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ilpungolorosso

Intorno al patto di Abidjan. Immigrazione, Africa, Europa

di Il Pungolo Rosso

Mogherini UE UA 9c27382c42Per qualche giorno – proprio mentre le istituzioni statali disperdevano la protesta dei rifugiati di Cona – i mass media rigurgitavano di buoni propositi verso gli africani, con tanto di piani Marshall per l’Africa, spettacolari programmi di investimenti, propositi di implementare i diritti democratici, e chi più ne ha più ne metta. Per l’istruzione, il futuro e la felicità dei giovani africani, anzitutto.

Cos’è successo?

E’ successo che il 29-30 novembre si è tenuto in Costa d’Avorio, ad Abidjan, il quinto vertice congiunto dei capi di stato e di governo dell’Africa e dell’Unione europea e in circostanze come queste, la retorica istituzionale supera sé stessa in virtuosismi parossistici. Tanto più perché le vecchie potenze coloniali europee si vedono sottratto spazio vitale da Cina, India, Turchia, monarchie petrolifere, oltre che dal sempre incombente e insaziabile zio Sam, e sentono di dover recuperare terreno e credito.

In questo vertice si sono ovviamente intessuti rapporti di affari, ma al centro di tutto è stata la “questione migratoria”, e l’impegno imposto agli stati africani a selezionare e controllare il movimento migratorio verso l’Europa. E’ il tentativo di estendere all’intero continente il metodo-Minniti per la Libia, con la creazione di un sistema di spietati campi di concentramento per emigranti in fuga dalle guerre, dalla fame, dalla spoliazione delle loro terre, nei quali schiacciare la loro dignità e comprimere al massimo le loro aspettative prima di dare il via libera ai sopravvissuti a questi inferni perché affrontino la sempre più pericolosa traversata del Mediterraneo.

E l’hanno chiamata “una task force congiunta tra Unione Europea, Unione Africana e Onu per proteggere i migranti lungo le rotte della tratta”!

Il nauseante spettacolo ci ha spinti a tirar fuori dal cassetto un’intervista che un nostro compagno ha dato un paio di mesi fa alla Libreria Calusca di Milano e al collettivo No Borders della Statale di Milano per una loro pubblicazione sulle migrazioni. Non si limita a mostrare cos’è in realtà il “neo-colonialismo solidale” dei Gentiloni, Minniti, Macron, Merkel, Juncker, indica anche alcune immediate misure da prendere se davvero si volesse “affrontare le cause profonde del fenomeno”…

* * * *

Domanda: che cosa rivela e che cosa nasconde la vicenda delle ONG iniziata lo scorso maggio con l’inchiesta della magistratura di Siracusa, la polemica sui rapporti delle ONG con i “trafficanti di esseri umani”, e poi il varo del Codice di comportamento delle ONG, l’obbligo di presenza a bordo delle forze di polizia, etc.?

Risposta: Non posso fare qui un’analisi delle ONG in generale, e neppure un’analisi specifica di quelle che operano nel Mediterraneo tra le coste libiche e quelle italiane. Mi limito a dire, sempre in generale, che è raro, rarissimo che le ONG siano realmente organizzazioni non governative. La gran parte di esse, specie di quelle che hanno mezzi e strutture rilevanti, e per solcare un mare con navi ben attrezzate ce ne vogliono!, hanno molteplici e fitti rapporti con i governi di riferimento. È stato ampiamente dimostrato che esiste un vero e proprio “complesso industriale dei diritti umani”, che ha stretti legami anche con il complesso militare-industriale n. 1 nel mondo, quello statunitense. Del resto ai tempi di Enduring Freedom quando fu scatenata la guerra contro il popolo dell’Afghanistan, il segretario di stato Usa, gen. Powell, lo dichiarò apertamente: “Le ONG sono un moltiplicatore di forza per noi, una parte estremamente importante della nostra squadra combattente”. È altrettanto palese, e da lui stesso rivendicato al “Wall Street Journal” e altri giornali, che il finanziere Soros è una figura centrale di tale fittissima rete globale di interessi, e non a caso questa estate Gentiloni ha esibito un incontro pubblico con costui proprio nel mezzo della “crisi” (vera o presunta) con le ONG. Quindi non mi scandalizza affatto l’idea che alcune, o diverse, delle ONG operanti tra le coste libiche e quelle italiane, abbiano rapporti obliqui con i “trafficanti di esseri umani”, quelli che operano all’ingrosso e quelli che operano al minuto (è ovvio: non sto parlando qui di quanti prestano generosamente nella migliore buona fede il proprio tempo ad esse; parlo delle loro organizzazioni e di chi, spesso nell’ombra, le comanda).

Il problema da chiarire, però, non è tanto cosa sono le ONG che in questa vicenda contano fino a un certo punto, essendo più un pretesto che altro. Il vero problema è chiarire chi sono (e da secoli) i grandi trafficanti di esseri umani. La risposta inequivocabile è: sono i grandi stati europei, Italia ben inclusa, quelli stessi che con sconfinata ipocrisia si atteggiano oggi a integerrimi nemici di tale traffico (e di coloro che sono accusati di “facilitarlo”). Ma vi pare credibile che barconi, barche e gommoni trasformati in carri-bestiame potessero scorazzare per anni e anni a loro piacere in un Mediterraneo sorvegliato in ogni suo angolo da droni e radar, gremito di portaerei, incrociatori, sottomarini, pattugliatori, fregate, navi da sbarco, navi ausiliarie, con al seguito centinaia di aerei di tutti i tipi, diversi ‘gruppi di battaglia’, migliaia e migliaia di militari statunitensi, italiani, inglesi, francesi, etc.? Vi pare credibile che dei piccoli trafficanti di moderni schiavi salariati la facessero impunemente sotto il naso ai grandi trafficanti, sia in mare, con tanto di Eunavfor e di Frontex in azione e i loro sofisticati sistemi di controllo, che a terra, con tutta la pletora di agenti dei servizi segreti, consiglieri militari, polizie private, truppe regolari, etc., sguinzagliati e dislocati in Libia, fino a quando non è arrivato con la sua bacchetta magica l’uomo della provvidenza Minniti (“un ministro di ferro in un governo di latta” secondo Destra.it)? Andiamo!

 

Domanda – Ma allora qual è il senso reale degli avvenimenti di questa estate e perché il disciplinamento delle ONG?

Risposta – Ci sono vari aspetti di questa operazione che si tengono tra loro, e che non hanno nulla a che vedere con il contrasto al traffico di esseri umani, al contrario!

Si tratta anzitutto di un altro passo avanti nella militarizzazione delle politiche migratorie italiane ed europee, di un altro pesantissimo giro di vite nella guerra scatenata da anni dallo stato italiano e dall’Unione europea contro gli emigranti dall’Africa (non tutti africani) per rendere loro ancora più difficile, pericoloso, costoso, lungo, il cammino verso l’Italia e l’Europa, ampliando e rafforzando in Libia, Niger, Ciad, una rete di campi di concentramento (34 nella sola Libia, se è vero il dato ufficiale), che sono campi di umiliazione, di stupri, di torture e violenze d’ogni tipo, e per non pochi di morte. Non lo dico io, è noto. Ne parlano rapporti giornalistici fatti con un po’ di decenza – Gatti, Zandonini, Mannocchi sull'”Espresso”, e i cattolici “Vita” e “Avvenire” hanno descritto le rotte della morte e la costa dei lager. Si torna così ai campi di concentramento di fascistissima memoria allestiti in Libia dal benemerito generale Graziani. Per sbarrare totalmente la strada agli emigranti africani e medio-orientali? Ma no! È il segreto di Pulcinella che, immediatamente, si sono aperti nuovi canali di ingresso in Europa, dal Marocco alla Spagna, dall’Algeria alla Sardegna, dalla Turchia a Lesbo o a Costanza, etc. Ne parla “la Repubblica” del 3 settembre (a proposito: chi glielo ha detto?). In realtà, ad onta di tutte le dichiarazioni ufficiali in senso contrario, l’Italia, l’Europa (le imprese e gli stati dell’Italia e dell’Europa) hanno un bisogno strutturale di lungo periodo di immigrati e immigrate per insopprimibili ragioni economiche (per disporre di forza-lavoro, comune e qualificata, a basso o bassissimo costo), demografiche (per accrescere la propria popolazione a rischio di diminuzione) e politiche (per poter attizzare la guerra tra proletari autoctoni e immigrati). Si tratta solo di creare un setaccio più stretto, che faccia passare esclusivamente i più tenaci, quelli che hanno più mezzi materiali, i più abili e intraprendenti, quelli che -venuti qui- possono risultare i più produttivi. I trafficanti-kapò locali arabi o neri costituiscono l’ufficio del personale dell’azienda-Italia, dell’azienda-Europa: a loro è esternalizzato il compito di selezionare i più ‘meritevoli’ di arrivare fin qui, purché nudi, vessati, umiliati, indebitati fino al collo (più sbarramenti devi passare, più esattori devi pagare), di modo che siano, per stato di necessità, più docili al super-sfruttamento differenziale che spetta in sorte a lavoratrici e lavoratori immigrati.

Forse certe ONG non svolgevano questo lavoro di setaccio stretto nel modo più adeguato, davano una interpretazione troppo libera della loro “missione umanitaria”, assai utile comunque a cercare di salvare la faccia dell’Europa, come ammette Juncker. Il “codice di comportamento” le vincola ora agli obiettivi militari limitando la loro già molto relativa autonomia, e fa parte di un salto di qualità repressivo delle politiche migratorie europee: ieri affidate alle polizie e ai ministeri degli interni, oggi al binomio polizie-eserciti. Con tanto di ascari libici, nigerini, ciadiani, etc. al loro servizio, per sbrigare il lavoro più sporco, pagati – sembra – 6 miliardi di euro come l’altro grande mercante di schiavi, Erdogan (personalmente sospetto che una certa quota di questi miliardi non arriveranno in Libia…). Tutto ricorda i bei tempi della vecchia tratta degli schiavi, quando la cattura materiale degli schiavi e il loro controllo nei forti-carceri sulla costa (i campi di concentramento del tempo) erano affidati a re, capi tribù, mercanti africani, così da seminare per secoli la più profonda divisione e un inestinguibile odio tra africani e africani. Del resto, ed anche questo è noto, i soldi europei vanno esattamente a quei mercanti al minuto di schiavi che si frottola di voler distruggere, con l’aggiunta in sovrappiù di qualche volonterosa banda mafiosa tipo la Brigata 48 di Sabratha (la collaborazione stato-mafie è materia in cui l’esperienza dello stato italiano è imbattibile).

Un secondo aspetto fondamentale di questa operazione è che dietro il nobile proposito della lotta ai trafficanti di esseri umani, le frontiere italiane ed europee sono spostate fin dentro l’Africa, sempre più dentro il suo territorio, con l’ingresso progressivo di crescenti contingenti militari italiani ed europei nel nord dell’Africa, in vista di una sempre più stretta presa di possesso di questi territori e delle loro ricchezze naturali, umane, monetarie (non dimentichiamo che è ancora aperta la questione dei 150 miliardi di riserve valutarie libiche). In nome della ennesima missione civilizzatrice, l’assassino-colonialista è tornato sul luogo del delitto…

Poi, certo, ed è un altro aspetto ancora, e molto intricato, possono esserci, e ci sono, anche fattori di scontro interno all’Europa, con l’Italia che cerca di riprendersi uno spazio in Libia e in Africa che Francia, Gran Bretagna, Usa le hanno tolto nel 2011 con la guerra scatenata per abbattere il regime di Gheddafi e, insieme, per spazzar via l’insediamento italiano in Libia. E/o può esserci anche una tensione tra UE e il peso ‘eccessivo’ che gli Usa hanno acquisito con lo sbarco in Libia e la loro salda alleanza in Siria e Iraq con i curdi, e/o una buona scusa per incrementare nell’area la presenza militare italiana ed europea contro la Russia, di nuovo presente e attiva nel Mediterraneo. Si parla talvolta dell’Africa come del “continente dimenticato”, ma è vuota retorica. Tutti i grandi poteri del capitalismo globale, incluse Russia e Cina (attivissima in Africa con le sue proprie modalità), sono presentissimi in Africa e se ne stanno contendendo la linfa vitale senza esclusione di colpi.

Infine, ma non certo per ultimo, la vicenda delle ONG è servita a mettere in atto un’altra grande semina mediatica di quello che ho chiamato razzismo di stato, con l’allarme suonato ai massimo dei decibell sull’invasione di emigranti dall’Africa, di milioni (o quasi…) di altri potenziali terroristi, di portatori di malattie e quant’altro si possa evocare per diffondere terroristicamente la paura e l’odio verso gli immigrati, quelli in (eventuale) arrivo e quelli già presenti sul suolo italiano ed europeo. Tant’è che dopo questa vicenda e dopo il fattaccio di Rimini lo stesso blandissimo progetto di legge del governo sullo jus soli è stato abbandonato.

[…]

 

Domanda – La calda e creativa estate italiana ha fatto venir fuori anche una nuova locuzione: “colonialismo solidale”, proposta sul “Corriere della sera” da G. Buccini e subito ripresa e rilanciata da giornali e siti di destra come una “buona idea”.

Risposta – Grazie di avermi segnalato la cosa, francamente mi era sfuggita, è difficile star dietro a tutto il bestiario. La locuzione è nuova, ma solo fino a un certo punto. Perché la sostanza di essa c’è tutta, e anche qualcosa in più, nelle seguenti frasi ultra-umanitarie e ultra-solidali verso gli etiopi di Benito Mussolini che così giustificò la guerra all’Etiopia nel 1936:

«L’Italia non ‘aggredisce’ le popolazioni etiopiche, ma le libera, emancipa gli schiavi, redistribuisce il grano razziato dalle orde del Negus, apre strade, istituisce ambulatori, protegge i bambini dà pane agli indigeni indigenti. Essa compie un’opera ‘societaria’ nel vero senso della parola. Fa quello che la Società delle nazioni avrebbe dovuto fare e non ha fatto» (Un impero per l’Italia, La Fenice, Firenze-Roma, 1984, p. 38).

Né si fermò qui perché rivendicò al fascismo l'”auto-decisione dei popoli liberati”, in particolare dei copti del Tigri, di alcune tribù etiopiche e dei musulmani della Somalia…

Ed ecco Buccini e C. sognare di “riportare in Africa maestri e ingegneri, medici e soldati” (annotate le 4 figure sociali) in modo da insegnare “il futuro a milioni di giovani africani” per rimediare ai danni di una “decolonizzazione vile e piena di sensi di colpa” – a differenza della colonizzazione, immagino, che fu coraggiosa e per fortuna priva di sensi di colpa – e per rimediare anche, qui un pensiero commovente, “al feroce neo-colonialismo economico delle multinazionali”. Immediato il rilancio dei siti della destra in cui si sogna ancora più in grande: “un impegno pluridecennale, complesso e fascinoso” attraverso il quale l’Europa “adotti le entità statuali post-coloniali oggi disintegrate per ricostruire con lungimiranza e misura condizioni di vita e di sviluppo, formare classi dirigenti serie e ordinamenti funzionanti”. E, precisano, gli “strumenti giuridici” per tali affettuose adozioni internazionale ci sono già dal momento che l’ONU prevede nel suo ordinamento l'”amministrazione controllata”, quella che (votata a suo tempo anche dal PCI di Togliatti) funzionò così bene in Somalia, si giura, tra il 1950 e il 1960. Solo che allora i tempi furono maledettamente brevi. Bisognerebbe tornare ai 99 anni delle prime concessioni petrolifere occidentali in Medio Oriente, quello sì che sarebbe un periodo congruo…

Insomma: “aiutarli a casa loro”! L’imperativo – quanto mai minaccioso per i popoli dell’Africa – è ormai un mantra, se è vero che lo biascica anche Renzi nella sua lingua vuota fatta di spot. Ma non sono stati sufficienti i quattro secoli di tratta degli schiavi, con 150-200 milioni di giovani africani e africane come vittime? Non sono bastati duecento e passa anni di colonialismo storico, iniziato a sud con i coloni boeri e a nord con l’occupazione di Algeri da parte della Francia, e coronato dalla spartizione formale dell’Africa nel 1884-1885, con la messa ai lavori forzati di milioni e milioni di contadini, braccianti, minatori, edili africani (il traffico di esseri umani in loco) e giganteschi massacri seriali costati solo in Congo 10 milioni di esseri umani, a proposito!, e in Etiopia almeno 700.000? Non sono stati sufficienti neppure altri decenni di neo-colonialismo in cui l’Africa è stata stretta alla gola con il debito estero (passato, per la sola Africa sub-sahariana, tra il 1973 e il 2008, da 13 a 195 miliardi di dollari), devastata con le guerre per procura e le secessioni procurate, una bella serie di bombardamenti umanitari (Libia, Sudan, Somalia, Mali, etc.), gli embarghi, il landgrabbing (ad oggi oltre 20 milioni di ettari rapinati, 1 milione dei quali per mano di imprese italiane), il dono di immense forniture di armi annesse alle cd. ristrutturazioni del debito (il ‘nostro’ Craxi fu pioniere di questi pacchi-dono con la Somalia di Siad Barre), le grinfie delle multinazionali del petrolio, dei diamanti, dell’oro, dell’argento, dei metalli rari, del coltan, dei fosfati, etc. su quello che è stato definito “lo scrigno del mondo”?

Beh, se non è bastata quest’opera durata più di 6 secoli e svolta completamente “a casa loro” senza lesinar mezzi, è il caso di concludere, per tornare all’auspicio del “Corriere”, che “noi” (colonialisti) italiani-europei non siamo né buoni maestri di sviluppo, né buoni medici delle malattie prodotte in larga misura dal colonialismo stesso, né validi ingegneri del “futuro”, almeno se si parla di sviluppo umano dei popoli africani, dei lavoratori africani, del loro futuro, della loro ‘salvezza’, e non della salvezza dei “nostri” profitti di pace e di guerra e dei “nostri” sogni imperiali. Di nuovo, alla fine della fiera, delle quattro figure sociali evocate dal “Corriere” non restano che i soldati…, ovvero gli eserciti coloniali/neo-coloniali, eccellenti maestri, quelli sì, ma di distruzione delle possibilità di sviluppo presenti e future. Non li abbiamo già aiutati abbastanza “a casa loro”?

 

Domanda – Lei sa, immagino, cosa si obietta a una critica radicale come la sua. Grosso modo questo: cosa dovremmo fare allora, accogliere qui a braccia aperte 1 miliardo e duecento milioni di africani, per farci rubare tutto da loro o morire di fame insieme a loro?

Risposta – Sì, l’ho presente. Conosco il trucco. È grossolano. Io non ho detto una sola parola che possa essere intesa come lode e incentivo alle migrazioni internazionali, né sostengo che la soluzione alle migrazioni internazionali o alla povertà dell’Africa stia nell’accogliere qui “i poveracci di tutto il mondo”, come piace dire a gazzettieri della risma di Feltri. Giusto al contrario! Ho parlato delle migrazioni internazionali come migrazioni coatte. So che sono una terribile perdita per i paesi di emigrazione e un formidabile guadagno per i paesi di immigrazione, e sono, mi auguro risulti chiarissimo, per la rimozione delle cause che le producono “lì” e degli effetti che producono “qui”. Cosa si potrebbe fare?

  1. azzerare immediatamente il debito estero dei paesi africani;
  2. ritirare immediatamente tutte le truppe e gli agenti segreti che imperversano sul suolo africano, e cessare immediatamente ogni vendita coatta di armi per “aiutarli” a… scannarsi a casa loro, a vantaggio “nostro”;
  3. restituire le terre rapinate con ‘accordi’ neo-vetero-coloniali;
  4. finirla di inondare i paesi africani con prodotti agricoli europei super-sovvenzionati che fanno andare fuori mercato le produzioni agricole locali;
  5. cessare di razziare i loro mari con i “nostri” pescherecci (o con i loro al “nostro” servizio);
  6. iniziare, coinvolgendo le popolazioni africane in massa, un grande audit sulla restituzione da parte italiana ed europea del secolare maltolto…

Debbo continuare?

Il semplice avvio di misure del genere essiccherebbe l’emigrazione dall’Africa, perché ridarebbe prospettive di sviluppo materiale ed umano e di vita dignitosa a intere nazioni.

 

Domanda – Piuttosto difficile che lo facciano gli attuali governi italiani e l’attuale Europa, non Le pare? E qui?

Risposta – Non c’è dubbio, quelli del colonialismo solidale e dell'”aiutiamoli a casa loro”, hanno in testa un colonialismo solidale … con gli interessi delle banche, delle imprese e degli stati europei, aiutando queste entità sulla pelle, il sangue e le divisioni, “come sempre”, degli africani. Solidale con le masse lavoratrici e povere dell’Africa può essere solo un vero anti-colonialismo militante, di classe si sarebbe detto un tempo, che non si limiti all’idea, giusta, di decolonizzare la mente, ma punti a decolonizzare l’insieme dei rapporti sociali, a partire da quelli di sfruttamento del lavoro e della natura.

E qui? Non credo ci sia nulla da inventare. Qui è necessario lottare – è questa la parola-chiave – contro gli effetti perversi di queste migrazioni, che sono le discriminazioni e il super-sfruttamento delle lavoratrici e lavoratori immigrati, e la concorrenza al ribasso agli autoctoni. Molti lavoratori e lavoratrici italiani si lamentano oggi, ben istruiti dai mass media, di questa concorrenza al ribasso sul lavoro, e si sono lasciati convincere, per ora, dai Salvini e dai Grillo (e non solo) che a botta di muri e di stragi nel Mediterraneo, li teniamo lontani, e tenendoli lontani, staremo meglio. Mi viene in mente l’orrido spettacolo visto ad Aviano con brave famigliole venete e friuliane schierate al completo ad applaudire i “nostri” bombardieri che demolivano quel che restava della ex-Jugoslavia. Erano orrendamente ignari del fatto che da questa distruzione sarebbe derivato, per i Marchionne, l’acquisto a 1 euro dei vecchi stabilimenti Zastava di Kragujevac e dei loro operai (un affarone!, condito da due anni di salario operaio pagati dallo stato serbo e dalla detassazione dei profitti per 10 anni), e per gli operai metalmeccanici italiani (e non solo) l’accresciuta concorrenza al ribasso da parte di una manodopera ex-jugoslava che, privata di risorse in patria, si sarebbe necessariamente riversata anche qui, in particolare nelle regioni di confine del Nord Est. Sarebbe ora di svegliarsi! I muri, i campi, le guerre, l'”aiuto a casa loro” servono solo a produrre concorrenti a bassissimo costo che non potranno non venire qui a cercare un futuro che “noi” gli abbiamo distrutto a “casa loro”. Ci si vuole svincolare dal ricatto? E allora non c’è che da essere pienamente solidali con i lavoratori e le lavoratrici immigrati, contro tutti i meccanismi che li vessano e li discriminano, per una totale parità di trattamento tra immigrati e autoctoni che impedisca di usare gli uni contro gli altri. Non c’è altra via che questa. Difficile, ma si può.

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