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socialismo2017

Populisti - Comunisti 50 a 1

Vogliamo parlarne?

di Mimmo Porcaro, Ugo Boghetta

Senzanome265Ci sarà modo di tornare sul significato politico, istituzionale e sociale di queste importantissime elezioni, ma una cosa balza agli occhi. Le classi che hanno maggiormente sofferto a causa della globalizzazione e dell’Unione europea, ossia, per dirla in soldoni, gli strati inferiori della borghesia e del proletariato, si sono apertamente ribellate all’ordine vigente, si sono intrecciate nel voto ed hanno scelto partiti che raccolgono la protesta mescolando nostalgie liberiste e promesse di protezione. L’inevitabile alleanza tra la piccola borghesia ed il proletariato più debole avviene, al momento, sotto l’egemonia della prima. Soluzione obbligata, visto lo spettacolo vergognoso offerto in tutti questi anni dalla sinistra, ormai intossicata da una pestifera miscela di europeismo, retoriche politically correct e movimentismo. Accentuando la sua crisi, il PD segue il destino delle cosiddette socialdemocrazie europee, vittime del loro ipermercatismo. Per parte sua, la variante espressa da Liberi ed Eguali, si dimostra inevitabilmente inefficace, essendo soltanto antirenziana e non sufficientemente antiliberista. E Potere al popolo? Il risultato della sinistra radicale è cosa meno ovvia, perché è in quell’ambiente che avrebbe potuto e dovuto maturare un’alternativa al globalismo europeista e sono quelle le forze che avrebbero dovuto capitalizzare in qualche modo la benvenuta débacle del PD. Invece è avvenuto il contrario, e la sinistra radicale ha raggiunto il peggior risultato della sua storia. Perché?

In verità il gruppo dirigente di Potere al Popolo aveva messo da subito le mani avanti (“siamo soltanto agli inizi, il risultato non è poi così importante, quel che importa è costruire reti…”). Ora, a parte il fatto che presentarsi alle elezioni fregandosene del risultato è un atto irresponsabile (in particolare quando i lavoratori italiani, ritenendo realisticamente inefficaci le lotte, è proprio sulle elezioni che puntano), a parte ciò, dicevamo, la caduta è così brutta che anche mettendo le mani avanti la facciata si prende, eccome. Una facciata tale da imporre un ragionamento, un’autocritica, un inizio, almeno, di vera riflessione. E invece, nisba. La litania è sempre la stessa: partivamo da zero, quindi siamo in crescita, quindi si continua così e si trasforma la lista in un vero progetto politico… . Eh no, care compagne e cari compagni, le cose non funzionano così. Nel campo della lotta di classe solo i forti possono barare. Non noi. Non si partiva da zero, ma dal risultato di Rivoluzione civile, ossia dall’ultimo risultato della sinistra radicale alle elezioni politiche: il 2,25%, il doppio di oggi. Il confronto è assolutamente obbligato perché Potere al Popolo non è affatto qualcosa di nuovo rispetto a quella sinistra, ma un monotono déjà vu, in larga misura orchestrato, oltre tutto, dalle stesse organizzazioni che avevano fatto così bella figura cinque anni fa.

Dove starebbe, infatti, la novità? Nel partire da basso, nel lavoro di strada, nel tenersi le mani pulite dagli intrighi del famigerato ceto politico? Ma queste sono sempre state le idee guida di Rifondazione Comunista, che ha sempre preferito il “basso” all’ ”alto” ed il cui errore non è stato affatto il governismo ma l’essersi fidata troppo dell’Europa e dei movimenti “dal basso”, restando così schiacciata tra il TINA di Bruxelles (e dei suoi servi di centro-sinistra) e l’apatia dei movimenti, che quando invece si muovevano preferivano farlo a fianco del PD. Quindi Potere al Popolo non ha scoperto un bel nulla ed anzi ha riprodotto, a volte peggiorandoli, tutti i vizi di sempre: la genericità del programma, l’esaltazione del conflitto e del mutualismo come sostituto della strategia, il semplicismo del “dagli ai ricchi”, l’approccio unilaterale all’immigrazione, l’illusione dell’ ”altra Europa”. Tutte cose che, se urlate più forte e meglio di Rifondazione, potrebbero al massimo far crescere i consensi nella propria area; ma che proprio avendo successo nell’area stretta della sinistra radicale sarebbero destinate al peggiore insuccesso nell’area vastissima del “resto del mondo”. Infatti, ciò che ci farebbe vincere in casa ci farebbe perdere fuori, perché le idee che tanto piacciono alla sinistra radicale non piacciono al popolo. E quasi sempre a ragion veduta.

Vediamole, infatti, queste idee:

  • Siamo tornati alla lista della spesa, senza capo né coda, senza priorità e senza gerarchie di obiettivi (perché nella predominante logica movimentista l’unico obiettivo è la crescita del movimento stesso), affogando un paio di buone intuizioni nella solita melassa; e questo proprio quando gli elettori hanno bisogno di due-tre parole chiave per orientarsi nella confusione attuale.

  • Si è fatto il solito nobile appello al conflitto ed all’autorganizzazione proprio quando, come abbiamo già detto, i lavoratori pensano realisticamente che il conflitto sociale diretto, al momento, non può pagare più di tanto, e cercano quindi qualcuno che li rappresenti sul piano politico.

  • Si è enfatizzato il mutualismo proprio quando i cittadini hanno invece bisogno di un forte apparato pubblico a cui affidarsi, e quindi di una vera e propria ricostruzione dello stato sociale e dello stato industriale, assunta come obiettivo qualificante di una politica.

  • Si è continuato ad insistere sul “tassare i ricchi” come fonte primaria di finanziamento, senza capire che questa idea, astrattamente sacrosanta, in questo particolare momento non crea consensi, giacché spaventa non soltanto i possibili alleati, ma gli stessi proletari, le cui famiglie hanno spesso redditi misti (in chiaro e in nero, per capirci) e che temono sempre l’eccesso di tassazione sull’immobile posseduto o sognato.

  • Si è affrontata l’immigrazione postulando una completa assenza di controlli, che nessuno stato si potrebbe mai permettere, senza capire il nesso tra la necessaria regolarizzazione dei migranti e l’altrettanto necessaria regolazione dei flussi.

  • Si è degradata la questione europea a questione fra le altre, dedicandole le solite espressioni arrabbiate ma generiche, proprio quando è solo la nettezza su questo punto a poter garantire uno spazio significativo, per quanto inizialmente minoritario, ad una forza politica radicale.

E su tutta questa torta si è poi messa una bella ciliegina: la scelta astutissima di partecipare come comparsa alla commedia antifascista allestita dal PD, con la conseguenza di far apparire come nemico principale quello che è di gran lunga il nemico secondario e di arruolarsi come braccio armato (per fortuna ben poco armato…) nel campo del nemico principale. A tutto danno di un antifascismo efficace che per essere tale ha bisogno a) di distinguersi nettamente (anche agli occhi del grande pubblico e non solo a quelli dei sottili critici) dall’antifascismo liberista ed europeista, vera culla del futuro pericolo fascista, b) di privilegiare la presenza nei territori all’organizzazione di contromanifestazioni che sono una vera manna per i media e per gli stessi fascisti, mentre appaiono folkloristiche ed inutili alla grande maggioranza dei cittadini.

Con questi presupposti ci possiamo stupire dei risultati? No. Anche perché dall’altra parte c’è chi si è mosso con molta maggiore intelligenza e con migliore “connessione sentimentale” col popolo. L’analisi del linguaggio e delle posizioni del M5S dev’essere probabilmente più articolata, ma per quanto riguarda la Lega la cosa è evidentissima. Non vale recitare i soliti esorcismi: “per i leghisti è tutto facile perché solleticano gli istinti peggiori”, “parlano alla pancia delle persone”, “creano il capro espiatorio per continuare a fare i cazzacci loro”. Tutto vero. E tutto inutile. Perché il “cattivismo” può spiegare un 50% del voto leghista, mentre l’altro 50% può essere largamente spiegato dal fatto che la Lega si è mostrata, per ora, molto più radicale dei radicali e molto più “marxista” dei marxisti. Già, perché ha saputo raccordarsi non solo con gli umori più neri del popolo, ma anche col pensiero del popolo stesso, ossia con quell’insieme di proposizioni razionali sul mondo che tutti gli strati sociali elaborano, anche se poi lo mescolano (come avviene al popolo ma anche alle élites, agli incolti ma anche ai tecnici) con ideologie, errori, false deduzioni e vere e proprie panzane. E quali sono gli elementi razionali (e molto vicini al marxismo) dell’attuale pensiero di larga parte del popolo? Elenchiamone tre.

1) Lo stato ci deve essere , questo dicevano gli operai dell’Embraco. Contro il capitale ci vuole un forte intervento della politica e la politica è oggi soprattutto lo stato. La Lega propone un “piccolo” liberismo corretto con lo stato forte e con un po’ di mance. E’ la soluzione? No: ma è molto più comprensibile (ed efficace) della coppia mutualismo+autogestione che la fa da padrona nel radicalismo di sinistra, soffocando i timidi accenni all’intervento pubblico.

2) L’immigrazione è prima di tutto un problema . Ecco un’altra lezione di marxismo. Il significato primario dell’immigrazione è l’uso imperialistico dei proletari delle zone periferiche contro quelli delle metropoli. Quindi l’immigrazione è prima di tutto un problema, per chi arriva e per chi accoglie, e come tale deve essere affrontato. Che poi la soluzione non stia nella clandestinizzazione dei migranti e passi invece per la lotta comune dei bianchi e dei neri è per noi una cosa ovvia: ma questo è un poi che per ora si realizza soltanto sporadicamente. Una razionale considerazione del problema vede per ora soprattutto un peggioramento del mercato del lavoro e delle condizioni di vita, e si deve prenderne atto se si vuole trovare una soluzione. Ripetere che l’immigrazione è soprattutto una risorsa cozza invece non soltanto contro i pregiudizi, ma, in questo caso, anche contro l’esperienza concreta del popolo. Perché divenga una risorsa è necessario comprendere la base razionale della paura e rispondervi: possibilmente senza considerare come minus habentes coloro che sono spaventati.

3) L’Unione europea è un guaio; l’euro ci rovina; da quando c’è il mercato libero stiamo tutti peggio . Queste sono affermazioni limpidamente marxiste e soprattutto leniniste, perché individuano il punto principale su cui si deve intervenire per modificare la situazione. Certo, il popolo spesso non sa che non basta uscire dall’euro, che la causa di fondo dei guai è la natura dei gruppi economici e politici dominanti in Italia, che il “più stato” deve tradursi in programmazione democratica invece che in sussidi alle imprese, ecc. ecc. . Anche qui, tutto vero. Ma l’essenziale, in politica, è l’individuazione del nemico del momento. La parte più povera del popolo lo individua correttamente. L’avanguardia no: forse perché proviene in larga misura dalla parte meno povera. E non ci si dica, please (come si fa dalle parti di Eurostop per giustificare la precipitosa adesione alla lista unitaria), che Potere al Popolo era l’unica formazione chiaramente antieuropeista. A parte il fiero proposito di “rompere l’Unione dei Trattati” (che non prefigura affatto un’exit e comunque era nascosto tra le pieghe di un programma che nessuno ha letto) il manifesto di Potere al Popolo e le dichiarazioni del suo capo politico se la prendevano sempre con le politiche dell’Unione, e non con l’Unione in sé. Mentre il capo della Lega parlava spesso molto male dell’Europa. Certo, per smentirsi furbescamente il giorno dopo, ma il messaggio, comunque, è passato.

Ecco. Si capisce perché M5S e Lega hanno preso percentuali da sballo, che sommate e poi paragonate a quelle dei comunisti fanno 50 a 1, ossia un “cappotto” di dimensioni mai viste. La responsabilità di questo disastro grava tutta sulle spalle dei gruppi dirigenti della sinistra radicale. Anni fa, quando sorse il M5S, ci si associò all’establishment di sinistra nell’irrisione del goliardismo, della superficialità, dell’impreparazione dei “grillini”, dimenticando che ogni movimento rinnovatore è inizialmente “impreparato”, e soprattutto non comprendendo – a causa della sclerosi dei nostri concetti – che il “populismo” è ormai diventato forma normale della lotta di classe. Anni fa, quando la Lega, per intenderci, viaggiava sul 4%, non poche voci suggerirono alla già rimpicciolita sinistra radicale di intrecciare la lotta di classe con quella all’Unione europea, di difendere la Costituzione facendo appello anche all’autonomia nazionale, come base di un internazionalismo non confuso col globalismo. Si rispose che quella scelta avrebbe certamente consentito di superare tutte le soglie elettorali, ma che non la si poteva fare perché quello era il terreno della Lega.

E così siamo qui. Fu inutile spiegare allora – e sarebbe inutile farlo adesso – che la rinazionalizzazione della politica non era il terreno della Lega, ma il terreno della lotta di classe nella fase discendente della globalizzazione, e che si trattava di contenderlo agli altri magari occupandolo per primi. Agli altri abbiamo concesso, invece, cinque e più anni di vantaggio. Sfruttati benissimo.

Tutto questo impone un’amara riflessione.

La sinistra radicale è stata sempre minoritaria e quasi sempre ininfluente sulla politica italiana. Negli anni Settanta ed Ottanta la cosa poteva essere spiegata, ed in parte giustificata, con la presenza preponderante del PCI; negli anni Novanta con il crollo del socialismo e con gli scintillanti inizi della globalizzazione. Ma oggi, dopo dieci anni di seria crisi capitalistica, dopo l’eclisse della cosiddetta socialdemocrazia, dopo l’emergere della grande volatilità dell’elettorato popolare europeo, la cosa, se può essere spiegata, non può più essere giustificata. Soprattutto perché non si può affatto parlare di passività popolare, anzi: la protesta si concentra nel voto proprio perché i lavoratori hanno capito che bisogna modificare i rapporti di potere: e per farlo si affidano “a tutti”, tranne che alla sinistra radicale. Questo vuol dire che la cultura politica della sinistra radicale italiana è del tutto inadeguata ad interpretare l’attuale situazione storica e ad intervenire efficacemente su di essa. Vuol dire, in poche parole, che la sinistra radicale è finita, e che se si vuole salvare un’ipotesi comunista (e la sua concretizzazione socialista), se si vuole salvare almeno una parte di un grande patrimonio di intuizioni e di militanza accumulatosi in circa 50 anni, bisogna operare un taglio netto con quella storia e con quei gruppi dirigenti, e ricominciare daccapo.

Si. La sinistra radicale è finita. E’ finita l’idea che il sociale deve sempre dettare i tempi al politico; che i movimenti sono sempre più avanti dei partiti; che la strategia nasce dall’accumulo delle buone pratiche della “base”; che il popolo, se non è inquadrato dai progressisti, ha sempre torto; che popolo, movimenti e partiti devono costruire soprattutto l’anti-stato, (come se l’esistenza di uno stato fosse sempre garantita); che l’Europa è la storia e l’anti-Europa è la reazione; che “nazione” è termine nobile quando si parla di Vietnam, di Cuba, di Venezuela, di Catalogna, ma quando si parla di Italia fa schifo.

E con la sinistra radicale, tutta la sinistra è finita. Potrà rinascere soltanto riproponendo l’ipotesi di un socialismo disegnato sulle esigenze del paese. Soltanto comprendendo il nesso, oggi strettissimo, fra l’interesse nazionale all’economia mista, allo sviluppo del mercato interno, a nuove grandi aree aperte agli scambi ma chiuse al movimento incontrollato dei capitali, e l’interesse di classe alla piena occupazione, alla ricostruzione del welfare, alla pace. Soltanto sapendo interpretare le esigenze di sicurezza di tutti, penultimi e ultimi, bianchi e neri. Soltanto proponendo una rottura dell’Unione europea in nome di una Confederazione di stati sovrani che voglia ridurre (e non, come oggi avviene, aumentare) gli squilibri tra partner, e che promuova una politica di pace. Una sinistra potrà rinascere, insomma, soltanto come sinistra nazionale e popolare.

E’ ora che chi crede a questa prospettiva si unisca e si faccia sentire.

Comments

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Fabrizio Marchi
Thursday, 08 March 2018 20:34
Condivido pressochè in toto l'analisi di Ugo Boghetta e Porcaro. Solo sull'immigrazione sono d'accordo solo in parte, nel senso che, come ho scritto più volte, si tratta in larga parte di un problema percepito (o fatto percepire...) più che di un problema reale, perchè resto convinto che l'impatto reale della presenza di immigrati sulla grande maggioranza della popolazione sia in realtà molto basso, e che tutti gli episodi di conflittualità fra autoctoni e immigrati siano stati e siano dovuti a questioni territoriali e "tribali", cioè alla convivenza sul territorio (anche in questo caso con una notevole componente di percezione più che ad aspetti concreti, nonostante la retorica delle destre sulla violenza, gli stupri, il degrado ecc. ..) e non alla competizione sul lavoro o per il lavoro che è inesistente. Lo dicono i fatti, non è una fantasia del sottoscritto. Tutti, e sottolineo tutti gli episodi di conflittualità fra autoctoni e immigrati sono accaduti in alcuni quartieri e quindi dovuti a questioni di convivenza sullo stesso territorio. Questo significherà pur qualcosa. Non è quindi l'abbassamento del costo del lavoro (e quindi il ricatto sui lavoratori, l'abbassamento dei salari ecc.) a determinare quegli (per la verità anche rari) episodi di conflittualità, bensì a questioni di ordine "territoriale". Sarà anche in contraddizione, quanto dico, con un'analisi di tipo marxista tradizionale, ma è quello che personalmente ho verificato e registrato in tutti questi anni. NON si è MAI visto un conflitto aperto fra lavoratori autoctoni e immigrati all'interno di un posto di lavoro (anzi, molto spesso, sono proprio i lavoratori immigrati a essere trainanti nel portare avanti lotte e rivendicazioni sindacali) nè tanto meno un conflitto dovuto alla competizione per accaparrarsi il lavoro. MAI. E anche la quesstione territoriale è una questione a mio parere in alcuni casi reali, e nessuno lo nega, ma in molti altri, percepita o fatta percepire, come dicevo prima. Su questo sarebbe importante riflettere.
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Gabbo Cappa
Thursday, 08 March 2018 16:05
La Questione Ecologica come la chiami tu, e' senza dubbio centrale per la politica futura di questo pianeta tuttavia non e' affatto scontato che i beni siano effettivamente pochi per troppi unmani. E' molto probabilmente possibile utilizzare meglio una enorme parte di energia pulita ancora inutilizzata per salvaguardare ma anche per creare nuovi spazi abitativi e produttivi nel senso migliore senza distruggere habitat naturali ma anzi sviluppandoli. Ammettere cosi' gratis, senza verifiche, che siamo a dei limiti malthussiani mi sembra estremamente pericoloso perche' gia' da di per se una giustificazione a quelli che non se lo farebbero dire due volte che schiacciare i piu' deboli sia nel nome della salvaguardia della specie. Chiaro poi che chi dispone di piu' beni e risorse di connivenze ne trova quante vuole.

La Questione Ecologica è questa: se la concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera supera le 450 ppm siamo rovinati (aunmento delle temperature oltre i 2 C e drastica riduzione delle produzioni agricole). Oggi siamo a 410 ppm, non accadeva dal paleolitico inferiore. Mancano solo 40 ppm e 40 ppm è esattamente l'incremento riscontrato dal 2000 ad oggi.
Se si riesce a capire la gravità di tutto questo, bene. Se no torneremo appunto al paleolitico inferiore.
Alle speranze di poter mantenere gli attuali standard di benessere evitando la catastrofe rispondo con il fatto che fior fior di capitalisti e ricercatori stanno da anni studiando il modo per colonizzare Marte (spendendo miliardi di dollari in futili ricerche e lanci di razzi). E vi assicuro che non è il mero interesse per la conoscienza che li motiva.
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Giancarlo
Thursday, 08 March 2018 13:42
Boghetta e Porcaro, due voci che gridano nel deserto, adesso che il deserto è veramente deserto e che la sx, quella falsa dei renzi, delle boldrini, dei grasso e dei D'Alema, ha preso una scoppola ben meritata, forse questo deserto adesso si può cominciare a ripopolarlo, partendo dal primo presupposto irrinunciabile: LAVORO e INDIPENDENZA NAZIONALE.
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lorenzo
Wednesday, 07 March 2018 12:45
Quoting Ernesto Rossi:
Quello che ancora nessuno dice è che il problema è la Questione Ecologica, troppi gli umani pochissimi i beni. Nessuno ha ancora il coraggio di dire che la Dirigenza mondiale sta agendo per uccidere il popolo occidentale. Nessuno spiega dunque agli altri la realtà malthussiana contro cui ci stiamo scontrando, dimostrando così connivenza.

La Questione Ecologica come la chiami tu, e' senza dubbio centrale per la politica futura di questo pianeta tuttavia non e' affatto scontato che i beni siano effettivamente pochi per troppi unmani. E' molto probabilmente possibile utilizzare meglio una enorme parte di energia pulita ancora inutilizzata per salvaguardare ma anche per creare nuovi spazi abitativi e produttivi nel senso migliore senza distruggere habitat naturali ma anzi sviluppandoli. Ammettere cosi' gratis, senza verifiche, che siamo a dei limiti malthussiani mi sembra estremamente pericoloso perche' gia' da di per se una giustificazione a quelli che non se lo farebbero dire due volte che schiacciare i piu' deboli sia nel nome della salvaguardia della specie. Chiaro poi che chi dispone di piu' beni e risorse di connivenze ne trova quante vuole.
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Ernesto Rossi
Wednesday, 07 March 2018 11:45
Quello che ancora nessuno dice è che il problema è la Questione Ecologica, troppi gli umani pochissimi i beni. Nessuno ha ancora il coraggio di dire che la Dirigenza mondiale sta agendo per uccidere il popolo occidentale. Nessuno spiega dunque agli altri la realtà malthussiana contro cui ci stiamo scontrando, dimostrando così connivenza.
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Maura
Wednesday, 07 March 2018 10:55
Non avrei saputo dirlo meglio. Consiglio la lettura dei testi femministi http://effimera.org/come-il-femminismo-divenne-ancella-del-capitalismo-di-nancy-fraser/ che può essere trasformata in analisi della sinistra attuale, utile idiota del peggior liberismo. Da Rossanda che chiede l'invasione della Libia perché Gheddafi non è femminista e democratico (!), al caso Reggeni perché gli Usa ci possano fregare il gas egiziano, all'appoggio alla legge razzista e classista per lo Jus Soli, all'antifascismo idiota di Boldrini.
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lorenzo
Wednesday, 07 March 2018 09:53
Dimenticavo...condivido tutta l'analisi tranne le conclusioni ovvero che lo stato possa essere una chiave di rinascita della sinistra. E' stato lo strumento ed il luogo principe della politica ma nella mutata realta' non e' detto che continui ad esserlo e sopratutto lo stato puo' essere usato in un modo o nell'atro ed il contuento di come essere stato non e' secondario nella discussione. Poi la globalizzazione non e' solo voluta dai nemici della finanza, delle corporation del potere transazionale del denaro ma anche da uno sviluppo tencologico e culturale di cui la sinistra deve ancora analizzare bene le implicazioni, criticare ma in parte anche appropriarsi. Perche' la storia insegna che indietro non si torna chi oggi si scaglia anche a ragione contro la globalizzazione mi ricorda le ribellioni contro le macchine della rivoluzione industriale...a mio avviso la sinistra deve abbandonare cose tipo decrescita felice e pensare quello che di nuovo e positivo nascondono gli attuali strumenti utilizzati solo dsl potere.
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lorenzo
Wednesday, 07 March 2018 09:42
Analisi condivisibile in larga parte. Chiederi un favore se possibile, trovare un termine piu' adeguato di "proletario". Oggi e' un termine che io trovo offensivo verso i ceti meno fortunati delle nostre societa' che i figli non fanno. Oggi piu' figli li fanno i ricchi!! Quindi per favore non insultiamo la realta'.
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Alfonso
Wednesday, 07 March 2018 08:25
Caro Mimmo, caro Ugo (leccatina, non ci hanno mai presentato), voi che potete in quanto ne maneggiate di "armi della critica" spostare l'attenzione: volontà (Mimmo ricordi quanto diceva Hegel, giovane per modo di dire, sul 'fare mio'?), quando niente altro sembra rimanere (il proporzionale puro, nell'ipotesi di unione politica, permette meglio di ogni altro strumento statistico di rilevazione la consultazione, e basta, di larghe popolazioni; non ha molto senso chiedere a Macron come la pensa, essendo egli solo un burattino); classe, non come aggregazione di individui (ma anche Tilly va bene per i gruppi di pressione, come fu Ukip ma non solo); rappresentanza (i non visi pallidi hanno smesso di fare anticamera, e su questo i neocomunitaristi presentano una soluzione tutta loro e dannatamente pressante).
https://youtu.be/WDIxpvPj3KI
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