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sinistra

Un nuovo POTUS per una nuova fase

di Piero Pagliani

Trump non è solo un nuovo POTUS (President Of The United States), ma una nuova fase della reazione americana alla crisi sistemica.

La sinistra negli Usa e in Europa sta molto attenta all'angolazione del braccio teso di Musk senza sospettare che chi guida il blocco sociale raccolto attorno a Trump preferisce di gran lunga che i suoi avversari si concentrino su queste cose e non su ciò che si intende fare e sui motivi profondi delle decisioni prese.

Molti anni fa uno slogan recitava “Il revisionismo disarma gli operai”. Ma ciò che è successo va ben oltre. L'introiezione, protratta per decenni, del senso comune dell'avversario di classe all'attacco, oltre che ad aperte complicità ha portato la sinistra a un profondo degrado della capacità di analisi e comprensione (e quindi di azione) che è andato oltre le più funeste previsioni.

Così la sinistra, aizzata dall'iperbolico reazionarismo di Trump e del suo “popolo”, si fossilizza in una proterva difesa anche delle più indifendibili esagerazioni woke, buoniste e imperial-cosmopolite liberal distogliendo l'attenzione dal vero “problema Trump”. Perché il vero problema Trump, o il principale problema, sarà la sua politica di minaccia e aggressione contro tutto il mondo.

Trump agirà però in modo differenziato, a seconda della capacità - e volontà - di reazione della controparte. L’Europa e gli altri alleati verranno presumibilmente attaccati per primi e più a fondo. Poi la Cina, il grande avversario strategico. Con la Federazione Russa cercherà un accordo nella speranza di incrinare la sua partnership strategica con Pechino.

Non credo che assisteremo ad azioni lineari, ma a stop-and-go, sia per l'opposizione interna all’establishment statunitense, sia per le contraddizioni alle quali la sua politica internazionale andrà incontro.

Per quanto riguarda il primo ostacolo stiamo assistendo a un tentativo di redde rationem col “deep state” di cui lo smantellamento di Usaid è un primo passo. Questa agenzia finalizzata principalmente alla sovversione internazionale dietro il mascheramento di aiuti per lo sviluppo e che agisce collaborando con la CIA e tramite una rete di ONG, è stata commissariata da Marco Rubio e il suo finanziamento decurtato. E qui c’è un punto interessante. I finanziamenti a Usaid erano iniziati a crescere sotto Bush jr e la presa del potere da parte dei neoconservatori (poi diventati trasversalmente neo-liberal-con) per arrivare a 12,8 miliardi di dollari sotto Obama e infine a 41,7 miliardi di dollari proprio sotto il primo mandato di Trump, a riprova che durante la sua prima “tenure” l'attuale presidente era stato costretto in una camicia di forza dal “deep state”, quel “deep state” che aveva giurato di smantellare. A inizio del secondo mandato di Trump, Usaid, che del “deep state” è uno dei pilastri, sembra che stia effettivamente per essere smantellata. È un segnale che il Trump 2.0 si sente più forte e sostenuto. Vedremo fino a che punto.

Per quanto riguarda le contraddizioni nei rapporti internazionali partiamo da una considerazione generale.

Per come si sta delineando possiamo chiamare la politica estera statunitense “lotta di classe transnazionale”. Una lotta di classe finalizzata a depredare risorse di ogni tipo dal resto del mondo nel tentativo di riportare gli Stati Uniti alla posizione di forza che aveva all'indomani della II Guerra Mondiale.

Pura distopia. Una distopia storica, direi cosmica, che rischia di far piombare il mondo e gli stessi Stati Uniti nel caos.

Pino Arlacchi ha descritto un quadro preciso e funereo della situazione economica e sociale degli Stati Uniti, dalla povertà in aumento all'aspettativa di vita in forte calo, dall'ascesa della mortalità infantile a quella delle malattie mentali [1]. Un quadro inquietante che spiega il seguito popolare alle promesse di Trump. Ma che non spiega ad esempio il rischieramento dei boss Big Tech al fianco di Donald Trump. Non è un classico “saltare sul carro del vincitore” come interpretano molti, tra cui Arlacchi. Quando Trump si insediò la prima volta alla Casa Bianca, nel 2017, le stesse persone mantennero il loro distacco politico dal tycoon. Ma ora hanno visto che la strategia liberal ha molto indebolito la posizione degli Usa e la guerra in Ucraina rischia di sancire per gli Stati Uniti una sconfitta che si può ripercuotere nel settore economico ai quattro angoli della Terra sottraendo un Paese dopo l'altro alla subordinazione a Washington.

Trump promette una strategia diversa: la minaccia economica senza mezze misure al resto del mondo, sostenuta solo secondariamente da quella militare che, come ha potuto verificare, con gli attuali rapporti di forza può dare risultati opposti a quelli sperati.

Tuttavia in una potenza egemone la decadenza economica e quella militare vanno di pari passo e gli Usa non si sottraggono a questa regola strutturale, come per l'appunto si può osservare in Ucraina.

Trump sembra quindi voler usare la forza finanziaria degli Usa e la loro posizione come grande consumatore mondiale per ricattare il resto del mondo e riportare in questo modo gli Stati Uniti in posizione di dominio. Il paradosso che non gli darà tregua è che l'edificio finanziario statunitense è un castello di carte che si regge sulla residua potenza politico-militare degli Usa così come i suoi straordinari consumi (in deficit), ovvero le sue enormi importazioni.

E qui sta un primo problema: se gli Usa con politiche protezionistiche smetteranno di essere il più grande singolo mercato mondiale, mineranno la propria posizione. Certamente gli altri Paesi si troveranno di fronte al problema di come approvvigionarsi di dollari e a quello di trovare sistemi di compensazione e mercati alternativi, ma questo, assieme allo strangolamento energetico da parte degli USA, avrà l'effetto netto di spingere un Paese dopo l’altro a difendersi, sottraendosi all'abbraccio statunitense che non è più in grado di promettere vantaggi ma è ormai solo mortale. Farlo o non farlo - e la misura in cui farlo - sarà una questione politica e solo in subordine economica.

I Paesi del mondo e soprattutto quelli alleati si stanno trovando di fronte a una potenza ormai solamente in grado di minacciare e ricattare come un bullo di quartiere qualsiasi: fine dei giochi “win-win”, ora solo giochi a somma zero, e il vincitore devo essere io, Washington. Quindi voi dovete perdere.

Trump è più sinceramente aggressivo. Glielo impone la crisi sistemica. Tuttavia è quanto sta già avvenendo da tempo. Ecco quindi, per reazione, le file di banchieri, ministri e capi di stato di tutto il mondo a Mosca e a Pechino a chiedere prestiti, investimenti, partnership, protezione. Ecco quindi per reazione il costante ampliamento dei Brics.

Un secondo problema che il Trump collettivo dovrà affrontare riguarda la profittabilità. Il blocco di importazione di merci a buon mercato spingerà verso l'alto il costo del lavoro negli Stati Uniti. E ciò può intralciare la spinta a investimenti produttivi e quindi la reindustrializzazione che dovrà fare i conti anche coi tassi di interesse e di cambio e con la concorrenza internazionale nell'innovazione (e non solo in ambito informatico, ma in tutti i settori “dual use”).

Un terzo problema è la reale possibilità statunitense di sostituire le importazioni.

Problemi intrecciati e l'elenco è incompleto.

Per farla breve, la caotica “strategia” trumpiana, immersa in inestricabili contraddizioni verosimilmente disarticolerà e disorganizzerà le economie in misura inversamente proporzionale alla loro distanza politica da Washington e non otterrà gli effetti sperati in quella statunitense.

Lo sfondo di tutto ciò è un noto imperativo: “Accumulare! Accumulare senza freni e con ogni mezzo”. Anzi, riaccumulare. Una sorta di “neo accumulazione originaria”, se mi si passa il termine (solo apparentemente contraddittorio), basata sullo sfruttamento, sulla rapina, sulle “enclosure” ovunque sia possibile.

Per far ciò il Trump collettivo deve liberarsi degli orpelli ideologici che possono essere d'intralcio, di confusione o superflui. Certo, si continuerà a parlare di “mondo libero” perché fa comodo ed è parte del bagaglio retorico occidentale. Ma l'autoritarismo domestico e internazionale sarà la cifra della nuova fase. Una strada che è stata lastricata dall'ipocrisia liberal che permette ancora una volta che la «reazione prima» si possa nascondere dietro la «reazione seconda» attorno alla quale si svolge la «falsa lotta, sui vecchi temi della restaurazione classica, in cui credono ancora sia i suoi portatori che i suoi oppositori... Tutti dunque fingono di non vedere (o forse non vedono realmente) qual è la vera, nuova reazione; e così tutti lottano contro la vecchia reazione che la maschera.» (Pier Paolo Pasolini).

Possiamo continuare a parlare di “fascismo” come se non fossero passati 103 anni dalla sua ascesa e 80 dalla sua caduta, senza accorgerci del «finto potere che il potere reale lascia ancora in concessione ai suoi difensori e ai suoi avversari, perché vi smaltiscano, accademicamente, i vecchi sentimenti» (ancora Pasolini).

Il Trump collettivo sarà contento, come ha ben spiegato Andrea Zhok [2].

Non capire che la presidenza Trump è una nuova fase della crisi sistemica e non capire di quale fase si tratta, vuol dire non saperla e non poterla affrontare. Rimarremo così stritolati mentre in ordine sparso ci illuderemo di poter partecipare alla rinascita statunitense.

Ci illuderemo perché vorremmo anche noi che la Storia tornasse indietro, visto che proprio non sopportiamo che vada avanti. Vorremmo tanto ritornare a un secolo fa quando l'Occidente controllava direttamente o indirettamente l'80% delle terre emerse. Non è più così e non lo sarà mai più.


Note
[1] https://www.officinadeisaperi.it/materiali/trump-e-il-declino-del-popolo-usa-da-il-fatto/
[2] https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/29724-andrea-zhok-quello-di-elon-musk-che-dovrebbe-realmente-preoccuparti.html
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Alfred
Friday, 07 February 2025 07:54
Ps, giusto per cazzeggiare, il re Sola e il suo entourage non sono solo capitalismo selvaggio, sono anche casi umani. Una pletora di super ricchi che non delegano a scherani in mantenimento del potere, ma ci mostrano direttamente le cose che si sono detti a davos e in tutte le loro cene d'affari: il posto che loro e quelli come loro devono avere nel mondo.
Hanno un certo potere manipolatorio e usano le masse in miseria e la miseria, ma non finisce li. Adorano le masse immiserite e adoranti, perche' quello e' il posto delle masse e l'adorazione va tributata a quelli come loro. Se ne fregano della vita e del destino delle masse, dello stato e pure della realta'. Non esprimono solo capitalismo, esprimono la deformazione umana a cui il capitalismo senza regole e senza limiti conduce le fasce umane in cima alla piramide. Tanti piccoli re e principini con annesse regine principesse , principessine e paggetti. Voi non li vedere? Loro, tra loro, si vedono benissimo, non esiste altro oltre loro, solo applausi.
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Alfred
Friday, 07 February 2025 07:30
La chiusura e altre considerazioni le condivido
Questo mi lascia perplesso
- a riprova che durante la sua prima “tenure” l'attuale presidente era stato costretto in una camicia di forza dal “deep state”, quel “deep state” che aveva giurato di smantellare. A inizio del secondo mandato di Trump, Usaid, che del “deep state” è uno dei pilastri, sembra che stia effettivamente per essere smantellata-

Davvero crede a una cosa del genere?
Un parallelo: trump che costringe alla tregua israele gaza. Quindi trump che entra in conflitto con bibi e i sionisti estremisti? Per alcuni giorni alcuni ci hanno creduto, dopo alcuni giorni abbiamo letto che gaza starebbe benissimo come resort per ricchi internazionali, senza palestinesi. E trump intende mandare le truppe per ottenere.
Se tanto mi da tanto non sarei convinto che trump ha fatto fuori i bruttoni del deepstate, sarei convinto che il re Sola ne sta creando un altro, e peggiore, di deepstate. La tregua di gaza e' un paradgma di come ragiona, di quello che vuole. Illusioni meglio non averne, a nessun livello, su nessun ambito di realta'.
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