Škola kommunizma: i sindacati nel Paese dei Soviet
di Paolo Selmi
Tredicesima parte. “Ammettere i propri difetti è privilegio dei forti”: l’intervento di Tomskij al XIV Congresso del Partito Comunista di tutta l’Unione (bolscevico) PARTE III
d. La critica al lavoro sindacale
Riprendiamo la relazione fiume di Tomskj da dove ci siamo lasciati. Già nei primi punti toccati, appare in modo estremamente chiaro come egli attacchi coerentemente, rispetto al proprio punto di vista, ogni approccio di tipo superficiale, approssimativo, stereotipato, alla questione del lavoro sindacale.
Prosegue quindi sulla stessa falsariga, criticando la troppa condiscendenza rispetto agli sprechi e agli scarti, ancora troppo alti e del cui problema il sindacato deve farsi carico, per rendere gli operai sempre più coscienti della loro importanza nel processo produttivo e non solo: infatti, BEN PIÙ A MONTE, occorre renderli anzitutto consapevoli che, in un’azienda socializzata, i mezzi di produzione sono loro e quelli che stanno buttando via son soldi loro. Prosegue quindi specificando quale dovesse essere, compiutamente, il lavoro economico dei sindacati, che ricorda essere “la questione più importante”:
Mi permetto di soffermarmi sulla questione più importante dell’attività sindacale, ovvero il suo lavoro economico, questione su cui qualche sindacalista nutre ancora dei dubbi. Qualcuno ha provato, infatti, di fronte al nostro mettere davanti a tutti gli altri compiti dei sindacati proprio quello di essere l’organismo di difesa degli interessi economici dei lavoratori, anche nelle imprese statali, ed esigere dai sindacati che non si dimenticassero neppure un minuto di questo loro, più importante, compito, a rappresentarci quasi come promotori di una terza linea, tredunionistica… gli stessi che peraltro, allo stesso tempo, dicono ai sindacati: “della vostra partecipazione alla produzione noi ce ne freghiamo”. Il perché rappresentino il lavoro dei profsojuz in questa maniera ci è ignoto, eppure molti parlano così.
Penso che qualsiasi persona che si sia trovata a parlare davanti a operai, in fabbrica o stabilimento, e che conosca la vita di fabbrica e di stabilimento, non potrà negare che, da qualche parte (кое-где), esista la cosiddetta “triplice”, ovvero il blocco direzione-partito-sindacati, laddove i sindacati si muovono all’unisono con la direzione e declamano: “Qui va tutto alla grande, qui c’è il fronte unito”.
A loro noi, anche in questa occasione, chiediamo: “Scusate… ma state facendo il fronte unito contro chi?”
Il sindacato deve appoggiare posizioni e misure corrette intraprese dalla direzione, in quanto il rappresentante dei profsojuz non deve dimenticarsi neanche un minuto che nelle fabbriche, nelle aziende, negli stabilimenti socializzati, il direttore rappresenta ora gli interessi di classe del proletariato al potere, e ricopre quella carica come costruttore delle fondamenta, delle basi del socialismo. Per questo il sindacato e i suoi rappresentanti devono appoggiare tutte quelle decisioni dei direttori delle socializzate che siano ragionevoli (разумные) e che vadano in questa direzione (в этом направлении).
Tuttavia, occorre anche vigilare, senza tentennamenti, contro eventuali eccessi di zelo (переусердствование), tirannia (самодурство), burocratismo (бюрократизм). Primo obbiettivo a cui sono chiamati i profsojuz. Qualora vi siano decisioni stupide, burocraticistiche o viziate dagli errori appena citati, decisioni che confliggano con gli interessi delle masse lavoratrici, i sindacati devono correggerle, e non avvallarle, con un bel timbro firma, come invece accade da qualche parte per tutte le decisioni del direttivo. In questo contesto abbiamo assistito più a esagerazioni verso l’eccesso (перегиб) di zelo, che verso il disimpegno1.
Bellissima questa chiosa finale. Compagni, non vi preoccupate dei delegati cosiddetti “rompicoglioni a prescindere”… ci sono, ci saranno sempre, sappiamo anche come affrontarne eventuali eccessi… ma non sono il problema principale! Nel sindacato SON SEMPRE MOLTO, E MOLTO MENO, DEI DELEGATI LECCAPIEDI, RUFFIANI, “ZELANTI” APPROVATORI ED ESECUTORI DI TUTTO QUEL CHE ESCA DALLA BOCCA DAL CDA. Lottare contro l’eccesso di zelo, di burocratismo, era il primo punto a cui, nella lotta economica, i sindacati doveva prestare la massima attenzione.
VI È PERÒ DELL’ALTRO: coi termini specifici summenzionati dal buon Tomskij, e il caso della postazione che doveva curare tre macchine contemporaneamente costituisce l’esemplificazione concreta di quanto affermo, che per “burocratismo” e “zelo” non si intendeva soltanto
- l’atteggiamento di dell’arrivista, di chi ama particolarmente tenere attaccato il sedere allo scranno dove l’han messo e da lì impartire ordini perlopiù campati per aria, così come
- il modo di atteggiarsi di coloro i quali fanno a gara a chi è più realista del re.
Esiste anche una terza categoria, che poi è quella che vale specialmente oggi in tutti i settori della vita sociale ed economica: i cosiddetti “imboscati”, una riedizione in chiave peggiorativa degli “indifferenti”. Se quest’ultima categoria è la cosiddetta “mucca che vede passare il treno”, qui c’è anche del DOLO stesso
- NELL’OCCUPARE CARICHE SOSTANZIALMENTE INUTILI, di facciata e neanche troppo “di facciata”, anche di retrobottega, anzi, più si è imboscati più si prendon soldi a fine mese senza che nessuno si chieda neppure chi ci sia in quello stanzino a fine corridoio e “a cosa serva” per davvero, ovvero nel ritagliarsi una propria nicchia all’interno di un organigramma burocratico, sostanzialmente PARASSITARIA;
- NEL NON INTERVENIRE. So che una cosa non va bene, ma mi guardo bene dal criticarla: mi basta trasferire l’ordine e continuare a farmi gli affari miei, che “campo cent’anni” anche se il resto va a rotoli. Una postazione attiva su tre lati? Con una macchina che funziona a mezzo servizio e una che va a bestemmie? Va bene lo stesso, autorizziamo… tanto non devo andarci mica io a impazzire su quella postazione… e via discorrendo.
Il secondo punto toccato da Tomskij, peraltro, si avvicina molto alla descrizione di questi “imboscati”:
Eccesso di zelo che è stato giustificato – ed è giustificato – sia da parte del partito che dei sindacati, con la complessità e difficoltà della lotta per il ripristino dell’industria, con la complessità e difficoltà di risolvere il problema dell’aumento di produttività del lavoro.
E ANCHE QUI NON CI SIAMO. Passando in rassegna tutto il lavoro dei sindacati nel suo complesso, non possiamo che constatare come, nonostante sia da diversi anni (tre!) che lottiamo per dotarci di una metodica, di un sistema, di un piano lungo tutto il nostro campo d’azione, fra cui anche il lato economico, neanche su questo punto, e neppure per gli aspetti più immediati, come il determinare obbiettivi di produzione in modo che siano realisticamente sostenibili (посильное) e ottenibili (выполнимое), non riusciamo a procedere che in modo disordinato e senza alcun metodo.
Assistiamo a paradossi come questo. Se dovessi darvi ora le cifre dei rappresentanti in ciascuna sede, istituzionale e non, di cui gode qualsiasi sezione locale e provinciale, oltre che qualsiasi CC del sindacato, vedreste numeri da paura. I profsojuz sono rappresentati ovunque e dovunque, in ciascun organismo economico, in ciascuna struttura statale, in ciascun ganglio della vita sociale. Ovunque serva “compensare”, riempire un buco, ecco che si piazza un rappresentante sindacale. E figurarsi se qualcuno si toglie mai da queste cariche... macché! Rappresentanti sindacali girano di commissione in commissione, con le loro cartelle sotto braccio… ma quale politica promuovono in tali sedi?
Esiste un profsojuz, dico uno, che sappia come rappresentare lì i suoi interessi? No! Non ce n’è neanche uno che lo sappia. È tutto raffazzonato, tutto messo lì tanto per, non c’è nessun collegamento fra le diverse attività: anzi, in tutto questo lavoro non spunta fuori neppure l’ombra di una linea.
Meglio, una linea si intravede ma molto di sfuggita, tra una chiacchiera e l’altra per strada o nei corridoi, senza che ne rimanga una benché minima traccia nei resoconti del lavoro di ognuno. Per questo chiediamo di abbandonare questo sistema di incarichi, questi modi di regolamentare e pianificare le attività a ciò collegati. I sindacati devono assumere SOLO incarichi che POSSONO portare a termine, in coscienza e onestà (добросовестно, честно), fino alla fine, studiando sul serio le questioni che si pongono loro.2
Possiamo quindi scomporre la critica di Tomskij lungo almeno tre direttrici:
- atteggiamento (carrierismo nel cercare di entrare in tutte le commissioni possibili),
- condotta (superficialità nello svolgere i ruoli assegnati), e uno più generale di
- metodo (meglio, di assenza di metodo, ovvero operare senza una linea, un coordinamento generale). Prosegue quindi parlando proprio di quest’ultimo punto:
Il lavoro dei rappresentanti sindacali deve essere collegato a una linea economica generale dei sindacati. Per questo la seconda questione, senza dubbio la più importante, fondamentale, è data
1. dalla necessità di un lavoro più sistematico, pianificato, in tutti gli organi di regolamentazione e pianificazione,
2. dal coordinamento di tutte queste attività e
3. dal rifiuto finalmente di quel modo di lavoro economico basato su una pianificazione e un esame dei programmi e dei piani immediate e ottuse.
E qui, su quest’ultimo punto, già a qualche sindacalista cominciano a venire i primi dubbi. Cos’è, oggi, esaminare i piani di produzione da parte dei sindacati? Prendiamo a esempio l’organizzazione messa meglio, più forte come struttura, ovvero il nostro VCSPS. Dove sono io in persona a chiedere a Dzeržinskij i piani di produzione per un esame preliminare. Che ne farò una volta che me li consegna? Dovrò passarli al capo dell’Ufficio tecnico (ОТЭ - отдел технической эксплуатации), il compagno Vladimirov. Il compagno Vladimirov, già oberato, li darà in visione al suo vice che, alla fine della fiera, li passerà al segretariato, dove gli metteranno timbro e firma.
È questo il piano che dovrebbe essere “stilato sulla base dell’esperienza e di un calcolo attento, preciso sino al dettaglio di ciascuna voce, con la partecipazione al completo di specialisti e contabili da un lato e di tutte le organizzazioni sociali dall’altro”?
Dobbiamo ammettere che, da questo punto di vista, siamo dei ciarlatani (шарлатаны)! E dai sindacati questa ciarlataneria non può e non deve saltar fuori! 3
Cosa dire di fronte a una critica così serrata, puntuale, senza peli sulla lingua, né compromessi… e ai propri? Se non, dopo cento anni, alzarsi in piedi, togliersi il cappello, e rimpiangere di non aver avuto a sufficienza capi come lui nel nostro movimento?
Da una parte l’eccesso di zelo, dall’altra la ciarlataneria, nell’esercizio delle proprie funzioni: due teste del medesimo mostro. E Tomskij, a differenza di qualcuno che mezzo secolo più tardo lo avrebbe tirato in ballo (vae victis!) per sancire il “fallimento” del sindacato, ci va giù pesante. Vuole estirpare queste pratiche ancora embrionali, ancora derivanti più dalla natura umana che da una cattiva condotta fattasi sistema. E, per farlo, occorre che quel controllo operaio di cui tanto si parla, funzioni per davvero, sia davvero operativo: in attesa di vedere i nostri figli, figli di lavoratori, studiare e diventare tecnici, scienziati, intellettuali organici, ovvero in grado di farsi le nostre stesse, importanti, domande sul senso, sulla direzione, sulle implicazioni, fregature comprese, e facilitarci così il lavoro di decisori politici, dobbiamo confrontarci con e avvalerci di quel che c’è.
Tomskij, in questo, rampognava i suoi e faceva bene: anche perché non poteva certo pensare a come, un secolo più tardi, si sarebbe comportato il capo del più grande sindacato italiano, quello che, in Corso di Porta Vittoria a Milano, ha ancora le inferriate a tutte le finestre che mostrano delle bellissime falci e martello stilizzate (forse perché fanno “vintage”… o forse perché costa troppo cambiarle), su una questione talmente delicata come quella di un obbligo vaccinale comandato, sotto forma di ricatto, a TUTTI i lavoratori.
Non poteva immaginare come si sarebbe comportato di fronte al tentativo riuscito, da parte di industriali, banchieri, burocrati e generali, di imporlo di punto in bianco con un decreto anche su tutti i luoghi di lavoro, compresi quelli che (come il sottoscritto) fino al giorno prima avevano lavorato SEMPRE, anche nelle condizioni peggiori, anche con mezzo organico a casa (per covid), quando i decreti attuativi del tempo imponevano la chiusura di tutto; invece no, avanti, sempre avanti, la ruota allora doveva girare! Non era, quella, una presa per i fondelli? Dov’era, dov’è il sindacato?
Allora, invece, cambiava la parola d’ordine, di punto in bianco, senza alcun motivo concreto e immediato (nella mia provincia all’entrata in vigore dell’obbligo si era al NOVANTA percento di vaccinati… con immune non solo il gregge, ma anche il pastore, l’autista del camioncino del latte e il casaro!); non si entra, quindi, nello stesso posto di lavoro e i condizioni decisamente di sicurezza rispetto alla fase “andrà tutto bene” (sic..) se non si ha quel pezzo di carta. Ancora una volta, dov’era, dov’è il sindacato?
Il tutto, oltre che imporlo, peraltro, nella maniera peggiore, ovvero non tramite una legge che avrebbe imposto, oltre a un’assunzione precisa di responsabilità, civile e penale, un passaggio parlamentare e una verifica costituzionale), ma come “opzione”, come “un’offerta a cui non si può dire di no”, con tanto di manleva a chi te lo impone e alle multinazionali produttrici, “un’offerta” la cui alternativa sarebbe farsi un tampone a proprie spese, scalando dai propri permessi, ogni due giorni, pena la sospensione senza stipendio e sanzioni pecuniarie. Ancora, per l’ennesima e non per l’ultima volta… dov’era, dov’è il sindacato?
Torniamo al Tomskij vivo e in piena forma di quella relazione, che continua così a martellare sulla differenza fra come doveva essere il ruolo dei sindacati nello stilare il piano e come invece era:
I sindacati devono, dalla fabbrica e dallo stabilimento, essere parte attiva, dall’inizio alla fine, lungo tutto il percorso che porta alla creazione del piano produttivo. I rappresentanti sindacali devono essere presenti lungo tutte le fasi di produzione di tale piano, coordinando la loro esperienza e il loro lavoro fra loro sulla base delle loro conoscenze maturate sul campo in materia economica; invece, una pianificazione fatta come la facciamo ora, come “presa visione” e “conferma” dei programmi produttivi da parte degli organismi sindacali, tale pianificazione altro non è che, mi si perdoni la schiettezza, un lavoro un po’ alla Chlestakov! Dobbiamo smetterla di stampigliare a tutti i costi documenti che richiedono per la loro stipula competenze che non abbiamo.4
Ecco Ivan Aleksandrovič Chlestakov, con la sua bella faccia da schiaffi:
Stiamo parlando del protagonista dell’opera teatrale di Nikolaj Vasil’evič Gogol’ “L’ispettore generale” (Revizor, Ревизор), una commedia degli equivoci in cui la trama è presto detta: giunge voce in una remota provincia dell’Impero che è in arrivo un nuovo ispettore generale… tutta la nomenklatura in allarme, e alla fine per arrivare arriva, ma altro non è che un impostore, oltre che un millantatore e un fanfarone. Una trama, peraltro, suggerita da un episodio realmente accaduto. In un Paese dove il teatro era ed è popolarissimo, goduto e praticato a ogni livello, amatoriale e professionale, da milioni di appassionati, non deve sorprendere l’impiego di tale espediente retorico da parte di Tomskij: un accostamento che chiunque, fra la platea degli uditori di Tomskij, era in grado di capire, e molto bene!
Giusto per rincarare la dose, leggiamo cosa scrive Gogol’ di lui nelle “Note per i signori attori” (Замечания для господ актеров) che precedono il copione vero e proprio, e proiettiamolo sui sindacalisti di Tomskij:
Chlestakov, è un giovanotto sui ventitré anni, sottile, magrolino; piuttosto sciocco e, come si usa dire, senza sale in zucca. È una di quelle persone che nelle cancellerie si definiscono assolutamente vuote. Parla e agisce senza alcuna riflessione. Non è in grado di concentrarsi a lungo su nessun pensiero. Parla a scatti e le parole gli escono di bocca in modo del tutto inaspettato. L'attore che interpreta questo ruolo avrà tanto più successo quanto più si dimostrerà semplice e candido. È vestito alla moda5.
Non c’è che dire: ciarlatani prima, fanfaroni e millantatori poi… di bene in meglio! Parole sante, tuttavia, parole vere, sincere, che non avevano paura di andare a fondo nelle questioni, se è vero che “ammettere i propri errori è privilegio dei forti”. Che senso ha fare da passacarte? Per il puro gusto di affermare la propria autorità perché “senza il mio timbro di visto, senza la mia firma, il piano non è approvato”, senza capirne un’acca pur millantandone la conoscenza?