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Centomila morti versus 35 morti. Si può dire che qui è tutto da rifare?

di Pino Cabras

 

100mila – o del neoliberismo

L'8 marzo 2021 la macabra contabilità della crisi Covid ha superato in Italia la soglia psicologica dei 100mila morti. Sebbene in una chiave tragica, la rotondità del numero ci spinge a riflettere e a comparare. Tutti gli Stati e tutte le società, qualunque fosse il loro tipo di regime politico, senza eccezioni, nel corso degli ultimi 400 giorni hanno avuto una priorità: adeguare radicalmente regole, spese, comportamenti, profilassi, rispetto all'immensa novità del coronavirus. Tranne rarissime eccezioni, la politica e i media italiani non estendono la comparazione mondiale oltre il giro ristretto e limitato dei paesi che chiamano pomposamente se stessi come "la comunità internazionale": cioè i paesi capitalistici occidentali e i loro 'clientes' segnati da decenni di neoliberismo. Tutto il resto dell'ecumene - anche se ormai annovera più paesi, più popolazione, perfino più PIL - non è incluso nel concetto di ‘comunità internazionale’ da noi in voga e perciò non conta e sparisce dalla narrazione. Le comparazioni esposte risultano monche, incomplete e pertanto fuorvianti.

I 100mila morti italiani sono comparati con i 125mila britannici, gli 89mila francesi, i 72mila tedeschi, i 71mila spagnoli, gli 88mila russi, i 525mila statunitensi, i 266mila brasiliani. La grande maggioranza dei decessi registrati in nazioni con sistemi sanitari tecnologicamente avanzati risulta in paesi che negli ultimi trenta anni hanno attraversato tutti lunghe fasi di applicazione delle ricette neoliberiste, un arretramento dello Stato rispetto ai privati anche nel settore della Salute, una sequela di tagli e sacrifici.

 

Trentacinque – o dello stato

Da mesi sapevo che il giorno dei centomila sarebbe arrivato. In quegli stessi mesi, ogni santo giorno, guardavo per contro un'altra cifra: 35. Era il numero totale di decessi Covid registrati in Vietnam (paese industriale di 100 milioni di abitanti) dall'inizio dell'epidemia. Ogni giorno zero nuovi decessi per mesi e il ‘body count’ rimane inchiodato a trentacinque. Situazione simile in tutto l'Estremo Oriente industrializzato. A Taiwan, ad esempio, 23 milioni di abitanti, appena 10 decessi.

Ecco, converrete che subire una multa da 10 euro o una da 100.000 euro non sia la stessa cosa. O che una palazzina di poche famiglie non è altrettanto popolata quanto l'intera città di Udine. Le proporzioni sono queste. Non è che forse si è sbagliata la strategia? Non è che qui da noi il sistema basato sul dio delle privatizzazioni abbia mostrato tutti i suoi limiti? Mentre i vietnamiti hanno avuto un aumento medio annuo del 9% della spesa sanitaria pubblica tra il 2000 e il 2016, i nostri giornaloni esaltavano i profeti della ‘spending review’ che tagliavano medici e presidi ospedalieri. Oggi gli stessi giornaloni, anziché rivedere autocriticamente la loro narrazione, esaltano nuovi profeti, quelli che al disastro vorrebbero rimediare con un nuovo disastro di confinamenti indiscriminati.

Se assumiamo una posizione critica e se compariamo DAVVERO i dati con la VERA e più larga comunità internazionale, dovremo concludere che sono i numeri stessi a far emergere un’incapacità storica e strutturale del nostro sistema, piegato dalla prevalenza del modello UE, incentrato su una prevalenza degli interessi delle multinazionali (in questo caso quelle del cartello Big Pharma) e programmaticamente e ideologicamente ostile all’organizzazione di una risposta statale alle sfide di sicurezza sanitaria ed economica.

 

‘No vax'? C'è un problema più immediato: i 'no drugs' al comando

Pochi giornali hanno dato risalto a una notizia del 4 marzo scorso: il Tar del Lazio ha annullato la nota AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) che imponeva un protocollo basato sulla Tachipirina e sulla "vigile attesa" e ha ribadito il diritto-dovere di ogni medico di prescrivere cure "in scienza e coscienza" nel migliore ed esclusivo interesse del proprio paziente. Nel caos prometeico dei messaggi contradditori di virologi, immunologi, epidemiologi degli ultimi 400 giorni, frullati nel tritacarne mediatico e nel mercato della paura, venivano inabissate le voci di tanti medici e operatori sanitari che puntavano a usare subito i farmaci che conoscevano per curare senza inutili attese i loro pazienti Covid in modo da prevenire in modo modesto e assai pratico l’intasamento delle terapie intensive e le tardive risposte “ospedalocentriche”. Possiamo dirlo che il nostro sistema sanitario ha sottovalutato la risposta che poteva invece dare la medicina territoriale? Senza grandi show, usando quello strumento imperfetto ma indispensabile che sono i farmaci, molti medici hanno ottenuto risultati positivi nella trincea dell’epidemia. Per contro, la risposta pubblica prevalente è stata una sorta di irrazionale “No Drugs”, incentrata sulle carte tutte puntate sul futuro eventuale successo di vaccini affidati a un mercato nel quale le autorità pubbliche giocano in posizione subalterna. Scelte politiche, non tanto scientifiche. Sarà la politica a dover imprimere una svolta.

L’Alternativa c’è.

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