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militant

Il nuovo Leviatano, di Geoff Mann e Joel Wainwright, Treccani 2018

Consigli (o sconsigli) per gli acquisti

di Militant

IMG 1442 1La questione ambientale ha a che fare direttamente con il politico. Non è una questione scientifica (meno che mai “tecnica”), non ha connotazioni trasversali (“né di destra né di sinistra”), e soprattutto una cosa: prevede soluzioni originali, che non possiamo recuperare dal passato, neanche fosse un “nostro” passato al quale aggrapparci in nome della lotta al capitalismo. Come giustamente indicano i due autori di questi saggio, «il principale mutamento portato dal cambiamento climatico è l’adattamento del politico». La questione ambientale sta trasformando la politica, ma questa cosa, lungi dall’essere (per forza) un bene, si sta presentando come gigantesca TINA (there is no alternative) che piega le ragioni di chi si oppone e, viceversa, rafforza paradossalmente quel modello produttivo che è alla radice degli attuali problemi climatici globali. Serve dunque ragionare di ambiente, ma soprattutto serve «una filosofia politica del cambiamento climatico», uno sforzo interpretativo che, nel momento stesso in cui lega i fili che portano al “colpevole”, ragioni di come la questione ambientale stia mutando tutta la politica: di destra e di sinistra, capitalista e anticapitalista.

Svelare la direzione di questa grande trasformazione è il cuore del saggio. Da una parte, ci indicano i due autori nordamericani, il progressivo deterioramento dell’ecosistema sta portando – porterà sempre di più – alla costituzione di entità tecniche sovranazionali che si intesteranno l’obiettivo di governare il cambiamento climatico, attraverso accordi internazionali che espandano progressivamente la sovranità politica di queste istituzioni. Il cambiamento climatico è l’arma ideologica “fine di mondo”, perfetta e politicamente corretta, attraverso cui presentare come “inevitabile” una spoliazione di sovranità dei paesi della periferia globale concentrandola nelle mani di pochi, pochissimi, forse una sola entità governamentale investita dell’autorità di decidere sullo stato di emergenza: è il nuovo Leviatano climatico, secondo definizione degli autori.

Un’autorità statuale sovranazionale che avrà il potere di governare per mezzo dell’emergenza, un’emergenza che – nel momento in cui disattiva le contraddizioni politiche (“il clima non è né di destra né di sinistra”, “siamo tutti sulla stessa barca”, ecc…) – si autoinveste del monopolio delle decisioni pubbliche, che sono tutte, sempre, decisioni politiche. È l’orizzonte verso cui tendono gli accordi internazionali sul clima, i vertici globali, e tutto ciò avviene con la più grande compromissione della sinistra. È la sinistra, “riformista” “radicale”, che organizza ideologicamente la necessità dell’accordo climatico, della mediazione capitalistica in nome di un presunto “bene comune” ecologista, di cui la formazione di entità capitalistiche sovranazionali prive di legittimità democratica aggirata in nome del there is no alternative: o così o il caos. Difatti, come giustamente evidenziato dagli autori,

Alle proteste contro la World Trade Organization, nel 1999 a Seattle, l’obiettivo era impedire la riunione ministeriale dell’organizzazione. Le dimostrazioni contro la guerra in Iraq presero di mira le istituzioni statali; Occupy Wall Street si impadronì di uno spazio pubblico. La maggior parte dei membri del movimento per la giustizia climatica, invece, non volevano sabotare gli incontri dell’Onu o della Cop21. Al contrario, volevano indurre i delegati a spingersi oltre. In quella situazione il manifestante di sinistra diventa, seppur ironicamente o suo malgrado, una “cheerleader” per le organizzazioni d’elite: meno “Blocchiamo tutto!” e più “Trovate un accordo!”. Come protestare contro un forum internazionale che si vorrebbe diverso e più efficacie, e del quale si potrebbe in effetti essere sostenitori, se si dimostrasse più concreto e radicale?

È il cuore (violento) della contraddizione climatica a sinistra: si giudica, secondo un riflesso pavloviano introiettato inconsapevolmente, il “capitalismo” come fonte dell’attuale questione ambientale, ma si sostiene questo stesso capitalismo nel momento in cui chiede ancor più potere decisionale, ancora più “governabilità”, privata finalmente di tutti quei contropoteri politico-sociali che rallenterebbero le decisioni “giuste” sull’ecologia, sui “beni comuni” ambientali, in nome della “salvaguardia della terra”.

Quale è il problema della costruzione di questo sovrano assoluto, vero e proprio Leviatano sorretto dalle ragioni ideologiche dell’emergenza climatica? Il suo carattere elitario. Il nuovo Leviatano non si presenta come governo mondiale in cui tutti gli Stati (e soprattutto: tutti i popoli) possiedono gli stessi diritti e gli stessi poteri. Si tratterebbe, più propriamente, di «un blocco capitalista liberale in declino guidato dagli Stati Uniti [che] collaborerà con la Cina per creare un regime planetario che, alla luce della crisi politica ed ecologica, non tollererà alcun tipo di opposizione, rivendicando la necessità di proteggere il futuro dell’umanità, per il quale si propone come prima e ultima linea di difesa». E ancora, «questa autorità sarà ammantata del camice bianco della competenza tecnico-scientifica. […] È la Ragione contro lo stato di natura. Tra l’una e l’altro c’è il sovrano planetario, colui che dichiara l’eccezione (sperimentale) nel nome della vita stessa. La sovranità planetaria, pertanto, emerge in quello che potrebbe essere chiamato Weltrecht, l’arrogazione dell’autorità e il dovere di ricostruire il mondo per salvarlo».

Dal punto di vista della filosofia politica, ogni autorità sovranazionale (l’esempio della Ue, in tal senso, è illuminante) prevede costitutivamente che ogni Stato che la compone sia il rappresentante di una volontà politica uniforme (la volontà dell’Italia, della Francia, degli Stati Uniti…). Eppure la realtà si presenta opposta: all’interno di ogni singolo contesto nazionale esistono lotte, che siano politiche, di classe, di opinione, culturali o di religione eccetera, che ribadiscono permanentemente che non esiste una volontà politica generale, ma una dialettica in costante divenire. L’entità governativa sovranazionale non replica questa dialettica, ma assume le volontà univoche di chi di volta in volta rappresenta gli interessi elettoralmente maggioritari del singolo contesto statuale. Quale è la volontà “dell’Italia” sui cambiamenti climatici? Non esiste una volontà univocamente intesa: in Italia – come in ogni altro Stato – è presenta una varietà di posizioni in forte contrasto tra di loro. Eppure, nell’ambito di una entità sovranazionale, l’Italia sarà rappresentata secondo le volontà politiche contingenti (e spesso socialmente minoritarie) del governo di turno. Questa è la distorsione fondamentale, che nella costruzione di entità sovranazionali riduce drasticamente gli spazi del politico, annullandone quelli del dissenso quando non intestati per intero a singoli Stati. È peraltro il motivo che rende anche l’Unione europea un’entità ontologicamente antidemocratica, perché fondata sulla volontà di Stati e non di popolazione, volontà dunque geopolitica e non politica.

Ma se la progressiva costruzione di entità governative sovranazionali, la costruzione cioè di questo nuovo Leviatano assoluto, è la direzione di marcia del capitalismo liberale, cosa c’è oltre il Leviatano? Chi ne contrasta gli interessi e le funzioni? Chi si pone in alternativa ad esso? Fuori dal Leviatano c’è il caos, identificato dagli autori del saggio in Behemoth. Se il Leviatano presenta chiaramente i connotati del sistema ordoliberale, un’economia di mercato dai caratteri fortemente interventisti e dirigisti (ovviamente non nel senso di un’economia “mista” di compresenza di pubblico e privato, ma di ruolo statale nell’implementazione delle logiche di mercato nella società), il “Behemoth climatico” può avere due direzioni: la prima, che in questi anni va per la maggiore, è quella del populismo reazionario; la seconda, della «democrazia antistatale rivoluzionaria». L’opposizione all’ordoliberalismo, come evidente da tempo, può dunque prendere la strada del liberismo senza compromessi – secondo il modello trumpiano, replicato in sedicesimi qui in Italia da Salvini e da tutto il “sovranismo” – oppure di una resistenza anticapitalista o – quantomeno – antiliberista. Al momento, però, decisamente minoritaria.

Fuori dal sovrano climatico, oggi, c’è il negazionismo climatico; fuori dalla “green economy” – rimanendo nell’ambito del capitalismo – c’è una “old economy” stretta attorno alle ragioni del capitalismo fossile, tecnologicamente arretrato, ad alta intensità di capitale variabile e rivolto al mercato interno dei singoli contesti nazionali. Il populismo negazionista non è la risposta, ma la reazione, ai fenomeni globali di cui sopra. Una reazione che avviene in nome del “vecchio” contro il “nuovo”, ma pericolosa perché in nome del vecchio tiene con sé, mistificate, le ragioni del lavoro contro quelle dell’automazione, della tecnologizzazione, della dispersione di manodopera:

Le elite che sostengono il negazionismo climatico hanno bisogno di alleati all’interno dei gruppi sociali subalterni. Nei principali paesi capitalisti, in particolare dove il settore dell’energia fossile è esteso (Stati Uniti, Canada, Australia), hanno trovato i loro più convinti alleati tra quei segmenti del proletariato che percepiscono il cambiamento climatico non solo come una minaccia per i loro impieghi e per un’energia a basso costo, ma anche come un sistema sofisticato per dare potere a un’oligarchia di esperti e ostacolare l’esercizio della sovranità nazionale (e nazionalista). […] L’elettore di Trump e quello di Modi provengono da gruppi e classi sociali differenti, e potrebbero essere mobilitati attorno a forme particolari di pregiudizio razziale, nazionale o di genere. Ma ciò a cui si oppongono quasi all’unanimità è la legittimità di un’entità politica distintamente internazionale, soprattutto se questa ha la facoltà di disciplinare il capitale (nazionale).

Se il Leviatano è una costruzione oligarchica, il Behemoth liberista si presenta come alleanza sociale populista, che utilizza il proletariato in funzione plebea e demanda la direzione di questo a presunte elite “anti-illuminate”, borghesi ma “nazionali”, ricche ma “fatte da sé” o “venute dal basso”. È una forma di reazione naturale e, in qualche modo, legittima: se il Leviatano oligarchico presuppone, per dirla con Mike Davis, «la creazione di oasi di opulenza permanentemente verdi e recintate su un pianeta altrimenti derelitto», tutto ciò che è fuori dall’oasi capitalista del nord del mondo resisterà al mostro oligarchico-liberale, cementando l’alleanza di fatto tra “sovranismo” nord-occidentale e interessi del mondo escluso dalla “comunità dei liberi” (liberi, o quantomeno protetti, dagli effetti devastanti del cambiamento climatico). È uno scontro di classe, insomma, ma in cui le classi subalterne non hanno voce se non mediata dalle borghesie “nazionali” del nord capitalista. Il confronto-scontro tra Leviatano e Behemoth, ordoliberalismo e liberismo, è senza vie d’uscita per il mondo e per la sua maggioranza della popolazione, perché è uno scontro tutto interno a diversi tipi di borghesie, in acerrima lotta tra di loro ma unite nell’interesse di reiterare il privilegio della privatizzazione dei profitti generati socialmente.

L’alternativa è la “X climatica”, secondo gli autori: «la crisi planetaria è, tra le altre cose, una crisi di immaginazione, una crisi dell’ideologia», e non potremmo essere più d’accordo. Il clima costringe a pensare diversamente, diversamente anche dai nostri riferimenti ideologici. Eppure, anche qui, non si tratta di procedere a liquidazione del nostro patrimonio politico, come invece sembrano propendere i due professori nordamericani gettando nella spazzatura della storia tanto lo status quo capitalista quanto l’alternativa socialista (anch’essa “sovranista”, nella loro idea). Il socialismo, è una realtà di fatto, non ha saputo dare risposte alla questione ambientale, e il suo modello produttivo si è dimostrato storicamente inquinante tanto quanto il modello produttivo capitalista: altre epoche, altri problemi, altra tecnologia. Ma se il capitalismo, in quanto tale, non può che essere inquinante, anche nella sua versione “green”, perché fondato sul valore di scambio e sull’accumulazione allargata e potenzialmente infinita, il socialismo può essere, almeno in via teorica, concretamente sostenibile ecologicamente, perché fondato sulla pianificazione delle decisioni politiche, nonché sulla produzione di valori d’uso non subordinati al mercato. Il socialismo è stato inquinante dunque, ma se l’unica soluzione – paradossalmente immaginata persino dal capitale – non può che essere quella di una pianificazione (e addirittura una pianificazione globale del consumo di risorse energetiche), questa traiettoria non può che ricostruire quella necessità del socialismo data per dispersa in questo trentennio inglorioso. Il cambiamento climatico può essere una molla di trasformazione allora, ma di trasformazione politica, non dell’ambiente.

Comments

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Antonio
Wednesday, 18 December 2019 14:36
Rimaneggioato dall'articolo già pubblicato qui: https://sinistrainrete.info/ecologia-e-ambiente/16088-f-william-engdahl-il-clima-e-la-via-dei-soldi.html
da Sinistrainrete e da Resistenze in precedenza

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[quote name="claudio"]A me hanno mandato questo scritto, che ne dite?
Seguite la scia dei soldi dietro le politiche sul clima
DI F. WILLIAM ENGDHAL [1]
Clima. Chi l’avrebbe mai detto. Chi sono i principali sostenitori del movimento “popolare” di decarbonizzazione, dalla Svezia alla Germania, agli Stati Uniti fino al resto del mondo? Gli stessi mega-miliardari che stanno dietro alla globalizzazione degli ultimi decenni. Sì, proprio loro, la cui ricerca del valore per gli azionisti e la cui riduzione dei costi hanno devastato l’ambiente, sia nel mondo industrializzato che nelle economie in via di sviluppo di Africa, America Latina ed Asia.
Si tratta di coscienza sporca, o forse il piano nascosto è la finanziarizzazione dell’aria stessa che respiriamo?
Qualsiasi cosa si possa credere sui rischi del riscaldamento globale, che nella prossima dozzina di anni potrebbe creare un catastrofico aumento medio della temperatura del globo di 1,5-2 gradi Celsius, vale la pena far notare chi stia promuovendo l’attuale flusso di propaganda climatica.
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claudio
Tuesday, 17 December 2019 17:24
A me hanno mandato questo scritto, che ne dite?
Seguite la scia dei soldi dietro le politiche sul clima
DI F. WILLIAM ENGDHAL [1]
Clima. Chi l’avrebbe mai detto. Chi sono i principali sostenitori del movimento “popolare” di decarbonizzazione, dalla Svezia alla Germania, agli Stati Uniti fino al resto del mondo? Gli stessi mega-miliardari che stanno dietro alla globalizzazione degli ultimi decenni. Sì, proprio loro, la cui ricerca del valore per gli azionisti e la cui riduzione dei costi hanno devastato l’ambiente, sia nel mondo industrializzato che nelle economie in via di sviluppo di Africa, America Latina ed Asia.
Si tratta di coscienza sporca, o forse il piano nascosto è la finanziarizzazione dell’aria stessa che respiriamo?
Qualsiasi cosa si possa credere sui rischi del riscaldamento globale, che nella prossima dozzina di anni potrebbe creare un catastrofico aumento medio della temperatura del globo di 1,5-2 gradi Celsius, vale la pena far notare chi stia promuovendo l’attuale flusso di propaganda climatica.
Finanza verde
Diversi anni prima che una ragazzina svedese ed Alexandria Ocasio-Cortez apparissero sulla scena, i giganti della finanza avevano iniziato a riallocare i propri asset, per il valore di centinaia di miliardi in fondi future, verso investimenti in società “climatiche”, spesso prive di valore.
Nel 2013, dopo anni di attenta preparazione, una società immobiliare svedese, Vasakronan, ha emesso il primo “Green Bond” aziendale. Hanno seguìto altri, tra i quali Apple, Crédit Agricole, la principale banca francese, ed SNCF. Nel novembre 2013 la Tesla Energy, l’azienda di Elon Musk, ha emesso il primo security basato sul solare. Oggi, secondo il Climate Bonds Initiative, sono state emesse Obbligazioni Verdi per un valore di oltre 500 miliardi di dollari. I creatori dell’idea obbligazionaria affermano che l’obiettivo è quello di conquistare una quota importante dei 45mila miliardi di dollari di asset dei management che in tutto il globo hanno assunto il nominale impegno di investire in progetti “climatici”.
Il Principe Carlo, futuro re d’Inghilterra, assieme alla Bank of England ed alla City di Londra, ha promosso “strumenti finanziari verdi”, guidati da Green Bonds, che reindirizzassero piani pensionistici e fondi comuni di investimento verso progetti verdi. Un attore chiave nel collegare le istituzioni finanziarie mondiali con l’Agenda Verde è Mark Carney, presidente uscente della Banca d’Inghilterra. Nel dicembre 2015, la Bank for International Settlements Financial Stability Board (FSB), allora presieduta da Carney, ha creato la Task Force sulla Divulgazione Finanziaria legata al Clima (TCFD), per consigliare “assicurazioni, finanziatori ed investitori sui rischi legati al clima”. Un obiettivo senza dubbio bizzarro per i banchieri centrali mondiali.
Nel 2016 il TCFD, assieme alla City of London Corporation ed al governo britannico, ha avviato la Green Finance Initiative, con l’obiettivo di incanalare migliaia di dollari in investimenti “verdi”. I banchieri centrali dell’FSB hanno nominato 31 persone per formare il TCFD. Presieduto dal miliardario Michael Bloomberg, include persone chiave di: Barclays Bank; BHP Billington, gigante minerario; BlackRock, uno dei maggiori gestori patrimoniali al mondo con quasi 7mila miliardi di dollari; Dow Chemical; ENI; HSBC, la banca con base a Londra ed Hong Kong, ripetutamente multata per riciclaggio di droga ed altri fondi neri; ICBC, banca cinese; JP MorganChase; Swiss Re, la seconda riassicurazione più grande al mondo; Tata Steel; infine, David Blood, di Generation Investment LLC., compagnia di Al Gore. In pratica, i controllati sono anche i controllori.
Carney è stato protagonista anche degli sforzi fatti per rendere la City il centro finanziario della Finanza Verde globale. Philip Hammond, uscente Ministro dell’Economia, nel luglio 2019 ha pubblicato un saggio, “Strategia di finanza verde: trasformare la finanza per un futuro più verde”. Il documento afferma: “Una delle iniziative più influenti da promuovere è il TCFD, sostenuta da istituzioni che rappresentano beni per 118mila miliardi di dollari a livello globale.” C’è palesemente un’agenda nascosta. Il piano è finanziarizzare l’intera economia mondiale, sventolando lo spauracchio di uno scenario da fine di mondo, per raggiungere obiettivi arbitrari come “emissioni nette zero di gas serra.”
L’attore chiave in rappresentanza di Goldman Sachs
L’onnipresente banca di Wall Street, Goldman Sachs, che ha sfornato, tra gli altri, i presidenti uscenti di BCE, Mario Draghi, e di Banca d’Inghilterra, Carney, ha appena svelato il primo indice globale di titoli ambientali di alto livello, redatto assieme al londinese CDP, precedentemente noto come Progetto di Divulgazione del Carbonio. Il CDP, in particolare, è finanziato da investitori quali American International Group, Bank of America, Goldman Sachs, HSBC, JPMorgan Chase, Merrill Lynch e State Street Corp.
Il nuovo indice, denominato CDP Environment EW e CDP Eurozone EW, mira ad attirare fondi di investimento, sistemi pensionistici statali come CalPERS (il sistema pensionistico dei dipendenti pubblici della California) e CalSTRS (il sistema pensionistico degli insegnanti dello Stato della California), con un combinato di più di $600 miliardi di attività, da investire in obiettivi scelti con cura. Le società a più alta quotazione nell’indice sono Alphabet, che possiede Google, Danone, Diageo, ING Group, Microsoft, Philips e, ovviamente, Goldman Sachs stessa.
Inserisci Greta, AOC & company
Attiviste quali la svedese Greta Thunberg o la newyorkese Alexandria Ocasio-Cortez ed il suo Green New Deal andrebbero dunque riviste sotto una diversa luce. Per quanto sincere possano essere, c’è una ben oliata macchina finanziaria dietro di loro.
Greta fa parte di una rete legata all’organizzazione di Al Gore. Viene utilizzata in modo cinico e professionale da agenzie come le Nazioni Unite, la Commissione Europea ed i vari potentati finanziari che stanno dietro l’attuale agenda sul clima. Come documenta in un’eccellente serie di post Cory Morningstar, ricercatrice ed attivista climatica canadese, è in azione un ben interconnesso network che fa capo ad Al Gore, presidente del gruppo Generation Investment.
Il partner di Gore, David Blood, ex funzionario di Goldman Sachs, è, come detto in precedenza, un membro del TCFD, creato dalla BRI. Greta, assieme alla sua diciassettenne omologa americana, Jamie Margolin, sono state entrambe elencate come “consulente giovanile speciale e fiduciario” della ONG svedese ‘We Don’t Have Time’, fondata dal suo CEO Ingmar Rentzhog. Quest’ultimo è membro dei Leader dell’Organizzazione per la Realtà Climatica, di Al Gore, e fa parte della Task Force per la Politica Climatica Europea. È stato addestrato nel marzo 2017 da Gore a Denver e di nuovo nel giugno 2018 a Berlino. Il gruppo di Al Gore è partner di ‘We Don’t Not Time’.
La deputata Alexandria Ocasio-Cortez (AOC), che nei suoi primi giorni al Congresso si è fatta notare per aver svelato un “New Deal verde” che riorganizzasse completamente l’economia americana ad un costo di circa 100mila miliardi di dollari, non è priva di guida. AOC ha apertamente ammesso di essersi candidata al Congresso su pressione di un gruppo chiamato Justice Democrats. Ha dichiarato: “Non mi sarei mai proposta non fosse stato per il supporto di Brand New Congress e Justice Democrats. Anzi, sono state proprio queste due organizzazioni a chiedermi di candidarmi. Sono loro che mi hanno chiamato un anno e mezzo fa…” Ora, come membro del Congresso, i consiglieri di AOC includono il cofondatore di Justice Democrats, Zack Exley. Questi è stato un associato di Open Society ed ha ottenuto fondi, tra gli altri, da Ford Foundation ed Open Society Foundations, per creare un predecessore di Justice Democrats che recluti candidati scelti per la carica.
La vera agenda è economica
L’obiettivo di abbandonare i combustibili fossili, a favore di una vaga e fumosa economia verde, non ha origini esattamente etiche. Si tratta piuttosto di un piano, intimamente legato all’Agenda ONU 2030 per un’economia “sostenibile”, per la creazione di letteralmente migliaia di miliardi di dollari di nuova ricchezza per le banche globali ed i giganti finanziari che lo sponsorizzano.
Nel febbraio 2019, alla fine di un discorso tenuto alla Commissione Europea di Bruxelles dalla Thunberg, l’allora presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, dopo aver galantemente baciato la mano di Greta, sembrava voler metter le cose in pratica. Ha detto a Greta ed alla stampa che l’UE avrebbe speso centinaia di miliardi di euro nei prossimi 10 anni per combattere i cambiamenti climatici. Ciò che il furbo Juncker ha omesso di dire è che la decisione non ha nulla a che spartire con i motivi della giovane attivista svedese. Era stata infatti presa in collaborazione con la Banca Mondiale alcuni mesi prima prima, il 26 settembre 2018, al vertice di One Planet, in presenza di Bloomberg Foundations, Forum Economico Mondiale ed altri soggetti. Juncker aveva abilmente sfruttato l’attenzione data dai media alla giovane svedese per promuovere la propria agenda sul clima.
Il 17 ottobre 2018, giorni dopo l’accordo al vertice di One Planet, l’UE di Juncker ha firmato un memorandum d’intesa con Breakthrough Energy-Europe, le cui società membro avranno accesso preferenziale a qualsiasi finanziamento.
I membri di questa associazione includono: Richard Branson, di Virgin Air; Ray Dalio, di Bridgewater Associates; Bill Gates; Jack Ma, di Alibaba; Julian Robertson, di Tiger Management, gigante degli hedge fund; David Rubenstein, fondatore di Carlyle Group; Masayoshi Son, fondatore della giapponese Softbank; George Soros, presidente del Soros Fund Management LLC.; il principe Al-Walid bin Talal; Mark Zuckerberg, di Facebook.
Non fatevi trarre in inganno. Quando le più influenti multinazionali, i maggiori investitori istituzionali al mondo, tra i quali BlackRock e Goldman Sachs, le Nazioni Unite, la Banca Mondiale, la Banca d’Inghilterra ed altre banche centrali della BRI si schierano per promuovere una cosiddetta Agenda Verde, è tempo di guardare dietro le quinte. La realtà che emerge è che il clima è solo il perno da utilizzare per riorganizzare la finanza.
Nel 2010, il capo del gruppo di lavoro 3 del Comitato Intergovernativo delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, il dott. Otmar Edenhofer, ha dichiarato: “… bisogna dire con chiarezza che di fatto ridistribuiamo la ricchezza mondiale in base alla politica climatica. La politica internazionale sul clima non ha alcunché a che fare con problemi come il buco dell’ozono o la deforestazione.” E da allora la strategia si è sviluppata enormemente di più.
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Mario M
Monday, 16 December 2019 13:06
Scrive l'autore dell'articolo: "La questione ambientale ha a che fare direttamente con il politico. Non è una questione scientifica (meno che mai “tecnica”)".

Ma se la politica prescinde (come sta succedendo) dalle conoscenze tecniche, siamo messi male. Già per altre supposte minacce planetarie, come le epidemie, l'olocausto nucleare, gli attentati terroristici dell'11 Settembre, la politica ha chiuso gli occhi, non ha indagato a livello tecnico. A difesa e discolpa della politica, va notato che la comunità scientifica e culturale, gli intellettuali, i letterati, i professori e gli accademici non hanno svolto le indagini del caso, preferendo sottoscrivere quanto il potere presentava e pretendeva come verità; e hanno proceduto con un'immensità di riflessioni filosofiche e sociologiche su palesi falsità; e il global warming di origine antropica mi sembra sia l'ultima arrivata.
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Mario M
Saturday, 14 December 2019 14:41
L'articolo si inserisce in un dibattito che vede il cambiamento climatico entrare anche nell'arena filosofica: "Fuori dal sovrano climatico, oggi, c’è il negazionismo climatico" , come in una nuova ed originale partita di Teocono, due scuole si confrontano, ma non limitate alle aule accademiche, ma allargate alla società, alla politica, alla Scienzah. Silvio Ceccato è stato geniale quando aveva configurato la ricerca filosofica come un gioco, che oggi si è allargato, e anche volgarizzato.

La prima versione de Il Gioco del Teocono si trova nel volume "Un Tecnico fra i Filosofi - Come non Filosofare". È geniale già solo il titolo.
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Franco Trondoli
Saturday, 14 December 2019 13:46
Bella presentazione e ottimo articolo. Complimenti. Come si vede con le iniziative Turche, il Super-Leviatano dovrà tenere a bada molte situazioni, compresi i Sub-Imperialismi regionali che si moltiplicheranno ovunque. Effetti della Globalizzazione assoluta. Paradossalmente tutti l'hanno voluta e ora tutti la soffrono. Schizofrenia Capitalistica; con tutto quello che se segue. Cordialmente
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