale. Ma l’incapacità di spendere bene i fondi pubblici non è eterna e soprattutto non è in ogni luogo. C’è sempre, quindi, la possibilità o almeno la speranza di costruire un po’ alla volta un Mezzogiorno che funzioni. Se l’ideologia del Carroccio si concretizzerà in regole fiscali, con le tasse che restano “ai territori”, chi vive in aree con scarsa capacità fiscale – anche se a buon livello di efficienza come in Basilicata o a Salerno – sarà destinato ad avere matematicamente servizi proporzionati a quel livello di gettito tributario e non sarà quindi più un “italiano” che fa media con tutti gli altri bensì un “meridionale” che fa media con i propri vicini di casa.

Centinaia di migliaia di professionisti e di imprenditori del Sud che hanno un reddito superiore a quello medio del Nord (e che quindi oggi contribuiscono a costruire un asilo in Veneto, oltre che sotto casa) non avranno più alcuna convenienza a continuare a vivere dove sono nati e cresciuti, se l’asilo sotto casa chiuderà

La medesima cosa accadrebbe se si spendessero le tasse dei “centromilanesi” per garantire sicurezza, istruzione e salute soltanto entro la cerchia dei Navigli: i ricchi, che pure ci sono nelle periferie meneghine, non avrebbero alcuna convenienza a restare dove sono e spingerebbero per diventare residenti nel centro di Milano, con il risultato di allargare ancor di più il divario tra gettito tributario del centro e gettito della periferia.

Ecco perché un sistema fiscale federalista andrebbe costruito con grande equilibrio e lungimiranza. Ma la lungimiranza del federalismo fiscale proposto al Parlamento sembra quella di un signorotto che vive in un paesello avvolto dalla nebbia. Più che nel 2011 sembra di essere nel 1102.

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