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sinistra

Pianificabilità, pianificazione, piano

di Ivan Mikhajlovič Syroežin

II parte – Pianificazione

Capitolo 4. L’autoregolamentazione nei sistemi economici (parte I)

2.cap4 1Introduzione di Paolo Selmi

Cari compagni,

non potevo non iniziare questa seconda parte di lavoro con la foto di questo nonnino, dall’aria simpatica, ritratto con la sia nipotina. Il suo nome non dirà nulla a nessuno ma, siccome proprio nessuno non fu, è il caso che cominci a dire qualcosa a qualcuno, specialmente a chi come noi è ormai da un anno in parete e, moschettone dopo moschettone, sta puntando alla stessa cima da lui scalata più e più volte.

Si chiamava Nikolaj Konstantinovič Bajbakov (7 marzo 1911, Sabunçu, Impero Russo, attuale Azerbaigian, 31 marzo 2008, Mosca), uno che dal 1963 poteva permettersi di girare con, appuntata sulla giacca, una delle massime onorificenze dell’URSS, il premio Lenin (Лeнинская прeмия) e, dal 1981, la massima onorificenza sovietica in assoluto: Eroe del lavoro socialista (Герой Социалистического Труда), al netto di tutte le altre onorificenze conferitegli nella sua lunga vita.

La foto che segue lo ritrae nel lontano 26 giugno 1972, sul posto di lavoro. È il secondo da sinistra attorniato, oltre che dall’interprete e dalle immancabili alte cariche, anche da un ospite straniero che non ha bisogno di presentazioni.

Ebbene si: quel giorno Fidel Alejandro Castro Ruiz (1926-2016) stava visitando il Centro principale di calcolo del Gosplan dell’URSS (Главный вычислительный центр Госплана СССР1) e, a fianco, aveva il Presidente del Gosplan stesso, vicepresidente del Consiglio dei ministri dell’URSS, Nikolaj Bajbakov. Di quell’incontro è lo stesso Bajbakov, nelle sue memorie, a fornirci dettagli concreti, come la sua raccomandazione a Fidel, per esempio, di non puntare sulla monocoltura o di differenziare i salari operai in base al merito. È un libro prezioso, come tutte le autobiografie di personaggi di un certo spessore, scritto nel 1998, negli anni più neri della neonata Federazione Russa2.

2.cap4 2

È prezioso perché ci permette di fare un viaggio, con la nostra macchina del tempo, contattarlo, in quella Russia fatta a pezzi dagli oligarchi, con il 40% della popolazione ampiamente sotto la soglia di povertà, e chiedergli appuntamento a un tavolino di qualche vecchio caffè di qualche strada dimenticata di Mosca, per ascoltare quello che a noi apparirebbe lo sfogo di un perfetto sconosciuto ma che, a vent’anni di distanza, forse acquista maggior significato di allora:

I giorni che stiamo vivendo non smettono mai di sorprenderci con i loro imprevisti, i loro passi indietro o, più semplicemente, verso il nulla.

Tutte le nostre peggiori previsioni circa la restaurazione del capitalismo sono divenute, nel giro di tre o quattro anni, ahimè, amara realtà. Tutto questo non può che costringerci a voltarci e a guardare il nostro passato, remoto e neppure tanto remoto, anche se capisco perfettamente che, per dirla con Salvador Dalì, “correre davanti alla Storia è più interessante che scriverla”. Ciò nonostante, non posso fare a meno di cercare risposte, per me fondamentali, affiancando il passato a quanto accade oggi.

Ma noi vivevamo proprio così? A che cosa abbiamo dedicato la nostra vita? A quale causa? Sento, che tutto quello che ho vissuto, è inseparabile dal cammino tortuoso percorso dalla mia generazione, e che tuttavia ha creato una grande potenza, ha sollevato un Paese dalle rovine di due guerre terribili, lo ha difeso dall’invasione più brutale di tutta la storia del genere umano.

Ma allora come è stato possibile, perché è stato distrutto così velocemente, quasi senza lotta, sbranato e ridotto a “brandelli sovrani”? Non aveva forse ragione Stalin, quando dopo la guerra metteva in guardia, parlando di “inasprimento della lotta di classe?”

E resta sempre questa domanda, la più importante: chi eravamo noi? Da dove siamo spuntati fuori? E come siamo diventati costruttori di un grande Paese, noi che eravamo zeloti di un’economia pianificata a proprietà interamente sociale dei mezzi di produzione, economia i cui principi, quelli che ci avevano consentito di andare avanti, anche i Paesi capitalistici più avanzati ci prendevano a prestito in segreto?

Chi eravamo noi? Fanatici, “visionari”, come ci chiamò una volta Orson Wells? Ciechi di fronte alla Storia? Fedeli di un’utopia?

Ma se vivemmo “su utopie”, perché abbiam vissuto per più di settant’anni, costruendo e raggiungendo risultati fenomenali in economia, scienza e cultura?3

Domande semplici che girerei a tanti dirigenti politici, economisti, accademici, intellettuali, qui ed ora, in tanti punti del globo, di un globo che da allora sembra girare sempre più vorticosamente secondo, purtroppo, le stesse regole e nello stesso, suicida, senso unico. Poco prima della conclusione di questo incontro immaginario, lo voglio immaginare mentre estrae alcune pagine di appunti dalla tasca, appunti che saranno pubblicati nel suo libro (nelle prime pagine, peraltro) e in cui ha registrato meticolosamente quello che per molti è ormai lettera morta ma che, per lui, rappresentano il bilancio di una vita e, insieme, di un’esperienza collettiva di centinaia di milioni di vite. Di fronte al montare crescente delle menzogne, Bajbakov sente il bisogno di testimoniare, di parlare del suo lavoro di una vita, di pianificazione, di economia reale, di fatti concreti. Per questo ho idealmente riportato con me queste note ed eccole qui di seguito. Molti dati saranno noti ai più, altri un po’ meno, tutti seguono uno stesso filo conduttore. Mi scuso in anticipo per la lunghezza di questo estratto, che tuttavia nella sua lunghezza ha il dono di sintetizzare fatti inconfutabili e, proprio per questo, ben tenuti sottoterra dagli odierni padroni delle ferriere, qualsiasi sia il loro colore politico:

Vagando nelle loro astrazioni economiche senza capo né coda, i promotori delle “riforme” provano a coprire il loro fallimento con la bugia di aver ricevuto in eredità dallo Stato totalitario un’economia al collasso. Ci fu per davvero stagnazione economica? Io non lo posso concepire in alcun modo, perché non vidi nessuna stagnazione. Vidi sì un rallentamento dei tempi di crescita economica. È naturale che all’inizio, quando si parte da zero, le percentuali di crescita siano elevate: tuttavia, proprio per questo motivo, la crescita reale va misurata in termini quantitativi, non in percentuali.

Il Paese non era assolutamente fermo al palo, ma cresceva, andava avanti, come sarà esaminato qui di seguito.

La vittoria della rivoluzione socialista del Grande Ottobre, la conquista del potere politico da parte della classe operaia unita ai lavoratori agricoli, il passaggio di fabbriche e stabilimenti, banche, trasporti, terre e risorse naturali alla proprietà sociale, posero le fondamenta di un sistema economico socialistico pianificato. Secondo il piano leninista per la costruzione di tali fondamenta, furono poste e quindi esaminate le questioni principali legate a un sistema economico socialistico.

[…] L’URSS fu il primo Paese al mondo a organizzare la propria produzione sociale sulla base di piani prospettici economici riguardanti l’intero Stato.

Nel nostro Paese è venuta accumulandosi l’esperienza più ricca di pianificazione dell’edificazione socialistica. Il popolo sovietico completò e andò oltre i piani di sviluppo economico dell’URSS. Lo studio e la sintesi di settant’anni di esperienza raccolti dal nostro Paese nella sfera dello sviluppo pianificato della produzione sociale acquistano un enorme significato.

La conduzione pianificata dell’economia è il vantaggio più importante della società socialista, e fu impiegato dallo Stato sovietico sin dai primi anni di potere ai lavoratori, nell’interesse di un ininterrotto e rapido incremento del benessere e della cultura del popolo, per l’edificazione del socialismo.

È noto che la pianificazione dell’economia nazionale iniziò con l’elaborazione del piano di elettrificazione del Paese come base per lo sviluppo di tutti i settori dell’economia e, innanzi tutto, dell’industria pesante, fondamento sia per l’economia che per la capacità difensiva nazionali. In pratica, Lenin affidò già nel dicembre 1919 a Gleb Maksimilianovič Kržižanovskij (1872-1959), direttore del dipartimento elettrotecnico del Consiglio Superiore dell’Economia Nazionale (VSNCh), il compito di delineare un piano statale per l’elettrificazione nazionale (GOELRO). Nell’elaborazione del piano di elettrificazione del Paese furono coinvolte tutte le organizzazioni interessate a vario titolo dalla questione.

Il lavoro richiesto di stesura del piano fu completato nell’ottobre 1920. Il 25 dicembre 1921, dopo la valutazione del governo, il piano fu accolto. Nel frattempo, su iniziativa di V. I. Lenin nel febbraio 1921 nacque il Gosplan, con a capo Kržižanovskij.

Con il piano GOELRO si intendeva ripristinare la produzione industriale e incrementarla in 10 anni del doppio rispetto a prima della guerra nel 1913 (quando ancora nel 1920 la produzione industriale era 1/7 del 1913 e quella agricola 2/3). Tale obbiettivo fu raggiunto per l’industria già nel 1926, e anche l’agricoltura aumentò notevolmente la produzione.

I nuovi obbiettivi di grandiose costruzioni e di ancor maggiori trasformazioni, richiedevano un adeguato piano prospettico. Tale programma di lavoro divenne il primo piano quinquennale di sviluppo economico dell’URSS (1928-1932). […] Il compito principale della prima pjatiletka fu di creare in URSS una forte industria pesante, in grado di riorganizzare l’intera economia. [...] Fu una pjatiletka di creazione di nuove aziende agricole, i kolchoz e i sovchoz, fulcro di una nuova organizzazione agricola. […] Furono creati 1500 nuovi complessi industriali e stabilimenti, [...] la produzione nei primi quattro anni e tre mesi era già più che raddoppiata. [...] Il peso specifico dell’industria pesante rispetto all’intera produzione industriale era salito dal 43% del 1927-8 al 70% del 1932.

L’URSS era divenuta una potenza industriale e, il merito organizzativo, va tutto a Ordžonikidze Grigorij Konstantinovič (Sergo 1886-1937), Presidente del VSNCh dal 1930 e, successivamente, Commissario del Popolo (narkom) dell’industria pesante dell’URSS. Fu così che l’industria sovietica divenne base per l’intera economia, a partire dal processo di trasformazione della piccola agricoltura in produzione su vasta scala collettivizzata. Senza il supporto dell’industria, tale passo sarebbe stato impossibile: nel giro di pochi anni furono creati, a supporto dei 210 mila kolchoz e 43 sovchoz appena fondati, circa 25 mila SMT (stazioni di macchine e trattori) per l’usufrutto costante di dotazioni meccanizzate. […] Nel 1932 giravano quasi 145 mila trattori contro i 18 mila del 1928, che consentirono un’estensione delle terre arate di 21 milioni di ettari.

Una delle maggiori conquiste del primo piano quinquennale fu, inoltre, la liquidazione totale della disoccupazione, che consentì di conseguenza un incremento del tenore di vita della popolazione.

Tutto ciò, considerando che il processo non fu scevro di errori e che il piano industriale complessivo (industria leggera e pesante) fu completato solo al 93%, così come anche quello agricolo restò incompleto. Tuttavia, fu in questa pjatiletka che furono gettate le fondamenta dell’economia socialista e che tale, immenso, processo di ristrutturazione, creò i presupposti necessari alla crescita futura.

Solo dal punto di vista educativo e della formazione professionale, l’industrializzazione socialistica del Paese e la collettivizzazione delle terre (nel 1932 era il 78% delle terre arate, che forniva per esempio, l’84% del raccolto di grano) provocarono un ampliamento notevole della base culturale nel Paese e una crescita altrettanto impressionante di quadri operai qualificati e specialisti. Gli studenti iscritti all’istruzione superiore nell’anno scolastico 1932-33 erano il triplo di quelli iscritti nel 1927-28, più che triplicati erano gli studenti di facoltà tecnico-scientifiche, raddoppiati gli studenti elementari.

Diamo ora qualche dato delle pjatiletka successive, elaborate sempre sulla base del GOELRO e, questa volta, anche della prima pjatiletka.

La seconda pjatiletka (1933-37) vide il reddito nazionale aumentare di 2,2 volte, la produzione industriale di 2,6 volte e quella agricola di 2 volte. Il reddito nazionale nel 1937, rispetto al 1913, era aumentato: in URSS di 4,6 volte, in USA di 1,44 volte, in GB di 1,28 volte e in Francia di 1,17 volte.

Il completamento della terza pjatiletka (1937-42) fu interrotto dallo scoppio della guerra. Dopo tre anni e mezzo, tuttavia, la produzione industriale era già arrivata all’85% di obbiettivi completati (di cui 90% nel settore A – industria pesante – e 80% nel settore B – industria leggera). Sempre rispetto al 1913, lo sviluppo dell’economia sovietica nel 1940 poteva vantare questi numeri: 5,3 volte il reddito nazionale; 7,7 volte la produzione industriale, fra cui 30 volte l’industria dei macchinari, 24 volte l’elettrotecnica e 169 volte quella chimica; 14 volte la produzione agricola e 3,9 volte lo scambio di merci. [...]

La quarta pjatiletka (1946-1950) vide il tasso di crescita annuale del reddito nazionale con queste percentuali: +20% dal 1946 al 1945, +22% dal 1947 al 1946, +24% dal 1948 al 1947, +20% dal 1949 al 1948, +23% dal 1950 al 1949. Il piano industriale per il quinquennio fu completato in quattro anni e tre mesi e, nel 1950, il reddito nazionale era aumentato del 64% rispetto al 1940, contro le previsioni del piano che si attestavano su un +38%.

Alla fine della quinta pjatiletka (1951-55), il reddito nazionale era ulteriormente aumentato, rispetto al 1940, del 71%; in soli cinque anni, il prodotto lordo era cresciuto dell’85%, contro le già ambiziose aspettative di piano che prevedevano un 70% di aumento. Allo stesso modo, il piano prevedeva un incremento salariale del 36% e, di fatto, aumentò del 39%, con i soli salari contadini che crescevano del 50%, e una produttività del lavoro che segnava un +44%.

Parimenti la sesta pjatiletka (1956-60) vide un piano completato con un +54% del reddito nazionale, un +64% di produzione industriale e un +38% di produttività del lavoro.

Negli ultimi due anni della sesta (1959-60) e per tutta la settima pjatiletka (1961-65), il reddito nazionale crebbe rispetto al 1955 di 2,1 volte, 30 volte considerando la prima pjatiletka (1928-32).

Questi sono i numeri dell’ottava pjatiletka (1966-70): +41% del reddito nazionale, +50% di produzione industriale, +21% di produzione agricola e +43% di investimenti. I salari aumentarono del 26% e lo scambio commerciale del 48%.

Nella nona pjatiletka (1971-75) il reddito nazionale crebbe del 28%, la produzione industriale del 43%, quella agricola del 13%. Gli investimenti aumentarono del 40% e i redditi reali della popolazione del 24%, con un aumento di produttività del lavoro del 25%.

La decima pjatiletka (1976-80) vide una crescita del reddito nazionale del 21%, della produzione industriale del 24%, di quella agricola del 9%, con un ulteriore incremento degli investimenti del 21% e della produttività del lavoro del 18%.

L’undicesima pjatiletka (1981-85) conobbe questi risultati: +16,5% di reddito nazionale, +20% di produzione industriale, +11% di produzione agricola, +16% di produttività del lavoro e +17% di investimenti.

Durante la mia attività lavorativa al Gosplan, dal 1965 al 1985, le dimensioni dello sviluppo economico sovietico furono le seguenti: reddito nazionale aumentato di 3,8 volte, produzione industriale di 4,3 volte, produzione agricola di 1,8 volte, investimenti di 4,1 volte, fondi produttivi di base di 6,8 volte, redditi reali di 2,6 volte, commercio estero di 4,7 volte e, prodotti di consumo, di quasi 3 volte.

Dal 1961 al 1990, il ritmo medio di crescita annuale dell’economia (in percentuale) fu il seguente:

 

1961-65

1966-70

1971-75

1976-80

1981-85

1986-90

Reddito nazionale

6,5

7,8

5,7

4,3

3,6

2,4

Industria

8,6

8,5

7,4

4,4

3,7

2,5

Agricoltura

2,3

3,8

2,3

1,7

1,4

1,9

Investimenti

5,4

7,3

6,7

3,7

3,7

6,1

 

Per certe forze politiche, questa è “stagnazione”. Questo termine divenne la loro cortina fumogena ideologica. Stampa, radio e televisione lo declinarono in tutte le salse, colpendo e denigrando alcuni casi particolari di inefficienza. Penso che anche l’undicesima pjatiletka (1981-1985), che queste forze definirono la più “stagnante”, non si possa definire tale. Anche se il ritmo di crescita del reddito nazionale diminuì, tuttavia restò in linea con quello della maggior parte dei Paesi cosiddetti sviluppati.

Per quanto riguarda la dodicesima pjatiletka (1986-90), quella “gorbacioviana”, e quanto ne seguì, altro che “stagnazione”, occorrerebbe parlare inizio già di quella che fu la distruzione della nostra economia nazionale. Il danno maggiore fu causato dal collasso progressivo dell’URSS, che condusse alla graduale rottura di tutte le relazioni intersettoriali fino ad allora regolate dal piano, alla violazione del principio di ripartizione del reddito secondo il lavoro prestato, alla crescita dell’economia illegale e alla corruzione. Subito dopo il crollo, i primi problemi a esplodere furono quelli del cibo e della casa, e a discendere tutti i problemi sociali.

A testimonianza di quanto affermato, ci furono i cinque anni di continuazione della perestrojka (lett. “ristrutturazione”, N.d.T.) dal 1990 al 1994. In tale periodo il PIL crollò del 47,2% (paragonando i dati del 1994 con quelli del 1990), la produzione industriale del 50%, quella agricola del 24%, e gli investimenti del 67%. Una caduta così rapida della produzione non c’è mai stata storicamente da nessuna parte del mondo! Persino in tempo di guerra il crollo della nostra economia dal 1940 al 1945 era stato del 40%4.

Nel chiudere questo estratto, che in questa traduzione consegno alla lettura forse dei primi non russofoni, mi accorgo sempre più del filo conduttore che lega la nostra impresa, approdata alla sua seconda fase, alla ricerca di una verità storica scomoda. Bajbakov, come abbiamo visto, non è l’ultimo arrivato, ha lavorato per quarant’anni da una posizione che gli permetteva di osservare da una visuale molto privilegiata. Nelle sue stesse memorie non nasconde i problemi riscontrati, come la negligenza di molti quadri a partire dalla seconda metà degli anni Settanta circa il mancato completamento degli obbiettivi di piano e la rinuncia, colpevolmente tout court e, altrettanto colpevolmente, lasciata impunita, a trovare soluzioni immediate e nel medio e lungo periodo. Non è uno stalinista ma, come icasticamente nota, sotto baffone le teste cadevano per molto meno e certi atteggiamenti, che lui giustamente trovava inconcepibili, non sarebbero stati tollerati.

La sua testa, peraltro, e per fortuna solo metaforicamente, cadde per un certo periodo. Essendo, infatti, stato per tutta la sua vita professionale uno dei massimi esperti dell’industria degli idrocarburi, attività che continuò per lo Stato russo anche dopo il crollo dell’URSS, la sua figura non è soltanto riconducibile a un’economia teorica, a massimi sistemi mai realizzati, ma alla sua esperienza viva come narkom (Commissario del Popolo dell’industria petrolifera dell’URSS, нарком нефтяной промышленности СССР) dal 1944, e prima ancora come vicecommissario dal 1940, molto prima quindi di essere assegnato al Gosplan. Quanto quindi da lui riportato, il suo bilancio positivo, è quindi doppiamente attendibile, sia da un punto di vista teorico, che pratico: è orgoglioso del lavoro svolto, è orgoglioso di quanto ha visto e vissuto, opponendo alle menzogne di chi se ne è servito per smantellare, anziché ristrutturare, per distruggere, anziché ricostruire, i fatti che il suo lavoro gli consentiva di toccare con mano, ogni giorno.

Questo ci riporta, a bomba, a Syroežin e alla sua ricerca. Una conclusione a cui egli perviene, per esempio, ovvero la necessità di passare da un criterio quantitativo a uno strutturale, è perfettamente in linea con le questioni che Bajbakov solleva nel suo libro. Potremmo quasi parlare, in questo senso, di un passaggio ideale di testimone: un passaggio mai avvenuto, peraltro, visto che i dirigenti di allora si mossero in tutt’altra direzione, ricreando condizioni fino ad allora inesistenti per l’appropriazione e l’accumulazione privata del capitale e sfruttando le loro posizioni di forza per spartirsi quell’immenso forziere appena aperto, fino a scarnificarlo, svenderlo, ridurlo all’osso.

Torniamo a questo passaggio ideale di testimone. Bajbakov, a scanso di equivoci proprio in apertura, ribadisce che è normale, parlando di crescita da zero, che all’inizio le percentuali siano altissime e poi vadano rallentando, al punto che la percentuale come strumento dovrebbe poi essere accompagnata da dati quantitativi in grado di meglio descrivere il movimento reale dell’economia5. In altre parole è inutile, in un’economia sviluppata, cercare di ripetere a ogni scadenza gli stessi risultati percentuali degli anni del quinquennio precedente, se la tendenza resta comunque di crescita. Proprio a questo punto interviene Syroezin e concentra la sua ricerca. Premesso questo occorre, infatti, concentrarsi sulla composizione organica dell’immensa massa di ricchezza prodotta, oltre che sulla struttura del sistema economico stesso, sfruttando i due grandi vantaggi del socialismo, ovvero la proprietà sociale dei mezzi di produzione e la piena pianificabilità economica, per affinare la comunicazione fra i vari settori, le dimensioni degli stessi, l’eliminazione dei doppioni organizzativi e degli sprechi, liberando così nuove risorse materiali, immateriali ed energetiche, da dirigere essenzialmente nella soddisfazione dei crescenti bisogni della popolazione e nella creazione o modifica delle strutture esistenti in modo che siano sempre più rispondenti agli stessi, in un continuo, sempre più intenso e proficuo, dialogo tra le parti.

È esattamente questo, ciò che Syroežin ci dà a intendere a inizio capitolo come quando, prima di partire dal campo base, il capo spedizione fa la riunione introduttiva in cui spiega come andrà la giornata. Il passo tratto dal Capitale è, a questo proposito, particolarmente calzante. Lo schematizzo perché non si perda il procedimento logico che conduce al passaggio chiave, fondamentale per l’intera sezione che stiamo andando a leggere:

  • SE per ogni singola merce il valore d’uso dipende

      • dalla condizione che tale merce in sé e per sé soddisfi un bisogno,

  • ALLORA per la massa sociale dei prodotti il valore d’uso dipende

      • dal fatto che tale massa sia adeguata al bisogno sociale quantitativamente determinato di ogni particolare tipo di prodotto

        quindi ↓

      • dal fatto che il lavoro sia diviso tra le diverse sfere di produzione proporzionalmente, in rapporto a questi bisogni sociali, che sono quantitativamente circoscritti.

Abbiamo già, in pratica, tracciato l’ambito di funzionamento, il campo di esistenza, della pianificazione (планирование), l’attività oggetto di questa seconda parte del lavoro di Syroežin. È nelle transizioni complesse dall’astrazione alla viva prassi, che la pianificabilità si trasforma nella pratica reale della pianificazione, recita una citazione ripresa in questa fase dall’Autore. L’Architetto si incontra con il Capocantiere, si potrebbe dire mutatis mutandis. Il nostro capocordata spende diversi paragrafi per rendere l’idea, proprio perché è fondamentale, da parte nostra, capire come tutti gli allenamenti di arrampicata in palestra poi si debbano scontrare con la parete vera, in quella vera giornata, e con tutti i fattori esterni (meteo) e interni (psicofisici) del momento. Nella prima è tutto perfetto, ripetibile, nella seconda ogni lasciata è persa. Appare quindi evidente come l’Autore, nel commentare come leggi economiche fino ad allora considerate “statiche” e “immutabili” debbano essere rilette sia alla luce dei mutamenti esterni, sia di quelli relativi al loro stesso contenuto, cerchi di distaccarsi da un accademismo sterile, da un idealismo “duro e puro” buono per recitare litanie a mattina e sera ma assolutamente inadeguato a leggere l’esistente; d’altro canto, tale distacco non comporta assolutamente alcuna concessione o svendita, a un “mercato” che fa rima con “capitalismo” per esempio, ma la necessità di un affinamento della tecnica di analisi sociale, in particolar modo delle dinamiche socioeconomiche fra i vari elementi coinvolti e ai vari tipi di risultati a cui esse possono condurre: processi che, chiunque si occupi di trasformazioni strutturali, deve tenere nel dovuto conto.

L’Autore quindi procede con una serie di definizioni preliminari, utili a delineare il campo di esistenza di questa sezione di studio e a individuare i vari gradi di differenza qualitativa intercorrenti nel processo di trasformazione economica. Inizia quindi esaminando le dinamiche interne al sistema considerato.

Il primo livello, quello – si potrebbe dire – a costo zero, è quello del funzionamento (функционирование) regolare del sistema considerato. Avvengono cambiamenti, certo, si modifica l’assortimento di prodotti di una confezione tessile, per esempio, ma non cambiano né macchinari, né quantità di lavoro vivo o manodopera impiegata, tutto si regola azionando leve economiche già esistenti che attivano o disattivano flussi di risorse sempre uguali a loro stessi nel tempo.

Il secondo livello comporta invece il ricorso a investimenti: è lo sviluppo (развитие) del sistema, reso necessario da modifiche sostanziali, in parte o totalmente strutturali, al sistema di gestione e trasformazione del flusso di risorse nel prodotto finale.

L’Autore cambia ora punto di vista e considera i processi di trasformazione strutturale dell’apparato economico in rapporto agli stimoli provenienti dall’esterno. Il comportamento (поведение) del sistema riflette quindi la sua capacità di risposta agli stessi. Come può essere questa risposta?

Passiva, anzi tutto. Il sistema è incapace di reagire. Buon per esso che non accada mai nulla da fuori, anche minimo, perché gli sconvolgerebbe la vita, come spesso accade nella realtà a certe persone. Oppure adattativa, con una risposta limitata soltanto al primo livello sopra citato: cambio, ricombino, ciò che ho a disposizione e cerco di rispondere così agli stimoli esterni. Oppure omeostatica, ovvero in grado di autorigenerarsi su sollecitazione esterna: modifico strutturalmente, riconverto, ristrutturo, entro decisamente nel secondo livello di intervento sopra descritto: qui il Nostro distingue due livelli: quello di sopravvivenza, dove il cambiamento è limitato a tale finalizzazione e, pertanto, mantiene un sistema sostanzialmente fermo, ma equilibrato; e quello che fissa il punto di equilibrio omeostatico esasperando un parametro, come nel caso del capitalismo e del parametro “profitto”, spostando quindi il baricentro del sistema su un piano sempre più inclinato che porterà a un comportamento instabile, acentrato, asimmetrico. Infine, abbiamo la risposta di grado più evoluto, quella autoregolatoria. Riprendo il testo, già schematizzato, di questo passaggio importante per illustrare in cosa consiste. In sostanza il sistema

  • fissa una rappresentazione «ideale», circa le condizioni dei prodotti in uscita, che costituisce l’obbiettivo,

  • per il cui raggiungimento crea un modello di ricostruzione delle proprie funzioni; tuttavia, si tratta di un modello per la cui attuazione

  • al sistema mancano le condizioni materiali, con

  • le cause di tale mancanza da ricercarsi non nel sistema, ma al di fuori di esso, nell’ambiente. Nel tendere a questo «ideale»,

  • il sistema deve quindi partire da un’analisi lucida sia delle dinamiche ambientali, che dei limiti oggettivi alla propria capacità di trasformazione dei prodotti in uscita.

  • agire concreta su tali cause per trasformarle infine nella direzione pianificata.

Ovviamente, il fatto che il sistema risulti armonizzato, equilibrato, centrato, nel processo di produzione e riproduzione allargata della merce, dipende dalla bontà del decisore. Nulla vieta, in teoria, di fare disastri: addirittura, se non esistono i dovuti anticorpi costituzionali e un rigido meccanismo di revisione degli stessi, i disastri possono non solo coinvolgere il risultato contingente, ma l’architettura stessa del sistema, la sua stessa struttura istituzionale, economica, sociale. Chi ha vissuto sotto Gorbacëv ne sa qualcosa. La differenza sostanziale con il capitalismo, come sottolinea acutamente l’Autore, è nel fatto che quest’ultimo non può fare altro che svilupparsi in modo sbilanciato proprio perché, nel caso della omeostasi capitalistica, se non c’è profitto, non si muove foglia.

Questo è un dato da tenere bene a mente: si possono fare interventi chirurgici sbagliati pur avendo gli strumenti giusti, per incompetenza di chi opera o dell’equipe che lo attornia, o perché non si rispettano le metodologie operative, e via discorrendo; tuttavia, non si può neppure pretendere che un intervento al cuore riesca con una botta in testa e un coltello da cucina. La differenza strutturale, espressione del diverso grado di evoluzione nella divisione del lavoro e della produzione sociale, tra socialismo e capitalismo è proprio di quest’ordine.

Quella che segue, è una tabella riassuntiva di quanto esposto finora:

Dinamiche di regolazione del sistema economico interne

funzionamento (функционирование: sistema invariato a livello funzionale, non ricostruisce la propria struttura)

sviluppo (развитие: ristrutturazione funzionale che incide sia in termini di capitale fisso che di capitale variabile)

Dinamiche di regolazione del sistema economico esterne

comportamento (поведение: rapporto del sistema con l’ambiente circostante) dal più semplice e passivo al più complesso e attivo

grado

definizione

descrizione

0

rigetto (реакция)

il sistema non reagisce alla sollecitazione

1

adattamento (адаптация)

il sistema reagisce ma modifica risorse già a disposizione (no mutamenti strutt.)

2

omeostasi (гомеостазис)

il sistema reagisce ed è in grado di modificarsi strutturalmente (capitale fisso+variabile) fino a raggiungere un nuovo punto di equilibrio, che può essere

2a) la sopravvivenza (richiesto a tutti i componenti pari impegno e coinvolgimento - sistema stabile, centrato)

2b) la valorizzazione estrema di un parametro (per es. il profitto, come nel caso del capitalismo – sistema instabile, acentrato)

3

autoregolazione (самонастройка)

Il raggiungimento del punto di equilibrio con l’ambiente è ottenuto non portando all’estremo un qualsiasi parametro relativo a processi già operativi nel sistema, ma creando un «oggetto ideale» (идеальный объект), un modello o campione che, una volta posto a paragone, determina l’intero processo di autoorganizzazione.

Riprendo quanto accennato poco sopra. I due tipi di omeostasi individuati e l’autoregolazione rappresentano le diverse concezioni di sviluppo economico storicamente determinate:

  • si parte dalla più semplice, dove la riproduzione allargata è modificata sì tramite adattamento strutturale dell’apparato produttivo, di fronte alle sollecitazioni esterne, ma con misure attente, di breve termine e incisive quanto basta, si direbbe in cucina, per garantire la sopravvivenza del sistema;

  • si prosegue con il modo capitalistico di produzione, dove il benessere sociale per tutto il popolo non è più un obbiettivo, neppure dichiarato (a maggior ragione dopo la fine dell’URSS), dove basta una parvenza di opportunità per tutti, per alimentare il consenso sociale e riversare a cascata le “colpe” di povertà, insuccesso, emarginazione nell’eterna guerra tra poveri che accompagna l’odierna barbarie, per far rotolare la pallina dello sviluppo su un piano pericolosamente inclinato: quello del profitto, eretto – senza più alcuna falsa retorica – a unico motore dello sviluppo, non importa a prezzo di cosa o a scapito di chi;

  • si conclude, infine, con quella che il nostro capocordata chiama samonastrojka, “autoregolazione”, ovvero la capacità di costruire un modello ideale di società che funga da campione, sulla cui base e dal cui confronto sia possibile rimodulare, ricostruire, ristrutturare, pezzo per pezzo, dettaglio per dettaglio, l’intero sistema di funzioni economiche; questo nuovo modo di intendere lo sviluppo non è possibile altrove, se non nel socialismo. Aggiunge, infatti, a scanso di equivoci:

La capacità di di ideare modelli, campioni in grado di rappresentare l’intero sistema, e non una sua parte, è irrealizzabile in economie che si poggino sulla proprietà privata dei mezzi di produzione. Infatti, perché si possa verificare l’autoregolazione, sono assolutamente necessarie universalità e unità fra tutti gli interessi socio-economici attivi nel sistema. Tali caratteristiche sono rese possibili, come condizione necessaria (необходимое условие), dalla socializzazione della proprietà dei mezzi di produzione e, come condizione sufficiente (достаточное условие), dalla costituzione di un apparato che trasformi la pianificabilità in pianificazione.

È un passaggio cruciale questo, simile, nel nostro parallelo alpinistico, a quando il capo cordata – fino a non poco tempo fa – fissava la corda a un punto di ancoraggio e arrischiava quella manovra, detta “pendolo”, in cui cominciava a saltare e correre sulla parete avanti e indietro, fino a darsi la spinta finale che gli permetteva di aggrapparsi al successivo punto di ancoraggio, altrimenti irraggiungibile. Ecco, anche noi siamo giunti allo stesso punto: possiamo decidere di continuare a penzolare verso il primo tipo di omeostasi, sostenendo fino all’ultimo, anche con il dovuto orgoglio, certamente, che non vi sarà nessuno lasciato indietro, ma di fatto restando prigionieri dello stesso obbiettivo che ci siamo prefissati, ovvero la sopravvivenza del sistema.

In tal caso il problema che si ripresenterà nuovamente sarà, che a un certo punto, il capitalismo apparirà con una marcia in più: fregandosene altamente del fatto che qualcuno, pochi o molti, restino indietro (giusto quel q.b. in grado di evitare sommosse e stravolgimenti sistemici), fregandosene ancor più altamente di guerre, profughi, carestie, inquinamento globale, surriscaldamento del pianeta, impoverimento della biosfera, e di tutte le sette piaghe d’Egitto messe insieme, la leva del profitto, carota cui fa sempre da corollario l’immancabile bastone, genera indubbiamente quel piano inclinato lungo cui la pallina dello sviluppo accelera, accelera, accelera sempre più, biglia impazzita che travolge tutto sul suo cammino.

Oppure, possiamo decidere di raccogliere le nostre forze e spingere il pendolo sempre più lontano, fino a tentare lo slancio verso quel punto di ancoraggio che nessun capitalismo sarà mai in grado di raggiungere, neppure spremendo fino all’ultimo le risorse umane e materiali di cui disporrà: è il salto che ci propone di fare Syroežin. Il sistema di autoregolazione da lui proposto ha il vantaggio di offrire, da un lato, un miglior coordinamento degli elementi componenti il sistema economico (quindi, migliore ottimizzazione delle risorse e realizzazione dei risultati prefissati, oltre che maggiori risorse per la riproduzione ampliata) e, dall’altro, una finalizzazione del lavoro di pianificazione più consapevole (perché data dalla pianificabilità) e un maggior controllo sul processo di stesura del piano (conformemente al disegno complessivo dato dalla pianificabilità) e attuazione dello stesso (perché realizzato tenendo nel dovuto conto, sin dal principio, le trasformazioni funzionali e sistemiche necessarie a tal scopo, giocando d’anticipo quindi su possibili scompensi e anomalie).

Rispetto alla “programmazione economica” capitalistica, il riferimento ovviamente va oggi ai soli Paesi che ancora la praticano realmente, peraltro con successo, come la RPC, avrebbe il vantaggio di dotare i proclami sugli obbiettivi e le “previsioni” macroeconomiche, di contenuti concreti e di passi tangibili per raggiungere tali obbiettivi, dal macro al micro, dalla proposizione generale al dettaglio attuativo della stessa, lungo un cronoprogramma lastricato non di “buone intenzioni”, secondo l’adagio popolare, da affidare a meccanismi indiretti di regolamentazione economica, ma da obbiettivi concreti, da realizzare attivamente, tramite meccanismi diretti, la cui bontà ed efficacia sia da verificare altrettanto concretamente, puntualmente, costantemente. Rispetto alla pianificazione tradizionale, l’autoregolamentazione avrebbe invece il vantaggio di una visione più ampia, non limitata a modulazioni quantitative di articoli da produrre secondo la stessa logica, ma in grado di inserire il pur necessario dato quantitativo all’interno di un progetto, di un’idea di società, di cittadinanza e di forma merce, entro cui sia sempre possibile, auspicabile e doverosa laddove necessaria, un’attiva ricostruzione sia funzionale che sistemica (активная реконструкция функции и системы) sempre al passo con sempre in qualche modo nuove, e diverse, sfide esterne, ovvero provenienti dall’ambiente circostante. Anche in questo caso, la parola “ristrutturazione aziendale”, che evoca nel capitalismo la certezza di cassa integrazione e altri ammortizzatori sociali, anticamera di tagli e chiusure, in un sistema come quello socialistico garantirebbe non solo salari, occupazione e dignità del lavoro e del lavoratore, ma l’armonizzazione dell’attuazione di tale segmento di piano economico con il piano economico complessivo stesso e il salto qualitativo dal punto di vista di benessere e progresso sociale cui esso sottende.

Come sul pendolo c’è lo scalatore allo stessa maniera, in un modo socialistico di produzione così configurato, c’è il decisore economico. Ecco quindi che Syroežin pone l’accento su un dettaglio del tutto poco considerato dalla letteratura economica coeva: il ruolo del fattore soggettivo (роль субъективного фактора). Scrive infatti come esso sia decisivo per:

  • l’
individuazione e il rispetto consapevole dei limiti di autoorganizzazione di un dato sistema, così come imposti dai processi di autoorganizzazione che avvengono nell’ambiente entro cui si colloca;

  • l’individuazione delle condizioni entro cui costruire il modello «ideale» di uscite, «a fianco» (в сторону) delle quali occorrerà poi rimodellare le funzioni di sistema.

Occorre, in breve, valutare correttamente il campo di azione e, al suo interno, valutare altrettanto correttamente i connotati del modello funzionale di riferimento. Non è cosa da poco, non è cosa – soprattutto – “automatica”: da qui, l’importanza del fattore umano.

Tuttavia, chi decide cosa? Domanda cruciale. Risposta, apparentemente, semplice: il decisore esiste già ed è il direttore del segmento produttivo o di servizi affidatogli. All’interno di tale configurazione, sorgono però due ordini di problema:

1) Se il direttore dell’intero sistema e quello del singolo ingranaggio hanno eguale potere, ovvero eguale libertà di scelta, come garantire l’intero processo ed evitare conflitti di interessi, disarmonie, anarchia produttiva? La risposta è abbastanza semplice: occorre instaurare una gerarchia di poteri, un organigramma, ben definiti. È quanto afferma Syroežin:

Ciò comporta una necessaria divisione di compiti fra i direttori di ciascuna sezione e livello, affinché la concessione del diritto alla determinazione di meccanismi di regolazione degli interessi economici sia a beneficio di quei direttori, la cui attività economica sia collegata alla gestione di risorse fondamentali, cruciali per il ciclo economico stesso di quel dato sistema, in grado quindi di interessare a cascata tutti gli elementi coinvolti.

Di fatto, così facendo si ottengono due piccioni con una fava: da un lato si crea un sistema di libertà di scelte economiche strettamente legato al sistema di responsabilità economiche e, dall’altro, si toglie ogni scusante all’arbitrio non dichiarato, ma de facto già allora esistente con cui ogni direttore, dal macro al micro, fino ad allora usava la propria discrezionalità per “accomodare” eventuali carenze di piano e, al contempo, “accomodare” i propri interessi di bottega. Un grande passo sul piano sia dell’organizzazione economica, che della maturità di tale configurazione.

I rappresentanti del popolo accederanno alla loro carica, investiti della massima fiducia e di poteri illimitati per l’esecuzione del mandato loro conferito. Dovranno dimostrare di avere carattere; dovranno tenere sempre presente che un grande potere comporta inscindibilmente una grande responsabilità. Sarà alle loro energie, al loro coraggio e, soprattutto, alla loro prudenza, che essi dovranno il loro successo e la loro gloria6.

Questo passo, tratto dagli Atti parlamentari della neonata Repubblica di Francia (1793) e non, come potrebbe sembrare, da una riduzione cinematografica di un fumetto di supereroi, ben ci mostra come certe costanti, a distanza di secoli, ricorrano all’interno dei processi rivoluzionari. Purtroppo, dalla Rivoluzione francese a quella d’Ottobre, a ripetersi non furono solo queste costanti.

Chi controlla, infatti, che al “grande potere” affidato a un singolo o a un direttivo corrisponda effettivamente una altrettanto “grande responsabilità”? Come impedire, per esempio, che un Gorbacëv di turno venga al potere e poi cominci a smantellare tutto? Chi controlla il controllore? Qui, forse, una piccola lezione potremmo essere noi a darla. Il ventennio fascista qualcosa aveva insegnato ai nostri padri costituenti, che con quelli che divennero gli articoli 138 e 139 della nostra Costituzione, la salvarono e ci salvarono più volte da colpi di mano autoritaristici, non ultimo quello del “ducetto di Rignano sull’Arno”. Inoltre, i quattro articoli precedenti, componenti le Garanzie costituzionali, proteggono anch’essi l’impianto strutturale complessivo da leggi e personaggi troppo fuori dalle righe, potenzialmente destabilizzanti. Con un sistema rigoroso di controllo costituzionale e di rigida revisione della stessa, non sarebbero state possibili – in quanto incostituzionali – leggi come quella del 19 novembre 1986 “Sull’attività lavorativa individuale” (закон об индивидуальной трудовой деятельности), che ripristinava le imprese individuali (aprendo la strada alla prima vera differenziazione di reddito fondata sulla deregolamentazione esemplificata, qualche anno più tardi nella Cuba di un inasprito bloqueo, dal paradosso del tassista che guadagna più del medico) piuttosto che quella, ancor più grave, “Sull’impresa statale” del 30 giugno 1987 (закон о государственном предприятии), che consentiva bilanci, politiche dei prezzi, “autonomia gestionale” alle imprese (che, ipocritamente, del tutto ipocritamente, si volevano ancora legate a un cosiddetto “piano”, e i cui conseguenti caos e anarchia produttiva, segnarono l’inizio della fine del Paese dei Soviet). Col senno di poi… mi fermo qui, anche perché se il 4 dicembre 2016 salvammo la Costituzione, non fu certo per merito nostro, ma di chi, settant’anni fa, seppe prevedere che a salvare l’impianto realmente democratico da loro appena costruito, non sarebbe bastata l’onestà, la tensione morale, la trasparenza, la dedizione alla causa di milioni di donne e uomini lungo le generazioni di cittadini a seguire, ma occorrevano garanzie più solide, a prova di colpo di mano, di spallata, di “picconatori” (qualcuno se lo ricorda ancora?) e di “rottamatori”.

Torniamo a Syroežin. Il diagramma di flusso che segue, elaborato da lui stesso, mostra da vicino i meccanismi di autoregolazione e i rapporti che intercorrono fra i vari elementi in essa coinvolti entro un singolo centro decisionale in un altrettanto singolo arco di tempo:

2.cap4 3rid

Partiamo dalle trasformazioni che, come è facile notare, così come nella realtà quotidiana rappresentano l’aspetto più lampante, direi con un parolone sineddotico, nel senso che qualificano in generale qualsiasi processo lavorativo (Cosa fa il tuo papà? Fa scarpe, bottoni, auto, cucina, guida il camion, ecc.), in questo schema (in fondo a sx) rappresentano una parte minoritaria del processo di autoregolazione. Abbiamo, rappresentate in due colori proprio a significare lo stato di partenza diverso da quello finale, tre trasformazioni rispettivamente di natura fisica, economica, organizzativo-gestionale:

1. I diversi materiali DIVENTANO prodotto;

2. Il tempo di lavoro impiegato DIVENTA valore;

3. La libertà di scelta, a ogni livello del ciclo lavorativo, DIVENTA la varietà di risultati ottenuti nel corso del processo lavorativo.

Processo che, lo ricordiamo, è quello di FORNITURA (поставка). In un sistema semplice, questo sarebbe il fulcro dell’intero processo riproduttivo di una data merce o di un servizio: Entrate (Входы) → Decisioni (Решения, che coinvolgono responsabilità economica (экономическая ответсвенность, in relazione all’impiego delle risorse - ресурсы a disposizione) e interesse economico (экономический интерес in relazione, nel socialismo, unicamente ai benefit dati dai premi di produzione per completamento del piano e ad altri incentivi ottenibili tramite comportamenti virtuosi, non certo dall’accumulazione di capitale) → Trasformazioni (Преобразования) → Uscite (Выходы).

In un sistema complesso, quale quello di autoregolazione, le cose cambiano, proprio per quella “attiva ricostruzione delle funzioni economiche e del sistema del suo complesso” (активная реконструкция функции и системы) cui facevamo cenno qualche pagina addietro. Ritorniamo al diagramma di flusso, nel corso dell’arco di tempo Δt1, e consideriamo la parte relativa alla RICOSTRUZIONE (реконструкция). Salta subito all’occhio la fitta rete di passaggi e processi, entro cui proveremo ora a districarci. In realtà, sono tutti connessi fra loro tramite legami di causalità e correlazione. Ricostruzione (реконструкция) della funzione → Sviluppo (развитиe) del sistema, una volta ottenuto il quale → Scelta (выбор) delle modalità di funzionamento → Difesa (защита) delle stesse e, infine → Funzionamento (функционирование).

A cosa portano questi passaggi? Ce lo mostrano quei rettangoli dai contorni spessi:

1. Mutamento (изменение) di complessità (сложность);

2. Mutamento di governabilità (управляемость);

3. Mutamento di connettività del sistema (связность системы);

4. Mutamento di organizzabilità (организованность);

5. Mutamento di interessi economici (хозяйственная занитересованность) di tutti gli elementi del sistema.

Tutti questi mutamenti portano, come si evince sempre dal diagramma, a due conclusioni: a) struttura definita dei risultati in uscita, che diventerà quella dei dati in entrata nel ciclo successivo; b) armonizzazione degli interessi con quelli degli altri centri direzionali, solo dopo la quale il ciclo può dirsi concluso. Qualora dovessero emergere contraddizioni fra quanto deciso all’interno di un centro direzionale e i restanti componenti il sistema, tali contraddizioni dovranno essere necessariamente risolte prima dell’inizio di un nuovo ciclo economico di riproduzione della merce, pena l’inasprirsi di tali contraddizioni e la difficoltà sempre maggiore, col passare del tempo, di dirimerle e risolverle.

Come è possibile notare, pur nella sua schematicità, questo diagramma mette già molta carne al fuoco, sia ponendo alcune questioni importanti, senza girarci intorno, sia dando alle stesse risposte assolutamente non scontate e, oggi, totalmente dimenticate anche dai Paesi se-dicenti socialistici.

Una domanda, a monte, a questo punto vale la pena porre e porsi: cos’è all’origine, in un sistema socialistico, della necessità di autoregolazione? In altre parole, il motivo per cui debba modificare funzioni e struttura sistemica è chiaro, perché sono sottoposto a sollecitazioni; quali sono, tuttavia, questi stimoli, queste sollecitazioni?

Guardando il modo capitalistico di produzione, la risposta è chiara: parafrasando l’antico adagio, “tira più un milione di euro in saccoccia che un carro di buoi”. Il profitto, la sua ricerca, instaurano competizione, stimolando la ricerca scientifica per arrivare primi ad adottare soluzioni innovative sui prodotti e giocare d’anticipo sulla concorrenza in termini di riduzione del prezzo, di maggiore contenuto tecnologico o, quando riesce, di entrambe le cose. Ovviamente, la “ricerca” di cui si parla è quella che propone soluzioni di grande impatto ma, non necessariamente, di lungo respiro: non importa risolvere un problema, ma lucrare sul monopolio della sua soluzione, procrastinata a data da definirsi. Pochi (o tanti) soldi, ma subito. Oltre a ciò, delocalizzazioni per spostare l’inquinamento dove non è un problema (dumping ambientale) e le risorse dove sono più a buon mercato (dumping sociale) sono il triste corollario di processi inversi di crescenti desertificazione sociale e produttiva, precarizzazione del lavoro salariato, polarizzazione socioeconomica fra sempre più sommersi e sempre meno salvati.

Con buona pace di chi ammette e sostiene il contrario, politiche dei due tempi, sempre più improbabili pretattiche, richiami “nepistici”, stati di necessità e via discorrendo, il socialismo è un’altra cosa. I fattori esogeni che impongono un processo di ristrutturazione funzionale e sistemica dell’organon economico sono due: bisogni sociali e progresso scientifico tecnologico (svincolato dal fine meschino del profitto immediato).

Cominciamo dal primo punto. È nella giovane scienza della pianificazione economica, una vera e propria rivoluzione copernicana. Avessi avuto altri segni tipografici per evidenziare questo termine senza fare arlecchinate o caratteri giganti, li avrei usati. È proprio qui che, idealmente, Bajbakov passa il testimone a Syroežin. Il sistema tradizionale, basato sul criterio di sviluppo quantitativo, considerava i bisogni sociali e, pertanto, le persone che li esprimevano, come un oggetto cui fare riferimento in fase di pianificazione. Chiedono più macchine? Mettere in nota per il prossimo quinquennio. Meno modelli di quella vecchia stiratrice? Mettere in nota e liberare la linea per quella nuova. Banalizzo, ma tale meccanismo di retroazione, come è facilmente immaginabile diveniva, con il passare del tempo e lo sviluppo progressivo dei rapporti sociali farraginoso, a volte inefficiente e – indirettamente – apriva falle sistemiche dove eventuali trasgressori potevano insinuarsi senza troppe difficoltà per operare illegalmente a loro vantaggio. Sarebbe poi intervenuta sicuramente, prima o poi, qualche purga, un po’ di Siberia, per ristabilire giustizia, legalità e ordine ma, intanto, il tempo e le risorse perdute rappresentavano uno spreco sempre più inaccettabile.

È da questa situazione che sorge il bisogno di compiere questa rivoluzione copernicana: passare a un nuovo sistema, basato sul criterio di sviluppo strutturale, che consideri i bisogni sociali e, pertanto, le persone che li esprimevano, come un soggetto determinante attivamente la fase di pianificazione. Appare doveroso, a un secolo di distanza dall’inizio di questa epopea, mettere in guardia il giovane lettore dal giungere a più o meno facili conclusioni. Una di queste potrebbe essere: se questa appare la strada meglio percorribile, ciò significa che quanto fatto prima fu sbagliato? La risposta è, al netto di errori che comunque accadono in qualsiasi pratica economica, un gigantesco NO. Le pagine tradotte dalla testimonianza di Bajbakov lo mostrano chiaramente. Anzi, senza alcun dubbio, fa comodo a molti sotterrarle sotto tre metri di terra

- perché fa comodo al grande e medio Capitale sostenere che, al modo capitalistico di produzione, a prescindere da chi lo gestisca, non c’è alternativa, e

- perché fa comodo anche al capitalismo di Stato se-dicente “socialistico”, continuare a sfruttare la riproduzione capitalistica ampliata per foraggiare burocrati, amici e amici degli amici, lasciando le briciole al popolo e, anzi, esaltandole come “progresso” rispetto alla ciotola di riso di ferro del “comunismo da caserma” precedente alla gestione “riformistica”.

Occorre, pertanto, sottrarsi a questo errore prospettico, frutto di un evidente, clamoroso, ma mai abbastanza denunciato, falso storico. Occorre, inoltre, riconoscere pubblicamente che il criterio quantitativo abbia ricoperto, storicamente e socialmente, un ruolo fondamentale negli anni della ricostruzione, concentrandosi sul ripristino delle funzioni economiche fondamentali (settore A) e delle funzioni economiche ausiliarie (settore B). Il grafico che segue, tratto da una serie di diapositive a uso e consumo della gioventù comunista degli anni Sessanta7, mostra chiaramente come ¾ del reddito nazionale netto andassero al soddisfacimento dei bisogni della popolazione, mentre ben ¼ fosse reinvestito per l’ampliamento del ciclo produttivo e riproduttivo della merce. Solo grazie a un sistema socialistico imperniato su questi cardini fu possibile, da un lato, il miracolo economico sovietico e, dall’altro, la diffusione egualitaria di tale ricchezza prodotta.

Tale transizione a un modo di conduzione più evoluto, sempre fermamente all’interno di quel campo di esistenza consolidato frutto di anni, e decenni, di rivoluzione, rappresenta un’ulteriore sfida per il processo di edificazione socialistica di un Paese. L’Autore ne è pienamente consapevole allorché cita un lavoro recente proprio sull’argomento:

La trasformazione dei bisogni dei lavoratori nel principale punto di partenza per la pianificazione, complica seriamente il processo di gestione pianificata dell’economia in riferimento, per esempio, ai periodi dell’industrializzazione o della ricostruzione economica, allorché il discorso verteva essenzialmente sul raggiungimento di questo o quel volume produttivo riferito ai generi merceologici principali, alla creazione o allo sviluppo di nuovi settori, eccetera.

L’obbiettivo di una produzione sotto forma di soddisfacimento dei bisogni è calato nel concreto della storia, ed è pertanto in continuo mutamento. Ogni passo in avanti nello sviluppo della produzione e delle altre sfere della vita sociale cambia l’uomo stesso, influisce sia sull’entità che sulla struttura stessa dei suoi bisogni.

Ecco, quindi, che un piano non può essere determinato da quote fisse, quinquennali, di beni di consumo sempre uguali a loro stesso. La società cambia, quanto è adeguato all’inizio, può già non più risultare tale poco dopo: essere sempre pronti, in ogni momento, a riprogrammare, ridefinire, ricostruire, ristrutturare, in quello che l’Autore chiama “inseguimento” (преследование) di un modello ideale di struttura socioeconomica che – attenzione! - non è mai fisso ma, in virtù dell’influsso dei bisogni sociali, cambia esso stesso in corso d’opera.

Partendo da questo presupposto, Syroežin ipotizza un modello di sviluppo flessibile, dove gli obbiettivi di piano sono calati nel concreto di bisogni individuati non da istituti, non da singoli elementi a esso deputati. Se l’obbiettivo di piano, per esempio, prevede una riproduzione allargata di una certa dimensione, quantificata secondo le unità di misura convenzionali delle grandezze fisiche, oltre che al semplice computo dei pezzi da produrre per ogni articolo presente in nomenclatura, il passo successivo da compiere è quello che siano i cittadini a specificare, esprimendo concretamente i propri bisogni, COME tale produzione debba essere realizzata. Non più chiodi grandi per completare subito l’obbiettivo di piano (misurato in peso), se a servire sono chiodini. Pertanto, la pianificazione deve mantenersi sempre, il più, possibile fedele non tanto a una quota da raggiungere, ma a parametri di benessere sociale e di soddisfacimento di bisogni da rispettare, nella maniera più rigorosa, al fine di mantenere i canali di uscita aperti al massimo numero ottenibile di possibilità, di varianti di piano, e lasciare poi all’interazione regionale, provinciale, zonale, fra esplicitazione del bisogno e fornitura corrispondente, il compito di definire la ricetta finale, il “modello ideale” che, senza influire negativamente sugli altri settori economici, determinerà la ristrutturazione di un determinato microsettore, o intero comparto, al fine di uniformarsi a lui e raggiungere, finalmente, il completamento concreto, fattuale degli obbiettivi di piano.

È quanto il nostro capocordata afferma, allorché parla di “legge di innalzamento dei bisogni”, che poi altro non è che l’allineamento progressivo della struttura dei consumi, in grado di garantire in modo pianificato complessivamente e puntualmente alla popolazione, alla struttura dei suoi bisogni così come gradualmente si configura. Le proporzioni dei bisogni, fondamentali e secondari, le priorità, in base a criteri di tipo demografico, sociologico, statistico e tutti i parametri ottenibili dal coinvolgimento diretto della popolazione in collaborazione con le scienze sociali, risultano in ultima analisi degli elementi stabili, costanti, così che sia possibile concentrarsi efficacemente sull’allineamento delle due strutture come appena accennato.

Il secondo fattore esogeno, in grado di produrre conseguenze sulle funzioni e sulla struttura di sistema è, ci ricorda l’Autore, il progresso scientifico-tecnologico. Qui il ragionamento si fa SOLO APPARENTEMENTE molto più semplice, in quanto anche da noi, in questo mondo globalizzato dal capitalismo del terzo millennio, siamo attualmente attraversati da un nuovo ciclo di trasformazioni industriali, e non solo, indotte dalle recenti scoperte e invenzioni (la cosiddetta Industria 4.0). Se ci si fermasse qui, tuttavia, si compirebbe un grosso errore: dimentichiamo che questo discorso non è calato in un Paese dove esistono diritti d’Autore validi settant’anni, brevetti inaccessibili per dieci o vent’anni, OGM monopolizzati dalle multinazionali, piattaforme “Rousseau” (sic!) con velleità plebiscitarie e di proprietà esclusiva di un’unica persona fisica. Siamo nel Paese dei Soviet e, anche il progresso scientifico-tecnologico (d’ora in avanti PST), segue logiche per noi assolutamente marziane. Cerchiamo di togliere un po’ di polvere anche da qui.

Il PST in un modo socialistico di produzione è fonte:

- di sviluppo (inteso come ricostruzione delle funzioni di sistema)

- di intensificazione (ovvero incremento della resa di una data azione)

- di incremento della bilanciabilità interna a un sistema e, al contempo,

- di indebolimento dei vincoli esterni che bloccano il sistema stesso.

A fornirci una definizione di PST, a questo punto assai diversa da come è oggi intesa in tutto il globo, è lo stesso Syroežin:

Il PST rappresenta un sistema di rapporti (organizzativi, sociali ed economici) all’interno dell’economia socialistica, la cui funzione risiede nell’ampliare la molteplicità di risultati utili in uscita, lasciando invariata la molteplicità delle risorse in ingresso dall’esterno, modificando sistematicamente il rapporto fra queste due molteplicità, delle risorse in ingresso e dei risultati in uscita, in favore della seconda.

Una definizione strumentale di PST, in funzione di un sempre continuo miglioramento strutturale del modo socialistico di produzione e, di converso, del benessere di tutti: più avanti, sempre Syroežin specifica come il compito principale del PST consista nell’eliminare i vincoli alla base delle sproporzioni fra le strutture dei bisogni B e dei risultati R, esplicitando in modo diverso lo stesso concetto.

Ci troviamo qui di fronte a una doppia differenza col PST pri kapitalizme, nel capitalismo, direbbero i russi. La prima è la finalità del suo impiego in economia, come abbiam visto. La seconda è il suo campo di esistenza: come PST cadono TUTTE le innovazioni, non solo quelle delle scienze applicate alla tecnologia materiale. Per esempio, anche l’evoluzione della tecnologia alla base dei meccanismi redistributivi e, più in generale, dei trasferimenti di plusprodotto (прибавочный продукт), di ricchezza sociale, da un settore all’altro dell’economia sociale, fa parte del PST.

Per comprendere la portata di questa affermazione, occorre avere ben presente meccanismi economici di un modo di produzione scomparso da trent’anni. Syroežin scrive a studenti, tecnici, politici del proprio Paese che non avevano alcun problema a seguire il suo ragionamento. Lo stesso, purtroppo (perché vuol dire che stiamo parlando di archeologia, e non di meccanismi attualmente impiegati), NON vale per noi. Per esempio, da dove salta fuori il “reddito netto” (национальный доход)? Che differenza intercorre fra questo e il “prodotto complessivo” (совокупный продукт)?

Non diamo per scontate troppe cose. Questo è un testo analitico, da un lato, e divulgativo, dall’altro. Perché in vetta dobbiamo arrivarci tutti. Quindi, chiedo perdono a chi sa già cos’è un moschettone e a come si fa un nodo da imbragatura ma, giunti a questo punto, si impone l’approfondimento di un tema assolutamente trascurato oggigiorno: la produzione e riproduzione della ricchezza sociale in un sistema a proprietà sociale e a gestione pianificata dei mezzi di produzione. Ovviamente, oltre ai compagni già edotti, anche i capitalisti e “socialisti di mercato”, che per sbaglio si imbattessero in queste pagine, sono pregati di passare oltre.

In sostanza, tutto incominciava dal prodotto interno lordo, ovvero “la massa dei beni materiali prodotti secondo piano nel corso dell’anno8, che potevano essere sia mezzi di produzione (settore A, “industria pesante”), sia beni di consumo (settore B, “industria leggera”), in accordo alle seguenti premesse:

    1. creazione del prodotto lordo (lett. “prodotto complessivo” совокупный продукт);

    2. ripartizione della produzione sociale nei due settori (A e B);

    3. interrelazione fra settore A e settore B, fra i vari comparti di ciascuno di essi e all’interno di ciascun comparto produttivo;

    4. maggior importanza accordata al settore A, giacché senza il settore A non può esistere neppure il settore B;

    5. plusprodotto (прибавочный продукт) come fonte di accumulazione (источник накопления)

    6. accumulazione come unica fonte di riproduzione ampliata.

A proposito di riproduzione ampliata, riprendiamo brevemente le principali differenze fra il modo di produzione socialistico, e quello capitalistico:

Riproduzione ampliata socialistica

Riproduzione ampliata capitalistica

a) si fonda

sulla proprietà sociale dei mezzi di produzione

sulla proprietà privata dei mezzi di produzione

b) nelle condizioni

di consensualità e coordinamento fra forze produttive e rapporti sociali

di contraddizione antagonistica fra forze produttive e rapporti sociali

c) con obbiettivo

soddisfare nella maniera più completa i bisogni crescenti del popolo

garantire il maggior profitto al capitalista

d) possiede

un carattere pianificato

un carattere non pianificato e spontaneo

e) si sviluppa

continuamente

solo nei periodi di ripresa e sviluppo economico, mentre si contrae nei periodi di crisi

e in tutti i settori, ovvero possiede un carattere generale

e in alcuni settori e aziende di determinate dimensioni, mentre altrove la riproduzione ampliata è più soggetta a contrazioni

 

Circa l’ultimo punto, ciò avveniva perché la riproduzione ampliata doveva rispettare sei tipi di proporzioni principali:

1) fra sviluppo industriale e sviluppo agricolo;

2) fra produzione nel settore A e produzione nel settore B

3) fra prodotto lordo e reddito netto

4) fra dotazione di forza lavoro e bisogno della stessa

5) fra produzione e servizi

6) fra accumulazione e consumo.

Torniamo al “prodotto sociale complessivo” (il nostro prodotto lordo): oltre alla forma fisica dei beni prodotti, esso aveva anche una forma valorizzata, data essenzialmente dalla quantità di lavoro sociale contenuta in ciascun prodotto in ciascuna fase della sua lavorazione. Sotto tale forma, il prodotto sociale complessivo si ripartiva in tre categorie (tra parentesi l’equivalente o analogo capitalistico):

1) valore dei mezzi di produzione consumati (spese di capitale fisso)

2) valore creato ex-novo:

a) prodotto dal lavoro necessario (spese di capitale variabile)

b) prodotto dal pluslavoro, o plusprodotto (plusvalore)

Per la copertura delle spese rappresentate dalla I categoria, che NON rientrava nel computo del reddito nazionale (национальный доход), era stato creato appositamente un fondo di ammortamento (фонд возмещения).

La II e la III categoria costituivano invece il reddito nazionale, anch’esso individuabile sia sotto forma fisica (tutti i beni di consumo e quei mezzi di produzione impiegati per accumulazione e per riserva), che sotto forma valorizzata (tutto il valore creato ex novo, al netto degli ammortamenti). L’incremento del reddito nazionale nel socialismo era soggetto a due soli fattori:

    1. aumento di quota di manodopera impiegata (quantità del lavoro, 20-15% di incidenza sull’aumento del reddito nazionale9);

    2. aumento di produttività del lavoro (80-85% di incidenza sull’aumento del reddito nazionale).

A sua volta, il reddito nazionale prodotto si ripartiva in diversi fondi, facenti tutti capo a due categorie fondamentali: fondo di consumo (фонд потребления) e fondo di accumulazione (фонд накопления) secondo il seguente schema:

2.cap4 4

Il fondo di consumo veniva utilizzato in primo luogo per la remunerazione del lavoro degli operai, dei colcosiani e degli impiegati (lavoratori della sfera immateriale), in secondo luogo per soddisfare le esigenze comuni della popolazione: sviluppo dell’istruzione, della sanità pubblica e dei servizi socio-assistenziali, come le pensioni per i disabili, i sussidi alle famiglie numerose e alle madri non sposate, eccetera.

Il fondo sociale di consumo costituiva, invece, quella parte del reddito nazionale destinata ai lavoratori, vere e proprie entrate “invisibili” oltre al salario, sotto forma di beni materiali e culturali gratuiti e sotto forma di premi e bonus. Con questo fondo era assicurata l’assistenza sanitaria e l’istruzione gratuite, il pagamento delle pensioni e dei sussidi ai lavoratori, le rette di soggiorno gratuite o a prezzo di favore nelle stazioni climatiche, le colonie estive per i bimbi, ecc.

Il fondo di accumulazione, su un versante completamente diverso, era destinato all’ampliamento della produzione, allo sviluppo delle infrastrutture, agli investimenti in entrambe le sfere (materiale e immateriale), oltre che alla costituzione di una riserva di sicurezza.

Il reddito nazionale netto aumentava ogni anno in maniera impressionante, come mostra questa tabella10:

Reddito nazionale (1940 =1)

1940

1960

1970

1975

1980

1985

in totale

1

4,4

8,7

11,4

14,1

16,8

pro capite

1

3,9

6,8

8,5

10,1

11,5

Ora è decisamente più chiara la portata dell’affermazione di Syroežin, ovvero che la branca che si occupava della ripartizione e del trasferimento di risorse all’interno dei fondi di consumo e di accumulazione fosse una scienza economica vera e propria, parte integrante del PST, il cui affinamento costituiva una leva potente sia in termini di una maggiore efficacia della gestione, che di immediata, altrettanto maggiore, ricaduta sociale dei benefici ottenuti dalla stessa. Appare ora chiaro, pertanto, il motivo per cui Syroežin spenda paragrafi interi nel suo testo per puntualizzare e sensibilizzare su questo argomento, probabilmente meno appariscente rispetto a una scoperta di laboratorio, ma altrettanto, se non più importante.

Un processo di sensibilizzazione che partiva da lontano: URSS, estate 1985, una colonia estiva da qualche parte in Crimea, azzardo, a giudicare dalla residenza dell’autore della foto che l’ha pubblicata sulla rete11:

2.cap4 5

Il pannello giaceva, è il caso di dirlo, appeso a una finestra, sopravvissuto fra infissi arrugginiti, sterpaglie e calcinacci crollati su piastrelle malferme. Tuttavia, si vede che usavano una buona vernice, allora. Che evidenziava un messaggio forte:

Quanto vale questo “gratis”?

Il valore del tuo buono vacanza nel nostro campeggio dei pionieri12 nell'estate del 1985

Solo nel nostro Paese ogni mattina vai a scuola in un edificio bello e luminoso, così come i tuoi fratellini e sorelline in asili e nidi, e tutto gratis. Ogni anno lo Stato vi regala case e palazzi dei pionieri, sport e teatro. Solo nel nostro Paese la sanità è completamente gratuita.

Tieni caro tutto questo!!!

Metticela tutta!!!

Allo Stato il tuo buono costa 147 rubli

Lo Stato paga:

cibo 42.000 rubli

riparazioni 40.000 rubli

salario collaboratori 25.000 rubli

approvvigionamenti 20.000 rubli

gas, carburante 15.000 rubli

altro 5.000 rubli

totale 147.000 rubli

per una colonia di 1.000 bambini

I tuoi genitori pagano:

10 rubli e 40 copechi

Ogni estate

500 buoni vacanza sono gratis.

Il giovane pioniere era subito sensibilizzato su quanto costava la sua vacanza, che non era frutto né di carità pelosa di qualche munifico Lions di turno, bisognoso di mettere a posto la coscienza, né di privilegio, ma di un modo consapevole di destinare parte delle risorse economiche a lui, così come ai tutti suoi piccoli compagni. Giusto per fornire un ordine di grandezza sui valori, ricordiamo che, nello stesso 1985, il salario medio di un operaio era 301 rubli al mese (3609 all’anno), compreso di premi produzione e bonus, così come quello di un contadino colcosiano era di 222 rubli al mese (2669 all’anno), inclusi premi e bonus13.

Con il 3,46% di un singolo salario operaio e il 4,68% di un singolo salario contadino, un bimbo andava alla colonia estiva (se doveva pagare, altrimenti andava gratis). In entrambi i casi, in TUTTI i casi (senza dover avere un ISEE da fame), i cittadini contribuivano alla retta per il 7,07% al massimo, mentre lo Stato versava il rimanente 92,93%. Infieriamo: lo Stato contribuiva all’80% delle spese procapite sia nei nidi (630 rubli all’anno) che negli asili (530 rubli annui). 240 rubli era la spesa annua per studente del ciclo successivo (nostre elementari e medie), 780 rubli per lo studente delle superiori e 1200 rubli per quello universitario. 12 rubli al giorno per paziente era la spesa sostenuta dallo Stato per una degenza14. Chiunque oggi si trovi a fare i conti con la retta mensile di un nido, di un asilo, di un prescuola, postscuola e mensa, piuttosto che di una degenza ospedaliera di lungo periodo, forse ha idea di cosa sto parlando.

In conclusione appare sempre più evidente che:

1. Syroežin nella sua opera di ricerca non mette assolutamente in discussione la legge fondamentale alla base del modo socialistico di produzione, così come le architravi del sistema di trazione economica dello stesso. Mutare il kriterion impone una ristrutturazione interna, ma con principi del tutto compatibili con l’impostazione data fino ad allora;

2. per passare da un criterio di sviluppo quantitativo a uno strutturale, dai bisogni intesi come oggetto alle cui istanze dare risposta, agli stessi intesi come soggetto protagonista dell’azione economica, occorre raggiungere un grado di sviluppo delle forze produttive, una capacità di azione e reazione agli stimoli esterni, di controllo del singolo processo e di armonizzazione dell’insieme dei processi a esso collegati, non indifferente. Anzi, tale transizione è premessa necessaria perché tale sviluppo continui, in funzione di un AUMENTO NON SOLO QUANTITATIVO, MA ANCHE QUALITATIVO, DELLA RICCHEZZA SOCIALE A DISPOSIZIONE DI TUTTI E A CUI CIASCUNO POTRA’ ATTINGERE SECONDO CAPACITA’ E, SEMPRE PIU’, SECONDO BISOGNO. Le nozze non si fanno con i fichi secchi”, recita un adagio popolare.

L’ultima pagina del paragrafo che conclude questa prima parte di capitolo ha come oggetto una visione più complessiva del PST all’interno del quadro economico. Poco prima Syroežin aveva descritto, in maniera esemplare, perché il PST è così importante: esso, infatti, influisce in maniera significativa su due zone di confine assai delicate, la linea di demarcazione «natura-economia» («природа — хозяйство») e l’altra linea «materia-coscienza» («материя — сознание»).

Pensiamo solo a come la prima possa essere rivoluzionata, per esempio da una scoperta fondamentale di un impiego inedito e innovativo di una risorsa più o meno scarsa all’interno di una funzione o di un ciclo economico dato. La scoperta del motore a scoppio e una geografia economica riscritta sulla dotazione di un liquido puzzolente di colore nerastro, piuttosto che quella dei chip e la conseguente, rimappatura del globo sui giacimenti di terre rare: due esempi della prima linea di confine. Sulla seconda, ormai sono innumerevoli le pubblicazioni scientifiche relative ai mutamenti antropologici, psicologici di massa, provocati da quest’ultima rivoluzione industriale, a livello percettivo, cognitivo, comportamentale, persino fisiologico, e non solo.

Ecco, pensiamo, per un attimo, che tale fenomeno non sia diretto dalla solita multinazionale, con annesso AD di facciata con maglioncino a collo alto e microfonato in teleconferenza mondiale. Usciamo, per un attimo, dalla logica dei santoni e relative “visioni”. Immaginiamo, noi per una volta, un mondo dove il 5G prima di essere osannato come il futuro inevitabile, nonché discrimine fra progresso e arretratezza, sia oggetto di una seria indagine medica sulla sua pericolosità dal punto di vista oncologico, per esempio. Immaginiamo un mondo dove l’induzione di bisogni sociali sia diretta essa stessa a fini sociali, e non di profitto. Pensiamo a quanto bene, sempre dal punto di vista di benessere sociale diffuso e fruibile da chiunque, possa fare questo tipo di PST. In questo, rileggendo oggi questo paragrafo, sta anche il senso dell’analisi di Syroežin. Il quale, conclude il suo discorso ragionando su due argomenti parimenti importanti.

Il primo è il ruolo, da parte del PST, di stimolo esogeno all’autoregolazione del sistema, facilmente riscontrabile andando a tripartire la sfera degli investimenti, cui esso appartiene, in zona iniziale, zona intermedia e zona di destinazione. Le ultime due sono strettamente connesse ai processi produttivi su cui poi andranno a influire direttamente con le loro scoperte, pertanto il PST non agisce in quei casi in maniera esogena, ma del tutto interna, organica, al sistema. Resta solo la zona iniziale, in quelle due linee di confine di cui parlavamo prima (Syroežin fa l’esempio del limite fra natura ed economia, ma lo stesso discorso vale anche fra materia e coscienza).

Occorre, a questo punto, differenziare fra le due funzioni, quella scientifica e quella degli investimenti (cosa ancora non chiara nel nostro caro, vecchio, modo capitalistico di produzione…). Syroežin lo fa in modo magistrale:

La funzione principale all’interno del sistema ricoperta dalla scienza, che ricordiamo essere fenomeno della coscienza sociale, è suddividere in parti il mondo circostante ed elaborare mezzi per mettere a confronto (misurare) tali parti ai fini di meglio conoscerle e trovare quindi risposte alle necessità pratiche della società.

La funzione principale all’interno del sistema ricoperta dalla sfera degli investimenti, è invece un’altra: creare modelli e campioni di beni e servizi (o nuove proprietà degli stessi) per sottoporli a produzione su vasta scala nel sistema economico.

A ciascuno il suo mestiere, quindi. Quello dello scienziato, che agisce sulle linee di confine di cui sopra, agisce su tre livelli; a questo punto, incontriamo il secondo ragionamento conclusivo di Syroežin sull’argomento. Il primo livello è quello dell’approvvigionamento materiale, quello che fornisce allo scienziato le necessarie risorse per compiere i suoi esperimenti. Il secondo livello è quello dell’osservazione dei fenomeni, che sfocia in ricerche particolari, specifiche rispetto ai fenomeni osservati. Il terzo livello è relativo a un grado di analisi più evoluta e strutturazione di un pensiero scientifico realmente innovativo, in grado di sconvolgere in parte o totalmente l’impianto teorico-normativo precedente perché, partendo da presupposti diversi, in grado di raggiungere più efficacemente gli obbiettivi del PST cui abbiamo accennato nelle pagine precedenti.

La potenza dirompente di quest’ultimo livello pone il PST come fattore esogeno principale, di impatto sicuramente maggiore di quanto possano fare i bisogni sociali o le pressioni di un dato gruppo sociale. Quando poi le scoperte fondamentali teoriche divengono applicate, ovvero si entra a pieno titolo nella zona di destinazione della sfera degli investimenti e si cominciano a realizzare prototipi, ecco che il cerchio con le altre sfere socioeconomiche si chiude, e i processi di trasformazione acquistano una direzione consapevole, coordinata, armonica nei rapporti fra i vari elementi coinvolti.

Cari compagni, buona lettura.

 

* * * *

 

Pianificabilità, pianificazione, piano

di Ivan Mikhajlovič Syroežin

 

II parte Pianificazione

Capitolo 4 L’autoregolamentazione nei sistemi economici

 

4.1. Limiti e campo d’applicazione

Nel III volume del Capitale, Karl Marx scrive: “Ma se per ogni singola merce il valore d’uso dipende dalla condizione che essa in sé e per sé soddisfi un bisogno, per la massa sociale dei prodotti dipende dal fatto che tale massa sia adeguata al bisogno sociale quantitativamente determinato di ogni particolare tipo di prodotto e che quindi il lavoro sia diviso tra le diverse sfere di produzione proporzionalmente, in rapporto a questi bisogni sociali, che sono quantitativamente circoscritti”15. È per questo che la pianificazione (планирование) consente, da un lato, uno sviluppo armonico delle forze produttive e dei rapporti sociali e, dall’altro, una gestione economica concordata, la quale a sua volta determina quel lato soggettivo della pratica economica: “È nelle transizioni complesse dall’astrazione alla viva prassi, che la pianificabilità si trasforma nella pratica reale della pianificazione”16.

La pianificabilità rappresenta un’utile astrazione dall’insieme delle proprietà del processo economico reale. Essa forma un nucleo stabile, che si ripete costantemente nel corso del funzionamento dell’economia socialistica. Viceversa, l’attività concreta delle persone è invece una specie di «vortice» (завихрение) intorno a tale pianificabilità, intorno a tale costanza, ripetibilità, generalità e, pertanto, astrazione. Assistiamo quindi a deviazioni che non possono essere oggettivamente condizionate e, altrimenti, non potrebbe essere.

Il funzionamento economico armonizzato è un dato tutt’altro che scontato, persino in fase di pianificabilità. È, infatti, necessario un costante impegno a realizzarlo, oltre che esserne capaci. A uno stesso identico grado di pianificabilità (o livello di ampliamento della sfera d’azione della legge economica fondamentale del socialismo) può accompagnarsi un diverso grado di capacità di pianificazione, di qualità dei suoi risultati e, di conseguenza, di risultanza finale del funzionamento economico.

Ancora qualche anno fa, si riteneva che la pianificazione garantisse l’unità di interessi di società, collettivo e individuo con la sottomissione degli ultimi due alla prima. Nella letteratura economica attuale, si sottolinea: “È impossibile fissare una volta per tutte le leggi economiche perché, con il mutare delle condizioni di vita materiali della società, mutano sia le condizioni del loro impiego e sia, di conseguenza, anche il contenuto delle leggi stesse, in base a cui la società regola la propria attività dotandosi di precisi metodi e strumenti. È proprio l’insieme di questi ultime a costituire, nella coscienza collettiva, il cosiddetto ‘meccanismo di attuazione delle leggi economiche’ (механизм реализации экономических законов)”17. A maggior ragione, se il meccanismo di impiego delle leggi economiche è quella realtà oggettiva, sotto gli occhi di tutti, in grado di garantire un’unità dialettica fra ciò che è oggettivo e ciò che è invece soggettivo nello sviluppo del sistema economico socialistico, allora occorre individuare e descrivere in maniera rigorosa il modo di funzionamento di tale meccanismo.

La risposta alle domande sul modo di impiego delle leggi economiche, sull’unità e contraddizioni fra pianificabilità e pianificazione, su cosa è da intendersi per pianificazione, sul suo ruolo e metodologie, può essere data solo prendendo in considerazione l’intero quadro generale di autoorganizzazione dell’economia e basandosi su di esso.

Anzi tutto, si rende necessario differenziare fra funzionamento (функционирование) del sistema, sviluppo (развитие) del sistema e comportamento (поведение) del sistema. Partiamo dal primo: la funzione, come è noto, è segno distintivo dell’insieme di tutte le uscite possibili (признак совокупности возможных выходов18 системы) del sistema. Nel processo di funzionamento del sistema, questo insieme non cambia, il sistema non ricostruisce la propria struttura e, nel tempo, resta uguale a sé stesso.

Prendiamo, per esempio, una fabbrica di vestiti. Gli articoli prodotti cambiano ogni anno, alcuni ogni sei mesi. Se nel passaggio da un articolo all’altro non vi è necessità di cambiare né le macchine, né la composizione organica della forza lavoro, allora si può considerare che la fabbrica produce in regime di condizioni strutturali costanti. Il cambio di articolo, del tutto compatibile con l’assortimento potenziale realizzabile dalla fabbrica, è quindi reso possibile dal movimento di alcune, o tutte, le leve comandi preesistenti nel sistema, andando quindi ad agire su possibili varianti materiali e tecniche, piuttosto che di organizzazione interna delle linee di produzione.

Se, invece, si rende necessario migliorare il livello professionale dei lavoratori o dotarsi di nuove attrezzature, parliamo di ricostruzione della funzione (реконструкция функции), ovvero di ristrutturazione dell’insieme delle uscite possibili del sistema. Parliamo, pertanto, di sviluppo.

L’ultimo concetto, il comportamento del sistema, a differenza del funzionamento e dello sviluppo, non ha nulla a che vedere con le dinamiche interne (внутренние) al sistema, ma con quelle esterne (внешние).

A descrivere il comportamento è il rapporto del sistema con l’ambiente (отношение системы к среде). A questo proposito è possibile distinguere diversi gradi progressivi di strutturazione e articolazione del comportamento di un sistema in rapporto a una sempre maggiore e più complessa capacità di autoorganizzazione.

Il livello di comportamento più semplice è il rigetto (реакция). Come dice il nome stesso, il rapporto che il sistema intrattiene con l’ambiente è totalmente passivo. Anzi, l’unico modo che ha un sistema così debolmente configurato di funzionare, garantendo il ciclo di produzione e riproduzione della merce, è che non vi sia alcuna sollecitazione da parte dell’ambiente circostante.

Segue quindi il già più complesso adattamento (адаптация). Il sistema reagisce sì alla sollecitazione, allo stimolo dell’ambiente circostante, ma modificando le risorse già a disposizione senza trasformazioni strutturali di capitale fisso o variabile. In sostanza, il sistema passa da un sottoinsieme di uscite possibili a un altro, potenzialmente già in essere, ricombinando in diverso ordine alcune sequenze preesistenti delle uscite stesse. Tale processo di ricombinazione di gruppi predefiniti di processi e schemi organizzativi genera, pertanto, nuove interazioni e loro combinazioni, affinché la reazione ai mutamenti dell’ambiente circostante sia il più possibile efficace e garantisca al sistema la sopravvivenza.

Il passo successivo è la cosiddetta omeostasi (гомеостазис)19. Con questo termine, in natura, si definisce quell’equilibrio dinamico (динамическое равновесие) fra interno ed esterno ottenibile tramite precisi meccanismi autoregolatori in risposta positiva (aumento) o negativa (contrasto) a una sollecitazione esterna. In questo caso l’equilibrio dinamico riguarderà i processi che riguardano il sistema e quelli che interessano l’ambiente che lo circonda. Sono possibili due varianti di omeostasi:

  • quella che fissa il punto di equilibrio omeostatico nella sopravvivenza del sistema (выживания системы), laddove quindi il comportamento sistemico sarà stabile, centrato, simmetrico;

  • quella che fissa il punto di equilibrio omeostatico scegliendo, fra la varietà di soluzioni possibili, l’opzione che attribuisce significato estremo (экстремальное значение) a un dato parametro dei rapporti del sistema con l’ambiente esterno, piuttosto che riguardante le interazioni interne al sistema stesso, a scapito ovviamente degli altri parametri, laddove quindi il comportamento sistemico sarà instabile, acentrato, asimmetrico.

L’ultimo tipo di comportamento è tipico del modo capitalistico di produzione, laddove il sistema punta alla massimizzazione di plusvalore. Notiamo, per inciso, come il sistema agisca comunque sull’ambiente, sia nel caso di una semplice azione di recupero di scarti ambientali e sia, a maggior ragione, nel caso di uno sfruttamento intensivo delle sue risorse. È in quest’ultimo caso, tipico per esempio del capitalismo, che la ricerca del grado estremo di profitto può condurre a uscite di sistema che non siano più sostenibili dall’ambiente circostante, uscite a cui l’ambiente non riesca più ad adattarsi (выходы, к которым среда не приспособится).

L’impatto distruttivo sull’ambiente (разрушительное воздействие на среду), in particolare sulla biosfera (биосфера), costituisce un tratto distintivo della produzione in regime capitalistico, la quale è ancora basata su un criterio quantitativo (объемный критерий).

Resta quindi un ultimo grado di omeostasi, che consiste nel passare dall’attuale modello di autoorganizzazione a un altro, più avanzato, che non solo non esaspera all’estremo i parametri, ma è anche più flessibile nell’individuare le condizioni ottimali entro cui il sistema si rapporta con l’ambiente.

Nella teoria dei sistemi economici tale tipo di comportamento si chiama autoregolazione (самонастройка). Il sistema

  • fissa una rappresentazione «ideale», circa le condizioni dei prodotti in uscita, che costituisce l’obbiettivo,

  • per il cui raggiungimento crea un modello di ricostruzione delle proprie funzioni; tuttavia, si tratta di un modello per la cui attuazione

  • al sistema mancano le condizioni materiali, con

  • le cause di tale mancanza da ricercarsi non nel sistema, ma al di fuori di esso, nell’ambiente. Nel tendere a questo «ideale»,

  • il sistema deve quindi partire da un’analisi lucida sia delle dinamiche ambientali, che dei limiti oggettivi alla propria capacità di trasformazione dei prodotti in uscita.

  • agire concretamente su tali cause per trasformarle infine nella direzione pianificata.

Va quindi da sé che l’ideale non possa essere definito in maniera arbitraria o utopica (произвольно или умозрительно), ma al contrario occorre che i suoi presupposti poggino solidamente su un grado di realizzazione delle funzioni già raggiunto, oltre che su un comportamento di sistema consolidato.

L’economia socialistica (e comunistica in generale) si presenta come un sistema complesso, la cui autoorganizzazione si fonda proprio sul principio di autoregolazione. Il raggiungimento del punto di equilibrio con l’ambiente è ottenuto non portando all’estremo un qualsiasi parametro relativo a processi già operativi nel sistema, ma creando un «oggetto ideale» (идеальный объект), un modello o campione che, tramite confronto con lo stesso, determini l’intero processo di autoorganizzazione.

La capacità di di ideare modelli, campioni in grado di rappresentare l’intero sistema, e non una sua parte, è irrealizzabile in economie che si poggino sulla proprietà privata dei mezzi di produzione. Infatti, perché si possa verificare l’autoregolazione, sono assolutamente necessarie universalità e unità fra tutti gli interessi socio-economici attivi nel sistema.

Tali caratteristiche sono rese possibili, come condizione necessaria (необходимое условие), dalla socializzazione della proprietà dei mezzi di produzione e, come condizione sufficiente (достаточное условие), dalla costituzione di un apparato che trasformi la pianificabilità in pianificazione.

L’autoregolazione è essenzialmente un nuovo tipo di comportamento economico. Esso prevede un’attiva ricostruzione sia funzionale che sistemica. In tale ciclo di autoorganizzazione del sistema, diviene cruciale il ruolo del fattore soggettivo (роль субъективного фактора), in quanto da esso dipendono le due seguenti circostanze:

    1. individuazione e rispetto consapevole dei limiti di autoorganizzazione di un dato sistema, così come imposti dai processi di autoorganizzazione che avvengono nel suo ambiente;

    2. individuazione delle condizioni entro cui costruire il modello «ideale» di uscite, «a fianco» (в сторону) di cui occorrerà poi rimodellare le funzioni di sistema.

Entrambe queste circostanze sono cruciali (ключевой) per la trasformazione della pianificabilità in pianificazione (для преобразования планомерности в планирование).

Il ciclo generale dell’autoregolazione dell’economia socialistica è rappresentato qui sotto, in riferimento a un singolo centro direzionale (распорядительный центр). Cardine dello stesso è il blocco formato dagli interessi economici: proprio qui, infatti, avviene la saldatura fra

  • condizioni materiali, immateriali ed energetiche del processo di autoregolazione e

  • le condizioni professionali e e soggettive in cui esso avviene, nonché il grado effettivo di preparazione e le aspirazioni dei direttori (распорядитель) chiamati alla sua esecuzione.

La difficoltà di questo blocco consiste nel fatto che, a scegliere e realizzare il sistema di interessi, ovvero la più adeguata, migliore, interazione fra vari interessi economici, sono gli stessi direttori, amministratori del sistema di cui sono chiamati a prendere decisioni, quindi diretti beneficiari di eventuali mutamenti in un senso o nell’altro.

Ciò comporta una necessaria divisione di compiti fra i direttori di ciascuna sezione e livello, affinché la concessione del diritto alla determinazione di meccanismi di regolazione degli interessi economici sia a beneficio di quei direttori, la cui attività economica sia collegata alla gestione di risorse fondamentali, cruciali per il ciclo economico stesso di quel dato sistema, in grado quindi di interessare a cascata tutti gli elementi coinvolti20.

Di solito, nella letteratura scientifica, si confondono questi due piani: la spontaneità (стихийность) e l’autoorganizzazione (самоорганизация). In pratica, l’autoorganizzazione non può mai essere spontanea. Non dobbiamo mai perdere di vista questa circostanza. L’autoorganizzazione economica non può prescindere da circostanze fondamentali di sistema, che la precedono e ne determinano il campo di esistenza.

Infatti, è proprio in base questo che le diverse forme di conduzione dell’economia si differenziano fra loro, a come è ripartita la libertà di scelta economica, a cosa la stessa è indirizzata, a chi e come definisce la ripartizione della libertà di scelta in interazione reciproca coi vari elementi del sistema.

2.cap4 6rid

Ciclo dei processi di autoregolazione entro il periodo Δt1 per singolo centro direzionale CD(a)

 

4.2. Bisogni e scoperte scientifiche: fattori esogeni dell’autoregolazione

Negli ultimi anni si è approfondito sempre più il legame fra bisogni e criterio di funzionamento dell’economia socialistica nel suo complesso. Scrive, per esempio, V. Medvedev: “Occorre individuare e concretizzare lo scopo supremo del socialismo in relazione ai diversi livelli di proprietà sociale del sistema, determinando così i risultati finali delle loro attività ed estendendoli all’intero spettro dei bisogni umani”. E oltre: “L’economia politica è pertanto chiamata a dare corpo, sostanza, ai metodi per ‘soppesare’ i risultati utili a concretizzare sia i beni, che il lavoro necessario alla loro produzione, così come le relazioni delle forme individuali e collettive di soddisfacimento dei bisogni, oltre che dei percorsi atti a massimizzare il valore d’uso sociale, in relazione a bisogni in continuo mutamento”21. Da qui, a riconoscere la natura strutturale del kriterion, del principio fondamentale dell’economia socialista, il passo è breve.

Nella letteratura scientifica si enfatizza il ruolo determinante dei bisogni per la valutazione dei risultati economici, nonché si sottolinea il legame complesso che intercorre fra bisogni e pianificazione: “La trasformazione dei bisogni dei lavoratori nel principale punto di partenza per la pianificazione, complica seriamente il processo di gestione pianificata dell’economia in riferimento, per esempio, ai periodi dell’industrializzazione o della ricostruzione economica, allorché il discorso verteva essenzialmente sul raggiungimento di questo o quel volume produttivo riferito ai generi merceologici principali, alla creazione o allo sviluppo di nuovi settori, eccetera.

L’obbiettivo di una produzione sotto forma di soddisfacimento dei bisogni è calato nel concreto della storia, ed è pertanto in continuo mutamento. Ogni passo in avanti nello sviluppo della produzione e delle altre sfere della vita sociale cambia l’uomo stesso, influisce sia sull’entità che sulla struttura stessa dei suoi bisogni”22. Il riconoscimento della mobilità dell’obbiettivo della produzione comporta il riconoscimento di uno sviluppo concepito come «inseguimento» (преследование) di un ideale, il quale cambia nel corso dell’inseguimento stesso.

Per questo, se si considerano i bisogni come PRIMO fattore esogeno (экзогенный фактор) dell’autoregolazione, occorre anche riconoscere che, tentare di cogliere puntualmente la forma concreta, storica, di tali bisogni, non conduce da nessuna parte. In altre parole, occorre sostituire la «immagine nomenclaturale» (номенклатурный образ) dei bisogni, la loro descrizione tanto puntuale, quanto persa e dispersiva nei rivoli di mille dettagli, che fino a oggi ha costituito l’apparato quantitativo su cui imbastire, al netto delle nostre conoscenze, l’attività di pianificazione, con uno strumento meno rigido a livello di impostazione, quindi più in grado di intercettare e rincorrere l’insieme di questi bisogni in movimento. In questo caso, l’autoregolazione trova una propria espressione concreta tramite i parametri strutturali dei bisogni.

I parametri di benessere (благосостояние), perché siano scientificamente fondati, non possono essere frutto dell’attività di un singolo elemento isolato, piuttosto che di un gruppo di tali elementi, appartenenti alla struttura economica. Non possono essere neppure frutto dell’attività di elementi afferenti alla sfera sociale, istituti per esempio, rappresentanti l’interesse pubblico. Tali parametri, al contrario, devono essere frutto dell’intera struttura della società socialista.

Un discorso a parte merita il fatto che, nella struttura dell’economia socialistica, debbano essere individuati delle unità specializzate, con il preciso compito di occuparsi dei processi di determinazione delle quote (созданиe норматив). Tali organi non devono stabilire le quote di consumo (нормы потребления) standard per le varie regioni e le varie categorie di popolazione. Essi devono elaborare e realizzare metodi generali per individuare tali quote, dal generale al particolare e, cosa più importante, meccanismi per coinvolgere le forze produttive e sociali nella costruzione di una struttura di consumi sempre più in linea con l’ideale comunista: rendere il lavoro creativo il primo bisogno vitale.

L’apparato dedito alla trasformazione della pianificabilità in pianificazione, deve comprendere quegli indicatori, in grado di porre in correlazione i vari bisogni fra loro e, per esempio, collocarli in ordine di priorità.

Per poter aggregare i bisogni individuali, le preferenze di ciascuno accordate a questa o quella necessità, in una forma in un certo qual modo collettiva, destinazione quest’ultima di un’azione diretta dal centro di pianificazione, occorre tenere nella dovuta considerazione alcune caratteristiche oggettive delle dinamiche sia dei bisogni economici, che dei bisogni extra-economici. “Le regolarità di movimento dei bisogni individuali seguono la legge di innalzamento dei bisogni (закон возвышения потребностей). Nel socialismo, tale legge agisce nelle condizioni di un graduale allineamento (выравнивание) socio-economico fra quantità e strutture dei bisogni e del consumo, oltre al fatto che l’incremento dei bisogni si realizza in modo pianificato e in tempi rapidi23.

La concezione strutturale di pianificabilità, così come considerata nel capitolo precedente, conferisce all’andamento dei bisogni una struttura determinata e invariata nel tempo, permettendo così di concentrarsi, con basi solide e concrete, sulla risposta da dare alle esigenze continue che sorgono in virtù della legge di innalzamento dei bisogni24. Occorre prestare la massima attenzione affinché le parti costanti della struttura NON vadano contro il senso di marcia della legge economica fondamentale, e neppure contro i compiti che la pianificabilità pone da realizzare.

Il SECONDO fattore esogeno è il Progresso Scientifico-Tecnologico (PST). Esso è, per sua natura, fonte di sviluppo, in quanto solo grazie alle scoperte scientifico-tecnologiche siamo in grado di ricostruire le funzioni del ciclo economico. Il PST è fonte di intensificazione, in qualsiasi campo di applicazione noi la intendiamo, purché intesa come incremento della «resa», della «produttività» delle decisioni di piano intraprese. Infine, in esso risiede il motivo all’origine dell’incremento della bilanciabilità interna e dell’indebolimento delle limitazioni esterne alla dinamica economica. Il PST rappresenta di per sé un sistema di rapporti (organizzativi, sociali ed economici) all’interno dell’economia socialistica, la cui funzione consiste nell’ampliare la molteplicità di risultati utili in uscita, lasciando invariata la molteplicità delle risorse in ingresso dall’esterno, modificando sistematicamente il rapporto fra queste due molteplicità, delle risorse in ingresso e dei risultati in uscita, in favore di quest’ultima.

Qual è la leva economica principale di sviluppo ad appannaggio del PST? Le organizzazioni tecnico-scientifiche operano entro due zone di confine dell’economia: il limite «natura-economia» («природа — хозяйство») e il limite «materia-coscienza» («материя — сознание»).

I diversi «appezzamenti» dell’ambiente esterno, su cui le organizzazioni tecnico-scientifiche esercitano la loro attività, possono avere diversi gradi di «fertilità» (плодородие), intesa come resa, a parità di mezzi in entrata, della quantità di risultati in uscita che possono offrire.

Per questo, è necessario che le organizzazioni tecnico-scientifiche imparino a individuare metodi di lavorazione dei vari «appezzamenti» in relazione al loro diverso grado di «fertilità». L’aumento della molteplicità di risorse, messe in circolo per supportare l’attività specifica delle organizzazioni scientifico-tecnologiche nello sviluppo di ciascuno di questi «appezzamenti», deve contribuire all’avanzamento costante di livello dei risultati finali delle attività economiche, generando mutamenti sia a livello della loro composizione organica, che di rapporti fra di loro.

In questo modo, la missione del PST è continuare a risolvere le continue sproporzioni che emergono fra dinamica dei bisogni sociali, da un lato, e dinamica della struttura dei risultati utili in uscita dai processi economici, dall’altro. Nel momento in cui il livello di realizzazione della funzione economica è misurato non più in base a criteri quantitativi, ma strutturali, il sistema dei bisogni sociali comincia a dotarsi di un movimento autonomo (самостоятельное движение).

La produzione di nuovi articoli è frutto di nuove scoperte e attività di sviluppo e ricerca, entro un lasso di tempo fra la prima e le seconde dato dai bisogni sociali chiamati a essere soddisfatti da tali beni e servizi, oltre che da vincoli all’andamento economico. Il sistema scientifico-tecnologico supera questi vincoli e incrementa la bontà della struttura e delle attività del sistema economico del socialismo nel suo complesso.

Proprio perché il compito principale del PST consiste nell’eliminare i vincoli, alla base delle sproporzioni fra le strutture dei bisogni B e dei risultati R, non possiamo dimenticare che anche i meccanismi redistributivi e, più in generale, dei trasferimenti delle plusvalenze di ricchezza sociale da un settore all’altro dell’economia sociale, svolgono un compito fondamentale, ma non solo: la loro tecnologia, in quanto branca della scienza economica, fa parte anch’essa del PST.

La funzione di tali trasferimenti, infatti, in un sistema economico complesso, è quella, sia sul piano economico che su quello statistico-informativo, di individuare le sproporzioni nella dinamica delle due strutture (B e R) e intraprendere le misure necessarie ad accumulare le risorse per il loro appianamento.

Tale leva economica, in passato, aveva avuto scarsa efficacia in quei sistemi basati su criteri quantitativi. I meccanismi di mercato e la ricerca continua di un saggio più elevato di profitto determinavano, di fatto, il trasferimento di risorse da un settore all’altro, rendendo di fatto inefficace qualsiasi previsione, da parte dello Stato, di gettito da prelievo fiscale.

Alla fine, restavano solo i beni immobili (terra e materie prime) a costituire da base imponibile certa per fare fronte ai bisogni sociali. Inoltre, una produzione esclusivamente basata su metodi quantitativi, e su cui sarebbero stati i bisogni sociali ad adattarsi e a modellare in qualche modo la loro struttura collocava, di fatto, la funzione di autoregolazione economica di questo strumento su un piano secondario, sostanzialmente confinandola a un gioco di rimessa. In un sistema fondato sulla proprietà sociale dei mezzi di produzione e funzionante secondo un criterio di tipo strutturale, la leva fiscale può e deve agire diversamente.

È convinzione diffusa, nella comunità scientifica, che il PST sia un fattore esogeno in relazione alla produzione sociale. Tuttavia, dal momento in cui si considera l’intera attività sociale come parte del sistema economico, anche la sfera degli investimenti, dove ormai sappiamo essere concentrata l’intera attività di tipo scientifico-tecnologico, si trova ad essere, di fatto, un blocco interno al sistema.

Ciò potrebbe indurre a ritenere che, solo ai bisogni, resti il ruolo di «forza motrice» (тягловая сила) dell’economia socialista. In pratica, ciò è vero, ma solo in parte.

Anzi tutto, la sfera degli investimenti, suddivisione dell’economia sociale (vedasi cap. 3), può essere a sua volta tripartita in zona di partenza, zona intermedia e zona di destinazione.

Giacché la zona di destinazione della sfera degli investimenti altro non è che un complesso di elementi strutturali, collegati a loro volta con gli elementi interni dell’economia, i fattori esogeni per l’economia saranno limitati alla sola zona di partenza della sfera degli investimenti: viene quindi già a decadere l’ipotesi di PST come elemento del tutto “esterno”, esogeno per l’appunto, dell’economia sociale.

Consideriamo ora la zona di partenza della sfera degli investimenti. Notiamo tre tipi differenti di entrate, o input, che la denotano.

Il primo è l’approvvigionamento tecnico-materiale per il suo mantenimento e sviluppo.

Il secondo, invece, è l’osservazione dei fenomeni che avvengono in quella zona di confine tra natura ed economia. I rapporti che intercorrono fra la zona di partenza della sfera degli investimenti e la zona di partenza dell’economia e delle sottostrutture naturali, non è evidente. In molti casi, è infatti impossibile distinguere fra mantenimento delle funzioni vitali (получение условий жизнедеятельности) della sfera degli investimenti e il ripristino delle funzioni (реконструкция функции) dell’economia nella sua zona di partenza (per esempio, la fornitura di prodotti essenziali per la sfera degli investimenti).

Senza un quadro preciso della ripartizione della libertà di scelta all’interno dei vari blocchi del sistema economico, è impossibile distinguere fra spese di mantenimento delle funzioni vitali da quelle di fornitura generica di prodotti. Pertanto, su quella linea di confine «natura – economia» («природа — хозяйство»), a conservare una natura strettamente esogena restano soltanto le conquiste della scienza e della tecnica, in grado di modificare la griglia strutturale e organizzativa alla base di una data sottostruttura naturale. Tali conquiste sono frutto dei risultati del lavoro scientifico di ricerca (поисковая научная работа).

Ancor più chiaro è il ruolo esogeno del terzo tipo di ingresso, dato da quelle conquiste scientifiche frutto di un lavoro scientifico fondamentale (фундаментальная научная работа), in quanto in grado di muoversi in maniera incisiva sui rapporti dinamici fra le varie forme di moto e trasformazione della materia e, al tempo stesso di sviluppo della coscienza sociale. Tali conquiste scientifiche, per questo motivo, sono in grado di modificare radicalmente la griglia interpretativa di questa o quella sottostruttura naturale, mutando il ruolo di fattori fino ad allora considerati costanti, individuandone di nuove, scoprendo nuove regolarità e ripetibilità su basi completamente diverse dalla visione precedente. Sul piano dell’impatto sociale, tali rivoluzioni sono molto più forti, in intensità e ampiezza, di quanto possa fare un singolo blocco di bisogni sociali costanti, piuttosto che un singolo strato o gruppo sociale.

All’interno del lavoro scientifico di ricerca e in quello fondamentale, a livello di astrazione, di forma di presentazione dei risultati e di altri indicatori, si possono distinguere conquiste scientifiche teoriche (теоретические) e applicate (прикладные).

Ogni conquista scientifica è il risultato dell’attività degli elementi appartenenti alla sfera degli investimenti. C’è una differenza, tuttavia, fra la funzione principale della scienza e quella della sfera degli investimenti all’interno del sistema: tale differenza è all’origine della differenza fra le conquiste scientifiche e gli altri risultati della sfera degli investimenti.

La funzione principale all’interno del sistema ricoperta dalla scienza, che ricordiamo essere fenomeno della coscienza sociale, è suddividere in parti il mondo circostante ed elaborare mezzi per mettere a confronto (misurare) tali parti ai fini di meglio conoscerle e trovare quindi risposte alle necessità pratiche della società.

La funzione principale all’interno del sistema ricoperta dalla sfera degli investimenti, è invece un’altra: creare modelli e campioni di beni e servizi (o nuove proprietà degli stessi) per sottoporli a produzione su vasta scala nel sistema economico.

La scienza dipende, per risorse, finanziamenti, e via discorrendo, dall’economia ma, a differenza degli investimenti, il suo campo d’azione va oltre l’economia sociale. Le conquiste scientifiche non scompaiono con il consumo, a differenza degli altri prodotti della zona di destinazione della sfera degli investimenti, e si «conservano» (складируются) indeterminatamente. Ciò le rende, specialmente nel caso delle conquiste di tipo teorico fondamentale, un fattore esogeno autoportante, oltre che fecondo in riferimento alla dinamica economica, risvegliando e stimolando continuamente i suoi elementi.


Continua


Qui il primo capitolo, qui il secondo, qui il terzo, qui il quarto


Note
1Laddove Gosplan è l’abbreviazione in russo di Commissione statale per la pianificazione del Consiglio dei Ministri dell’URSS (Государственный плановый комитет Совета Министров СССР), le cui prime lettere della prima e seconda parola, Gosudarstvennyj e planovyj, messe insieme fanno l’abbreviazione con cui è comunemente nominato.
2Nikolaj Konstantinovič Bajbakov, Da Stalin a El’cin (От Сталина до Ельцина), Moksva, Gazoil press, 1998. L’edizione consultata è il V volume delle sue Opere in 10 volumi (Собрание сочинений, том 5), Moskva, Fond innovacij imeni N.K. Bajbakova, 2011. Per un autore come lui di oltre 200 monografie, ormai di difficile reperibilità, questa selezione pubblicata dalla fondazione che porta il suo nome è stata un atto tardivo, senz’altro, ma meritorio.
3Ibidem, pp. 24-25.
4Ibidem, p. 10-17.
5Ibidem, p. 10.
6Les représentants du peuple se rendront à leur destination, investis de la plus haute confiance et de pouvoirs illimités pour l'exécution du mandat qui leur est délégué. Ils vont déployer un grand caractère; ils doivent envisager qu'une grande responsabilité est la suite inséparable d'un grand pouvoir. Ce sera à leur énergie, à leur courage, et surtout à leur prudence, qu'ils devront leur succès et leur gloire. “Séance du mardi 7 mai 1793” (seduta del Parlamento francese del 7/5/1793), in Aa. Vv., Archives parlementaires de 1789 à 1860: recueil complet des débats législatifs et politiques des Chambres françaises, Paris, Librairie administrative de Paul Dupont, Tome 64, 1904, p. 287.
7E. Borodin, Il reddito prodotto dal popolo per il popolo (Доход народа - для народа), 1961, Moskva, Diafil’m, lucido nr. 12, http://diafilmy.su/5152-dohod-naroda-dlya-naroda.html.
8Questo e gli schemi successivi sono tutti tratti da lucidi per gli studenti di economia politica della scuola del Partito, in particolare la serie La riproduzione ampliata socialistica (Социалистическое расширенное воспроизводство), Moskva, Diafil’m, 1971, pp. 4 et succ. http://diafilmy.su/671-socialisticheskoe-rasshirennoe.html
9dati IX pjatiletka, Ibidem.
10Ibidem, p. 46.
11https://colonelcassad.livejournal.com/4211797.html
12lett. “esploratori” , prima organizzazione giovanile del partito, analoga agli scout occidentali.
13Ufficio statistico centrale dell’URSS, L’economia sovietica nel 1985 – Annuario statistico (Narodnoe chozjajstvo SSSR v 1985 g. Statističeskij ežegodnik), Moskva, Finansy i statistika, 1986, pp. 413-414.
14Ibidem.
15Wenn aber der Gebrauchswert bei der einzelnen Ware davon abhängt, daß sie an und für sich ein Bedürfnis befriedigt, so bei der gesellschaftlichen Produktenmasse davon, daß sie dem quantitativ bestimmten gesellschaftlichen Bedürfnis für jede besondere Art von Produkt adäquat, und die Arbeit daher im Verhältnis dieser gesellschaftlichen Bedürfnisse, die quantitativ umschrieben sind, in die verschiednen Produktionssphären proportionell verteilt ist. Karl Marx, Das Kapital, in Karl Marx - Friedrich Engels - Werke, Band 25, "Das Kapital", Bd. III, Sechster Abschnitt, Dietz Verlag, Berlin/DDR 1983, s. 648-649. Karl Marx, Il Capitale, Libro III, Sezione VI “Trasformazione del plusprofitto in rendita fondiaria”, Capitolo XXXVII ‘Introduzione’ (Roma, Ed. Riuniti, 1977, p.736)
16P. Ignatovskij, “Pianificabilità e pratica della pianificazione (Планомерность и практика планирования)”, Voprosy ekonomiki, 1981, n° 11, pp. 83—84.
17P. Ignatovskij, “Pianificabilità e pratica della pianificazione” (Планомерность и практика планирования), Voprosy ekonomiki, 1981, n° 11, p. 85.
18выход, o output nella dinamica input-output, o вход-выход, N.d.T.
19Questo punto dell’analisi di Syroežin riprende, a modesto parere di chi traduce, una tematica svolta in quel periodo dal linguista e semiologo sovietico Jurij Michajlovič Lotman (1922-1993), di cui peraltro esiste molto anche in italiano. Sarebbe molto interessante proseguire in questa ricerca parallela. [N.d.T.]
20In questo modo è salvaguardata sia la catena decisionale, sia la catena di responsabilità. Maggiore potere decisionale, dovuto alla gestione di meccanismi sempre più complessi e interessanti un sempre maggior numero di elementi coinvolti negli stessi, comporta maggiori responsabilità, nel senso etimologico di dover “rispondere” sempre più direttamente della propria libertà di azione gestionale ai livelli superiori, che fissano gli obbiettivi di pianificabilità e che affidano la realizzazione degli stessi alle persone, quelle e non altre, da cui poi si aspettano di vedere i risultati attesi, quelli e non altri, entro quei tempi precisi, e non altri. [N.d.T.]
21V. Medvedev, “Economia politica del socialismo: alcuni problemi attuali” (Политэкономия социализма: некоторые актуальные проблемы), Pravda, 1983, 5 agosto.
22V. Medvedev, “Alcuni problemi di teoria economica alla luce delle risoluzioni del XXVI Congresso del PCUS (Некоторые проблемы экономической теории в свете решений XXVI съезда КПСС), Voprosy Ekonomiki, 1981, n° 11, p. 120.
23Anatolij Nikolaevič Efimov, Questioni di fondabilità del piano statale, (Проблемы обоснования государственного плана), Moskva, Ekonomika, 1980, p. 61.
24Il riferimento è allo schema generale proposto nel capitolo precedente [N.d.T.]

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Paolo Selmi
Thursday, 04 July 2019 16:23
Cari compagni,

ringrazio come sempre Tonino per l'ospitalità e per la pazienza con cui riesce SEMPRE a impaginare foto, schemi, tabelle "in libertà".

E' stato un lavoro impegnativo, e la fine del capitolo, la cui traduzione sto ultimando in questi giorni, lo sarà altrettanto, a livello di analisi e approfondimento. Difficilmente riuscirò a concluderla entro settembre.

Tuttavia, gli argomenti sono abbastanza numerosi e impegnativi, almeno per quanto concerne il "fare mente locale" su questo mondo, e questo modo di produzione in particolare che, tutto sommato, qualche settimana (o mese) di intermezzo sarà utile, ovviamente a chi vorrà approfondirli.

Son soddisfatto di come sta uscendo questo lavoro, che un anno fa ho avuto la pazzia di cominciare (e che avrò la pazzia di terminare): se poi a qualche compagno servirà da stimolo per continuare o per approfondire le ricerche, sarò doppiamente soddisfatto.

Buona lettura e
Un caro saluto.

Paolo Selmi
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