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Mark Lilla, “L’identità non è di sinistra. Oltre l’antipolitica”
di Alessandro Visalli
Mark Lilla insegna storia alla Columbia e scrive questo libro che fa parte di un vasto processo di riflessione della sinistra internazionale di fronte alle turbolenze di questa fase terminale della seconda globalizzazione (o, come dice, Dani Rodrik della “iperglobalizzazione”) nel 2017. Il punto di attacco dell’autore è la concezione individualista della politica che ha interessato sempre più quelle che chiama “le forze politiche progressiste” dimentiche delle dimensioni collettive, individuate come oppressive e talvolta conservatrici. A partire dalla metà del secolo scorso, man mano che si sviluppava e radicava l’opulenta cultura dei consumi, ha infatti guadagnato centralità quella che chiama “la politica identitaria”; ovvero “un fenomeno egoriferito e antipolitico” che, come dice nettamente, “non è di sinistra né liberal, anche se i democratici, purtroppo, sono caduti nella trappola”.
Questa trasformazione è avvenuta prima in America e solo dopo in Europa, tra i motivi addotti, ci sono l’impatto del marxismo, e di una minore immigrazione. Oggi, invece abbiamo sia il tramonto del marxismo, sia una maggiore disgregazione sociale, con famiglie sempre più piccole e tecnologia che divide, invece di unire. Tutte queste condizioni, inclusa l’immigrazione, “alimentano lo sviluppo di una questione identitaria a destra”, ma il vero problema, per Lilla, è che non si sviluppa la versione di sinistra. Certo, in Francia c’è una serrata discussione sul multiculturalismo ed il futuro della tradizione repubblicana, in Inghilterra Jeremy Corbyn sta iniziando ad affrontare il tema, ma in generale accade che “l’immigrazione clandestina offre ai democratici una nuova categoria di ultimi per cui combattere, ora che la classe operaia li ha abbandonati per affidarsi alla protezione dei populisti” (p.9).
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Lo schianto: più il come, che il perché
di Michael Roberts
Questa settimana, Adam Tooze si trovava a Londra per presentare il suo nuovo libro, "Crashed, How a decade of financial crises changed the world" [In italiano: "Lo schianto. 2008-2018. Come un decennio di crisi economica ha cambiato il mondo", Mondadori]. Tooze è anche l'autore di "The Deluge and The Wages of Destruction" [in italiano: Il prezzo dello sterminio, Garzanti editore]."Il prezzo dello sterminio" ha vinto il Premio Wolfson per la storia ed il Premio Logam come libro dell'anno. Adam Tooze ha insegnato a Cambridge e a Yale, ed oggi insegna storia alla Columbia University. A mio avviso, egli è il più importante storico economico radicale.
Il nuovo libro di Tooze apporta un enorme contributo alla storia economica del collasso finanziario globale del 2008-9. Tooze ci mostra che cosa sia successo e come è nato quello che è stato il più grande boom del credito dei primi anni 2000 che alla fine ha portato al più grande disastro finanziario che ci sia mai stato nelle economie moderne, ed al conseguente crollo della produzione capitalista, il peggiore dagli anni '30. E conclude dicendo che il modo in cui questo schianto è stato trattato dai "poteri" - vale a dire, attraverso i salvataggi delle banche e la salvaguardia della ricchezza dei più ricchi, a pese di tutti noi - ha provocato l'emergere di una reazione "populista" contro il "capitalismo", sia da parte della sinistra, come in Grecia o in Spagna, sia da parte delle persone di destra, come è avvenuto con Trump, con la Brexit, e con la Lega in Italia. Quindi, l'eredità dei primi dieci del capitalismo del XXI secolo, nel secondo decennio, è ancora con noi. E peggio ancora, il problema soggiacente di fondo, quello del debito crescente e del settore finanziario fuori controllo, non è stato ancora risolto. La crisi finanziaria del 2008-9 potrebbe benissimo ritornare.
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Il governo Salvini-Di Maio: chiude i porti agli emigranti, li spalanca alla NATO
Intervista a "Il cuneo rosso"
Con questa intervista alla redazione de il cuneo rosso, iniziamo un ciclo di conversazioni con le realtà politiche e sociali che intendono contrastare l'attuale esecutivo muovendosi sul terreno dell'anticapitalismo. La scelta del primo interlocutore ci è sembrata in qualche modo obbligata: il cuneo rosso ha posto con tempestività l'istanza di un'opposizione complessiva, senza se e senza ma, al cosiddetto "governo del cambiamento". Mettendo il evidenza il segno di classe, padronale delle politiche vessatorie nei confronti degli immigrati e rifiutando quelle derive nazionaliste che vedono coinvolti diversi intellettuali che pur continuano a dichiararsi "marxisti".
* * * *
Inevitabilmente, il primo aspetto da analizzare nel confrontarsi con l'attuale governo è l'estrema ferocia del suo attacco verso gli immigrati, in termini propagandistici e fattuali. Qual è il senso ultimo di questa politica?
C'è un enorme scarto tra la volgare demagogia di Salvini e la reale funzione della politica migratoria del governo Lega-Cinquestelle. Costui si atteggia a salvatore dell'Italia dall'invasione di spaventose maree di immigrati. Ma di quale invasione parla? Il movimento migratorio verso l'Italia è il più ridotto degli ultimi vent'anni, e questo è avvenuto anzitutto per effetto dei decreti e della politica di Minniti, sulla cui scia l'attuale ministro di polizia si muove, inasprendone i termini. Lo stesso vale per il movimento migratorio verso l'Europa.
Ciò premesso, per cogliere il senso ultimo di questa politica, è utile chiedersi chi sono gli emigranti su cui si sta accanendo in questi mesi il governo Lega-Cinquestelle. Potenziali azionisti di Unicredit, potenziali dirigenti di Fincantieri, potenziali direttori di Tg, potenziali grand commis (grandi affaristi) di stato? Difficile. Al netto dei casi più tragici, sono candidati/e al 99,99% alla raccolta dei pomodori, delle arance, delle mele o del radicchio a 2-3 euro l'ora, alle pulizie di case e uffici, ai lavori più pesanti in edilizia, nell'industria alimentare o tessile, e - dovesse andargli alla grande - alle fabbriche di lavorazione delle pelli nella Valle del Chiampo, dove hanno trovato impiego molti operai africani che scambiano un discreto salario con la rovina precoce della propria salute, a beneficio di avide sanguisughe leghiste.
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Appunti per un rinnovato assalto al cielo. XI
Money for nothing and chicks for free
di Paolo Selmi
Uno sguardo a ideologia, evoluzione tecnologica e rapporti monetario-mercantili
Le persone sono persone. Amano i soldi, ma è sempre stato così... l'umanità ama i soldi, non importa di cosa siano fatti: di pelle, carta, bronzo o oro. Sono frivoli... che farci... ma la pietà alle volte pulsa nei loro cuori... gente normale... in generale ricordano coloro che li hanno preceduti, soltanto la questione degli alloggi li ha rovinati...1
Люди как люди… le persone sono persone. Come dar torto al buon Woland in visita di istruzione a Mosca (a prescindere che, personalmente, ci penserei due volte prima di dar torto a un Woland, a un Azazel o a un Begemot)? Eppure, qualcosa da aggiungere la avrei: è vero, ljudi kak ljudi, ma esistono armi e armi del delitto. In altre parole, non possiamo affermare den’gi kak den’gi (деньги как деньги, “i soldi sono soldi”): ci sono “soldi” e “soldi” e, chi ne ha escogitato le attuali forma, condizioni e modalità di esercizio, lo ha fatto scientemente al fine di instaurare nelle “persone” comportamenti, sovrastrutture psichiche del tutto funzionali ai modelli di consumo e scambio desiderati sin dal momento della loro ideazione. In altre parole, i “soldi di adesso” sono qualitativamente diversi dai “soldi di una volta”, dai biblici “trenta denari” ai červoncy (червонцы), per chiudere il cerchio con Bulgakov, che planano dal cielo agli spalti del Variété. dove una calca di avide mani di “uomini nuovi” sovietici li attende. Affronteremo ora per sommi capi questo argomento.
“Nelle auto prese a rate Dio è morto”...
Tutto iniziò con Francesco Guccini e Augusto Daolio (scusate, ma non potevo non “riportare a casa” anche loro in quest’ultimo capitolo…): partiamo subito dal presupposto che non ce l’avevano con chi, perché non ricco di suo o beneficiario di qualche lascito, non poteva permettersi il lusso di pagare una macchina in contanti (mi spiace, ma il resto della canzone non lascia dubbi a proposito!).
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Pericolo fascista e unità. Ma con chi e per cosa?
di Collettivo Comunista Genova City Strike
Nell'immigrazione italiana in Francia tra la fine degli anni '30 e e l'inizio degli anni '40, i comunisti, per un lungo periodo, si trovarono isolati. Almeno fino all'invasione dell'URSS da parte dei nazisti, i rari documenti dell'Internazionale Comunista indicavano con nettezza che occorreva rifiutare ogni alleanza con le forze della borghesia (e con i socialisti) limitandosi a condurre una lotta contro il fascismo interno al proprio paese in maniera totalmente autonoma e indipendente.
Pesava ovviamente il recente fallimento dei fronti popolari in Spagna e Francia, il patto di Monaco tra il governo francese e il governo tedesco votato dai socialisti e la stipula del patto Molotov Ribbentrop attraverso il quale l'URSS prendeva tempo e riorganizzava le file convinta dell'imminente attacco tedesco.(1)
Molti anni dopo Giorgio Amendola in “Lettere a Milano”(2), ragiona su quel periodo e ricorda la fedeltà del gruppo dirigente (almeno di quel che ne restava in condizione di dispersione e isolamento) alle direttive internazionali non nascondendo un certo scetticismo personale.
Non a caso, l'invasione dell'URSS viene ricordata dal dirigente del Partito Comunista come una tragedia, che però metteva fine a un periodo di incertezza e schierava nettamente i comunisti dalla parte dell'unità contro il pericolo fascista.
Le svolte dell'Internazionale Comunista negli anni a cavallo tra le due guerre mondiali sono oggetto di studio del movimento comunista da anni. Su di esse si concentrano molte critiche e le analisi divergono. Ma non è questo il punto. Ciò che qui si vuol sottolineare è come, ad un certo punto, la politica dei comunisti cambia radicalmente in virtù di una situazione in cui, occorreva mettere da parte la specificità comunista (nessuna alleanza né con la borghesia né con i traditori socialisti) e lavorare per riunire l'antifascismo.
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Wu Ming, Marx e l’esercito industriale di riserva
di Redazione
La foto che correda questo articolo è stata scattata a Chemnitz in questi giorni. Si tratta della città che, fino alla caduta del muro, si chiamava Karl-Marx-Stadt e non deve quindi stupire la presenza del monumento dedicato all’autore del Capitale. L’istantanea ci rende qui un Marx sotto un cielo plumbeo, avvolto da manifestanti di estrema destra che brandiscono cartelli che recitano “fermare l’alluvione di immigrati!”. Spunta anche una bandiera tedesca con il Bundeswappen, lo stemma federale, che vanta una genealogia che risale a ben prima dello stato nazione. Quindi effetto urgermanisch, germanico ancestrale, garantito. Con la polizia, in un disordinato cordone sanitario attorno ai manifestanti, che favorisce l’impressione di abbraccio tra i dimostranti e la statua. Eppure lo sguardo monumentale e severo di Marx verso il basso, verso i manifestanti, suggerisce un confronto tra le due dimensioni, con l’autore del Capitale che sembra a stento trattenere uno sguardo che incenerisce chi lo circonda.
E’ il Marx di oggi, riportato improvvisamente alla luce dai comportamenti dell’estrema destra. Un Marx che appare nella cronaca tra estetica dell’equivoco e quella della presenza, in qualche modo, ineliminabile. Qualcosa di simile –tra l’equivoco e la presenza non azzerabile- avviene anche da noi. Come testimonia il dibattito sul concetto di “esercito industriale di riserva” ripreso anche da autori formalmente o informalmente vicini alla maggioranza gialloverde (come Bagnai e Fusaro) che suggerisce un ruolo progressista, di difesa della classi popolari dal contenimento dell’immigrazione. Contro queste posizioni si è espresso, tra l’altro, Diego Fanetti su Wumingfoundation nella miniserie “Lotta di classe, mormorò lo spettro” scritta in due puntate, che linkiamo in fondo.
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L'economia robotica
di Marco Beccari
Nonostante l’introduzione dei robot e la crescente automazione, l’elemento attivo nella produzione sociale di valori d’uso rimane il lavoro umano, i robot industriali non sono mai completamente autonomi dall’uomo
L’articolo trae spunto dal materiale didattico (lucidi) preparato e presentato da Domenico Laise, docente dell’Università La Sapienza di Roma, ad un seminario, su: “La Teoria del valore-lavoro nell’epoca della robotica”, tenuto presso l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2017-2018. Il riferimento bibliografico essenziale dei materiali presentati in tali seminari è: D. Laise, La Natura dell'impresa capitalistica, Egea, Milano, 2015.
In un precedente articolo abbiamo visto come nel processo lavorativo sia solo l’uomo l’elemento attivo, e come, invece, le macchine e gli animali siano degli elementi passivi, che non possono essere considerati dei sostituti dell’uomo nella produzione di valori d’uso. In un secondo articolo abbiamo poi esaminato la Teoria del valore-lavoro in Marx giungendo alla conclusione che il lavoro astratto è l’unica fonte di valore, e nel capitalismo, di plusvalore (lavoro non pagato) in quanto il lavoro umano è la fonte attiva del valore d’uso. Possiamo sostenere che le macchine non possono sostituire l’uomo nella produzione di plusvalore. Solo il lavoro umano astratto crea valore e, quindi, plusvalore; infatti, come sostiene Marx, le macchine non aggiungono mai più valore di quanto non ne perdono per il loro logorio [1].
Scopo di questo articolo sarà quello di mostrare come le tesi di Marx mantengano la loro validità anche quando le macchine assumano la loro forma più evoluta di "robot". Per arrivare a queste conclusioni dovremo, innanzitutto, definire che cosa è un robot.
Che cosa è una macchina robotica o robot? Occorre notare che non esiste una definizione univoca di macchina robotica, e diversi autori ne hanno dato definizioni differenti. In questo articolo faremo riferimento alla definizione adottata da Wiener, padre della cibernetica [2].
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Criticità e paradossi di un contesto imperialistico in crescente fibrillazione
di Gianfranco Greco
La particolarità della fase che stiamo vivendo riguarda, in particolar modo, il “campo minato” dell’approvvigionamento energetico laddove la Germania sta portando avanti insieme alla Russia il progetto del gasdotto “North Stream 2” che dovrebbe garantire, a partire dal 2019, circa 2.020 miliardi di metri cubi di gas russo alla Germania e da questa all’ Europa.
Svolgere una panoramica ad ampio spettro sulle criticità che insistono sull’attuale situazione a livello internazionale, traendone – per evidenziarle – quelle maggiormente significative, può rappresentare operazione un tantino complessa tenuto conto dell’elevato livello di fibrillazione che pervade quasi ogni angolo del mondo nonché il grado di interconnessione che lega tra di loro in un’unica rete i singoli contesti.
Tuttavia l’esigenza di sintetizzare al massimo ci porta a dover privilegiare alcuni temi che – quanto meno per la loro pregnanza nonché per la rapidità con cui si accompagnano – simboleggiano al meglio il “nuovo disordine” mondiale.
Crisi economica
Fantasiosi annunci di ripresa economica si accavallano a ritmo quotidiano giocando disinvoltamente su dati che vengono volutamente enfatizzati nel mentre si sottace sulle linee di tendenza dell’attuale fase economica, il che dovrebbe, al contrario, indurre ad una maggiore avvedutezza sul contesto globale.
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La sfida di un socialismo democratico per il XXI secolo
di Giorgio Fazio
Introduzione
Il dibattito sulla crisi della sinistra è in corso da anni, così come da anni sono sotto gli occhi di tutti le tendenze che certificano questo declino, basti analizzare a questo proposito gli andamenti elettorali della maggior parte dei partiti socialisti e socialdemocratici europei degli ultimi anni. Tuttavia, quando si entra nel vivo del confronto attorno alla diagnosi di questa crisi e alle terapie per uscirne, emergono ancora letture contrastanti e dissensi di fondo, che investono la questione stessa del senso di una sinistra oggi: quale deve essere la sua funzione nelle società contemporanee, quali le pratiche che devono caratterizzarla, quali i suoi soggetti di riferimento, i suoi programmi, le strategie per invertire la rotta di questa parabola di declino.
Sono tutte questioni molto complesse, che rinviano, in ultima istanza, alla questione della cultura politica della sinistra. È oggi tesi ampiamente condivisa quella secondo cui all’origine dell’attuale crisi della sinistra – e quindi, anche, della scarsa qualità dei suoi ceti politici e della sua perdita di radicamento tra i ceti popolari – ci sia lo smarrimento, dopo l’89, di una cultura politica critica di riferimento, capace di dare anima e identità alla sinistra, senso della sua missione storica e normativa, nonché credibilità e attrattività. Con cultura politica di riferimento intendo qui, in termini molto ampi, un orizzonte culturale e valoriale capace di orientare l’azione politica concreta, di indicarle senso e direzione, di discernere interessi e soggetti a cui riferirsi in via primaria, di leggere da un punto di vista determinato (per esempio, quello dei ceti subalterni) le trasformazioni sociali del proprio tempo, ma anche di qualificare lo stile dell’azione politica, di strutturare un campo politico e un’identificazione simbolica, di mobilitare impegno, passioni e immaginazione, di dare forma, articolazione politica e una rappresentazione capace di egemonia a bisogni, istanze, sentimenti di malessere e rabbia sociale.
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Walter Veltroni, “Non chiamiamoli populisti, contro questa destra estrema è l’ora di una nuova sinistra”
di Alessandro Visalli
Su La Repubblica di oggi il vero padre dell’attuale governo, il progettista della disfatta del centrosinistra italiano e coerente acceleratore della resa al liberismo della cultura ex socialista italiana, ha scritto un lungo articolo che spiega bene le ragioni razionali del successo giallo-verde (ragioni che ho cercato attraverso le parole chiave “onestà”, “integrità”, “sicurezza”). Partiamo da cosa è la “sinistra per come la intendo”, veltroniana: un movimento che ha lottato contro lo schiavismo (nell’ottocento, suppongo, anche se Lincoln era Repubblicano e i Democratici all’epoca erano dall’altra parte, ma fa niente), per la “liberazione delle donne”, e “contro l’alienazione e lo sfruttamento, per i diritti civili e umani, contro le discriminazioni”. Del resto lui stesso si definisce come un uomo che “ha dedicato tutta la sua vita a ideali di democrazia e progresso”.
Cosa c’è e cosa manca in queste rispettabili definizioni? Ci sono tanti bei valori e condivisibili, manca il sociale, l’emancipazione collettiva, e l’ispirazione socialista. L’intero orizzonte valoriale è ristretto all’individuale. Mark Lilla, che insegna storia alla Columbia, in “L’identità non è di sinistra” individua la “politica identitaria”, nella quale la sinistra americana (ed europea), cara a Walter, si è rifugiata negli ultimi decenni come un necessario sostituto del marxismo caratterizzato da due movimenti simmetrici: la riduzione dello sguardo sul mondo e abbandono della visione complessiva e il rifugio in una posizione di “autorispecchiamento morale”. Si tratta di una posizione coerentemente individualista, che parte dall’accettazione della struttura del mondo e, sin dagli anni sessanta, cerca di sostituire la critica di questa con un sostituto funzionale in grado di sostituirne l’effetto mobilitante: le battaglie sui diritti civili (le donne, le minoranze, i neri, gli omosessuali).
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Il lato oscuro di McCain
di Max Blumenthal
Il famoso giornalista Max Blumenthal rivela il vero volto del defunto senatore McCain, eroe della “sinistra” nostrana. McCain è stato uno dei più potenti e convinti guerrafondai del pianeta, sempre schierato dalla parte sbagliata e sempre pronto a provocare il caos in tutte le delicate situazioni internazionali, dalla Libia alla Siria, dall’Iran all’Ucraina
Mentre la Guerra fredda entrava nella sua fase finale nel 1985, la giornalista Helena Cobban partecipò a una conferenza accademica presso un resort di lusso vicino a Tucson, in Arizona, sulle relazioni USA-URSS in Medio Oriente. Partecipando a quella che veniva definita la “cena di gala con discorso programmatico”, scoprì presto che il tema della serata era “adotta un Mujaheddin”.
“Ricordo di essermi mescolata a tutte quelle ricche donne repubblicane che venivano dalla periferia di Phoenix che mi chiedevano: hai adottato un Mujaheddin? “ mi disse la Cobban. “Ognuna aveva promesso soldi per sponsorizzare un membro dei Mujaheddin afghani allo scopo di sconfiggere i comunisti. Alcune erano persino sedute vicine al loro Mujaheddin personale”.
Il principale relatore della serata, secondo la Cobban, era un nuovo e caricatissimo membro del Congresso di nome John McCain.
Durante la guerra in Vietnam, McCain era stato catturato dall’esercito Vietcong dopo essere stato abbattuto mentre andava a bombardare una fabbrica civile di lampadine. Trascorse due anni in isolamento e fu sottoposto a torture che gli lasciarono lesioni paralizzanti. McCain tornò dalla guerra con una ripugnanza profonda e costante per i suoi ex rapitori, tanto che nel 2000 disse: “Odio i vietnamiti. Li odierò finché vivo”. Dopo esser stato criticato per questa frase razzista, McCain si rifiutò di scusarsi. “Mi riferivo ai miei carcerieri”, disse, “e continuerò a riferirmi a loro con un linguaggio che per alcuni potrebbe essere offensivo a causa delle botte e delle torture subite dai miei amici”.
Il risentimento viscerale di McCain lo portò a un convinto sostegno dei Mujaheddin, così come degli squadroni della morte di ultra destra in America Centrale – come di qualsiasi altro gruppo votato alla distruzione dei governi comunisti.
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Che fine ha fatto la “questione catalana”?
di Pungolo Rosso
Oltre la Brexit, e il crescente caos che sta producendo nel Regno Unito, senza ovviamente che i lavoratori ne traggano il minimissimo beneficio, un altro tema è pressoché scomparso dai siti “sovranisti” di sinistra, ed è la questione catalana. E anche in questo caso, ci sono ottime ragioni perché coloro che vollero caricare l’opzione indipendentista di significati progressisti, antifascisti, anticapitalisti o addirittura socialisti, per non dire rivoluzionari, stiano in rigoroso silenzio. Infatti a quasi un anno dal referendum, alla confusione dominante a Madrid dove è nato un governo di minoranza in sostituzione del defunto governo Rajoy, fa da corrispettivo altrettanta confusione dentro il Junts per Cat, il partito di Puigdemont, dove si fronteggiano gli indipendentisti a tutti i costi e coloro che pensano invece a soluzioni di compromesso (per lo stesso Puigdemont l’indipendenza “non è l’unica soluzione”) con Madrid e il nuovo, fragilissimo premier Sanchez, già sconfitto sulla legge di bilancio (redatta in sostanziale continuità con la politica anti-operaia di Rajoy). In tanta impressionante confusione, la sola cosa certa è che alla guida delle istituzioni catalane si è insediato Joachim Torra, esponente della componente più conservatrice e razzista dell’indipendentismo, colui che è arrivato a definire i castellanohablantes – quelli che parlano spagnolo – “bestie in forma umana”; sulla scia, del resto, del suo ben più famoso predecessore Jordi Pujol che gratificò gli andalusi, che spesso sono proletari immigrati in Catalogna, come “individui anarchici che vivono in uno stato di ignoranza e miseria culturale”. Insomma: sciovinismo catalano a tutto campo!
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Discutendo di privatizzazioni
di Italo Nobile
Nelle esagitate discussioni sulle privatizzazioni che sono avvenute dopo il crollo del ponte di Genova è forse necessario introdurre dei fattori di razionalizzazione e di storicizzazione.
Uno di questi può essere l’indagine conoscitiva della commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione la quale nella seduta del 7 Dicembre 2000 si servì della consulenza di rappresentanti delle maggiori sigle sindacali e poi del Professor Marcello De Cecco.
Dopo interventi sindacali brevi e scarsamente significativi (data l’incoerenza tra le osservazioni fatte e il sostanziale appoggio alle privatizzazioni), interessante appare invece l’intervento di De Cecco che esordisce dicendo non a caso:
“Vorrei preliminarmente rilevare che le mie opinioni sul tema delle privatizzazioni non sono molto di moda. Considero gran parte di quello che è stato scritto sulle privatizzazioni animato più da ideologia che da principi economici. D’altronde tutti gli economisti hanno dietro un’ideologia. E’ importante – però – non scambiare l’una con l’altra: i ragionamenti economici vanno limitati al campo dell’economia; se poi alcune opinioni derivano da ideologie basta dirlo. Ho voluto premettere queste parole per sottolineare che dal punto di vista della teoria economica non c’è nessun motivo per cui lo Stato non dovrebbe essere proprietario di imprese, anche manifatturiere: si può essere contro o a favore, ma le posizioni favorevoli o contrarie – del tutto legittime – sono necessariamente da ricondursi ad una ideologia di base. A mio avviso l’economista in quanto tale non deve prendere posizione: infatti, dal punto di vista dei rendimenti economici di un sistema capitalistico privato, un’impresa privata può essere gestita male e un’impresa pubblica può essere gestita molto bene (così come è possibile anche il contrario)”.
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La caduta del ponte e le mosche cocchiere
di Michele Castaldo
La domanda che l’uomo della strada si pone è: come mai cadono i ponti costruiti 50, 60 o 70 anni fa e restano in piedi quelli costruiti ben oltre 2000 anni fa? Eppure – si chiede ancora – le moderne tecnologie sono ben superiori a quelle dei millenni precedenti.
Provino, lor signori scienziati ed economisti di grido, senza cincischiare troppo, a rispondere con serietà. Non possono rispondere, perché
la domanda nasconde il vero dramma dell’umanità e cioè l’incapacità dell’uomo, come specie, di saper impostare un corretto rapporto con i mezzi di produzione e la natura, perché è totalmente preso dallo spirito di concorrenza delle merci.
Un ponte di collegamento est-ovest della città, una sorta di discesa al porto da est e ripartenza per ovest e viceversa. Un ponte costruito in cemento armato, nel cui dna è scritta la obsolescenza programmata. Cerchiamo di ragionare su due aspetti fondamentali: a) il ponte – che attraversava il torrente Polceverafu costruito in pieno boom economico, cioè in una fase di totale ubriacatura di “benessere” di cui – seppure a cascata - usufruivano tutte le classi sociali. Sicché tutti i rischi per un’opera del genere passavano in secondo piano, tanto è vero che quel ponteera chiamato (con una certa approssimazione) di Brooklyn. Si trattava di un’orrenda traversata aerea di pilastri di cemento armato su abitazioni che soltanto la foga del profitto poteva giustificare. Provino a immaginare un solo carico di materiale edile – sabbia, pozzolana, calce, cemento, ferro o altro – di un peso di 160tonnellate circa, a un’altezza di cento metri per più volte al giorno tutti i giorni, tutto il mese, tutti i mesi, tutto l’anno per oltre 50 anni. E’ da irresponsabile solo l’averlo pensato.
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Marx, Weber, Kurz e presunte «forme antidiluviane» del capitale
Nota critica su "Islam e capitalismo" di Maxime Rodinson
di Clément Homs
Maxime Rodinson, nel suo classico, "Islam e Capitalismo" - in un dibattito, cominciato negli anni '50, sulla presunta incapacità da parte dell'Islam di generare il capitalismo (quest'ultimo termine, all'epoca veniva eufemizzato sotto la categoria borghese e naturalizzante di «sviluppo» o di «economia di mercato») - ha il merito di combattere contro la visione orientalista che vede un mondo arabo arretrato, immobile e immerso in una stagnazione multi-secolare. Tuttavia, nel pensare che il capitalismo sarebbe sempre esistito nelle società musulmane premoderne, sotto forma embrionale, la sua posizione rimane implicitamente segnata dall'idea problematica di uno sviluppo progressivo e trans-storico, ad un livello sempre più elevato, della forma valore e del denaro; ed è anche vero che è stato lo stesso Marx a suggerire una simile comprensione erronea, quando ha evocato le «forme antidiluviane» del capitale, nelle società precapitalistiche (anche Jacques Camatte rimarrà intrappolato in questa problematica erronea).
Secondo Robert Kurz - che ha mostrato la tensione e la contraddizione in Marx sia su tale questione che su altre (in particolare, l'aporia di Marx circa la questione del lavoro [*1]) - evocando, da un lato, questa teoria delle «forme antidiluviane», in quanto stato sottosviluppato di una logica trans-storica semplice, Marx soccombe all'ideologia della storia della modernità capitalista, sostenuta dall'Illuminismo, per la quale tutta la storia precedente non costituisce altro che un cammino verso sé stessa. Dall'altro lato, si vedono ugualmente in Marx alcuni sviluppi molto più radicali che sfuggono a questa ideologia, quando egli si oppone agli «economisti che cancellano tutte le differenze storiche e vedono in tutte le forme della società, quelle che sono le forme della società borghese» [*2]. Marx arriva persino a storicizzare le categorie stesse quando afferma che «il concetto economico di valore non si incontra affatto nell'Antichità [...]. Il concetto di valore rientra integralmente nell'economia più moderna, in quanto esso è l'espressione più astratta del capitale stesso e della produzione basata sul capitale» [*3].
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Dittatura e stragi o nazionalizzazioni e democrazia economica socialista?
Il Venezuela e l'ALBA
Fabrizio Verde intervista Luciano Vasapollo
«Siamo di fronte a due modelli di sviluppo che si scontrano»
Prima che l’intera attenzione mediatica e dell’opinione pubblica fosse fagocitata dal caso della nave della Guardia Costiera italiana ‘Diciotti’ ferma nel porto di Catania con 117 migranti a bordo, nel paese si era acceso un sano dibattito sull’opportunità delle nazionalizzazioni. Tema emerso perché settori dell’autodefinito governo del cambiamento avevano avanzato l’ipotesi di revocare la concessione delle autostrade alla società controllata dalla famiglia Benetton in seguito al crollo del ponte Morandi a Genova. I settori liberal liberisti sono immediatamente insorti. Agitando anche, a sproposito, lo spauracchio Venezuela. Insomma, nulla di nuovo per un paese dove il circuito mainstream utilizza quotidianamente fake news per deformare la realtà e cercare di conformarla ai propri interessi. Un classico esempio di post-verità.
Per questo abbiamo deciso di sentire un parere autorevole. Quello del professor Luciano Vasapollo, professore di Analisi Dati di Economia Applicata alla «Sapienza» Università di Roma, Delegato del Rettore per le Relazioni Internazionali con i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi; e professore all’Università de La Habana (Cuba) e all’Università «Hermanos Saíz Montes de Oca» di Pinar del Río (Cuba)
* * * *
Professore, dopo l’immane tragedia di Genova, potrebbe tornare una stagione di nazionalizzazioni?
Siamo ancora una volta di fronte a due modelli di sviluppo che si scontrano. Uno è lo sviluppo quantitativo basato sullo sviluppismo, quindi solo sul profitto. Questo crea danni all’uomo e all’ambiente. I danni si misurano nella maniera in cui vediamo. Facciamo l’esempio del ponte di Genova: si tratta di una strage di Stato.
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E questo è quanto
di Silvia De Bernardinis
“E questo è quanto. Storie di rivoluzionarie e rivoluzionari”. Il titolo della nuova collana edita da Bordeaux e curata da Ottone Ovidi esordisce con questo primo volume dedicato a Salvatore Ricciardi. Una storia e una vita di militanza, iniziata nelle piazze, con le grandi manifestazioni contro il governo Tambroni nel 1960 e la rivolta degli edili a Piazza SS. Apostoli nel 1963, stesso carattere e stessi contenuti della più nota Piazza Statuto torinese dell’anno precedente, uno snodo importante che comincia a dare fisionomia ad una nuova soggettività operaia, quella che farà da traino e sarà il collante del movimento di classe che emergerà chiaramente durante il biennio 68-69. La crescita politica di Salvatore, come lui stesso racconta, avviene nel contesto di queste lotte operaie, prima con gli edili e poi, soprattutto, nelle ferrovie, dove svolge attività sindacale nella Cgil e successivamente, cacciato dal sindacato, nel Cub-ferrovieri, di cui è uno dei fondatori. Sono gli anni, quelli tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, che sanciscono il passaggio dalla non ostilità alla rottura con la sinistra istituzionale, ed in particolare con il Pci, che nel corso degli anni 70 diventerà sempre più profonda. Nel 1977, l’entrata nella colonna romana delle Brigate Rosse. Sarà arrestato nel 1980, e come tutti i prigionieri politici sperimenterà il circuito delle carceri speciali e l’ultima grande rivolta carceraria, quella di Trani che, legata al contemporaneo sequestro D’Urso, porterà alla chiusura dell’Asinara. Ultima battaglia unitaria delle BR, dopo la quale si consumerà la scissione dell’organizzazione, diretta dall’interno del carcere, con la formazione del Partito Guerriglia al quale, diversamente dalla maggioranza dei prigionieri politici BR, Salvatore non aderirà. È un processo, questo che porta alla scissione, che Salvatore vive in parte fuori e in parte dentro il carcere, che inizia nel 1979 con una dura critica dei prigionieri politici all’Esecutivo, espressa attraverso le 20 tesi del “documentone” elaborate nel carcere di Palmi, con le quali si accusava l’organizzazione all’esterno di incapacità di innalzare lo scontro sociale e guidare un movimento che si immaginava, astrattamente ed erroneamente, fosse all’offensiva.
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Economicismo o dialettica? Un approccio marxista alla questione europea
di Emiliano Alessandroni
[Con questo saggio di Emiliano Alessandroni, “Marxismo Oggi” intende aprire una discussione approfondita sulla questione europea, e più in generale sulle contraddizioni e i problemi dell’attuale quadro internazionale; una discussione complessa su temi complessi, che dunque intendiamo affrontare evitando semplificazioni e schematismi, in uno spirito di confronto e ricerca critica, utilizzando il metodo scientifico di analisi proprio del marxismo]
a Domenico Losurdo
(in memoriam)
1. Gli USA e l'orientalizzazione dell'Europa
Nei periodi storici caratterizzati da profonde crisi – di natura, oltre che economica, anche politica e culturale –, i ragionamenti che governano il dibattito pubblico, ivi compreso lo spazio del dissenso, vedono indebolirsi il campo della riflessione dialettica, contestualmente al rafforzarsi di prospettive meccaniciste e logiche binarie. In tali periodi sono dunque queste ultime a guidare i passi e a tracciare le vie d'uscita dai problemi in cui di volta in volta ci si imbatte, sono queste ultime a orientare i pensieri generali e a forgiare le nostre formae mentis. Così ad esempio, per quanto concerne l'imperialismo, nel mondo intellettuale, non meno che nel senso comune, una convinzione tende ad affermarsi: esso costituisce un atto di soggiogamento politico e militare che si verifica ai danni di un paese economicamente povero e tecnicamente arretrato. Gli Stati dell'Europa, non a caso, vengono pensati il più delle volte in relazione a dinamiche predatorie e molto raramente ai rischi di sottomissione. Eppure la storia non ha fatto mancare gli episodi che smentiscono un simile paradigma. Tra la Prima Coalizione organizzata contro il governo giacobino dopo la Rivoluzione del 1789 e la Guerra franco-prussiana scatenata da Bismarck, la Francia subisce più volte l'aggressione delle altre potenze europee, sebbene successivamente, con le guerre napoleoniche, i ruoli si capovolgano e sarà questo Stato ad assumere la veste dell'invasore straniero contro una Germania ben presto demolita e saccheggiata. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, tuttavia, le parti si invertono nuovamente e con la Repubblica di Vichy metà del territorio francese diventa, nel giro di poco tempo, una sorta di colonia tedesca.
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Appunti per un rinnovato assalto al cielo. X
Spandi, spendi, effendi: vecchi e nuovi attori del triangolo Oro-Petrolio-Denaro
di Paolo Selmi
Abbiamo appena lasciato il triangolo d’oro della borsa cinese, una e trina, e approdiamo ora a un altro triangolo, ben più antico del primo, ma che ultimamente – guarda un po’ che caso – sta iniziando a imparare anch’esso la lingua della civiltà del Fiume Giallo. Forse, forse, in realtà l’ha sempre parlata…
Or sappiate ch'egli fa fare una cotal moneta com'io vi dirò. Egli fa prendere scorza d'un àlbore ch'à nome gelso – èe l'àlbore le cui foglie mangiano li vermi che fanno la seta –, e cogliono la buccia sottile che è tra la buccia grossa e 'l legno dentro, e di quella buccia fa fare carte come di bambagia; e sono tutte nere. Quando queste carte sono fatte cosí, egli ne fa de le piccole, che vagliono una medaglia di tornesegli picculi, e l'altra vale uno tornesello, e l'altra vale un grosso d'argento da Vinegia, e l'altra un mezzo, e l'altra 2 grossi, e l'altra 5, e l'altra 10, e l'altra un bisante d'oro, e l'altra 2, e l'altra 3; e cosí va infino 10 bisanti. E tutte queste carte sono sugellate del sugello del Grande Sire, e ànne fatte fare tante che tutto 'l tesoro (del mondo) n'appagherebbe. E quando queste carte sono fatte, egli ne fa fare tutti li pagamenti e spendere per tutte le province e regni e terre ov'egli à segnoria; e nesuno gli osa refiutare, a pena della vita.
E sí vi dico che tutte le genti e regioni che sono sotto sua segnoria si pagano di questa moneta d'ogne mercatantia di perle, d'oro, d'ariento, di pietre preziose e generalemente d'ogni altra cosa. E sí vi dico che la carta che si mette (per) diece bisanti, no ne pesa uno; e sí vi dico che piú volte li mercatanti la cambiano questa moneta a perle e ad oro e a altre cose care. E molte volte è regato al Grande Sire, per li mercatanti che vale 400.000 bisanti e 'l Grande Sire fa tutto pagare di quelle carte, e li mercatanti le pigliano volentieri, perché le spe(n)dono per tutto il paese1 .
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Della parola d’ordine “sicurezza”
di Alessandro Visalli
Come avevo scritto nel precedente post sulla parola d’ordine “integrità”, e in quello sulla “onestà”, credo che le attuali forze che reggono il governo stiano articolando, non so quanto consapevolmente, un potente discorso pubblico che ruota intorno a pochi capisaldi la cui articolazione è intesa direttamente in senso sociale, ovvero che è diretta alla formazione di un nuovo corpo sociale. I termini che riassumono questo dispositivo discorsivo sono: “integrità”, “onestà”, “sicurezza”.
Nel suo insieme mi pare fondamentalmente una reazione alla forza disgregante del modernismo, all’angelo della storia che, volgendo le spalle al futuro (che non conosce, vivendo nel presente), distrugge come un turbine il mondo al suo passaggio. E, con riferimento al tema della sicurezza, anche e soprattutto a quell’acceleratore che è l’Unione Europea.
“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che gli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.
Benjamin, “Tesi di filosofia della storia”, n.9, in Angelus Novus, Einaudi, Torino 1962.
‘Sicurezza’ è una parola che deriva dal non avere. In latino “sine cura”, senza preoccupazione, pervenuto a noi da ‘sinecura’, termine ecclesiastico medievale che si riferiva all’esenzione dalla ‘cura’ delle anime (ovvero ad un beneficio che non imponeva l’obbligo curiale), e successivamente trasposto in ogni occupazione remunerata con poco impegno.
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L'epoca degli sradicamenti
di Salvatore Bravo
Lo sradicamento è vita fuori dalla storia, dalla coscienza, dalla comunità in cui la vita fiorisce. Lo sradicamento massimo è la riduzione di tutto sulla linea della quantità, è associare il bene solo alla quantità. Ma se il bene è la quantità, il male è per tutti
L’epoca dello sradicamento, ovvero della vita fuori dalla storia, sia della coscienza che della comunità in cui la vita fiorisce. Per capire la profondità esiziale dello sradicamento globale può esserci d’ausilio Hegel con la Fenomenologia dello Spirito: le figure che si susseguono nell’opera rappresentano il percorso di radicamento della coscienza, i passaggi ed il travaglio per nascere a forme di vita sempre più consapevoli.
Il travaglio della coscienza è la storia del radicamento, della consapevolezza, del baricentro che si sposta dal fuori al dentro, e del suo disporsi verso e nella comunità. La prima figura è la coscienza, lo stadio più primitivo è la certezza sensibile in cui il soggetto giudica l’oggetto non posto dal soggetto, ma soggetto animato di vita propria.
Gegenstand ed obiectum
È il trionfo dell’obiectum sul Gegenstand. Lo sradicamento opera a favore della certezza sensibile e dunque dell’obiectum, mentre nel Gegenstand è la coscienza a porre la realtà, a conoscerla per trasformarla. Con l’integralismo dell’obiectum, il soggetto vive fuori di sé, è alienato, si inginocchia dinanzi all’oggetto non riconoscendolo come sua creazione. Lo sradicamento globale è il regno della certezza sensibile, il soggetto è spettatore nel turbine degli eventi che si concretizzano dinanzi a lui, e che fatalmente deve servire. L’asservimento globale è dunque sradicamento. Fenomeno complesso e poliforme, talvolta difficilmente riconoscibile, poiché in modo semplicistico è associato ai migranti, flusso ininterrotto di viaggiatori senza meta per il globo, odissea senza patria, senza ritorno. E dunque anche l’atto del partire è privo di densità emotiva e storica: non si parte da nessun luogo, per lo sradicato tutti i luoghi sono non luoghi, sono soste nel transito perenne.
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Genova: la posta in gioco non solo per la città
di Giacomo Marchetti – Potere Al Popolo Genova
A circa dieci giorni dal crollo di Ponte Morandi lo scenario che si sta definendo è in continuità con ciò che avevamo abbozzato in un intervento precedente.
Il fuoco di fila contro l’ipotesi di un ritorno in mano pubblica della gestione delle autostrade ha trovato nel “fronte del nord”, come è stato giornalisticamente ribattezzato, la sua punta di lancia.
Si tratta di tre governatori di regione: Lombardia e Veneto, oltre la Liguria che hanno lanciato la loro crociata, di fatto dettando la linea al governo che non ha avuto e non ha tuttora un orientamento comune, a cominciare dallo stop and go sulla revoca che rischia di trasformarsi un nulla di fatto nelle settimane a venire.
La rendita economica che alimenta quella politica non vuole certo farsi scippare le proprie possibilità di introiti e di distribuire prebende che gli assicurano questi nel do ut des che contraddistingue l’attuale democrazia oligarchica.
Il “suicidio” di cui ha parlato Zaia riferendosi alla possibilità di ri-pubblicizzare la gestione della rete autostradale è da intendersi in questo modo: cedere su questo punto vorrebbe dire decretare la fine di un sistema, affossando la trama di poteri di cui è espressione, un “bagno di sangue” per lui e soci.
Nell’anniversario del ’68 solo il fronte padronale sembra avere compreso in profondità il significato dello slogan del Maggio: cedere un poco è capitolare molto.
Atlantia, la società della famiglia Benetton che controlla Autostrade per l’Italia, naturalmente ha iniziato la sua opera di terrorismo psicologico paventando il rischio per i 50.000 risparmiatori che hanno investito nel gruppo, in caso di “revoca”.
L’allarme è stato celermente ripreso dagli uffici stampa esterni dell’azienda travestiti da redazioni di molti quotidiani e dai media in genere…
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La macroeconomia e il voto italiano
di Walter Paternesi Meloni e Antonella Stirati
Proponiamo con piacere la traduzione di un articolo apparso su INET Blog, di grande attualità per il nostro paese. Walter Paternesi Meloni e Antonella Stirati, rispettivamente assegnista di ricerca e professore ordinario di Economia politica presso il dipartimento di Economia dell’Università di Roma Tre, ci invitano a fare un passo indietro ed esaminare le cause macroeconomiche che hanno portato alla vittoria dell’attuale coalizione di governo, tenendo d’occhio anche le sfide che attendono i partiti di governo nei prossimi mesi
Per comprendere l’ascesa della Lega e del Movimento Cinque Stelle basta dare un’occhiata agli indicatori economici.
I risultati delle elezioni del 2018 in Italia – con il successo del Movimento Cinque Stelle, l’importanza relativa acquisita dalla Lega Nord, e il netto calo con conseguente disgregazione del Partito Democratico – hanno attirato molta attenzione all’estero e forse anche suscitato qualche sorpresa. Il carattere anti-euro e anti-austerità di gran parte della retorica pre-elettorale dei due partiti al potere è stato vicino a provocare una crisi istituzionale nel Paese e ha generato le reazioni, tra l’irritato e l’arrogante, di vari leader e commentatori europei.
In questo breve contributo non è nostra intenzione fare un’analisi sociologica né politica del voto, per la quale non abbiamo competenze, ma fornire alcuni dati sulle tendenze macroeconomiche e sulla disuguaglianza e la distribuzione del reddito nell’ultimo decennio, oltre a ulteriori informazioni sui fatti antecedenti alla crisi del 2008. In questo modo pensiamo di poter aiutare a chiarire alcuni equivoci e facilitare una migliore comprensione del perché la maggioranza degli italiani abbia votato chiaramente contro “riavere la stessa cosa”, per quanto capire a favore di cosa abbiano effettivamente votato potrebbe essere meno chiaro.
Non ci soffermeremo sulla questione scottante e complessa dell’immigrazione, che è comunque centrale nel dibattito politico interno in Italia e in altri paesi europei e allo stesso tempo rivela così apertamente la disunione europea e l’incapacità di unire gli sforzi per affrontarla. Tuttavia, riteniamo che le informazioni riportate di seguito possano indicare che, anche senza tenere conto dell’immigrazione, i problemi economici e sociali siano tali da indirizzare in buona parte la politica italiana nella stessa direzione e misura.
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Grandi Opere. Un lenzuolo per coprire le magagne italiche
di Sergio Bologna
Cosa intende concretamente Piero Fassino quando dice che l’Italia resterà “isolata” se non si realizza la Torino-Lione? Che non mangeremo più camembert? Che per andare a Parigi dovremo passare da Londra? Oppure che ci mancheranno luce, acqua e gas? Non sto scherzando, vorrei che Fassino mi facesse un esempio concreto d’isolamento dell’Italia (o, se preferisce, dell’economia italiana) se il tunnel di base del Fréjus non venisse realizzato. Non è un politico qualunque Piero Fassino, è stato ministro, sindaco di una grande città, non può buttare parole al vento. Anche se il termine “isolamento” lo usasse come metafora o come iperbole, resta il fatto che è un’affermazione, in quel contesto, che fa dubitare della sanità mentale o dell’onestà intellettuale di chi la pronuncia.
Una “Grande Opera” ha senso solo quando “cambia la vita”, quando modifica in maniera sostanziale il sistema degli spostamenti con effetti sociali, economici, urbanistici, territoriali di vasta portata. L’allargamento del Canale di Suez, per esempio, è stato definito una “Grande Opera” ma i suoi effetti sul sistema degli scambi sono stati pari a zero. L’unica ragione per realizzarlo è stata quella di aumentare gli introiti dello stato egiziano ma anche questo obbiettivo è fallito: certe compagnie di navigazione preferivano circumnavigare l’Africa piuttosto che pagare dei pedaggi più cari e lo stato egiziano ha dovuto abbassare le tariffe e in certi casi dimezzarle per non avere un crollo degli attraversamenti. In compenso l’allargamento del Canale ha innescato un riscaldamento delle acque del Mediterraneo dalle conseguenza imprevedibili su uno degli ecosistemi più splendidi del pianeta. Bel risultato vero?
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Doccia fredda
di Sandro Moiso
Houria Bouteldja, I bianchi, gli ebrei e noi. Verso una politica dell’amore rivoluzionario, Sensibili alle foglie 2017, pp. 128, €12,00
“Il nazismo è una forma di colonizzazione dell’uomo bianco sull’uomo bianco, uno choc di ritorno per gli europei colonizzatori: una civiltà che giustifica la colonizzazione […] chiama il suo Hitler, voglio dire il suo castigo. (Hitler) ha applicato all’Europa dei processi colonialisti afferenti, fino a quel momento, solo agli arabi d’Algeria, ai servi dell’India e ai negri d’Africa” (Aimé Césaire)
La citazione tratta dal poeta della Martinica di origine francese Aimé Césaire può servire, fin da subito, a dare la cifra esatta del ragionamento condotto da Houria Bouteldja sul rapporto tra colonizzatori e colonizzati, tra bianchi e popoli “colorati”, tra civiltà europea e culture altre. Una autentica doccia fredda, soprattutto per il perbenismo democratico e preteso di “sinistra”, nella soffocante calura di agosto. Ma non soltanto.
Houria Bouteldja è nata in Algeria nel gennaio del 1973, figlia di immigrati algerini in Francia. Figlia di proletari, è la portavoce del Partito degli Indigeni della Repubblica (PIR) ed è una militante anticolonialista che si batte sia per la ridefinizione dei rapporti politici, storici e culturali tra l’Occidente e i paesi e i popoli colonizzati che per quella della condizione delle donne e soprattutto di quelle “indigene” nelle metropoli occidentali. Il suo lavoro di ricerca e la sua verve polemica, in particolare contro l’islamofobia, hanno suscitato numerose controversie che hanno spinto i suoi avversari, spesso provenienti dalle fila della “sinistra” come il quotidiano francese «Liberation», ad accusarla di antisemitismo, omofobia, sessismo, razzismo e comunitarismo.
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