Diritto e metodo marxista in Pashukanis*
di Carlo Di Mascio
Il pensiero come tale non può implicare mai e poi mai il processo di formazione del concreto stesso.
Karl Marx, Grundrisse
1. Il diritto quale costruzione storicamente determinata dalle condizioni della produzione capitalistico-borghese
L’eccezionale radicalità della critica marxista di Pashukanis, risiede principalmente nella tesi secondo cui quando si procede allo studio del diritto, prima di catturare il suo contenuto politico, occorre interrogarsi rispetto alla sua forma, e ciò in quanto, per il giurista sovietico, il diritto e il suo formalismo rappresentano il fondamento strutturale, e non meramente sovrastrutturale, del dominio dell’economico, nonché della sua assunzione a giustificazione universale della società moderna. Ora, interrogarsi sulla forma del diritto, come «disciplina teoretica autonoma»1 e non come prodotto ideologico, significa affermare che il diritto è un’astrazione che tuttavia non altera la verità concreta, per cui non va affatto confuso con un semplice meccanismo con il quale il dominante inganna il dominato, bensì identificato con «un principio realmente operante nella società borghese [che si fonda sulla merce] un processo reale di giuridicizzazione dei rapporti umani, che accompagna lo sviluppo dell’economia mercantile-monetaria (e, nella storia europea, lo sviluppo dell’economia capitalistica)»2. Questa premessa conduce Pashukanis ad assegnare al diritto, piuttosto che lo status di una mera categoria dell’ideologia borghese, quello di un vero e proprio «fenomeno sociale oggettivo»3 che opera concretamente nella società, indipendentemente da una volontà di classe, e comunque non con immediati obiettivi di falsificazione. Esso, contrariamente a come appare immediatamente, con le sue generalità e astrattezze, con i suoi principi eterni ed immutabili, non comanda se non all’interno di una relazione, che altro non è che una relazione di mercato tra possessori di merce, tra chi compra e chi vende, tra chi detiene i mezzi di produzione e chi solo la merce «forza-lavoro».
Tale determinazione permette quindi di svelare che il diritto non è sorto in modo spontaneo, calato in mezzo agli uomini improvvisamente dall’alto come una manifestazione fantastica del Göttlicher Geist, ma è sorto dalle forze produttive degli uomini di società storicamente determinate e dominate da modi di produzione specifici, cioè da rapporti di produzione e di classe che hanno caratterizzato i gruppi umani nella «società civile». In questi termini può allora sostenersi che il diritto, al pari del capitale come Marx ha mostrato, costituisce un rapporto sociale4 tra capitalisti e lavoratori salariati, mero certificato di garanzia del processo del plusvalore. Ora, a dire il vero, anche l’ortodossia marxista pare non aver colto queste necessarie differenziazioni. Difatti, in una cordiale disputa con un altro eminente giurista della sua epoca, Piotr Stucka (1865-1932), Pashukanis puntualizza che il concetto giuridico è stato tradizionalmente affrontato dalla dottrina marxista dando unicamente peso al suo contenuto, ma tralasciando la questione della forma giuridica, come se fosse sufficiente «introdurre l’elemento della lotta di classe per costruire una teoria del diritto autenticamente materialistica e marxista»5. Sempre rivolgendosi a Stucka, Pashukanis rileva che quando questi assume che «il diritto, come specifico sistema di rapporti sociali si differenzia […] per il fatto di essere sorretto da un potere di classe organizzato, cioè statuale», non fa che ribadire un argomento perfettamente noto, ma che, purtuttavia, non può esimere dal considerare che «nel sistema di rapporti corrispondenti agli interessi della classe dominante e sorretti dalla sua forza organizzata, si possano e si debbano individuare gli elementi che fondamentalmente danno materia allo sviluppo della forma giuridica»6.
Da qui la necessità per un’autentica teoria marxista di non procedere solo ed esclusivamente allo studio del contenuto materiale che il diritto ha avuto nel corso della storia dell’umanità, ma di riuscire anche a dare «una spiegazione materialistica alla stessa regolamentazione giuridica come forma storicamente determinata»7. In questa direzione non è per caso che Pashukanis giungerà a doversi difendere da una inevitabile obiezione, e cioè quella di riconoscere il diritto solo nella società borghese. In effetti, scrive Pashukanis, replicando al rimprovero di Stucka,
«[…] io ho affermato e continuo ad affermare che la mediazione giuridica più sviluppata, più vasta e compiuta, viene generata dai rapporti di produzione mercantili; che di conseguenza ogni teoria generale del diritto e ogni «giurisprudenza pura» è una unilaterale descrizione dei rapporti tra gli uomini che operano sul mercato come possessori di merci, astratta da tutte le altre condizioni»8.
In altri termini, se il principio generale borghese, tipico anche della ortodossia marxista, si contrassegna nel perseverare una concezione del diritto come paradigma valido meccanicamente per ogni fase storica, rispetto al quale solo il contenuto tende a modificarsi (modifica che interviene in base all’ideologia transitoriamente dominante che provvede a riempire la norma con un dato contenuto, sia esso di tipo nazifascista o liberale o socialista, ecc.), con ciò consegnando la propria peculiarità specifica alla trascendenza incontrollata della normatività giuridico-statuale - Pashukanis ribatte assumendo che la specificità del diritto consiste in un evento storico singolare, trattandosi di un rapporto sociale che giungerà alla sua massima maturità soltanto con la capitalisticamente avanzata società borghese, in cui la forma giuridica, vale a dire il rapporto che si instaura tra soggetti giuridici, generata dall’economia mercantile fondata sul libero scambio di merci, costituisce la forma specifica della regolamentazione sociale di precisi rapporti di produzione. Alla base di questo rilievo, fortemente dominato da una impostazione metodologica rigorosamente marxista - vi è la denuncia del carattere ideologico di ogni costruzione categoriale volta a prescindere dalle connotazioni specifiche dell’oggetto, nel senso che la logica materialistica non può che contrapporre all’astrazione speculativa la concretezza determinata, ritrovando così il metodo proprio della scienza.
Vale a dire che il diritto, con tutto il suo apparato concettuale astratto e generale, costituisce una originalità posta dalle condizioni della produzione, costruita storicamente, e non già una naturale categoria umana, laddove il presupposto della rappresentazione categoriale è la storicamente determinata società borghese. Si comprende quindi perché in Pashukanis, sulla scia dell’elaborazione marxiana, si faccia pressante la concezione del diritto come espressione di uno sviluppo continuo che vede da un lato l’apparizione di norme attraverso il concreto agire pratico degli uomini, dall’altro la rappresentazione indispensabile di norme astratte come fondamento logico dei materiali rapporti giuridici, con l’inevitabile conseguenza che
«la forma giuridica, espressa mediante astrazioni logiche» non può che rappresentare «il prodotto di una reale o concreta forma giuridica», vale a dire «di una mediazione reale dei rapporti di produzione»9.
Ecco perché - osserva ancora Pashukanis - nella società borghese, contrariamente alla società schiavista e a quella feudale, la forma giuridica assume significato universale, in quanto la tutela «degli interessi di classe degli sfruttatori» si compie proprio mediante il rispetto «degli astratti principi della persona giuridica»10, e tutto questo, naturalmente, prescindendo da ogni sua condizionatezza sia sociale che storica. E’ qui che si annida l’ambiguità più profonda, destinata fortemente a condizionare l’analisi che Pashukanis ritiene di fornire dei rapporti tra la teoria generale del diritto e il marxismo, la quale non scaturisce dalla divaricazione tra l’organicità del metodo marxiano e la scissione tra filosofia e scienza sviluppata dalla società borghese, quanto piuttosto dal criterio adottato da quest’ultima, consistente nel rendere tutte le connotazioni effettive del potere assolutamente «indifferenti» ad una materiale spiegazione dei rapporti tra società e istituzioni. Ed invece l’evoluzione del diritto borghese, come diritto dell’economia mercantile-monetaria, ha dimostrato che a un certo punto della storia esso è diventato elemento assolutamente radicato nel sistema di produzione capitalistico, a sua volta compendiato nei rapporti di scambio di merci e nel conseguente processo di valorizzazione.
Da qui la condizione del massimo livello di astrazione tra forma del diritto e forma dell’economia, rispettivamente espressi dalla nozione di soggetto astratto di diritto, libero ed eguale di operare nel mercato, e da quella di valore, sviluppata mediante la circolazione della merce, quest’ultima forma del valore di scambio, a sua volta astrazione rispetto alla specificità del valore d’uso, attraverso il quale viene occultata la moderna lotta di classe, derivandone che è proprio il mercato a rappresentare il moderno fattore di classe. Il diritto, quindi, come effettiva determinazione, come rapporto sociale dei processi di produzione, storicamente generale, poiché adesso coinvolge tutto e tutti. Ma come si perviene a tutto questo? Come si giunge a spiegare che dietro un’astrazione, come il diritto, «si occultano forze sociali assolutamente reali»?11, ovvero, come spiegare che la forma fenomenica del valore contiene dentro di sé il lavoro che si compie sempre in base a relazioni storicamente determinate? Pashukanis ritiene di poter modellare l’analisi del fenomeno giuridico in maniera non dissimile dalla critica dell’economia politica sviluppata da Marx, precisando non solo che «la differenza esistente fra le varie scienze riposa in larga misura sulla differenza dei metodi»12, conseguendone che mentre le leggi naturali sono «eterne», quelle sociali sono «storiche», ma introducendo un aspetto di assoluta novità nel contesto di particolare ortodossia politica e culturale nel quale egli era immerso, e cioè che se detta analisi non deve preliminarmente trascurare «le generalizzazioni e le astrazioni» sviluppate dai giuristi borghesi in relazione alle «esigenze del loro tempo e della loro classe», sicché, «sottoponendo ad analisi queste categorie astratte», riuscire poi ad individuarne il reale significato, ovvero «mostrare il condizionamento storico della forma giuridica»13 - ne deriva che il diritto dovrà essere considerato come un rapporto sociale concreto che può leggersi anche dietro i suoi concetti più astratti.
2. Il metodo dell’astrazione scientifica e la dialettica astratto-concreto
Pashukanis, per affrontare questo punto centrale della sua analisi, ritiene di adottare il metodo che egli ricava dalla lettura dell’Introduzione (Einleitung) ai Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica del 185714 di Marx, metodo che, cogliendo la materialità del contenuto delle categorie economiche, risulta così intrinsecamente unito alla considerazione storica della forma sociale corrispondente. E’ noto che Marx procedette all’analisi del capitalismo riprendendo l’opera degli economisti borghesi che prima di lui tentarono di comprendere scientificamente i fenomeni economici. In particolare l’economia politica classica riteneva di muovere da un concreto (come “l’individuo isolato” o la “popolazione”) verso l’astratto-generale, ma in realtà essa muoveva solo dalle astrazioni che caratterizzavano e dominavano la produzione e la società civile borghese, giustificandole come valide, generalmente applicabili e dunque “legittime”. La critica marxiana dell’economia politica percorre dunque l’astrazione ideologica con cui l’economia borghese descrive, analizza e, soprattutto, legalizza la propria società. Marx difatti sostiene che se apparentemente «sembra giusto incominciare» l'analisi partendo dai dati concreti ma generali quali la popolazione, le risorse, il commercio, ecc., di fatto questo approccio è «sbagliato» perché fondamentalmente astratto. La popolazione - osserva Marx all’insegna di una critica destrutturante e demistificatrice del modo con cui gli economisti borghesi sono soliti rappresentare il mondo -
«è un'astrazione, se ad esempio non tengo conto delle classi di cui si compone. Queste classi sono a loro volta una parola priva di significato, se non conosco gli elementi sui quali esse si fondano. Ad esempio il lavoro salariato, il capitale ecc. Il capitale, ad esempio, senza lavoro salariato non è nulla, come del resto senza valore, denaro, prezzo, ecc. Se dunque incominciassi con la popolazione, avrei un’immagine caotica dell’insieme, e attraverso una determinazione più precisa perverrei sempre più, analiticamente, a concetti più semplici; dal concreto immaginato, ad astrazioni sempre più sottili, fino a giungere alle determinazioni più semplici. Da quel punto il viaggio dovrebbe esser ripreso in senso opposto, e infine giungerei nuovamente alla popolazione, che questa volta però non sarebbe più la rappresentazione caotica di un insieme, bensì una ricca totalità di molte determinazioni e relazioni»15.
In altri termini, Marx fa notare che lo sviluppo storico dell’economia politica si è distinto attraverso due diversi procedimenti metodici, a seconda che si prendano in considerazione gli economisti del secolo XVII oppure quelli del secolo XVIII. I primi partivano «sempre dall'insieme vivente»16, per poi scomporlo in «relazioni astratte e generali determinanti, come la divisione del lavoro, il denaro, il valore ecc.»17, ma non giungevano mai a fare il cammino opposto, ossia muovendo dalle determinazioni più semplici pervenire a quelle più generali, poste all’inizio. In questa maniera non arrivavano a comprendere la totalità, sintesi «di molte determinazioni, dunque unità di ciò che è molteplice»18. I secondi invece trovarono già «fissate ed astratte» le relazioni generali e poterono allora costruire quei «sistemi economici che dal semplice, come il lavoro, la divisione del lavoro, il bisogno, il valore di scambio, risalirono fino allo stato, allo scambio tra le nazioni e al mercato mondiale»19. Ne deriva che tali sistemi giungono «nuovamente» a quello che era stato il «punto di avvio» (Ausgangspunkt) degli economisti del XVII secolo, ma questa volta non più ad una «rappresentazione caotica di un insieme, bensì (ad) una ricca totalità di molte determinazioni e relazioni»20. Questo secondo metodo che va dall’astratto al concreto viene giudicato da Marx «il metodo scientificamente corretto»21 relativamente alla comprensione dei rapporti di capitale della società borghese, posto che
«il concreto è concreto perché è sintesi di molte determinazioni, dunque unità di ciò che è molteplice. Nel pensiero esso appare quindi come processo di sintesi, come risultato e non come punto di avvio, benché sia il reale punto d’avvio e quindi anche il punto d’avvio dell’intuizione e della rappresentazione. Seguendo la prima via, la rappresentazione piena si volatilizzava in determinazione astratta; seguendo la seconda, le determinazioni astratte conducono alla riproduzione del concreto nel cammino del pensiero»22.
Come si vede la dialettica del concreto non può venire confusa con la rilevazione dei movimenti empirici degli elementi caratterizzanti la formazione sociale capitalistica, dal momento che essa si costituisce nella sua complessità scientifica perché supera l’apparenza fenomenica dell’oggetto analizzato e riflette la sua profondità concettuale. Vale a dire che il concreto per Marx può essere la «popolazione», che «nel pensiero si presenta come processo di sintesi, come risultato e non come punto di avvio», ma alla popolazione, come sintesi di elementi più semplici, si può giungere solo dopo aver analizzato le classi e i rapporti di proprietà. Diversamente il concetto di popolazione non può che rimanere astratto, «benché – sottolinea Marx - sia il reale punto d’avvio e quindi anche il punto d’avvio dell’intuizione e della rappresentazione». D’altronde non si perviene alle classi senza partire dalla popolazione. Il primo metodo (analitico) partiva dal concreto: la popolazione, ma non arrivava alle classi, per cui alla fine la determinazione concreta risultava astratta. Il secondo (sintetico) invece parte dalla determinazione astratta delle classi per arrivare a comprendere il concetto di popolazione.
Ora, tale iter, naturalmente, non induce Marx a pensare che sia sufficiente pervenire alle classi dalla popolazione per poi di nuovo giungere a quest’ultima in modo automatico, posto che decisiva appare l’acquisizione di uno scenario capace di concepire la popolazione come esito conclusivo di una contrapposizione tra classi che va necessariamente oltrepassato. E’ dunque vero che la scienza economica borghese, così come la dialettica hegeliana, pur consentendo di raggiungere uno dei punti fondamentali di autocomprensione della società moderna, contrassegnata dal modo di produzione capitalistico, riesce a concepire «sinteticamente» il concreto come «unità di ciò che è molteplice», vale a dire, in altri termini, ad immaginare e persino teorizzare il conflitto di classe, ma è anche altrettanto vero che essa è in grado solo di rappresentarlo, senza però intervenire nel processo di formazione del concreto, respingendo qualsiasi ipotesi di superamento di questo conflitto, preferendo, al contrario, supporlo solo come inevitabile o naturale, all’insegna di una Weltanschauung apertamente gradualista e riformista23. La conseguenza non può dunque che essere quella di scivolare nell’idealismo come Marx fa notare:
«Per questo Hegel cadde nell’illusione di concepire il reale come risultato del pensiero che si riassume e si approfondisce in se stesso e che si muove per energia autonoma, mentre il metodo di salire dall’astratto al concreto per il pensiero è solo il modo in cui si appropria il concreto, lo riproduce come qualcosa di spiritualmente concreto. Mai e poi mai esso è però il processo di formazione del concreto stesso»24.
Se è di certo Hegel a prefigurare quanto Marx affermerà circa il passaggio dall’astratto al concreto - e cioè che «Dappertutto l’astratto deve costituire il cominciamento e l’elemento nel quale e a partir dal quale si vanno allargando le particolarità e le ricche forme del concreto»25, - resta pur sempre il fatto che in Hegel alla razionalità tende costantemente a riconnettersi quel guscio mistico, ovvero lo schema idealista, per cui il concetto non si limita a «scansionare» il concreto nel pensiero, quale necessario sviluppo della scienza attraverso determinazioni progressive sempre più concrete, bensì finisce per diventarne il «creatore»26, con ciò impedendo di disvelare i complessivi rapporti di produzione e di classe, abilmente nascosti in tutte quelle forme mistificatrici che compaiono nella immediata superficie del sistema capitalistico27. Ciò significa allora che di per sé la speculazione filosofica non può mai pervenire alla comprensione scientifica della realtà28, in quanto, dando per scontato che «il pensiero intelligente è l’uomo reale»29, tale filosofia finisce col credere (e col far credere) che «il mondo pensato è, in quanto tale, il reale»30. In effetti, la critica di Marx a Hegel si pone proprio in questo scarto tra la realtà e il concetto, poiché se la realtà è un processo, cioè realtà in movimento, i processi non sono ideali, ma reali, sicché i processi reali di Marx non sono i processi ideali di Hegel, bensì processi materiali, sociali, storicamente determinati, di cui Marx ricerca le forme, le costanti e le leggi. Marx intende di certo condividere, come metodo, che la realtà giunga a riprodurre il pensiero fondato sulla dialettica e le sue leggi, ma tutto questo solo dopo una sua effettiva analisi da compiersi però mediante gli strumenti dell’economia, e non con quelli della filosofia, in grado di astrarre la realtà (penetrandola) dal suo interno e non semplicemente in forza di «un impulso dall’esterno» del pensiero. In altre parole, Marx accetta la rappresentazione astratta della realtà concreta, ma respinge l’idea che il concetto possa svilupparsi indipendentemente dalla intuizione e dalla rappresentazione della realtà, che, invece, devono richiedere strumenti di analisi non filosofici31. Come ancora scrive Marx:
«La più semplice categoria economica, diciamo ad esempio il valore di scambio, presuppone la popolazione, una popolazione che produce in rapporti determinati; anche un certo genere di sistema familiare, o comunitario, o statale. Il valore di scambio non può esistere che in quanto relazione astratta, unilaterale di un insieme concreto, vivente, già dato. Come categoria il valore di scambio conduce invece una esistenza antidiluviana […] La totalità quale essa appare nel cervello come totalità di idee, è un prodotto del cervello pensante che si appropria il mondo nell’unico modo che gli è possibile, un modo differente dall’appropriazione artistica, religiosa, pratico-spirituale di questo mondo. Il soggetto reale continua a sussistere, prima e dopo, nella sua autonomia al di fuori del cervello; finché infatti il cervello mantiene un atteggiamento soltanto speculativo, soltanto teorico. Anche nel metodo teorico, il soggetto, la società, deve quindi costantemente esser presente alla rappresentazione come presupposto»32.
Vale a dire che nelle rappresentazioni operate dalla scienza economica borghese, il «valore di scambio», la più semplice ed astratta categoria economica, da forma storicamente determinata dei rapporti sociali capitalistici diviene originaria ed eterna universalità, ovvero categoria naturale che «conduce invece una esistenza antidiluviana». E’ attraverso questa impostazione che si configura la capacità dell’economia classica (ed hegeliana) di eternizzare la realtà con la sua predisposizione concettuale diretta a considerare la società borghese e capitalista una società naturale, eterna, razionale e, soprattutto, definitiva33. Ma resta pur sempre la «società» borghese il presupposto concreto, ovvero quel «processo complesso» che produce i valori economici. E’ senz’altro contro la dialettica idealistica hegeliana - legata all’idea di «un tutto spirituale» capace di unificare tutti gli elementi economici, politici, religiosi, estetici e filosofici, espressione della totalità intera - che Marx muove il suo ragionamento, non prima però di evidenziare che sia Hegel che gli economisti classici non hanno tenuto adeguatamente conto dell’esistenza indipendente di questo «concreto, vivente, già dato», limitandosi solo ad un procedimento di sua assolutizzazione che, come detto, da storico diventa asseritamente logico necessitante. Secondo Marx non è per caso che l’economia politica, assumendo il concetto di produzione in generale, giunga a trarre immediatamente la ratio storica e logica del modo con cui il capitalismo organizza specificatamente la produzione stessa.
Ed è proprio in forza di tale modus procedendi che l’economia politica sia poi costretta a tralasciare i momenti della diversità, della particolarità e della differenza. Implicitamente risiede qui la preoccupazione marxiana di salvare la differenza34, non disperdendola nell’apparente omogeneo e fluido piano dell’astrazione35. Di nuovo, dunque, per conoscere un sistema filosofico, occorre intrecciarne il percorso storico e il risultato finale, la diversità storica e la struttura logica: «Ma queste categorie semplici non hanno anche un’esistenza storica o naturale indipendente, prima delle categorie più concrete? Ça dépend»36. Marx qui prende in esame tre tipi di categorie semplici: il possesso, il denaro e il lavoro.
«Hegel ad esempio comincia correttamente la filosofia del diritto con il possesso come la più semplice relazione giuridica del soggetto. Ma non esiste possesso alcuno prima della famiglia o dei rapporti di dominio o di servitù, che sono rapporti molto più concreti. Sarebbe invece corretto affermare che esistono famiglie, unità tribali che ancora posseggono soltanto e non hanno proprietà. La categoria più semplice appare dunque come rapporto di semplici associazioni familiari o tribali in relazione con la proprietà. Nella società più progredita essa appare come il rapporto più semplice di un’organizzazione sviluppata. Il sostrato concreto, la cui relazione è il possesso, è però sempre presupposto. Si può immaginare un singolo selvaggio che sia possessore. Ma in tal caso il possesso non è un rapporto giuridico. Non è vero che il possesso si sviluppa storicamente in direzione della famiglia. Piuttosto esso presuppone sempre questa «categoria giuridica più concreta»37.
Così se si riuscisse a dimostrare che il possesso è esistito indipendentemente dall’esistenza della famiglia, si potrebbe a sua volta affermare che «la categoria più semplice può esistere indipendentemente», e cioè prima della categoria più concreta, sicché l’ordine astratto che va dal più semplice al più concreto corrisponderebbe all’ordine reale. Ma, come si è visto, il possesso, che si presenta «come la più semplice relazione giuridica del soggetto», esiste all’interno di rapporti molto più generali, di categorie più concrete e complesse quali la famiglia, la tribù, il servo/signore, le cui realtà storiche possono anche aver beneficiato del possesso senza mai aver conosciuto la proprietà. Per Marx il riferimento a Hegel appare decisamente esemplificativo, percependo che la questione giuridica appare come un dato costruito storicamente e non come una naturale condizione dell’uomo, con la conseguenza che il possesso, come categoria semplice, originaria per definizione, troverà ragion d’essere solo all’interno dei rapporti sociali più complessi e concreti della moderna proprietà privata, ma soprattutto che il presupposto di questa costruzione storica è solo la specifica, storicamente determinata, società borghese. L’esempio del denaro è invece, apparentemente, un po’ più complesso, perché esso, a differenza del possesso, è esistito indipendentemente da quella categoria «più concreta» che è il capitale. In effetti Marx è costretto ad aggiungere a quanto sostenuto in precedenza che
«resterebbe sempre il fatto che le categorie semplici [appunto il denaro] sono espressione di rapporti nei quali il concreto non sviluppato può essersi realizzato [p.es. l'Italia comunale], senza avere ancora posto la relazione o il rapporto più complesso che è espresso intellettualmente nella categoria più concreta; mentre il concreto più sviluppato conserva quella stessa categoria come un rapporto subordinato [p.es. il capitale usuraio]. Il denaro può esistere ed è storicamente esistito prima che esistessero il capitale, le banche, il lavoro salariato ecc. In questo senso si può quindi affermare che la categoria più semplice può esprimere i rapporti dominanti in una totalità meno sviluppata o i rapporti subordinati in una totalità più sviluppata, rapporti che storicamente esistevano ancor prima che la totalità si sviluppasse nella direzione espressa da una categoria più concreta. In questo senso il movimento del pensiero astratto, che dal più semplice risale al complesso, corrisponderebbe al processo storico reale»38.
E’ dunque il processo storico che permette che una categoria astratta che descrive ciò che vige nel rapporto più sviluppato valga come categoria concreta, e nell’esempio del denaro ciò significa che esso non può mai trasformarsi in capitale se il suo uso non ne ha posto le basi sicure.
«Così, benché la categoria più semplice [il denaro] abbia potuto esistere storicamente prima di quella più concreta [il capitale], nel suo pieno sviluppo intensivo ed estensivo essa può appartenere solo a una forma sociale complessa [il capitalismo], mentre la categoria più concreta era più compiutamente sviluppata in una forma sociale meno evoluta [es. il capitalismo mercantile o commerciale]»39.
Una astrazione del genere è dunque stretta in senso duplice con la realtà, poiché non rappresenta soltanto un dispositivo che si coniuga con il reale al fine di catturarne le conflittualità, bensì anche strumento di costruzione di nuova realtà40, in grado di penetrarla, osservandone la tendenza reale, per così porsi come «definizione di metodo, di orientamento, di direttiva per l’azione politica di massa […] esplicitazione pratico-teorica del punto di vista operaio su un’epoca storica determinata»41. Considerare quindi il denaro nella sua astratta forma originaria non può che rappresentare il punto di partenza che consente di ricostruire gradualmente le forme sempre più concrete di funzionamento del capitale. Analogamente per il lavoro: «Il lavoro sembra una categoria semplicissima. Anche la nozione del lavoro in questa generalità – come lavoro in generale – è antichissima. Nondimeno, compreso in questa semplicità dal punto di vista economico, il «lavoro» è una categoria moderna quanto i rapporti che creano questa semplice astrazione»42. Il concetto di lavoro è sempre stato presente nel rapporto tra l’uomo e la natura, tra il soggetto e l’oggetto, poiché c’è sempre un rapporto, una mediazione costituita dal lavoro fra questi due poli. Tuttavia questa non va più intesa come una semplice e generica astrazione, ma come il risultato di ciò che accade «soltanto nella società capitalistica sviluppata, cioè nella società che ha maggiormente sviluppato il carattere sociale della produzione»43, in grado di rendere omogeneo il lavoro come mezzo di produzione, dunque in una società storicamente determinata, quella capitalistico-borghese, e tutto questo all’insegna di una allucinazione collettiva, consistente nel fatto che gli individui non si rendono conto del carattere sociale del lavoro che realizzano, aspetto che invece domina interamente la società capitalistica e che si traduce in un’astrazione concretamente reale che quotidianamente si compie in essa: «gli uomini equiparano l’un con l’altro i loro differenti lavori come lavoro umano, equiparando l’uno con l’altro, come valori, nello scambio, i loro prodotti eterogenei. Non sanno di far ciò, ma lo fanno»44.
E’ dunque il capitalismo borghese che ci presenta una astrazione determinata, cioè il lavoro. È sempre il capitalismo borghese che direttamente ci presenta una nozione di lavoro totalmente astratto, non precisato (che può essere dell’agricoltore, come dell’operaio o dell’artigiano); un lavoro senza specificazioni che non costituisce il risultato di una teoria che intende conseguire il massimo dell’astrazione, ma che tuttavia è quanto è dato trovare nella società che Marx considera la più avanzata.
«Quindi l’astrazione più semplice [il lavoro], che l’economia moderna colloca al vertice e che esprime una relazione antichissima e valida per tutte le forme di società, appare però praticamente vera in questa sua astrazione solo come categoria della società più moderna»45, nel senso che in assenza di questo confluire dell’astrazione [il lavoro] nella verità della pratica, cioè in una precisa dimensione storica, quella capitalistico-borghese, sarebbe impossibile tracciarla scientificamente nel suo quadro di sviluppo. Ne consegue come «anche le categorie più astratte, sebbene siano valide - proprio a causa della loro astrazione - per tutte le epoche, in ciò che vi è di determinato in questa astrazione stessa sono tuttavia il prodotto di condizioni storiche e hanno piena validità soltanto per e all’interno di tali condizioni»46.
3. Diritto e rivelazione del complesso organico del comando «all’interno della moderna società borghese»
Ora, dopo questa necessaria lunga parentesi, è forse possibile ritornare a Pashukanis, tenendo presente, ancora per un po’, il riferimento metodologico marxiano. Pashukanis ritiene che questo metodo di costruzione del concreto, quale punto di arrivo a cui si perviene «mediante complicazione della ricerca», sia «pienamente applicabile alla teoria generale del diritto». «Anche qui – egli afferma – la totalità concreta – società, popolazione, Stato – deve essere il risultato e l’ultimo gradino delle nostre ricerche e non già il punto di partenza»47. Lo Stato ad esempio, osserva Pashukanis, come concetto, sviluppando gradualmente tutte le sue determinazioni, tenderà ad evolversi, ad astrarsi dalla società primitiva e dalla società feudale «trasformandosi in una forza «indipendente», «che penetra in tutti i pori della società». Ne consegue pertanto che anche il diritto come forma
«ha una storia parallela, che si sviluppa non come sistema di concetti, ma come specifico sistema di rapporti in cui gli uomini entrano non già perché lo scelgono consapevolmente, ma perché ad esso li costringono le condizioni di produzione. L’uomo si muta in soggetto giuridico in forza di quella stessa necessità per la quale il prodotto naturale si trasforma in merce dotata della enigmatica qualità di valore»48.
Il diritto, insomma, non è un processo a priori, indipendente dal movimento della società e dalle sue contraddizioni fondamentali. Esso costituisce un rapporto sociale specifico della società borghese, nella cui forma (giuridica) - al pari della forma merce, della forma denaro, della forma lavoro come Marx ha mostrato - si nasconde solo il processo di comando e di sfruttamento che lo ha partorito. Come dire che non esiste un diritto, come non esiste un potere, ma esiste invece chi comanda e chi obbedisce, chi sfrutta e chi è sfruttato. Vi è in questo rilievo, invero di modernissima rilevanza teorica, e che la rozzezza del potere costituito sovietico non poteva affatto comprendere, una operazione di demistificazione ed insieme di critica politica da parte di Pashukanis, il quale, grazie a Marx, scopre che la volontà non determina più nulla, poiché i rapporti sociali si sono resi indipendenti rispetto ai loro soggetti, quelli reali e in carne ed ossa, oramai serenamente espulsi dalla loro vita concreta attraverso la norma giuridica, ma soprattutto che l’oggettivo altro non è che ciò che appartiene a ciascun individuo, ma che la società del capitale è riuscita ad autonomizzare e a togliere loro. Se, come sostiene Marx, l’economia politica borghese ha preteso di dimostrare l’eternità e l’armonia dei rapporti sociali esistenti sovrapponendo indebitamente le categorie dell’epoca borghese a tutte le epoche del passato, con una consequenziale incapacità di riuscire a valutarla obiettivamente, in quanto sempre funzionale a se stessa - identica operazione viene compiuta dalla scienza borghese del diritto, ed in particolare da quella della scuola del diritto naturale, che nel costruire «nella sua forma più generale ed astratta» le condizioni di esistenza della società borghese, le intende sempre «come condizioni di esistenza di ogni società». E difatti,
«il giusnaturalismo resta consapevolmente o inconsapevolmente alla base delle teorie borghesi del diritto. La scuola del diritto naturale non fu soltanto la più chiara espressione dell’ideologia borghese nell’epoca in cui la borghesia operava come classe rivoluzionaria e formulava apertamente e conseguentemente le sue rivendicazioni, ma elaborò altresì il modello di una approfondita e precisa concezione della forma giuridica. Non a caso la fioritura della dottrina giusnaturalistica coincide approssimativamente con la comparsa dei grandi classici dell’economia politica borghese»49.
La fine di questo passaggio indicherà anche quale sarà la via della critica: come la scienza economica borghese ha conosciuto l'influenza necessaria del feticismo della merce, la scienza borghese del diritto è sottoposta ad uno stesso feticismo «giuridico»50, quale atteggiamento teorico tendente a trasformare le categorie storicamente e socialmente determinate in verità generali che valgono in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo. E’ qui che si perpetua la specifica strategia discorsiva borghese - incapace di comprendere che il complesso spiega il semplice, che il presente interpreta il passato (e i suoi gradi meno evoluti) e non viceversa51 - consistente nel dedurre i rapporti economici della società dalle rappresentazioni giuridiche tradizionali che rimandano al diritto naturale, ovvero ad astratte persone giuridiche intese come «soggetti pensanti» presuntivamente in grado di dominare la natura, conseguendone che i rapporti storicamente determinati della società, divengono universali principi ai quali devono seguire dispositivi di regolamentazione pratica validi semper et ubique. Risiede qui il difetto fondamentale dell’idealismo borghese, il cui compito è quello di far accettare al soggetto l’ordine economico nell’illusione di essere padrone e creatore infinito della sua propria storia, la quale invece discende solo dalla dinamica dei rapporti di produzione e di classe52.
L’analisi marxista si sviluppa a partire da un periodo economico e sociale storicamente determinato e solo a conclusione di quest’indagine giunge agli uomini reali, e questo perché l’individuo in generale non esiste, e che ogni individuo è storicamente e socialmente determinato, atteso che «la società non è costituita da individui, ma esprime invece la somma delle relazioni, dei rapporti in cui questi individui stanno gli uni con gli altri»53. L’idealismo borghese è quindi solo una ideologia che descrive un sistema sociale basato su dei principi di vita collettiva, rientranti appieno in quel coacervo di rappresentazioni e funzioni quale espressione organica dell’attività economica e dell’organizzazione politico-giuridica della società borghese. Tutto questo verrà respinto da Pashukanis a vantaggio di un’analisi delle condizioni di emergenza del fenomeno giuridico, fondamentalmente diretta alla individuazione di una specifica prospettiva storica della forma giuridica che non si limita a descrivere la successione cronologica che conduce al diritto moderno, posto che
«lo sviluppo dialettico dei concetti giuridici fondamentali non soltanto ci fornisce la forma del diritto nella sua più completa espansione e articolazione, ma rispecchia altresì il processo storico reale, che altro non è se non il processo di sviluppo della società borghese»54.
D’altronde, richiamando ancora Marx e la nozione di astrazione che, se inizialmente appare come qualcosa di indipendente, in realtà nel momento in cui si pone non fa altro che occultare ciò da cui effettivamente proviene - il giurista sovietico si espone esplicitamente, allorquando definisce il rapporto giuridico come «un rapporto astratto, unilaterale» che compare «non come risultato di un lavoro mentale del soggetto pensante, ma come prodotto dello sviluppo sociale»55. Questo «stadio di sviluppo» corrisponde a rapporti economici e sociali determinati che hanno coinvolto a pieno regime la forma giuridica, sicché questa comparendo «a un certo grado della civiltà» e rimanendo per lungo tempo «in uno stato embrionale», soltanto nella società capitalistica borghese perviene «alla massima fioritura, alla massima differenziazione e determinatezza»56. Dunque, soltanto «ponendo a fondamento dell’analisi la forma giuridica pienamente sviluppata» che è possibile capire cosa è stato il diritto romano; solo possedendo il concetto di rendita fondiaria si possono spiegare i tributi feudali57; solo «l’anatomia dell’uomo - come dice Marx - fornisce una chiave per l’anatomia della scimmia»58, per cui, trasponendo, solo l’economia borghese ci offre la chiave di quella antica, e pertanto, solo il moderno sfruttamento capitalistico ci consente di scoprire che
«la libertà di disposizione della proprietà capitalistica è impensabile senza la presenza di individui privi di proprietà, cioè di proletari»59.
E’ attraverso il metodo marxista che questa rivelazione si rende possibile, perché l’oggetto dell’analisi è dato solamente dal processo storico reale, ossia da quella realtà concreta che, attraverso la teoria del materialismo storico e dialettico, si tramuta in “concreto-di-pensiero”, cioè in conoscenza. Ma passare dall'astratto al concreto non significa passare d'emblée dalla teoria alla realtà, significa invece astrarre quest’ultima, entrare cioè dentro di essa rintracciandone «l'interno concatenamento», intervenire su di essa attraverso la scienza marxista (che riconduce «il movimento apparente, puramente fenomenico, al movimento reale interno»60), ritornare poi ancora ad essa, ma ora mediante una conoscenza più sviluppata, quanto storicamente determinata, capace di scoprire, portandole alla luce, le mistificazioni ideologiche che la governavano all'inizio del processo. E’ solo allora in questi termini che è possibile comprendere il diritto come categoria storica che corrisponde ad una struttura sociale determinata, fissata sul conflitto di classe e non già su una ideale società umana. E’ solo il metodo marxista a permettere detta conoscenza rivelatrice, la quale, fuoriuscendo dalla pratica dei rapporti sociali come «una luce generale in cui sono immersi tutti gli altri colori e che li modifica nella loro particolarità»61, giunge a strutturarsi nella materiale diversità antagonistica. E’ solo attraverso questo percorso, dunque, che si rivela la ratio sottostante, e cioè che per assicurare il dominio dell’economico, il capitalismo borghese ha impiantato quel complesso organico del comando, quale abile commistione di giuridico e politico, in cui «la repubblica del mercato» occulta il «dispotismo della fabbrica»62.
Pashukanis avrà modo di ritornare più volte sul parallelismo tra il pensiero giuridico e quello economico, ma soprattutto su un passaggio decisivo per l’esperienza giuridica borghese, sottolineando come lo stesso diritto naturale, che inizialmente avrà il merito di «distruggere le fondamenta del diritto servile e feudale, di aprire la strada alla liberazione della proprietà terriera, di spezzare i vincoli delle corporazioni e le limitazioni del commercio, di realizzare la libertà di coscienza, di assicurare la tutela del diritto privato agli uomini di ogni fede e di ogni nazionalità, di eliminare la tortura e disciplinare il processo penale» (Bergbohm, Jurisprudenz und Rechtsphilosophie)63, verrà gradualmente a depotenziarsi, e ciò proprio in concomitanza con l’esigenza della società borghese, «capitalisticamente sviluppata», di stabilizzarsi con un potere forte, a tal punto che il problema che comincerà a porsi la teoria del diritto non sarà più quello dell’analisi della forma giuridica, bensì quello della «legittimazione della forza coercitiva delle prescrizioni giuridiche», conseguendone «una integrazione di storicismo e positivismo giuridico che si riduce a negare ogni diritto che non sia quello ufficiale»64.
L’essenzialità dell’epistemologia materialista, ed in particolare della metodologia delle scienze storico-sociali, raggiunge in questo passaggio cruciale per l’organizzazione politico-ordinamentale dell’umanità un altissimo livello teorico nell’elaborazione conseguente di Pashukanis. La società borghese comincia a presentarsi come società del capitale, sicché tutte le condizioni sociali gli sono sottomesse, fanno cioè parte della sua «composizione organica». Il diritto borghese, nondimeno, si muove nella realtà storica dell’economia verso forme sempre più alte di astrazione, nel senso che sono i rapporti di produzione capitalistici a determinare questo movimento. Ancora con Marx: «Il capitale è la forma economica della società borghese che domina tutto. Esso deve costituire il punto di partenza così come il punto di arrivo»65. Il metodo marxista pretendeva di muoversi dalla rivelazione al rovesciamento delle categorie dell’economia politica classica; dallo svelamento dell’ipocrisia borghese, che fissa la mediazione capitalistica come fulcro dello sviluppo, alla costituzione del concreto storico al rapporto capitalistico sulla dialettica della separazione, con ciò ponendo «L’altro modo di indagine»66. Pashukanis, dal canto suo, cogliendone gli elementi fondamentali, ne ha tratto una conseguenza decisiva, e cioè che comprendere il diritto borghese e la sua formalizzazione concettuale significa ricercare all’interno delle forme giuridiche l’intensità dell’antagonismo, nonché l’esistenza reale di soggetti dominati e sfruttati, oramai definitivamente ridotti ad oggetti non qualificati, del tutto scambiabili, attorno ai quali si può organizzare qualsiasi tipo di violenza capitalistica.
Add comment