Škola kommunizma: i sindacati nel Paese dei Soviet
di Paolo Selmi
Dodicesima parte. “Ammettere i propri difetti è privilegio dei forti”: l’intervento di Tomskij al XIV Congresso del Partito Comunista di tutta l’Unione (bolscevico) parte II
b. Sul giustificare problemi reali con motivazioni stereotipate
Abbiamo lasciato Tomskij carico come una molla, contro non tanto GLI ERRORI, ma L’ATTEGGIAMENTO, L’APPROCCIO AI PROBLEMI dei propri compagni: in particolar modo, di alcuni che per nascondere le proprie magagne cercavano il “nemico interno”.
Con chi ce l’aveva ora?Occorre entrare un attimo nel vivo delle polemiche sorte durante e attorno quel Congresso, con il ruolo della NEP nelle campagne a fare da piatto forte. Il kulak, il contadino arricchito, era divenuto nelle campagne l’equivalente del nepman cittadino. Sembra strano parlare oggi di questo, anzi, come dicono in gergo, “FA strano”, tirare in ballo ancora una volta la lotta di classe: specialmente, quando a livello mondiale il gruppo di Paesi se-dicenti socialisti è guidato dal turbocapitalismo con caratteristiche cinesi; e lì l’armonia confuciana he 和DEVE regnare, al pari e come nel vicino se-dicente capitalistico Giappone. Va bene tutto, finché non si pestano i piedi a chi non si devono pestare… QUI NO. Immaginiamoci noi fra il Sessantotto e il Settantotto, così forse ci capiamo. Del resto, abbiam già constatato come qui bastasse molto, ma molto meno per sollevare vespai NON INDIFFERENTI, e NON SOLO IDEOLOGICI.
A differenza, INFATTI, del nostro decennio Sessantotto – Settantotto, la situazione socioeconomica era completamente DIVERSA. Non si era in BOOM economico, ma SI LAVORAVA ANCORA FRA LE MACERIE FUMANTI.
E IN QUEL CLIMA SI PARLAVA DI “NEP”! IL KULAK TORNAVA IN GICO, IL PADRONE, IL NEPMAN, SCENDEVA IN CAMPO! CE N’ERA DI BEN DONDE, PER INCAZZARSI.
Tornando alle campagne, un bracciante non aveva combattuto fino a pochi anni prima, patito fame e freddo, visto i propri compagni morti ammazzati, per poi lasciare che un altro contadino particolarmente dritto, “scarpe grosse e cervello fino” prendesse il posto del pomeščik a sfruttare lui e i suoi ex-compagni, prendendo il posto di quel proprietario terriero, a cui – e al carissimo prezzo di cui sopra! – si era riusciti a confiscare le terre e a redistribuirle!
PUR ASSOMIGLIANDOSI TANTISSIMO NEI TONI E NEGLI ARGOMENTI, NON ERA UNA DISPUTA IDEOLOGICA CHE NASCEVA DAI LIBRI, MA DALLE VIVE CARNI E OSSA MALCONCE DEGLI SFRUTTATI DI ALLORA CHE TEMEVANO DI TORNARE GLI SFRUTTATI DI SEMPRE! Non dimentichiamolo mai, questo.
Non a caso, la Krupskaja aveva pronunciato, nel suo intervento-fiume al Congresso, parole molto dure nei confronti sia di Bucharin, che del suo slogan “Arricchitevi!” (Обогащайтесь!), in particolare riferendosi alla questione agricola: questo gruppo di compagni, di fatto, valorizzavano, all’interno di quella che chiamavano transizione al socialismo, non i contadini poveri, con cui avevano condiviso le stesse trincee pochi anni addietro, ma al contrario coloro i quali avevano aspramente combattuto1.
A lei si contrapponeva, per esempio, Vladimir Sergeevič Boguševskij (1895-1939), oggi novello Carneade, all’epoca era all’apice della propria (breve) carriera politica. Era di poco tempo prima l’uscita di un suo pezzo sulla rivista teorica Bol’ševik, dal titolo: “Sul kulak nelle campagne, ovvero sul ruolo della tradizione nella terminologia”2. Di ispirazione buchariniana, sostenitore della NEP e del suo carattere progressivo, negava l’esistenza nelle campagne del kulak, in quanto elemento di un passato che, a suo dire, non esisteva più, negava l’estensione del termine alle forme di sfruttamento del lavoro salariato nelle campagne e ammetteva soltanto degli elementi a esso riconducibili (elementy kulačestva), elementi che da soli non bastavano a giustificarne l’esistenza nelle campagne. Proviamo a immaginare il vespaio di polemiche sollevato da una posizione simile e, forse, saremo ancora lontani dal vero fuoco di fila di critiche che giunsero a lui e a chi gli dava corda...
Cosa c’entrava, tuttavia, tutto questo discorso con una direzione aziendale e sindacale che diceva, senza se e senza ma: “da domani tutti su tre macchine contemporaneamente?” Tomskij quindi dice: attenti, compagni! Non riconduciamo tutto alle attuali polemiche in corso. Non mescoliamo cose che non c’entrano fra loro per camuffare precise responsabilità riguardanti precisi errori di analisi e di gestione, per giustificare insuccessi, per coprire gli esiti negativi di strategie errate o ignavie accomodanti. Monito valido tutt’ora per certi, per molti, versi. Ma allora tutt’altro che enunciato a sproposito. Continua, infatti:
Cosa potrebbe esserci di più assurdo? Eppure, leggiamo quanto afferma uno dei capi della maggiore organizzazione sindacale. Questo compagno dice: “Gli scioperi dei tessili, occorsi nella zona industriale centrale di Mosca, non sono solo collegati alla questione dei tre macchinari ma, al contempo, riflettono in particolar modo un modo di fare degli operai delle tessiture, collegato alla politica e agli interventi di alcuni compagni sotto lo slogan ‘arricchitevi!’”.
Questo è quanto il compagno Glebov-Avilov ha raccontato e insegnato agli operai di Leningrado sui motivi dei conflitti di questa primavera. Se partite anche voi a spiegare così le cause dei conflitti, non arriverete mai a conclusioni corrette, né a intraprendere le misure necessarie perché eventi simili non accadano in futuro, proprio perché con un atteggiamento del genere poi va a finire che basta solo condannare lo slogan “arricchitevi!” per risolvere quella che alla fine è soltanto una deviazione a opera dei kulak… e risolto per sempre il problema degli scioperi.
Da qui discende quindi tutta una serie di errori, come abbiam visto nel caso del compagno Glebov: questioni che abbiamo già affrontato all’ultimo plenum del CC. Un approccio del genere alla questione degli scioperi di primavera non serve a nulla. Una doppia indagine, condotta sia dal punto di vista della linea del partito, che di quella del sindacato (по партийной ипрофессиональной линиям), ha fatto emergere quanto sia errata la “deviazione economica” («хозяйственный уклон»). E questa è una “deviazione economica” a dir poco mostruosa.
Ecco cosa è emerso dalla doppia indagine:
- una difesa anormale, infondata, acritica, ottusa di quei sindacati nei confronti di tutte le misure della direzione, con il loro cieco beneplacito persino a quelle che erano decisioni amministrative;
- un conseguente indebolimento del legame con le masse, mai interpellate, neppure in occasione i provvedimenti più importanti, fosse anche solo per spiegare, chiarire, la loro opportunità e necessità, figurarsi per esaminare e verificare insieme la reale opportunità e necessità degli stessi!
L’indagine del sindacato dei tessili ha fatto emergere proprio nel sindacato stesso, riflessi come in una goccia d’acqua, difetti che non sono attribuibili unicamente al profsojuz della provincia di Ivanovo-Voznesenskoj, ma anche di altre provincie sovietiche.
I cambiamenti occorsi, attualmente in corso e che occorreranno nella classe operaia, hanno creato il presupposto per una reazione ancora più rapida, spontanea e tremenda da parte dei nuovi operai verso il cattivo lavoro degli organismi sindacali e di partito3.
Chiedo scusa, ancora una volta, per il ricorso abbondante a tutti gli espedienti tipografici in mio possesso senza scomodare la policromia, pur di far passare il messaggio di Tomskij! Guardiamoci, noi, il nostro percorso, il nostro vissuto: quante volte ci siam giustificati nascondendoci dietro un dito, o tirando in ballo i massimi sistemi, quando invece il motivo era lampante, sotto gli occhi di tutti, e nessuno lo voleva vedere? Un operaio su tre macchine è la macchietta di Lino Banfi in “Vieni avanti cretino” (“La vostra soddisfazione è il nostro miglior premio”): è lampante, l’unico argomento accettabile per una discussione di questo tipo potrebbe essere stabilire i termini di misura dello stress umano sotto sforzo di fronte a macchine utensili o automatizzate, determinando i tempi necessari di riposo e ripristino delle forze, piuttosto che l’usura del proprio corpo (lavori usuranti, si chiamano in tal caso e non a caso) e il riconoscimento dell’inevitabile, sia pur rallentata, evitata il più possibile, avanzata della stessa nel corpo e nella mente del lavoratore (pre-pensionamento, periodi di ferie più lunghi e continuativi, eccetera). In altre parole, RICONOSCIUTO IL PROBLEMA, attenuarlo e risolverlo al meglio delle capacità e tecnologie attualmente a disposizione, oltre che sviluppo e ricerca per migliorarle continuamente.
Qui no… sono facinorosi a cui non va bene niente, ce l’hanno a morte coi padroni e coi kulak e con lo slogan “Arricchitevi” quindi anche se li metti a lavorare su una sdraio con la bibita ghiacciata a fianco avran da dire. Questa la reazione di un sindacato che già cominciava a non fare più il suo dovere. TOMSKIJ METTE IL DITO, AFFONDA IL DITO NELLA PIAGA. Pagine preziose per capire la NEP di ieri, ma dando un’occhiata, desolata invero, anche all’oggi.
L’intervento di Tomskij quindi prosegue, per oltre venti pagine ancora di resoconto stenografico, nella stessa maniera irrituale, agli antipodi di certe celebrazioni liturgiche cui poi si sarebbe dovuto assistere, senza paura di toccare nervi scoperti, come già detto, “pane al pane, vino al vino”.
E dal momento che nessuno, a distanza di un secolo, ha mai ritenuto opportuno lavorare – in alfabeto diverso dal cirillico – su questo intervento per più di due righe, occorre continuare ad approfondire alcuni punti, e non me ne voglia il lettore curioso di sapere “com’è andata a finire coi sindacati in URSS” (ci fermiamo qualche anno più tardi), e neppure quello ansioso di porre la parola fine a questo ennesimo paragrafo diventato monografia, per riprendere a parlare di pianificazione. In entrambi i casi, lavorare su questo intervento è propedeutico a proseguire il lavoro di ricerca su entrambi i temi, e il motivo è presto detto.
I sindacati, men che meno la pianificazione, son fatti di e da persone in carne ed ossa. Il loro errore, come vedremo, sarà quello di accettare il proprio depotenziamento a semplice cinghia di trasmissione degli ordini trasmessi dall’alto: anche qui, Tomskij lo buttarono fuori prima e fucilarono poi, qualche anno più tardi, giusto per esser sicuri che potesse tornare solo a tirare i piedi dal fondo del letto… La riduzione a cinghia non fu un’accettazione supina, né tantomeno indolore, della propria messa all’angolo. Ciò nondimeno risultò fatale per il prosieguo del movimento sindacale in URSS.
Fatto sta, infatti, che anche dopo il ventennio staliniano, la ripresa dell’attività sindacale avvenne col “limitatore”, direbbero i motoristi; il sindacato andava, ma sempre entro un certo numero di giri, perché oltre la “centralina” partito non glielo consentiva. Errore madornale oltre che, col senno di poi, idiota: perché smise di formare rivoluzionari e creò generazioni di burocrati e coltivatori del proprio orticello.
Quando, infatti, l’uomo con la voglia in fronte “tolse il limitatore” in nome della glaznost’, per “ricostruire” a colpi di piccone, lo fece consapevolmente; aperte le gabbie, ognuno per sé e dio (ognuno il proprio...) per tutti, nell’ultimo quinquennio sovietico assistiamo a un caos (e panico, e astio, e disfunzioni) generalizzati e crescenti!
In questo quadro “idilliaco”, i dirigenti sindacali di fine anni Ottanta, ci misero del loro per “bombardare il quartier generale” del socialismo realizzato: MOLTI non lo fecero “con cattiveria”, ovvero consapevolmente; in tanti, aderirono a un tanto imprecisato quanto evanescente wind of change, parafrasando un groppuscolo pseudo-rock finanziato dalla CIA allora in voga.
Perché nessuno di loro era un quarto non dico di Tomskij, ma anche dell’ultimo delegato di una fabbrica nepistica!
Parliamo di dirigenti non più formati alla škola kommunizma dei loro nonni, senza alcuna concezione delle effettive dinamiche di funzionamento allora in corso, e senza neppure porsi la questione della bontà delle stesse, nonostante fosse sotto gli occhi di tutti che le trasformazioni operate stavano smantellando, picconata dopo picconata, le architravi su cui si reggeva un sistema tanto resistente da resistere a venti milioni di morti e a miliardi di rubli di devastazione e danni di guerra, quanto fragile se attaccato dall’interno; cosa che nessuno immaginava sarebbe potuta avvenire, e che invece avvenne.
Fatto sta che, presi dalla foga di “far andare il motore”, una volta tolto il “limitatore”, andarono a tutta, iniziarono cicli di scioperi per qualsiasi cosa, ragionarono in termini peggio che tradunionistici e corporativistici, puntando a creare basi di consenso e a puntellare le proprie nicchie per negoziare il proprio “potere contrattuale”, mentre tutto intorno andava a rotoli.
POVERI IDIOTI, se “non sapevano quel che facevano”; CRIMINALI, se invece lo sapevano, e perfettamente; ma POLITICAMENTE IDIOTA ANCHE QUI, per mezzo secolo, NON RIPENSÒ AL SINDACATO COME EFFETTIVA ŠKOLA KOMMUNIZMA E LO LASCIÒ “CINGHIA DI TRASMISSIONE”, COME GLIELO AVEVA PASSATO STALIN: massì, che andiamo bene e meno rompiscatole avevamo in giro e meglio era per tutti. Tanto andava tutto bene, il benessere cresceva… chi ci poteva fermare?
Lo stesso discorso può dirsi della pianificazione. Stesso errore di fondo, quello di due frasi fa: questa riduzione della pianificazione a semplice calcolo, quindi esaltazione di cibernetica e aumento della produttività non come semplici strumenti, ma come panacea di tutti i mali e di tutti gli “errori” e le “mancanze”. LA SPERSONALIZZAZIONE DEI PROBLEMI, la loro riduzione a bug di sistema, direbbe un programmatore, l’idea stessa che – tutto sommato! – ALLA FINE ERA SOLO QUESTIONE DI NUMERI! Attenzione, che qui con questo continuo parlare dell’intelligenza (cosiddetta tale!) artificiale ci vogliono portare a questo! NON CI FOSSERO STATE LE SCHEDE PERFORATE MA L’AI, OGGI CI SAREBBE ANCORA L’URSS??? NO! E PER I MOTIVI SOPRA DETTI! CERTO, SAPERE IN TEMPO REALE COME QUANDO E QUANTO SI SVUOTA UNO SCAFFALE NON SOLO È D’AIUTO, MA DIVIENE STRUMENTO INDISPENSABILE NELLE MANI DEL PIANIFICATORE. QUESTO PERÒ SE LA QUISTIONE DEL CONSUMO AL DETTAGLIO È COLLEGATA, ANZI TUTTO, A UNA MENTALITÀ AUTENTICAMENTE SOCIALISTICA DELLO STESSO. NON CONSUMISTICA, ANZI TUTTO, ATTENTA AL VALORE D’USO DEL PRODOTTO FINALE, PER ESEMPIO. CREATRICE DI UNA FIGURA INEDITA, IL PRODUTTORE CONSAPEVOLE E PADRONE DEI MEZZI DI PRODUZIONE CHE È AL CONTEMPO ANCHE CONSUMATORE CONSAPEVOLE DEI PRODOTTI CHE EGLI STESSO PRODUCE. TALMENTE CONSAPEVOLE DA DETERMINARE FORMA E CONTENUTI DEGLI STESSI, STABILIRNE I TEMPI E I MODI DI PRODUZIONE. TUTTO QUESTO NON A COMPARTIMENTI STAGNI, MA D’ACCORDO CON L’INTERO COMPARTO PRODUTTIVO DI BENI MATERIALI E IMMATERIALI, IVI COMPRESI I SERVIZI. Per questo serve il socialismo. A questo serve il socialismo. E il socialismo è collettivismo, socialità, solidarismo, per definizione. Nella partecipazione politica, anzi tutto, nella pianificabilità, nella pianificazione, nel piano, nella produzione, nel consumo. Tutto questo non un computer non riuscirà non solo mai a farlo da solo, ma prima ancora a “capirlo”. Perché non è un programma, è un corpo vivo che si fa programma, meglio, visione programmatica di sé stesso, della società e dell’economia che esprime. Lenin, Tomskij, lo avevano capito. Chi venne dopo un po’ meno. E sempre più “un po’ tanto” meno. Fino a chiamare oggi “socialismo” ciò che socialismo non è.
In altre parole, e scusate se insisto su questo punto, ma trattasi di un punto DIRIMENTE, è la stessa Legge fondamentale del socialismo (radicalmente opposta a quella del profitto capitalistico che ben conosciamo) a porci in un orizzonte vettoriale, laddove la funzione di bisogno sociale è l’obbiettivo da far collimare con la propria concezione di sviluppo socioeconomico, dal macro- dei grandi numeri al micro- della progettazione di un singolo capo di abbigliamento destinato a durare più di tre lavaggi.
Il tutto, affatto spersonalizzando il problema ma, al contrario, dandogli non solo un volto e un corpo, ma tutti i volti e tutti i corpi del Paese dei Soviet! E tornando al DO e a quel manuale su “pianificabilità, pianificazione, piano” che prima o poi terminerò di tradurre, è quanto SYROEŽIN si sforza di trovare nel suo libro.
Per questo, senza capire cosa c’è dietro, non solo non si è in grado di apprezzare compiutamente questa visione ideologica, ancor prima di questa tematica, ma neppure di percepirne la benché minima portata. Per questo, parlare di sindacati e di pianificazione come mero elemento nozionistico, didascalico, astratto, è un’operazione che non ha senso, perlomeno in questo lavoro. Specialmente quando l’intervento di Tomskij ha ancora molto da dirci sul versante opposto.
c. Sui fenomeni migratori dalle campagne e i nuovi operai
Egli prosegue, infatti, approfondendo i mutamenti in corso all’interno della classe operaia sovietica, dati dall’aumento quantitativo nelle fabbriche, dovuto all’ingresso di energie “fresche”, sia perché giovani, sia perché provenienti dalle campagne, senza quindi quell’esperienza non solo di lavoro, ma anche di lotte e, non da ultimo, di crescita e consapevolezza ideologiche, maturate invece dagli operai più anziani. Fornisce sia numeri, categoria per categoria, e che vi risparmio, sia analisi, su cui vale invece la pena di soffermarsi.
Anche perché scopriremmo, con buona pace dei maoisti, che qualcuno le famose “inchieste” (调查) le faceva già ancor prima di Mao, muovendosi peraltro su un solco marxista – oltre che rivoluzionario – riconducibile agli stessi Marx ed Engels e praticato in Russia dallo stesso Lenin: peraltro, in maniera decisamente più rigorosa e approfondita di quel lavoro onesto, ma fin troppo osannato, che nessuno a parte pochi ricercatori (tra cui umilmente il sottoscritto) ha letto in originale, e per originale intendo non i segni cinesi, ma la sua prima scrittura e messa in stampa. TOTALMENTE DIVERSA DAL MONUMENTO IMBALSAMATO DAI CORRETTORI DI BOZZE CUSTODI DELL’ORTODOSSIA e che sarebbe entrato per mezzo secolo buono nel “canone” cinese dei Classici solo dopo pagine e pagine di tagli, revisioni, riscrittura completa in senso marxistico; insomma, una sartoria radicale e totale ad opera, vent’anni più tardi, degli anonimi curatori delle “Opere Scelte” del neo-timoniere formati a Mosca.
Tomskij la sua “inchiesta operaia” l’aveva già fatta molto tempo prima e, con tutti i difetti che avrà potuto avere, non aveva bisogno di traduttori dalla fisiocrazia confuciana all’analisi di classe marxistica e così proseguiva, parlando dei nuovi arrivi fra gli operai delle industrie:
Quali elementi stanno ingrossando le fila degli operai dell’industria?
- Una parte, indubbiamente, sono proletari: figli di operai, per la maggior parte iscritti alla Gioventù comunista (komsomol). Una ventata giovane e fresca.
- Una parte minima è data da vecchi operai, di rientro nelle grandi città dalle campagne, dove avevano trovato riparo durante la carestia della guerra civile.
- La maggior parte sono invece elementi contadini appena arrivati, giovani contadini.
Sono questi nuovi operai che hanno riempito le nostre fabbriche e che continuano ancora ad arrivare, al ritmo di un +14% ogni anno. Questo strato sociale non ha alcun legame con la storia della classe operaia degli ultimi anni di rivoluzione, non capisce di fabbrica, non è andata alle professionali, non ha preso attivamente parte alla guerra civile, né tantomeno alla lotta eroica dei nostri operai occorsa in quegli anni. Ciò vale ancor di più per quelle città industriali dove assistiamo a una più forte crescita dell’industria e dove affluiscono maggiormente i contadini in cerca di lavoro. Questa, per esempio, è la situazione di Ivanovo-Voznesensk.
Possiamo soffermarci brevemente su questo nuovo tipo di operaio, proveniente dai campi, che considera sé stesso in un certo qual modo un ospite, un temporaneo abitante di fabbriche e stabilimenti. Uno che il sabato torna al paesello con quanto guadagnato e il lunedì ritorna al lavoro con la bisaccia piena di pane, patate e altro cibo per passare la settimana4.
“E partiva l’emigrante”… cantava un Rino Gaetano particolarmente ispirato (e autobiografico di seconda generazione); “Un’auto vecchia torna da Scilla a Torino”, aggiungeva un Lucio Dalla decisamente più in forma: non dovrebbe esserci nulla da aggiungere; ci siamo già passati, con le macchine stivate di vino, olio, uva, e ogni ben di Dio. Qualcosa dovremmo capirne.
Soprattutto, capire che se tutto questo c’entrava qualcosa con lo “arricchitevi!” di Bucharin… non lo era sicuramente sul piano di adesione politico-ideologica “dal basso” a una data linea di sviluppo socioeconomico (l’accusa che qualche sindacalista pigro mentalmente e non solo muoveva nel dibattito in corso, mandando su tutte le furie Tomskij), quanto alla più o meno consapevole (molto “meno” che “più”, visto che fra campi e intellighenzia, ahimè, c’e sempre stato ovunque un rapporto molto “contrastato”, per usare un’eufemismo...) intercettazione “dall’alto” di un substrato più arcaico non solo preesistente, ma emergente in quel dato, inedito, contesto.
Ma per correggere questo substrato sarebbe occorso prima conoscerlo, e prima ancora ri-conoscerlo, scendere dagli uffici alle linee di produzione, sporcarsi le mani: il succo di tutto il discorso di Tomskij ai suoi di Ivanovo-Voznesensk e non solo. Che così prosegue, cercando di abbozzare anche una linea di condotta:
Questo operaio, inizialmente, si isola, tenendosi alla larga dalla vita sociale degli altri operai. Questo operaio ha portato con sé molto della propria vita contadina e ha un approccio del tutto nuovo e atipico alla fabbrica: non la sente “sua” e non è neppure stato abituato a sentirla tale, così come lo è stato per esempio l’operaio più anziano, sopravvissuto a rivoluzione e guerra civile, fondatore egli stesso di quel sito produttivo e caposaldo dello stesso, affrontando e superando mille difficoltà e avversità, fra le sofferenze della distruzione e la gioia della ricostruzione.
Il suo è un approccio completamente differente, di comodo (рваческий) se vogliamo, poco interessato all’appartenenza di classe. Per questo su questa categoria sociale occorre compiere un colossale lavoro da parte del partito e del sindacato.
Non amalgamare, non integrare il livello culturale generale del proletariato, vorrebbe dire trovarsi con due diverse categorie di classe operaia.
- La prima, composta prevalentemente dalla vecchia guardia delle fabbriche e degli stabilimenti, crescerà e si rafforzerà, sulla base di una sempre migliore situazione economica generale e dello sviluppo nel suo complesso della vita culturale. Peraltro, non possiamo non notare come questo strato sociale sia già cresciuto enormemente dal punto di vista culturale. È talmente cresciuto che chiunque prenda la parola in una riunione, anche fra i compagni non iscritti al partito nelle fabbriche e stabilimenti, se ne può tranquillamente rendere conto conto da solo, considerando il livello raggiunto dalle questioni poste e dai discorsi: anche gli articoli di giornale e lavori citati in questi interventi sono talmente tanti e tali che superano quelli che siamo in grado noi, come partito e sindacato, di leggere, rivedere e assimilare: assistiamo quindi a interventi dei compagni non iscritti che trattano di argomenti su cui dobbiamo a nostra volta prepararci.
La seconda categoria di classe operaia sarà quella che viene direttamente dai campi, ancora acerba e, quel che è peggio, disinteressata a questa cultura.
Ed eccoci al punto: se i profsojuz, fra i cui compiti c’è anche quello di svolgere un lavoro culturale ed educativo fra le masse operaie non iscritte al partito, non aumentano la loro attività in questo senso, può crearsi una spaccatura all’interno della classe operaia:
- alcuni saranno più acculturati e avranno accesso alle nuove conquiste operaie,
- altri non lo saranno affatto e resteranno esclusi.
La permanenza e l’approfondirsi di questa spaccatura può costituire un pericolo concreto.5
Come avrebbe detto il buon De Zan commentando l’ennesima impresa di un non italiano al Tour o al Giro… “chapeau”. Il sindacato sovietico di allora non solo era all’avanguardia del movimento operaio di allora, ma ne esprimeva punte difficilmente raggiunte, se non da noi mezzo secolo fa. Ma coi relativi distinguo, come già accennato. Non ho altro da aggiungere e a presto con la prossima puntata.