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aprileonline

La CGIL che vogliamo.

Allo stato attuale di elaborazione, il documento della commissione politica non corrisponde al congresso di svolta che le firmatarie e i firmatari di questo testo ritengono necessario. Con esso si intende contribuire al lavoro della commissione politica, al fine di verificare convergenze e divergenze. (...)

cgil 23marzo 2La CGIL che vogliamo rinnova ogni giorno il suo impegno per la difesa e l’estensione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, degli e delle aspiranti ad un lavoro, dei pensionati e delle pensionate.

La CGIL che vogliamo si batte per la democrazia e per la pace, nel pieno rispetto dell’art. 11 della Costituzione.

E’ così che la storia, il presente, la realtà economica, sociale e produttiva non impone le sue regole ma viene attraversata dalle nostre priorità, viene letta dalla nostra ottica, viene conosciuta e modificata dalle nostre battaglie.

La CGIL che affronta oggi il congresso si è molto allontanata da questo obiettivo: ad una società disgregata dal pensiero dominante della destra, ad un mondo produttivo incapace di fare cultura d’impresa, ad un mercato del lavoro impoverito e precarizzato, diviso nei diritti e nelle tutele, non ha saputo proporre e imporre la propria coerenza, il proprio impianto culturale e strategico fatto di solidarietà, contrattazione, partecipazione, uguaglianza, democrazia, diritti, tutte grandi condizioni che hanno segnato la nostra storia di emancipazione e libertà del lavoro.

Gli anni che ci separano dal Congresso precedente ci hanno visto pericolosamente oscillanti lungo un asse segnato da continui aggiustamenti tattici che progressivamente hanno oscurato la coerenza e la linearità dei comportamenti, mettendo in forse l’esistenza di una linea strategica a guida delle azioni quotidiane.

Il rischio più forte dell’assenza di una strategia, rischio puntualmente verificatosi, è il non riuscire mai a provare a dettare l’agenda delle priorità al governo, alle controparti, agli altri interlocutori sindacali, con l’esito di non contrastare il disegno che governo, controparti, interlocutori sindacali hanno ritagliato per noi, disegno di progressivo isolamento, disegno reso possibile dalla pericolosa intercettazione di quelle scelte con la nostra fragilità.

Quale affidabilità diamo ai lavoratori e alle lavoratrici non avendo contrastato in tutti i modi un accordo confederale sulle regole della contrattazione che palesemente li danneggia?

Quale fiducia comunichiamo ai lavoratori e alle lavoratrici non riuscendo a definire una strategia confederale di gestione di un accordo separato?

Quale sicurezza diamo ai nostri rappresentati e alle nostre rappresentate che con generosità e passione hanno partecipato alla manifestazione nazionale del 4 aprile, indetta su una piattaforma troppo generica e chiusa con la richiesta di un tavolo di confronto col Governo, richiesta non solo inevasa ma perfino sbeffeggiata?

Nonostante queste gravi lacune nella nostra azione e dunque nel rapporto con le persone che intendiamo rappresentare, esse guardano comunque a noi come un punto di riferimento forte, a maggior ragione in un contesto politico, economico e sociale così difficile.

Siamo loro debitori di una riflessione profonda sui nostri limiti, della trasformazione di questa analisi in un rinnovato progetto strategico segnato da radicale discontinuità, da forte cambiamento nei processi di formazione delle decisioni, da ampia e aperta innovazione nell’individuazione di proposte e obiettivi.

Per questo il Congresso deve essere un momento di confronto democratico sul futuro della nostra Organizzazione, e non la riproposizione, come è avvenuto nel passato, di una impostazione autoassolutoria, a sommatoria, confusa, indistinta, priva di scelte e priorità forti e chiare, dalla quale risulta per giunta completamente assente il tema vero di questa fase: l’esigenza di una forte discontinuità.

Discontinuità nella consapevolezza, non sufficientemente acquisita, della necessità di ridefinire il ruolo del sindacato confederale alla luce dei profondi cambiamenti intervenuti sul piano politico, economico e sociale a livello nazionale e globale.

Discontinuità nella gestione stessa dell’organizzazione per evitare di incorrere nei limiti già registrati.

La realtà ci presenta oggi quattro priorità decisive per il nostro futuro:

    * una lotta decisa alla crescente disuguaglianza delle condizioni e delle opportunità, attraverso nuove politiche pubbliche, la redistribuzione della ricchezza in termini di politiche fiscali, accesso al Welfare, difesa dei beni comuni, contrattazione
    * una lotta alla precarizzazione e alla riduzione dei diritti del lavoro, attraverso l’unificazione del mercato del lavoro nel segno della qualità e della stabilità, condizione prima perché le nuove generazioni possano concepire e realizzare il proprio progetto di vita
    * una lotta per sconfiggere il modello contrattuale nato dall’accordo del 22 gennaio 2009 e per conquistare un nuovo sistema contrattuale. Lotta che affermi nella pratica rivendicativa un’autonomia negoziale della contrattazione confederale e categoriale a tutti i livelli, nel privato e nel pubblico, fondata sulle nostre scelte strategiche
    * una lotta per conquistare una compiuta democrazia sindacale dove sia possibile misurare la reale rappresentanza e consentire la libera espressione di voto dei lavoratori e delle lavoratrici sulle scelte che li/le riguardano. Tale conquista è precondizione per la ricostruzione dell’unità sindacale, strumento indispensabile per rafforzare la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici, che è stato messo in crisi dai comportamenti e dalle scelte di CISL e UIL.

Discontinuità, cambiamento e innovazione sono indispensabili anche nella vita interna della organizzazione. Troppo spesso alla percezione di fragilità esterna si è risposto con tentazioni autocelebrative, conformismo e asfissia della discussione tra noi, contribuendo così a consolidare un’immagine e un vissuto di organizzazione chiusa e burocratizzata, governata da una sorta di patto di non belligeranza tra leaderships in carica e aspiranti alle medesime.

Non c’è futuro per un’organizzazione di massa che non viva la democrazia come una risorsa positiva e non come un ostacolo.

Abbiamo bisogno di tutt’altro.

Alla CGIL serve oggi libertà di discussione, confronto, una continua circolazione di idee, serve un massiccio ricambio di genere e di generazioni che sconvolga gli incrostati assetti di potere, servono porte e finestre aperte grazie alle quali la domanda delle persone che vogliamo rappresentare si trasformi in proposte e battaglie per nuovi e vecchi diritti.

La crisi finanziaria, economica e produttiva, la progressiva svalorizzazione del lavoro, la continua messa in discussione dei diritti di cittadinanza, la netta riduzione dei gradi di democrazia e libertà mostrano l’urgenza della ridefinizione di un sindacato confederale forte, autorevole, rappresentativo.

Occorre dunque invertire la percezione collettiva: il mondo del lavoro, la società, le nuove generazioni devono poter guardare a noi non come a un problema, ma come alla più efficace delle soluzioni.

Wilma Casavecchia
Giorgio Cremaschi
Domenico Moccia
Franca Peroni
Carlo Podda
Gianni Rinaldini
Nicoletta Rocchi
 

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