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linterferenza

Di bolina, contro un vento gelido e sferzante

di Fabrizio Marchi

image006.gifAbbiamo deciso di dare vita a un giornale che avesse un approccio critico alla realtà nella sua complessità, fuori da liturgie e schemi preconfezionati e consapevoli del fatto che è necessario aggiornare le categorie con le quali si analizza e si interpreta la realtà stessa e probabilmente – senza dimenticare mai le nostre radici – anche crearne delle nuove alla luce di una realtà che, appunto, diventando con il tempo sempre più complessa necessita di strumenti adeguati per essere compresa e possibilmente trasformata.

Senza questo metodo di lavoro si rischia, anzi si arriva inevitabilmente a capovolgere le cose. Si finisce cioè per applicare la realtà, necessariamente deformandola, all’ideologia pur di far quadrare i propri conti, cioè pur di confermare la giustezza e la validità del proprio paradigma ideologico. Questo è ciò che ha determinato e continua a determinare il dogmatismo. Viceversa, il nostro approccio metodologico è sempre stato quello di cercare di entrare in una relazione dialettica con la realtà per comprenderne le dinamiche sociali, economiche, culturali, politiche e ideologiche che la caratterizzano.

E’ applicando tale metodo che siamo arrivati a individuare quella che per noi è l’ideologia attualmente egemone nelle società occidentali, cioè l’ideologia neoliberale di cui ciò che definiamo con il termine di “politicamente corretto” è il mattone o uno dei mattoni fondamentali.

Quali sono i capisaldi di tale ideologia?

  1. Il capitalismo, non più concepito come una forma storica dell’agire umano, è stato elevato a vera e propria condizione ontologica. Il che comporta che il dibattito filosofico e filosofico politico viene contestualmente ridotto a una sorta di mero carosello di opinioni, privato quindi di ogni funzione e fondamento veritativo (senza naturalmente, lo ripeto ancora, cedere mai al dogmatismo che è speculare al relativismo assoluto, che è anch’esso una forma di dogmatismo). Tale fondamento è oggi individuato solo e soltanto nella tecnica e nel capitale e ovviamente nel rapporto fra tecnica e capitale, quest’ultimo già elevato, come dicevo, a condizione ontologica, quindi imprescindibile e insuperabile. Possiamo dunque, credo a ragione, parlare di società “tecno capitalista”, anzi, di dominio tecno capitalista.
  2. La conseguenza di ciò, e arrivo al secondo punto, è il relativismo culturale e nello stesso tempo il disconoscimento di ogni aspetto naturale e biologico dell’esistenza. Ciò che chiamiamo “transumanesimo” è il prodotto di una simile concezione che potremmo definire “culturalista” se non ultraculturalista. Una concezione che si fonda sull’idea di una totale separazione fra natura e cultura, o meglio sulla negazione dell’esistenza di qualsiasi fondamento naturale (ad esempio del maschile e del femminile che da tempo vengono considerati come dei meri costrutti culturali). Ma questo è impossibile, a mio parere un assurdo, per la semplice ragione che gli esseri umani sono esseri naturali e culturali nello stesso tempo e questa è la loro specificità, fin da quando i nostri antenati si drizzarono su due gambe e forse anche prima quando erano in grado di selezionare un frutto rispetto a un altro con delle primissime e sia pur rudimentali operazioni logiche superiori a quelle di qualsiasi altro animale.

All’estremo opposto di questa visione delle cose si trovano quelli che io definisco gli “ontologisti”, oggi minoranza, cioè coloro che sostengono – consentitemi l’uso improprio di certe categorie ma ci capiamo – che “l’essere è” e non può essere altro rispetto a ciò che è, quindi una condizione di immutabilità. La conseguenza ma soprattutto il fine di questo modo di vedere le cose è naturalmente – sul piano politico, ideologico e della concezione di quella che chiamiamo società civile – il mantenimento e la conservazione dello status quo.

Queste due concezioni si alimentano vicendevolmente e sono facce della stessa medaglia. “Ontologisti” e culturalisti”, destra e “sinistra” (che scrivo fra virgolette) , se traduciamo il tutto sul piano politico. Oggi è naturalmente la visione culturalista a essere egemone, perché più funzionale per tante ragioni che ora non ho tempo di spiegare al sistema capitalista, giunto all’attuale stadio del suo sviluppo e alla sua riproduzione, fermo restando – e qui c’è la palese e grande contraddizione di questa concezione – l’idea della immutabilità o meglio della insuperabilità del capitalismo stesso che in tal modo non è più concepito soltanto come un mero rapporto di produzione ma viene elevato a una vera e propria religione, sia pur secolarizzata, priva di una teologia vera e propria e purtuttavia con un suo messianismo, un suo culto e i suoi riti (come sosteneva Benjamin). Colpa, debito inestinguibile e sacrificio costituiscono le sue fondamenta, i suoi precetti e il suo castigo, mentre il consumo e l’accumulazione illimitata sono il premio. E’ infatti in una distorsione e in una idea degenerata e pervertita del Cristianesimo che il capitalismo affonda le sue radici, oltre e prima ancora della sua variante protestante e calvinista, come peraltro A. Visalli ha egregiamente spiegato nel suo libro “Classe e partito. Ridare corpo al fantasma collettivo”.

E’ all’interno di questo complesso paradigma ideologico che nascono e si affermano il “transfemminismo”, cioè l’ultimissima evoluzione del femminismo – comunque a mio parere già uno dei mattoni fondamentali dell’ideologia capitalista e neoliberale – le teorie sulla fluidità di genere, la cosiddetta cultura “woke”, e il “progressismo”, cioè l’idea di un progresso illimitato e infinito, comunque foriero e portatore di “Bene”, che marcia parallelamente e non casualmente al concetto di accumulazione in linea teorica infinita e illimitata del capitale e delle sue sorti magnifiche e progressive.

Ora, queste ideologie hanno una diversa funzione, interna ed esterna. Quella interna ha come finalità quella di costruire e alimentare ulteriori conflitti orizzontali – oltre a quelli tradizionali, cioè autoctoni contro immigrati, lavoratori precari contro lavoratori a tempo indeterminato, lavoratori privati contro quelli pubblici, giovani contro anziani – e cioè quello delle donne (con a seguito le minoranze lgbtq) contro gli uomini che è quello più subdolo perché va a toccare sensibilità e aspetti profondi che riguardano la sessualità, l’affettività, il paterno e il materno. E naturalmente quella di depistare dalle contraddizioni sociali (di classe) con il compito di disinnescare il potenziale conflitto che da queste potrebbe scaturirne, l’unico realmente temuto dalle classi dirigenti e che deve essere, appunto, disinnescato alla radice. Questo conflitto, abilmente camuffato sotto le vesti della emancipazione e della liberazione delle donne e dell’umanità intera, si fonda sul postulato in base al quale l’attuale società capitalistica sarebbe tuttora a dominio patriarcale. Questa tesi, a mio parere del tutto priva di fondamento – ma ne discuteremo oggi pomeriggio – è tuttora sostenuta da tutte le correnti femministe, nessuna esclusa, da quella dell’eguaglianza a quella della differenza, a quella queer fino a quella cosiddetta interiezionale o sedicente di classe.

La funzione esterna è invece quella di fungere da grimaldello, da piede di porco ideologico per destabilizzare stati e paesi non allineati all’impero (e all’imperialismo) occidentale a trazione e dominio americano. Interessante notare che queste ideologie hanno una grande capacità di penetrazione, anche in alcuni stati socialisti, o semisocialisti, come Cuba e il Venezuela, e addirittura in parte anche in un paese come l’Iran (sfruttando le sue contraddizioni interne), ma non in Russia e in Cina, due paesi molto diversi fra loro, che hanno mantenuto una sostanziale impermeabilità nei confronti dell’ideologia neoliberale e politicamente corretta occidentale. Su questo, naturalmente, è necessario riflettere perché non può essere casuale che i due bastioni che guidano il mondo dei BRICS siano appunto impermeabili a questa ideologia, nelle forme che questa ha assunto in Occidente.

Tornando, sia pur brevemente, alla questione della tecnica, è evidente che la critica al dominio tecno capitalistico non significa nel modo più assoluto – voglio chiarirlo – una ostilità preconcetta nei confronti della tecnica in sé nè tanto meno della scienza che comunque non sono mai neutre, è bene ricordarlo. Il problema è il loro utilizzo in un senso o in un altro, proprio perché quella della loro neutralità a prescindere dal contesto è un mito alimentato ad arte. E proprio in un’epoca in cui si aprono prospettive nello stesso tempo affascinanti ma anche inquietanti – penso innanzitutto all’IA, con tutto ciò che comporterà, su come verrà utilizzata, in quale direzione e con quali finalità, ma penso anche alla procreazione artificiale (pensiamo all’utero in laboratorio di cui la maternità surrogata è soltanto il prodromo, che potrebbe aprire e a mio parere aprirà uno scenario estremamente pericoloso, una forma di eugenetica più che inquietante) – è fondamentale che scienza e tecnica debbano restare soggette al controllo e al dibattito pubblico e democratico. Il che significa che il politico, inteso come categoria, e la politica, intesa come dimensione pubblica e democratica, debbono avere la priorità che invece hanno pressoché quasi completamente smarrito da alcuni decenni a questa parte, nel mondo occidentale.

E’ a questo punto solo un apparente paradosso che l’ideologia politicamente corretta in tutte le sue articolazioni si sia affermata nella stessa fase storica (seguita al crollo del socialismo reale sovietico) in cui le “democrazie” occidentali si stanno sostanzialmente trasformando e in larga parte si sono già trasformate in “tecnocrazie”. Possiamo definire le attuali società occidentali come liberali, o meglio neoliberali e tecnocratiche ma di certo non democratiche o non più democratiche. Durante gli anni del cosiddetto “trentennio glorioso”, infatti, anche e soprattutto in virtù dell’esistenza di una “cosa” chiamata movimento operaio (e del movimento comunista e di quello socialista), in Occidente abbiamo conosciuto una fase storica in cui i lavoratori, le classi subalterne e le masse popolari, anche attraverso i loro principali strumenti, cioè partiti e sindacati, hanno vissuto un protagonismo sociale e politico che ha “imposto” una qualità e un tasso, diciamo così, di democrazia mai conosciuto prima di quella stessa fase storica. Ma questa fase è ormai finita, con il crollo del socialismo reale e del movimento comunista e socialista. Con la crisi, la sconfitta e anche il fallimento dell’esperienza comunista concretamente realizzatasi (per tante ragioni esogene ed endogene che ora ovviamente non posso affrontare), quindi dell’”idea forte”, come si suol dire, entra in crisi irreversibile anche l’”idea debole” che da quella forte traeva linfa e ragion d’essere, cioè la ormai vecchia socialdemocrazia europea. E contestualmente al morire del movimento comunista e di quello socialista si sono affermate fino a diventare parte fondamentale dell’ideologia dominante, cioè dell’ideologia neoliberale e politicamente corretta, quella femminista e i loro derivati, trans femminismo, ideologia gender ecc. E questo è un fatto oggettivo. E’ evidente che ciò non può essere e non è infatti casuale dal momento che queste ideologie non nascono a Mosca o a Pechino ma nei campus californiani e nei salotti liberal newyorkesi e contestualmente sbarcano in Europa occidentale contribuendo (anche se non le sole, ovviamente) in modo significativo a indebolire la Sinistra storica, a minarla alle fondamenta e ad affossarla definitivamente. E’ solo apparentemente paradossale che anche la sinistra cosiddetta o sedicente antagonista e anche la gran parte di ciò che rimane di quella comunista o che si richiama, sia pure tirandola per la giacchetta da più parti, all’esperienza comunista, non solo non si sia resa conto di tale processo ma sia del tutto imbevuta di tale ideologia. Afferma di voler combattere il sistema dominante ma ne sposa totalmente la sua ideologia. Una contraddizione in termini clamorosa che per quanto mi riguarda ci conferma quanto dicevo poc’anzi a proposito del dogmatismo e del capovolgimento delle cose. Si osserva la realtà e poi la si applica alla propria ideologia, ai propri “testi sacri”. Se i conti non tornano si arriva a deformare la realtà pur di mantenere intatte le proprie convinzioni. E’ ovvio che qui siamo di fronte a due aspetti. Uno è di ordine psicologico – perché mettere in discussione le proprie convinzioni comporta uno sforzo enorme, soprattutto per chi ha costruito la propria identità personale sulle suddette convinzioni – l’altro è di natura strumentale, mi riferisco ovviamente all’opportunismo che porta a non mettersi controcorrente o “contromano” rispetto allo spirito dei tempi.

Alla luce di tutto quanto ho finora detto, e mi avvio alla conclusione, è dunque evidente che c’è bisogno di sparigliare le carte, di mollare vecchi ormeggi ormai inutili se non dannosi (il riferimento alle attuali “sinistre” non è casuale…) e di navigare in mare aperto, forti però delle nostre radici, della nostra esperienza e di una bussola che ci consentono una navigazione relativamente sicura anche quando si va di bolina, come si suol dire, e il vento è gelido e sferzante, come è in questa fase storica. Mi auguro che tutto questo lavoro prodotto in questi dieci anni (come quello prodotto da altri) possa essere utile non solo sul piano della riflessione politica e culturale ma anche per gettare dei semi per la costruzione di un futuro, ipotetico, auspicabile nuovo soggetto politico in grado di interpretare la realtà con lenti adeguate, quelle a cui facevo riferimento nell’incipit. Un soggetto di cui avvertiamo l’assenza e nello stesso tempo la urgente necessità, consapevoli però del fatto che è impossibile oltre che sbagliato forzare i tempi. Né tanto meno si può mettere il carro davanti ai buoi e pensare di poter fondare un tale soggetto unilateralmente partendo da presupposti ideologici dati a priori perché è evidente che non potrà che essere il risultato di un processo complessivo che matura e prende corpo all’interno delle contraddizioni, vecchie e nuove, prodotte dal contesto storico-sociale. In ogni caso su questo tema ci impegneremo a organizzare un nuovo evento in tempi relativamente brevi.

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Comments

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danilo fabbroni
Friday, 17 May 2024 10:50
MI SORPRENDE IN MANIERA ASSOLUTAMENTE POSITIVA QUESTA USCITA IN QUESTE PAGINE. RIVISTA GIORNALE ONLINE O CARTACEO? MI ABBONEREI VOLENTIERI. PS: CAPITALISMO TECNO-FINANZIARIO, OTTIMA FOCALIZZAZIONE MA MANCA, E' ANODINA, UN LEMMA IMPORTANTISSIMO: INIZIATICO! ELITE INIZIATICHE TECNO-FINANZIARIE, COSI' LE CHIAMAVA GIANNI COLLU.
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Giulio Bonali
Friday, 17 May 2024 14:49
E' on-line e non necessita di abbonamento.

si legge gratis (e si possono commentare e criticare gli articoli) accedendo a questo sito web (credo si dica così):

https://www.linterferenza.info/
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Giulio Bonali
Thursday, 16 May 2024 16:24
Copio-incollo anche qui il commento che ho già proposto ne L' Interferenza, ove queste ottime e interessanti considerazioni sono state originariamente esposte.

Non avendo purtroppo potuto partecipare all’ incontro di Roma, mi permetto di esporre qui alcune brevi considerazioni sui pochissimi, secondari motivi di dissenso da parte mia (del tutto inutile essendo il ripetere peggio il moltissimo ed importante su cui sono pienamente d’ accordo).

Che la tecnica non sia mai neutra concordo, in quanto trattasi di applicazione della scienza a scopi inevitabilmente soggettivi (più o meno buoni e giusti, più o meno democratici, più o meno civili, più o meno confacenti a questo o quel soggetto personale o sociale, ecc. a seconda dei casi).
Invece credo che a proposito della scienza (in quanto tale, “pura”) non abbia senso parlare di maggiore o minore “neutralità” (o meno), ma casomai di maggiore o minore verità o meno, oggettività o meno, certezza o meno; e con i miei maestri (innanzitutto David Hume) credo che non possa mai darsene certezza assoluta, ma che, alla condizione della verità di un minimo di postulati indimostrabili, allora la scienza é vera ed oggettiva (o per lo meno intersoggettiva); postulati indimostrabili, tali però che chiunque sia correntemente considerabile sano di mente di fatto per lo meno tende a comportarsi come se fossero certamente veri.
E, per il fondamentale criterio razionalistico del rasoio di Ockam, la scienza (intesa in senso stretto o forte, quello delle scienze “naturali”) é di gran lunga la più certa fonte di conoscenza vera ed oggettiva possibile, necessitando della verità del minor numero di postulati indimostrabili (dunque dubbi, passibili di essere eventualmente falsi), rispetto a qualsiasi altra pretesa forma (o fonte) di conoscenza circa il mondo materiale – naturale; il quale ultimo (a mio avviso di dualista) non esaurisce la realtà in toto, essendo ad esso non riducibile né da esso emergente o ad esso sopravveniente (ammesso e non concesso da parte mia che questi pseudoconcetti possano avere un qualche significato) il mondo mentale (per dirlo a là Descartes: la res cogitans).
E dunque che sia altrettanto di gran lunga la migliore guida possibile per un’ azione che aspiri ad essere efficace nel conseguimento di scopi (inevitabilmente) soggettivi. Ma non invece nella valutazione della reciproca preferibilità o meno dei diversi scopi o aspirazioni soggettivi, in tantissimi casi non conseguibili congiuntamente ma solo alternativamente gli uni agli altri, i quali, come tutta la res cogitans, non essendo intersoggettivi né propriamente quantificabili (almeno in senso stretto, cioé letteralmente “misurabili” attraverso rapporti numerici; ma solo metaforicamente e vagamente “ponderabili” o “soppesabili”), delle scienze naturali non possono essere oggetto di conoscenza (ma possono -e a mio parere di razionalista devono- esserlo soltanto di una scienza intesa in senso largo o debole, quello delle scienze “umane”).

A proposito delle esperienze del “socialismo reale” dissento dal concetto qui più volte reiterato di “crollo” e ancor più da quello di “fallimento” per il semplice fatto che non si trattò di esperimenti condotti nell’ ambiente incontaminato ed asettico (e più o meno neutro; certamente intersoggettivo) di un laboratorio scientifico, ma invece di una quasi secolare lotta di classe furibonda, sempre violentissima anche nelle limitate fasi di guerra relativamente “fredda” (ma pur sempre guerra!), condotta dai suoi potentissimi nemici (di classe) attraverso l’ impiego di tutti mezzi disponibili, anche dei più criminali, barbari, abbietti e disumani.
Quelle esperienze da una parte hanno condizionato positivamente, almeno in qualche non trascurabile misura, il conflittualmente coesistente capitalismo reale (contribuendovi alle conquiste dello “stato sociale”; che infatti il capitale monopolistico finanziario al potere ha potuto immediatamente cominciare alacremente a smantellare subito dopo la cauta del muro di Berlino), ma dall’ altra parte ne sono state reciprocamente condizionate pesantemente in senso negativo (il che ovviamente non significa ignorarne i limiti e i difetti, né gli errori dei suoi gruppi dirigenti, solo in parte riconducibili ai deleteri effetti “estrinseci” subiti da parte del capitalismo reale dominante in larga parte del mondo più economicamente sviluppato).
Per correttezza scientifica (nel senso delle scienze umane) il fu "socialismo reale" non può essere paragonato al centro del sistema imperialistico mondiale ma alle sue periferie coloniali e semicoloniali sul saccheggio delle quali quale il centro stesso (non equamente, non senza pesanti contraddizioni anche "intrinseche") prosperava: Mosca, Shangai o L'Avana in quegli anni non vanno confrontate con Parigi, Los Angeles o Tokio in quegli stessi anni, ma casomai con Nuova Dehli, Bogotà o Nairobi; e credo che, tutto sommato, da un simile corretto confronto non escano poi così male...

E non credo che si tratti di una questione di lana caprina, semplicemente di una manifestazione della difficoltà (di cui da parte mia sono consapevole e che cerco con tutte le forze di superare) della difficoltà di ordine psicologico di mettere in discussione le proprie convinzioni, comportante uno sforzo enorme da parte di chi (come me) ha costruito la propria identità personale sulle convinzioni che del “socialismo reale” stesso erano a fondamento teorico.
Sono invece convito che uno studio oggettivo, intellettualmente onesto e quanto più possibile spassionato di quelle esperienze storiche (e una conseguente loro valutazione complessa e variegata ma “in ultima analisi sostanzialmente positiva”) sia una ineluttabile conditio sine qua non per poter superare la falsa narrazione ideologica dominante per la quale alla barbarie capitalistica “there is no alternative (Thatcher) in quanto qualsiasi tentativo effettivamente praticabile di superarla porterebbe inevitabilmente di fatto a rimedi peggiori del male che si vorrebbe combattere. Falsa narrazione ideologica reazionaria che più potentemente di qualunque altra fonda e sostiene l’ odierno potere capitalistico imperialistico reazionario che tende a portare le classi sfruttate e la specie umana tutta alla rovina, e forse alla irrimediabile “autoestinzione prematura”.
Credo inoltre che si tratti anche anche di una ineludibile conditio sine qua non per poter superare la nefasta, controproducente tendenza, sempre ricorrente fra chi lotta per un futuro migliore, a cadere in una sorta di “moralismo perfezionista” che pretendendo di astenersi dallo sporcarsi le mani nella lotta inevitabilmente cruenta necessaria all’ uopo, ignorando che la perfezione non esiste nella realtà naturale e men che meno umana e dunque la pretesa di conseguirla non può essere un criterio di azione efficace ma anzi inevitabilmente finisce per diventare foriera di un disfattismo e di una fatale subalternità al nemico di classe, queste sì per davvero immorali.

Grazie per l’ attenzione.
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Renato
Thursday, 16 May 2024 08:51
Totalmente d'accordo, finalmente un gruppo di compagni che ha le idee chiare.
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