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Educazione sessuale a scuola. La storia(ccia) infinita

di Elisabetta Frezza

Sex Education news.jpgLa proposta di riforma (e le reazioni delle curve nord e sud)

Il ministro Valditara è nuovamente intervenuto in tema di educazione sessuale, stavolta con un disegno di legge ove si prevede che per qualsiasi attività didattica inerente la sessualità (sia essa attività extracurricolare o di ampliamento dell’offerta formativa) le scuole siano obbligate ad acquisire il “consenso informato” preventivo dei genitori. Perché «non si può obbligare uno studente a seguire corsi che possono presentare il rischio di una caratterizzazione ideologica». Ciò implica che siano forniti con congruo anticipo alle famiglie tutti i dettagli circa il materiale didattico, il personale interno o esterno incaricato, le finalità e le modalità di svolgimento dei relativi progetti. Per gli alunni privi del consenso scritto dei genitori, la scuola è tenuta a predisporre attività alternative, su modello di ciò che già avviene per chi non si avvalga dell’insegnamento della religione.

Il testo stabilisce inoltre che i soggetti esterni autorizzati a intervenire su argomenti sensibili, come appunto la sessualità, debbano essere muniti di idonei requisiti di professionalità scientifica e accademica. E che nelle scuole dell’infanzia e primarie si svolgano solo i programmi delle indicazioni nazionali: ovvero che la sessualità sia affrontata esclusivamente dal punto di vista biologico.

Al solito, le opposte tifoserie si sono scatenate fin dal primo annuncio dell’iniziativa, quando i particolari erano ancora in mente Dei: da una parte chi già cantava una vittoria che non c’era, intestandosene pure il merito; dall’altra chi, sempre in via preventiva, è partito a frignare. Ex multis, ecco uno scambio di battute che rende ragione della profondità logica e speculativa del dibattito (ogni commento è superfluo): https://www.la7.it/in-altre-parole/video/consenso-dei-genitori-per-leducazione-sessuale-nelle-scuole-vecchioni-i-genitori-devono-starsene-03-05-2025-594452.

Ebbene, noi pensiamo che esultanze e proteste suonino non soltanto parimenti premature, ma anche parimenti ingiustificate, se si tien conto da un lato della sostanza della riforma proposta, dall’altro del contesto in cui viene calata. E proviamo a spiegarne il perché, a partire dalla considerazione preliminare che un disegno di legge, per diventare legge dello Stato, deve prendersi la briga di attraversare l’iter parlamentare. E bisogna vedere come ne esce.

L’impressione generale, tanto per cominciare, è che gli abitatori dei palazzi romani armeggino dentro il gran calderone scolastico immaginandone (più che conoscendone) il contenuto: probabilmente attingono in parte all’album dei ricordi, in parte al sentito dire in arrivo da una specie di telefono senza fili. E non abbiano reale contezza né del radicamento effettivo né della effettiva entità di fenomeni che sono lievitati nel tempo fino ad assumere connotati demenziali, e che oggi si agitano scompostamente in un ecosistema in avanzato stato di decomposizione – qual è, purtroppo, diventata la scuola.

 

Breve storia dell’educazione sessuale: i suoi parenti stretti e la sua sfolgorante carriera

La cosiddetta educazione sessuale – cui è stato appiccicato lungo la via l’additivo cosmetico di “affettiva” per farla diventare più carina e più presentabile alla varia umanità – appartiene alla storia antica. È programmaticamente connessa alla penetrazione del gender, cui ha fatto e fa da apripista: ipersessualizzando precocemente i bambini, essa ha infatti la funzione prodromica di disinibirli, di spingerli ad abbattere la soglia del pudore e a vincere ogni remora morale, di predisporli ad assecondare ogni istinto e condizionamento indotto.

Apparecchiata nelle officine sovranazionali, penetrata nelle nostre scuole in groppa al mito del progresso pedagogico, l’educazione sessuale gira ovunque da parecchi lustri, esprimendosi in tutte le gradazioni di uno spettro che spazia dalla pornografia conclamata, al perbenismo ebete del va’ dove ti porta il cuore, fino alla melassa dell’amore cristiano messo in offerta speciale. In una prima fase, i progetti dedicati alla “materia” si sono diffusi a macchia d’olio in forma estemporanea e in veste “sperimentale”, grazie all’impegno di manipoli di volonterosi cresciuti a pane e ideologia; si sono poi imposti in via ufficiale e sistematica a partire dalla entrata in vigore della legge 107 cosiddetta “la buona scuola”, che nel suo comma 16 ha offerto una subdola (perché criptata in una serie di rinvii recettizi che portano, su su per li rami, fino alla Convenzione di Istanbul e alla cosiddetta legge sul femminicidio), ma solida, base normativa.

Così, in tanti anni di lavorìo assiduo, paziente, organizzato con cura meticolosa, si sono moltiplicati gli enti, le associazioni e le conventicole felicemente accreditati – in base a “titoli” auto-prodotti ed etero-riconosciuti – a entrare nelle scuole di ogni ordine e grado per insegnare il sesso e le sue iridate articolazioni. Si sono stese reti operative, incistati interessi, create mangiatoie. Si è, insomma, cristallizzato un floridissimo sistema che prolifera sulla pelle degli scolari e passa sopra la testa delle famiglie.

Questo sistema ha trovato tanti e diversi rivoli per attecchire e consolidarsi in modo capillare, sfruttando una retorica martellante fatta di parole magiche e slogan ammaliatori, sempre sostenuta da ossessivi proclami istituzionali ormai interiorizzati e diventati insindacabili in ogni ambiente che si rispetti: e i diritti sessuali e riproduttivi, e le pari opportunità, e la non discriminazione, e gli stereotipi sessuali e sociali, e la violenza contro le donne, e l’omotransfobia, e chi più ne ha più ne metta. Tutte formulette che, ad alzare la mano e provare a spiegare che sotto il trucco onomastico corre un’ideologia implacabile e autoritaria, si diventa ipso facto dei mostri omotransfobici, violenti, integralisti, medievali, patriarcali, e naturalmente fascisti.

Insomma, tutto questo per dire come gli affluenti che portano acqua al mulino della educazione sessuale siano innumeri, alimentati da sorgenti inesauribili (di idee e di denaro) situate per lo più oltreconfine, infine vidimati col bollino di qualità nelle centrali di smistamento nostrane poste nei gangli chiave della burocrazia (presidenza del consiglio dei ministri, ministeri vari con e senza portafoglio).

A puntellare il palco, la solita trappola scientista: la famiglia, declassata a “fonte informale” di educazione, deve cedere il passo alla scuola, eretta a “fonte formale” di insegnamenti che, grazie agli “esperti”, si devono considerare per definizione neutrali e veritativi.

 

Le linee guida per l’educazione sessuale e la sua articolata rete logistica: Agenda 2030 e nuova educazione civica

Al proposito, vale la pena di ricordare come il libretto di istruzioni predisposto per l’insegnamento della educazione sessuale dei bambini a partire dagli zero anni, «per i governi, per le scuole, per gli specialisti sanitari» (cioè per gli esperti di cui sopra), siano le edificanti linee guida denominate “Standards per l’educazione sessuale in Europa” elaborate nel 2010 dall’ufficio europeo dell’OMS sotto l’egida dell’ONU. Esse illustrano nel dettaglio le informazioni da impartire ai piccoli in base alla fascia di età (per esempio, solo per citare a campione, nella griglia da 0/4 anni si legge: «informazioni aventi a oggetto gioia o piacere nel toccare il proprio corpo, masturbazione infantile precoce e scoperta del proprio corpo e dei genitali; diversi tipi di relazione e diverse relazioni famigliari; diritto a esplorare la propria identità di genere, ruoli di genere». A 4/6 anni: «informazioni aventi a oggetto amicizia e amore verso persone dello stesso sesso; relazioni con persone dello stesso sesso; sensazioni legate alla sessualità, ecc. ecc.»`. Il documento si trova facilmente in rete (in particolare, si vedano le pagg. 38 e ss.): https://www.fissonline.it/pdf/STANDARDOMS.pdf.

Nel 2018 anche l’Unesco – sempre in collaborazione con l’OMS oltre che a varie altre sigle – ci ha messo del suo, pubblicando la “Guida tecnica per l’educazione sessuale” (International Technical Guidance on Sexuality Education), organica all’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile dove si canta di un «legame inscindibile tra qualità dell’educazione, salute e benessere, uguaglianza di genere e diritti umani».

Come sappiamo, l’Agenda 2030 rappresenta il piatto forte della “nuova educazione civica”, materia curricolare obbligatoria a insegnamento trasversale, introdotta dalla legge 92/2019 nonché ingrediente onnipervasivo dei libri di testo di tutte le discipline di studio, dalla storia fino alla matematica, visto che – per utilizzare le parole di Enrico Giovannini, direttore scientifico di Asvis (alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) –  l’agenda non è altro che un «sistema di navigazione satellitare» capace di fornire un quadro di riferimento articolato e coerente entro cui orientarsi in ogni ambito di azione e di pensiero. Praticamente, un testo sacro. Bene. Vale la pena di ribadire come il cosiddetto “diritto all’educazione sessuale e affettiva” sia considerato parte integrante del “diritto alla salute” e rientri «tra gli obiettivi Onu per lo sviluppo sostenibile stabiliti dall’Agenda 2030 come presupposto imprescindibile per la realizzazione di un pieno rispetto dei diritti umani e per l’uguaglianza di genere».

Ed ecco che, girando e girando storditi dai ritornelli, ci ritroviamo al via. Forse ora comincia a essere più chiaro il groviglio inestricabile di pseudo-fonti e fonti vere che assicura ai contenuti in questione – sesso, gender e dintorni – la salda permanenza tra i banchi di scuola, consenso o non consenso che sia.

 

La sorella per bene dell’educazione sessuale: l’educazione alle relazioni

Ma oltre alla storia antica c’è anche la storia moderna, e quella contemporanea. Già un annetto e mezzo fa, sull’onda del fatto di cronaca nera politicamente più strumentalizzato del secolo, il ministro aveva lanciato il nuovo brand “educazione alle relazioni” con il signor Gino Cecchettin in veste di testimonial, e alla regia un creativo triumvirato formato da una suora, una lesbica e un’altra signora (se ne può leggere qui: https://www.renovatio21.com/il-ministro-la-concia-la-suora-il-circo-della-scuola-tradita/). Poi la cosa era talmente ridicola che, sommerso dai fischi, il progetto ha dovuto battere in ritirata. Ma, com’era prevedibile, solo per prendere tempo e riorganizzarsi meglio. Nel mentre infatti il signor Cecchettin si è fatto fondazione, e ha siglato un protocollo di intesa con il ministero dell’istruzione e del merito. E in questi giorni apprendiamo dall’Ansa che dal prossimo anno in tutte le scuole italiane partiranno i corsi della Fondazione Cecchettin, il cui fondatore ci informa che «serve un nuovo modello maschile, più femminista e meno alfa» sicché, dall’alto dei suoi titoli e delle sue nuove cariche, detta l’agenda: «Vorremmo iniziare in età prescolare e con le prime elementari per insegnare alle bambine e ai bambini ad evitare gli stereotipi e a dire fine alla violenza contro le donne». Tradotto: vorremmo iniziare in età prescolare a inculcare alle bambine la diffidenza e il disprezzo per i maschi, a meno che questi non siano adeguatamente svirilizzati; a inculcare nei maschietti il senso di colpa per il peccato originale della propria stessa natura. In modo che le prime si sentano legittimate a tramutarsi in virago inquisitrici; che i secondi abbraccino lo status di eunuco, o in alternativa reprimano ermeticamente la propria indole (col rischio concreto a un certo punto di esplodere e combinare guai).

Quindi, se da una parte il ministro ci dice di voler ridimensionare l’orgia incontrollata della educazione al sesso e al gender subordinandola all’autorizzazione dei genitori, dall’altra parte spalanca le porte delle scuole di ogni ordine e grado all’educazione al pensiero di Gino Cecchettin nobilitandolo sotto l’etichetta di «educazione al rispetto per la donna e a relazioni corrette» che viene così inserita «per la prima volta come vero e proprio obiettivo di apprendimento, obbligatorio per tutti, nelle nuove linee guida sulla educazione civica», visto che «non ha nulla a che vedere con le teorie sulla sessualità». Sic.

Tra l’altro, mentre il ministro ci dice anche che i soggetti esterni autorizzati a intervenire su argomenti sensibili come la sessualità devono obbligatoriamente essere muniti «di idonei requisiti di professionalità scientifica e accademica», nello stesso tempo un signore il cui unico titolo è quello di essere diventato un influencer a causa di un lutto personale, e di averci eretto sopra una fondazione, viene investito dal nulla del potere di rieducare i figli degli altri su argomenti altrettanto sensibili (cui però è stato dato un altro nome), secondo il suo personale verbo. E fin dall’asilo. Giusto? Abbiamo capito bene?

 

Grazie del pensiero, ministro, ma noi rivogliamo la scuola

Allora, per tirare le somme, e concludere. L’educazione sessuale forma un tutt’uno col cosiddetto gender e si afferma per molte vie, anche cavalcando il tormentone femminista della donna oppressa, schiava della riproduzione e del maschio prevaricatore. Ha radici storiche e politiche profonde in seno ad organismi sovranazionali che, coperti da subdoli intenti umanitari, hanno fornito mezzi smisurati per equipaggiare un vero e proprio esercito capace di imporre il programma su scala planetaria. Si è propagata nel tempo attraverso una fitta ragnatela di atti, di progetti, di iniziative più o meno estemporanee, ma sempre supportate da risorse economiche imponenti e da un poderoso apparato mediatico. Ha attecchito nelle scuole di ogni ordine e grado assecondando l’estro di maestranze politicizzate, talvolta più caute, talaltra senza freni.

Ora, condizionare l’adesione alle attività didattiche il cui perimetro è circoscritto da quel nome al consenso scritto dei genitori riconosce una legittima e sacrosanta scappatoia alle famiglie che non gradiscano che, a scuola, dei tizi a caso lavino il cervello dei loro figli su argomenti che appartengono alla loro sfera intima e privatissima, violando la sensibilità individuale.

Ma abbiamo visto sopra che ciò che è fatto uscire (e solo per chi lo voglia) dalla finestra rientra in pompa magna dalla porta, basta cambiargli il nome e rifargli un po’ il trucco. E comunque, molto di questi contenuti passa indisturbato dentro le aule, e i libri di testo, e i programmi, percorrendo altre vie che eludono ogni consenso.

Dunque, cambierà ben poco con la riforma in cantiere finché la scuola resta il colabrodo che è, dove entra di tutto fuorché ciò che vi dovrebbe stare ma non ci sta più perché non c’è più spazio. Il problema non è come viene fatta l’educazione sessuale e se a farla sia una butch coi muscoli e i capelli pittati, o una suora à la page, o uno che sta a capo di una fondazione privata. L’educazione sessuale, come quella militare, come quella sanitaria o quella emozionale, o stradale o alimentare o digitale, semplicemente devono uscire dalla scuola. E devono uscirci accompagnate dalla porta principale e non di soppiatto dalla finestra sul retrobottega. La scuola non va riempita di ogni genere di mercanzia a vantaggio dei piazzisti che si accalcano al suo ingresso per rincorrere il proprio tornaconto personale per poi, quando vengano superati – moralmente e giuridicamente – i limiti della tollerabilità, concedere alle famiglie (le poche che ci stanno dietro) di esonerare i figli. Che alla fine, in quante famiglie se ne interesseranno? E se un genitore è a favore e l’altro contro, chi vince? E chi gestirà il traffico dei frequentanti e dei non frequentanti? E i non frequentanti saranno contrassegnati dalla lettera scarlatta perché retrogradi e sessuofobi? E ci saranno due squadre, quella dei libertini e quella dei bigotti?

No, non è questo il criterio per fare ordine in una baraonda senza più punti di riferimento, dove ognuno si inventa il copione che preferisce e lo testa senza scrupoli sul materiale umano che gli passa tra le mani. Il fatto è che scuola si deve fare tutt’altro, e non lo si fa più. Altrimenti si abbia almeno il coraggio di cambiare nome anche a lei, e buonanotte.

Perché, intanto che passano le giornate a farsi risciacquare la testa con le millemila “educazioni” il cui fine è quello di impartire lezioncine morali e di imporre modi di pensare e comportamenti conformi (ovvero di indottrinare), gli scolari non imparano più a scrivere, a leggere, a parlare, a far di conto, ad astrarre. Si dà il caso che l’analfabetismo dilaghi e che le abilità cognitive, in tutte le discipline, siano degradate a livelli imparagonabili a quelli di un passato anche molto recente. Si dà il caso che assistiamo impotenti a un tracollo culturale inarrestabile, che investe risorse espressive, consapevolezza storica, capacità mnemonica, attitudine teoretica, logica e sistematica, abilità di scrittura, comprensione, ragionamento e calcolo.

Allora, di fronte a questo sfacelo, che è incontrovertibile e sotto gli occhi di tutti, invece di pensare a modi obliqui e personalizzati per raggirare idiozie “didattiche” utili soltanto a terzi che con la scuola non hanno nulla a che fare, non sarebbe meglio cominciare a spazzare via il ciarpame che strabocca e si autoriproduce, e tornare finalmente a fare scuola? Ciò richiederebbe in primo luogo riqualificare la figura professionale del docente, promotore del sapere, mediatore insostituibile tra il patrimonio di conoscenze, di senso e di bellezza di cui siamo indegni eredi, e le nuove generazioni. E, con lui, recuperare la centralità delle discipline fondamentali, il cui studio e il cui apprendimento rilascia semi che, maturando nel tempo lungo della vita, educano molto più di mille “educazioni” perché – invece dei desolanti pacchetti prepensati uguali per tutti e, oltretutto, sinistramente precettivi – assicurano gli strumenti necessari per interpretare in autonomia la complessità del reale. In altre parole, assicurano a chi li coltivi il dono della libertà.

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Comments

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Italo Pelinga
Wednesday, 21 May 2025 15:30
Conosco poco i soggetti exstrascolastici qui incriminati, ma mi colpisce il ragionamento secondo cui la cultura dominante, da molti decenni in qua, sia quella intenta a svirilizzare gli uomini in nome del femminismo e della parità di genere. Se davvero questa cultura dominante esiste, allora credo che abbia fatto molto poco presa sulle "masse", visto quel che ci gira attorno. Se viviamo di stereotipi anche in questo campo, e se il termine di "maschio alfa" ci pare troppo radical-chic, troviamogli un altro nome, ma non si può certo negare che il fenomeno esista e ultimamente sia in forte crescita perfino. Che il problema dei conflitti tra l' uomo e la donna, drammaticamente sempre più alla ribalta, sia il risultato della castrazione intellettuale dei maschietti mi pare una di quelle enormità degne solo di menti fortemente ideologizzate, le stesse che si vorrebbero qui condannare. Sul conformismo della sinistra e sulla possibilità che attorno a certe narrazioni, appunto ideologiche, si siano nel tempo innestati centri di interesse mi può trovare d'accordo, ma da qui a sostenere di buttare a mare tutto il movimento di emancipazione femminile in nome (non ci posso credere) di una sana riaffermazione dei ruoli è altrettanto inaudito. Come mi sembra decisamente pericoloso invocare il ritorno alla scuola delle pure nozioni in nome del fallimento (e anche qui in parte concordo) di tutte le varie "didattiche" sperimentate. Non è forse anche questa "ideologia" e delle peggiori per giunta? Esiste forse, secondo la signora Frezza, un sapere non ideologico? Non è forse la crescita e la maturità sia intellettuale che della personalità il ruolo soprattutto nella fase primaria della scuola? O sono fatti privati che devono riguardare solo le famiglie (solo per quelle che ne hanno capacità e possibilità naturalmente)? Siamo ancora in grado, soprattutto a "sinistra", di distinguere tra nozione e sapere? Il successo di tante ideologie barbaramente semplificatorie nel mondo della complessità è frutto proprio di questo tentativo di buttare tutto dalla finestra senza distinguere, perché poi tanto alla "gente non frega niente dei sofismi da ZTL", e piuttosto che tenersi l'acqua sporca preferisce disfarsi pure del bambino che ci sta dentro. Pericoloso ragionamento, ripeto, tanto più perché si atteggia ad anticonformismo, una qualità oggi tanto di moda, talmente tanto di moda da sembrare quasi il suo contrario.
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Renatorap
Wednesday, 21 May 2025 14:33
Concordo completamente. Il politicamente corretto ruota intorno a femminismo e gender ed è l'ideologia dominante che deve essere somministrata fin in tenera età in dosi sempre più massicce. Ormai la religione, che qualcuno definiva oppio dei popoli, è diventata più innocua dell'acqua fresca. Occorreva una droga più pesante.
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Renatorap
Wednesday, 21 May 2025 10:52
Concordo completamente. Il politicamente corretto ruota intorno a femminismo e gender ed è l'ideologia dominante che deve essere somministrata fin in tenera età in dosi sempre più massicce. Ormai la religione, che qualcuno definiva oppio dei popoli, è diventata più innoqua dell'acqua fresca. Occorreva una droga più pesante.
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Irene Starace
Tuesday, 20 May 2025 16:03
Come al solito l'articolo mescola un'analisi lucida del problema con pregiudizi così spinti da arrivare al delirio, in questo caso che educare al rispetto delle donne sia castrante per i maschietti. E poi non riesco proprio a capire di che libertà parli l'autrice: l'obbligo di essere cattolici tradizionalisti praticanti, sposati a vita, carichi di figli, le donne a casa e gli uomini a lavorare e a comandare in famiglia e fuori? E naturalmente indottrinati fin dalla culla a reprimere qualsiasi desiderio di cercare piacere nel proprio corpo prima, e qualsiasi interesse erotico per gli altri poi, pena le fiamme dell'inferno, ma se l'indottrinamento lo fanno la famiglia e la chiesa, allora va tutto bene. Due parole su Gino Cecchettin: non sono del tutto in disaccordo con l'autrice, nel senso che in un caso come questo l'autorevolezza dovrebbe venire dall'aver salvato la vita di una figlia e non dall'aver subìto la sua morte, ma il tono sprezzante dell'autrice, che è tenuta a far finta che certi problemi non esistano, è semplicemente rivoltante.
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steve
Tuesday, 20 May 2025 18:29
C'è poco da stupirsi per quello che scrive Elisabetta Frezza....basta leggersi cosa scriveva nel 2018.[ https://www.ricognizioni.it/il-divorzio-e-la-fabbrica-degli-omosessuali-e-i-cattolici-gli-rifanno-il-trucco-di-elisabetta-frezza-e-roberto-dal-bosco/ ] - Posso domandarmi perchè qualcuno a sinistra la pubblica? Lasciatela nel suo brodo e ignoratela.
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ndr60
Tuesday, 20 May 2025 20:45
Frezza di dx, cripto fascista o (peggio) rossobruno-putininiana? E chissene, con tutto il rispetto...
Il punto è : ha ragione o no? La scuola insegna ancora a leggere e a fare di conto, a farsi proprie opinioni sulla base di nozioni acquisite e ad esercitare le proprie capacità critiche, oppure è diventata un mostro burocratico che elargisce propaganda? Meno male che, per passare il tempo, gli studenti potranno fracassarsi di scoperte del proprio corpo, in linea con l' Agenda 2030.
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Giulia
Wednesday, 21 May 2025 10:21
Concordo con te. Frezza ha il merito almeno di parlare chiaro, nemmeno io concordo su tutto ma apprezzo almeno l'argine che pone di fronte a un'ideologia veramente devastante.
Voglio però comunque precisare che il mio ricordo dell'educazione sessuale che ho frequentato io alle medie (anni Novanta) non è negativo e non riporta ideologizzazioni. Le lezioni vertevano sull'anatomia maschile e femminile e su aspetti della biologia, senza troppi patemi. Non ricordo però se erano su base volontaria o prevista per tutti e se si sovrapponevano all'orario normale, forse no, ma potrei sbagliarmi.
Ora ho due figlie in momenti diversi del ciclo scolastico e pensare che lì dentro possano darle "educazione alle relazioni" è qualcosa di semplicemente raggelante, stanno messi malissimo.
Grazie.
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Irene Starace
Wednesday, 21 May 2025 10:37
Grazie a te della tua pacata risposta. Perché non le ritiri? L'educazione parentale è in crescita. Certo è impegnativo, ma ne vale sicuramente la pena.
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Giulia
Thursday, 22 May 2025 10:27
Relativamente alle mie figlie, una l'ho dovuta ritirare da un contesto scolastico (liceo artistico) veramente ostile e deprimente. L'ho fatto perché lei stava psicologicamente così male da rendere il cambio ambiente necessario. Vediamo se rientrerà altrove, e come andrà con la seconda. Grazie per l'interessamento e sì, l'educazione parentale è una strada sempre più auspicabile e contrapponibile a quello che la scuola pubblica sta diventando in questo paese. Un caro saluto!
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Irene Starace
Thursday, 22 May 2025 16:00
Mi dispiace, non immaginavo che tua figlia fosse stata già tanto male. Se vuoi posso darti qualche link ai siti di scuola parentale. Me n'ero interessata perché mi ero proposta come insegnante, ma avendo un curriculum atipico per questo lavoro non ho ricevuto risposte. A proposito dell'essere "orfani", è proprio così. Un caro saluto anche a te e alle tue figlie!
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Irene Starace
Wednesday, 21 May 2025 09:45
Infatti su questo le do ragione. Altrimenti l'avrei lasciata volentieri "nel suo brodo", come scrive steve. La prima cosa sua che ho letto è stata un appello, che ho firmato, per il ritorno a scuola in normalità nel 2020. Era scritto benissimo e qualsiasi persona intelligente e che avesse avuto a cuore i bambini l'avrebbe condiviso al 100%. Poi ho letto altre cose sue (o visto solo i titoli, tipo quello citato sopra) e mi sono cascate le braccia!
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Giulia
Thursday, 22 May 2025 10:25
Purtroppo siamo orfani di una forza politica e culturale che esprima una visione del mondo che un tempo apparteneva alla sinistra, prima che le varie rappresentanze si vendessero al neoliberismo restando "sinistra" solo di fatto. Altre sfere una visione del mondo la hanno, Frezza fa parte di una di esse, che non è nemmeno la mia (quindi capisco il cascare di braccia), ma che riesce spesso a contrapporre se non altro razionalità e fatti alle folli "narrazioni" attualmente al potere.
Grazie
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