Škola kommunizma: i sindacati nel Paese dei Soviet
di Paolo Selmi
Quattordicesima parte. “Ammettere i propri difetti è privilegio dei forti”: l’intervento di Tomskij al XIV Congresso del Partito Comunista di tutta l’Unione (bolscevico) PARTE IV
Terminata (momentaneamente) la pars destruens, Tomskij passa alla construens e si occupa di un rapporto causa-effetto ormai dimenticato. La negligenza, la superficialità, l’opportunismo, di chi dovrebbe tutelarci, peggio ancora, rappresentarci, si combattono con la nostra partecipazione, operaia e di massa ai processi gestionali e decisionali! Per farlo, occorre coinvolgere grandi masse operaie, buona parte delle quali appena giunta in fabbrica e con in testa ancora più il paesello che la propria, nuova vita:
Per coinvolgere ampie masse operaie nel lavoro di gestione economica, oltre che nella discussione di questioni economiche, dobbiamo muoverci su due direttrici. La prima è portare la discussione dei contratti collettivi proprio dove sta chi di tali contratti è parte, ovvero nel cui nome tali contratti sono stipulati. A siglare il contratto collettivo siamo in due:
il dirigente, che si assume la responsabilità di dire, “prometto di pagare questo e questo, di non modificare le condizioni di lavoro, né tantomeno peggiorarle nel corso del tempo”
il sindacato che, nel firmare il contratto collettivo, si assume la responsabilità e promette che i suoi iscritti lavorino per tutta la validità del contratto in un certo modo, a certe condizioni, senza provare a cambiarle in tale lasso di tempo.1
Ripartiamo dall’ABC, invita i suoi Tomskij, dal chi siamo e cosa dobbiamo saper fare, e bene, senza strafare, senza snaturarci; ripartiamo anche da per cosa lottiamo, qual è il nostro scopo. Altro che “cinghia di trasmissione”, verrebbe da dire.
Dobbiamo “coinvolgere ampie masse operaie nel lavoro di gestione economica, oltre che nella discussione di questioni economiche”. “Lavoro di gestione economica” (хозяйственно-экономическая работа) è già un termine che, di per sé, illustra bene le due sfere dell’economia (l’aggettivo composto, infatti, comprende sia il termine slavo che quello greco, per cui un traduttore automatico va in tilt e traduce “economico-economico”...): la chozjajstvo, che non è solo “economia” o “azienda”, o “casa” (da cui il calco linguistico dal greco che segue) ma, nella forma verbale chozjastvovat’ padroneggiare, gestire. Che cosa? L’economia.
Una classe operaia autonomamente in grado di gestire “la propria parte” e di lavorare in coordinamento con “l’altra parte”, che dopo la rivoluzione e in una azienda a proprietà sociale dei mezzi di produzione non è più una “controparte”, in una divisione dei compiti non calata dall’alto ma consapevole di una complessità e, al tempo stesso, anche di una possibile RIDEFINIZIONE DI MANSIONI FRA PARTI che non solo SUPERA dialetticamente NEL CONFRONTO fra direttivo e operativo ogni contraddizione di classe, ma ne favorisce l’interazione e il coinvolgimento, ELIMINANDO OGNI CONFINE NETTO FRA LE DUE SFERE al punto che divengono, come è giusto che sia, due sottoinsiemi di quell’unicum che è e che deve essere l’azienda socialista.
Il contratto collettivo (kollektivnyj dogovor) è il momento di unione dialettica di queste due facce di una stessa medaglia, sin dal momento della stesura, DOVE E’ RICHIESTA LA MASSIMA PARTECIPAZIONE OPERAIA E DOVE IL SINDACATO DEVE ESSERCI COME STRUMENTO ESSENZIALE DI AGGREGAZIONE E COINVOLGIMENTO, ORGANIZZAZIONE, PROPOSIZIONE ATTIVA, RAPPRESENTANZA.
A scanso di equivoci, Tomskij prosegue e – come vedremo – non manca di criticare e rampognare. Anche qui, a scanso di equivoci, non per dichiarare fallimento, come Bettleheim e soci strumentalmente concludono per cestinare un’intera esperienza, ma per esortare i suoi sul percorso da fare perché “l’ideale nostro alfine sarà” (loro qui la cantano con parole totalmente diverse, ma basta accennare alle note per capirsi sempre!):
Perché il contratto collettivo SIA realmente IL LUOGO DOVE le parti si sentano GARANTITE anche nel conflitto, perché il contratto collettivo ottenga l’autorevolezza necessaria affinché davvero per gli organismi statali costituisca un contratto vero e proprio, in grado di essere sempre rispettato senza colpi di mano e variazioni in corso d’opera, per tutto questo occorre certo l’accordo tra le parti ma, PRIMA ANCORA, che da parte sindacale
- si sappia cosa si sta firmando,
- su quali articoli si sta prestando la propria garanzia, ovvero ci si assume precisi impegni, e
SOLO DOPO si dia il proprio consenso. C’è stato tutto questo finora? Purtroppo, nella maggior parte dei casi, NO. Quegli operai, ovvero i beneficiari della firma di quel contratto collettivo, non sanno neppure il contenuto di ciò per cui e in loro nome si è firmato!
Il contratto collettivo per loro, nella maggior parte dei casi, è solo un pezzo di carta, composto unilateralmente da una parte. Il tutto, PARADOSSALMENTE, MITIGATO DA UN ALTRO MALCOSTUME, MA IN SENSO OPPOSTO, ovvero dal fatto che anche il sindacato, pur firmandolo, non lo considera cogente e quindi non offre nessuna garanzia ai dirigenti che gli operai per quei sei mesi di validità lavorino effettivamente alle condizioni accettate e non modifichino tale assetto in alcuna maniera. 2
Insomma, uscendo dal politicamente corretto, una DOPPIA presa per i fondelli. I dirigenti sottopongono alla firma un pezzo di carta, che i sindacati siglano senza neppure leggere, tanto poi resta tutto lettera morta. Formalmente c’è un contratto collettivo, quindi si ottempera a un obbligo, ma nessuno lo segue, preservando lo status quo. La domanda che è lecito porsi, a questo punto, è: quanto di scritto, di evidenza documentale, di “numeri”, ovvero di dati statistici, come per esempio i grafici degli iscritti al sindacato all’inizio di questa monografia, è in gran parte “lettera morta”?
Lo stesso potrebbe dirsi del nostro PCI, senza andare tanto lontano. Quanto del PCI di Berlinguer lo era per arrivare, in meno di trent’anni, a Enrico Letta? Idem con patate per il PCC, da Mao alla dirigenza attuale, molti dei quali con ancora addosso il sapone schizzato da tutte le parti dopo lo scoppio della bolla speculativa Evergrande. E parliamo solo dei “nostri”, perché sul resto del baraccone politico è come sparare sulla croce rossa.
Si comincia da lì, dall’accettazione supina per comodo, neanche per costrizione, ma per comodo! Tomskij si oppone e denuncia tutto questo, senza fare sconti a nessuno, a partire dai suoi. Quale partecipazione operaia vi può essere se il contratto collettivo è una farsa? Di cosa si ha paura in realtà? Di un confronto con gli operai stessi? Di loro possibili reazioni?
E così, perché il contratto sia veramente operativo e con le dovute garanzie di funzionamento, c’è bisogno che ciascuno dei lavoratori coinvolti
- sappia in cosa esso consista e
- contribuisca a modificarlo con emendamenti e correzioni,
di cui sia i dirigenti che i sindacalisti non potranno non tenere conto.
Sorge, a questo punto, naturalmente la domanda: e se gli operai riuniti in assemblea generale voglion di più? E quindi? Qual è la novità? I sindacati non sono nati ieri, ma esistono da decenni: e ovunque e dovunque, sempre ci sono operai che, in chiusura di contratto collettivo, vogliono di più. Finché ci sarà un salario, ci sarà sempre un operaio insoddisfatto e che reclamerà a gran voce più soldi. O non conosco gli operai – e penso di conoscerli – o le cose stanno così. Non ci sarà mai un operaio pienamente soddisfatto del proprio salario, che non chieda nulla più di quanto attualmente percepisca.
Ecco perché, sempre e dovunque, anche negli Stati borghesi, durante la discussione in assemblea coi lavoratori dei contratti collettivi, i sindacati non possono correr dietro a tutte le loro rivendicazioni e debbono spiegare, perché in tali condizioni non si può chiedere di più, quali sono le attuali risorse in quella data azienda, cosa si può portare a casa e cosa no, eccetera.
È in questo processo, in queste discussioni, che gli operai sono portati a vedere tutti i numeri, a conoscere e a fare propria la reale situazione dell’azienda in cui lavorano.
E per fare questo occorre non per finta, ma per davvero, nei fatti, lavorare fra le masse operaie, impiegando metodi persuasivi, mostrando prove e dati concreti di ciò che si afferma, spiegando loro e facendoli crescere: tutt’altro rispetto a quella prassi nociva dove, nel chiuso di qualche studiolo, in due si chiude il contratto e lo si rende quindi pubblico. E neanche subito dopo, ma dopo due mesi. 3
Sembra scritto ieri… e non per il Paese dei Soviet, ma per il nostro Belpaese, dove da anni ormai un’élite decide e altri firmano e passano carte, molti dei quali non esitando a barattare il proprio servilismo con una poltrona.
Tomskij comunque non si limita alla denuncia, ma indica un percorso. La prima gamba è il contratto collettivo e la sua discussione preliminare attiva, partecipata, reale e concreta sia nella possibilità di cambiamenti dalla base operaia, sia nel dovere di dimostrare, di convincere, di guadagnarsi il consenso sul campo da parte del sindacato. La seconda gamba della strategia di Tomskij per implementare la partecipazione operaia e le sue capacità gestionali, sono le già citate conferenze di produzione (производственные совещания). Ne abbiamo già accennato riportando e commentando un intervento di poco antecedente a questo. Questa è la massima sede ufficiale, è il Congresso, e Tomskij non solo riprende tali argomenti, ma li esplicita ulteriormente, a scanso di equivoci, fornendo inoltre indicazioni pratiche molto utili, per chi avesse avuto orecchie per intendere. Da notare, in apertura di discorso, il riferimento al diritto di poter nutrire dubbi o scetticismo! GIÀ LÌ E ALLORA, – non sotto il solitamente citato, in questi casi, Baffone Stalin dove chi diceva “bah!” era immediatamente bollato ed escluso dal civil consesso degli alleluianti – queste parole risuonavano ancor più delle campane sulla Torre Spasskaja al Cremlino! Sentiamole, queste campane, dalla sua stessa voce:
Passiamo ora alle conferenze di produzione. Parlerò molto francamente, visto che molti delegati al Congresso han già letto sui giornali allusioni e neanche tanto allusioni sul fatto che il VCSPS nel suo complesso e, in particolare, me stesso medesimo, le sottovaluteremmo, non ne comprenderemmo la funzione e ci rapporteremmo a loro scetticamente. Ora, fino a prova contraria, ciascuno di noi ha tutto il diritto di essere scettico su questa o su altre misure, senza che debba ritenere ciò in alcun modo disdicevole, perché non c’è nulla di sbagliato in questo. Ciò detto, noi sappiamo bene quanto siano importanti e che funzione abbiano le conferenze di produzione.
Capiamo l’elemento di novità portato dalle conferenze di produzione, comprendiamo come costituisca uno strumento gigantesco nelle mani del sindacato e del partito, attraverso il quale è possibile condurre un lavoro di formazione economica veramente di massa, un canale attraverso cui veicolare partecipazione e promozione fra gli strati dei lavoratori. Allo stesso tempo, sempre le stesse conferenze di produzione, con una direzione inadeguata, o troppo entusiasta per fermarsi a riflettere, o incapace, o senza alcuna intenzione, di correggere i propri sbagli, possono davvero degenerare sia in un istituzione vuota, destinata a morire da sola di morte naturale (così come da noi ne è già defunta un’intera schiera) sia in un tentativo anacronistico di tornare ai Soviet così come erano configurati 5 anni fa.
Per questo diciamo: le conferenze di produzione sono e devono costituire un potente, il più importante, mezzo per un ampio coinvolgimento delle masse operaie alla causa dell’edificazione socialistica, il canale attraverso il quale gli operai entrano nella gestione dell’apparato economico e statale. Tuttavia, al contempo, MAI temere di correggere i loro errori, MAI stancarsi di studiare la la loro esperienza, MAI sedersi su posizioni consolidate, preconcette nei loro confronti4.
Tomskij smonta le critiche mossegli, critiche molto attuali, se si pensa al coro di alleluianti di qualche anno fa, triplice sindacale inclusa, sull’estensione del cosiddetto “lasciapassare verde” a tutto e tutti: in questo, talmente fascisti da non accettare obiezioni alla loro verità-colabrodo, talmente conigli da non accettare l’assunzione di responsabilità penale derivante dall’imposizione dell’obbligo per legge, talmente ipocriti da non ammetterlo. Ricordiamoceli, i toni di allora. Non scordiamo come erano trattati i dissenzienti: terrapiattisti, complottisti, disfattisti anarcoidi, di tutto, di più, indegni persino di proferir parola. Non scordiamo le firme obbligatorie di manleva su una campagna “vaccinale” obbligatoria, dai quindici anni (sic!) in su. O l’impedimento per un ragazzo di undici anni non vaccinato di giocare o allenarsi. Oltre che le “vaccinazioni” a bambini di età persino inferiore incoraggiate a livello ministeriale! Affermando persino il falso, ovvero che il nipote era “responsabile della morte del nonno”, anche dopo che soggetti vaccinati erano risultati portatori positivi del virus. Ma nessuno a sollevare obiezioni. Andava, ipocritamente, bene così.
No, quello di Tomskij era decisamente un altro sindacato, che di rosso non aveva solo il colore del maglione del segretario. Le conferenze di produzione sono una potente cartina al tornasole rispetto all’allora ruolo del sindacato, oltre ad aiutarci a comprendere la società di allora, il ruolo delle aziende statali e il tentativo di transizione al socialismo che vedeva impegnati su tutti i fronti partito e sindacato. Per questo l’intervento del segretario entra davvero nel vivo delle questioni:
Mi permetto di precisare in cosa consistano le assemblee di produzione. Leggo: l’organigramma alla base del lavoro economico di massa nelle aziende, così come è adottato nella maggior parte delle aziende, è così composto:
a) commissione di produzione di tutta l’azienda;
b) conferenza di produzione di tutta l’azienda;
c) conferenze di reparto;
d) uffici o commissioni produttive di reparto, che nelle grandi aziende interessano un numero limitato di reparti.
In pratica queste commissioni si creano secondo due modalità. Nella prima la commissione è scelta dal comitato di fabbrica e di stabilimento (фабзавком). Nella seconda l’organico della commissione è individuato dalle conferenze di produzione e quindi approvato dal comitato di fabbrica e di stabilimento. Differenti sono anche le modalità di costituzione delle conferenze di produzione in atto a oggi, che vale la pena qui riportare:
a) le conferenze di produzione si compongono di un organico scelto, eletto nelle assemblee operaie secondo modalità prestabilite (pratica dei minatori). Contro questo sistema si è espresso il VCSPS nelle risoluzioni del II Plenum, ritenendo che qualsiasi meccanismo elettivo all’interno delle conferenze operaie limitasse il carattere di massa del lavoro e la partecipazione volontaria delle masse operaie.
b) alle conferenze di produzione si accede tramite una selezione in due fasi: la prima è l’iscrizione di tutti gli operai che desiderino parteciparvi, la seconda è la conferma, da parte del comitato di fabbrica e stabilimento, di un organico fisso e costante scelto fra tutti gli aspiranti partecipanti.
c) L’adesione alle conferenze di produzione è libera e non vi è nulla di rigido o prefissato nella composizione del suo organico.
Studiamo quindi cosa sono le conferenze di produzione, studiamo quali sono le loro configurazioni più utili, vediamo come sono fatte al loro interno e, infine, correggiamo i loro errori.5
La posizione di Tomskij appare già dalle prime battute fondata su un’analisi solida e, prima ancora, su una conoscenza approfondita e di prima mano della situazione. Un dato che traspare anche nelle righe successive, dove questi dati offrono elementi concreti di riflessione e critica; una critica che, a questo punto, nessuno avrebbe potuto attaccare come preconcetta:
Su cosa si basa lo scetticismo nei confronti delle conferenze di produzione? L’ho già detto, lo dico e lo ripeto: se le conferenze di produzione si trasformano in istituzioni a metà fra passerella e comizio, dove il direttore arriva con colonne, quadratini impilati e cerchi disegnati su fogli da disegno, li distribuisce e comincia a raccontare della condizione delle forze produttive in URSS in generale, e in quel dato settore produttivo in particolare, quindi bombarda la platea di cifre su cifre, tanto che gli operai non riescono a raccapezzarsi e, quando escono, devono farsi largo fra quelle dispense divenute già pattume sparso per terra… beh, di queste conferenze di produzione possiamo farne tranquillamente a meno!
Lo ripeto: non è così che bisogna fare le conferenze di produzione. Al contrario, Vladimir Il’ič ci ha insegnato a elevare il livello culturale degli operai non iscritti al partito, in ogni settore lavorativo, rendendo gradualmente sempre più complessi gli obbiettivi da raggiungere per queste particolari masse, sempre più difficili, ma anche sempre più alla loro portata! 6
Anche qui, la citazione, che più che una citazione è un ricordo, non è calata a mo’ di ipse dixit, ma come indicazione di un metodo di lavoro, di scala di priorità di compiti, di valorizzazione e puntamento su determinati obbiettivi e non altri, in funzione di una costruzione del socialismo che aveva una PRECISA FISIONOMIA ed era CONCEPITA IN UN CERTO MODO. Una fisionomia e un modo che, a poca distanza dalla sua morte, sentiva già affievolirsi.
D’altro canto, occorreva fornire una fisionomia alle conferenze di produzione, al fine di precisarne meglio ruolo e mansioni. Non era così semplice, perché esse erano già diventate qualcosa, nei vari contesti in cui erano nate, qualcosa di diverso da posto a posto, da collettivo a collettivo, con risultati a volte diversificati. Al che Tomskij considera:
Non possiamo, nelle condizioni attuali, connotare in modo preciso il fenomeno delle conferenze di produzione, cacciarlo a forza entro qualche categoria ristretta; non possiamo tracciare una linea netta e dire cosa esse possono e non possono fare: questo è di competenza delle Commissioni su tariffe e conflitti (RKK Расценочно-конфликтная комиссия) e quest’altro delle Conferenze di produzione.7
Di Commissioni su tariffe e conflitti, cari compagni, ce ne occuperemo nella prossima puntata.