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sinistra

Apriamo connessioni operaie globali

Verso prossime esperienze e ribellioni per un ancora possibile riscatto dell’umanità

di Karlo Raveli

Luxemburg AccumulazioneCosa unisce l'Europa del 1848, il Biennio rosso 1916-17 con l’epica e poi tragica rivoluzione sovietica, in seguito la tedesca 1918-19 e successivamente la straordinaria cinese (1946-49), con consecutive rivolte di liberazione nazionale degli anni '50 e '60, sfociate a loro volta negli anni sessanta e settanta in straordinari movimenti sociali mondiali, soprattutto giovanili? Possono essere interpretate come tappe significative di maturazione dei potenziali di riscatto dell’umanità.

Si tratta cioè di momenti storici appassionanti che si contrappongono all’allarmante sfondo di un quadro sempre più sconcertante e devastatore, quanto mondialmente concatenato: quello del modello di sviluppo umano ormai dominante da vari secoli e chiamato capitalismo. Per far fronte al quale appare sempre più indifferibile il recupero e la valorizzazione di alcune solide e indispensabili chiavi di conoscenza e coscienza per le ormai indifferibili ribellioni. Chiavi teoriche e politiche, per cominciare, ma anche o forse soprattutto culturali. Oltre all’impellente ricerca di altre nuove o inedite. Il più possibile valide, accessibili ed efficaci per rafforzare decisive ondate di emancipazione e liberazione. Che rinasceranno inevitabilmente, e che è ormai indispensabile trasformare in risolutive, di fronte alla crescita ormai quasi esponenziale di degradazioni di ogni tipo causate dal capitalismo.

Proponiamo perciò alcune piste che speriamo fruttifere per questo lavoro di esplorazione e riscatto, e in seguito di connessione e attivazione globale. Come strumenti aperti e flessibili ma soprattutto robusti e praticabili che, tanto per cominciare, ci facciano scoprire e collegare tutto ciò che accomuna soggetti, movimenti e classi sociali già disposte o attive nelle lotte contro questo mondezzaio1 del Capitale, sempre più infetto e penetrante. Questa cosa che non è una cosa, bensì un patologico rapporto sociale tra persone, sempre più mediate dall’Avere e dai suoi impulsi alienanti. Cioè tra persone intimamente relazionate da cose, come affermava il gran saggio Karl Marx, piuttosto che da sentimenti e consapevolezze collettive naturali.

 

Primo indispensabile lavoro di riscatto

È inevitabile, Marx resta fin’ora un valido punto di riferimento, o se si vuole di partenza, nonostante i suoi logici o naturali limiti e contraddizioni, che chiariremo in seguito. Visto soprattutto, che l’essenziale della sua etica ed approccio critico rispetto al sistema vigente non sembra sia ancora stato superato dopo questo secolo e mezzo di tentativi ed esperimenti.

Allora, tra queste chiavi teoriche e politiche necessarie per capire e poter oltrepassare l’attuale modo di sviluppo umano ve ne sono quattro o cinque assolutamente inevitabili che vorremmo analizzare e utilizzare proprio in funzione di prossime ipotizzabili sfide insurrezionali. Prendendo spunto da un intervento che tenne tempo fa in un incontro Mark Fisher e la cui traduzione - di A. Fumagalli e D. Gallo Lassere - si pubblica in Effimera: “Verso l’Acid Communism. Presa di coscienza e post-capitalismo”, http://effimera.org/verso-lacid-communism-presa-coscienza-post-capitalismo-mark-fisher/. Ma citando anche altri interessanti passaggi, per esempio di “Al di là dell’opposizione tra interesse e identità. Per una politica di classe all’altezza dei tempi” di S. Mezzadra e M. Neumann fhttp://www.euronomade.info/?p=9402). oppure di “Metamorfosi del rapporto capitale-lavoro: l’ibridazione umano-macchina” di A. Fumagalli (http://effimera.org/metamorfosi-del-rapporto-capitale-lavoro-libridazione-umano-macchina-andrea-fumagalli/).

 

Dall’esistenza passiva alla coscienza creativa

Ecco quindi una prima e conosciuta proposta da valorizzare come messa a fuoco generale, o come preambolo che vogliamo ribadire con insistenza; la chiarezza con cui Marx afferma che soltanto un soggetto sociale ‘per sé’ - e non solo ‘in sé’, in modo assoluto - potrà svolgere un ruolo antagonista attivo e definitivo come operatore, emancipatore e liberatore dal modo di sviluppo capitalista2. Ciò che però intendiamo oggi - miglioramento sostanziale - come un ‘per sé’ politicostrategico ben più complessivo di quel che si intendeva quasi sempre finora come ‘classe operaia’.

Non parliamo dunque di un presunto ‘per sé’ di un unico ‘gruppo’ o componente, per esempio quello peculiare dei lavoratori salariati, pur così sovente qualificante se non determinante.

Cioè, non di una ‘classe’ omogenea o un blocco sociale - come del resto la storia insegna dopo tanti fallimenti di ipotesi costruite sui lavoratori - ma trattando invece, conseguentemente, di un ‘soggetto’ con grandi contraddizioni interne travalicanti quelle strettamente legate al lavoro. Con questa analisi vorremmo sottolineare come questa problematica si situi ben oltre l’ambito del ‘lavoro sfruttato’ e tutta la sua molteplice concretezza, per poter “pensare in modo radicalmente diverso la politica di classe: come una politica in movimento della solidarietà e del comune”3. Sottolineando pertanto tutto ciò di fronte a un M. Fisher che sembra invece riprodurre due tipiche confusioni marxiste, quando afferma che se “le persone sviluppano una coscienza di gruppo o di classe non registrano solamente qualcosa che è vero”, o che “quando si costituiscono come gruppo hanno già cambiato il mondo”.

Infatti e tanto per cominciare, il concetto marxiano di classe ‘in sé’ non può assolutamente essere ridotto a quello di gruppo e nemmeno di massa o di inscindibile corpo o ceto sociale. Questo errore riporterebbe all'utilizzo che ne fanno le sociologie capitaliste e disgraziatamente molti marxismi, la cui oggettiva responsabilità è proprio quella di ignorare e persino contraffare l’enorme potenza del preciso ma molto ampio concetto marxiano di classe. Da intendere, oltretutto, come strumento essenzialmente teorico e politico di raffigurazione, appunto, di un soggetto complesso o dimensione sociale abbondantemente eterogenea e contraddittoria. La cui coscienza - quindi potenziale sintesi rivoluzionaria - non si riversa nella formazione o dispiegamento di un ‘gruppo’ o aggregazione corporea indivisibile; magari da interpretare come formazione sociopolitica stabile o permanente.

Al contrario, proprio con la consapevolezza delle sue evoluzioni con ricchissime, prolifiche e rinnovate contraddittorietà che dovrebbero pertanto riflettersi in una straordinaria diversità di movimenti! Anche o soprattutto, come si suol dialetticamente sottolineare, in direzione della negazione finale del sistema, proprio in quanto negazione delle condizioni d’esistenza ‘in sé’ come classe alienata, sfruttata e sottomessa. Perciò, ben oltre le semplificazioni banali, dottrinarie, settarie e retrograde, lavoriste e classiste ancora tremendamente diffuse, soprattutto tra le cosiddette ‘sinistre’ sistemiche. Ma in parte, o in certo qual modo, ancora evidenti anche in determinati marxismi ben più sviluppati, radicali e apparentemente più coerenti con la teoria marxiana; persino definiti come ‘operaisti’...4.

Bisogna però riconoscere, come quest'ultimi inglobino comunque in maniera sempre più esplicita, determinate realtà operaie come “la rivolta delle donne e dei lavoratori migranti, la critica radicale della società e del mondo del lavoro fordista (in particolare da parte della gioventù) (che) hanno aperto un nuovo spazio d’esperienza, al cui interno nuove articolazioni della politica di classe sono divenute possibili”5. Visto anche, o soprattutto, che “non si tratta più di prendere possesso dei mezzi di produzione esternamente dati, si tratta (quindi) di riconquistare l’autonomia del proprio sapere e della propria vita”6; proponendo pertanto quella “coscienza (che) è quindi immediatamente trasformativa” o “un salto di coscienza (che) diventa la base per altre forme di trasformazione” di cui parla Fisher. Trasformazione, che si può convertire in una reale potenza operativa rivoluzionaria - come potere in movimento, di lotta radicale generale su tutto il sistema - precisamente solo a condizione che esprima al massimo le ricchissime diversità e potenzialità contraddittorie prospettate nella dimensione originale marxiana di classe operaia, che illustreremo nei prossimi capitoli.

 

Classe operaia: libertaria operatrice di comunismo?

Ecco allora, la seconda indispensabile chiave: affinché la classe si presenti e sviluppi per sé, è indispensabile che abbia chiara coscienza di tutte le circostanze fondamentali di questa sua portentosa originalità. Sia delle condizioni storiche che la generano e configurano come tale, che della sua conseguente conformazione come un universo sociale molto composito, quanto perfettamente definibile nell’ambito dell’attuale fase capitalista di sviluppo. Trasformandosi quindi da figura teorica, in sé, con una presunta potenzialità sociale esistente ma latente - in questa modalità di sviluppo dove l’Avere governa sempre più l’Essere (umano) - in una consapevole dimensione sociale ‘per sé’ opposta, attiva e proprio come tale in movimento. Cioè, con la coscienza di essere in grado di operare una lotta politica di liberazione generale e radicale su tutte le alienazioni derivate dall’appropriazione capitalista; tra le quali anche lo sfruttamento del lavoro ovviamente!

Solo seguendo questo percorso potremmo parlare di lotte libertarie e di comunismo.

Trattiamo quindi di un riscatto o presa di coscienza dall’ovvio ‘in sé’ per potersi attivare realmente, al fine di raggiungere l’indispensabile emancipazione di tutta la società da valori rapporti e processi del Capitale.

È proprio per questo motivo che abbiamo sottolineato finora in vari modi, che la dimensione che chiamiamo operaia va interpretata come l’unico possibile e categorico soggetto antagonista, radicale e terminale del sistema, come dei suoi spiriti animali fautori e sostenitori. Ma, soprattutto, dei sempre più minoritari protagonisti tangibili che chiamiamo borghesi, capitalisti, padroni, ricchi proprietari, banchieri, finanzieri, dirigenti, trafficanti, eccetera. I quali, proprio per il fatto di proporsi come la determinazione sostanziale oggettiva del sistema, si trasfigurano eticamente da canaglie a persone civili, da un punto di vista umano naturale e quindi anche politico7. Quando non addirittura, in parecchi casi, in manifesti criminali: accettando le responsabilità per il prezzo pagato in lacrime, sudore, sangue, infezioni, corruzioni, inquinamenti, violenze e morti - soprattutto nelle periferie del sistema - in funzione del rimpinzamento progressivo e infinito del proprio patrimonio. Quando parliamo di condizioni storiche quindi, dobbiamo riferirci una buona volta alle cause e circostanze concrete che determinano molto precisamente questo potenziale soggetto, come una enorme negazione di codesto abbrutito sistema. Cioè, cause e circostanze che lo definiscono scientificamente, come si dice spesso, in quanto soggetto o realtà sociale tanto sterminata quanto chiaramente delimitabile, anche se in permanente evoluzione e nonostante i contrasti interni e internazionali. Poco importa se lo si chiama classe, dimensione, estensione, insieme o moltitudine operaia mondiale.

Trattiamo perciò di queste condizioni di base, originarie, che definiscono il concetto di classe operaia mondiale e che si riducono sostanzialmente a tre:

- È un complesso sociale in generale escluso dalla proprietà delle ricchezze e dai potenziali che ne derivano, sia in quanto beni comuni naturali come la terra che come mezzi fisici o virtuali di produzione e comunicazione come diritti, patenti, tecnologie, ecc.8.

- Risulta complessivamente sottoposta e immersa - nel sistema culturale, familiare, educativo, istituzionale, politico, ecc. - in un’infinità di alienazioni e robotizzazioni; anche in questo caso in modi e forme discordanti ma soprattutto ordinariamente inconsce. Di Conseguenza, solo la coscienza collettiva per sé di cui parliamo può smascherare, sviscerare e poi eventualmente smantellare questo novo e particolarmente pervasivo tipo di alienazione.

- Ognuno dei suoi componenti si trova nella condizione forzosa del dover dipendere da un salario per poter vivere o sopravvivere; integrato o assoggettato a una o più manifestazioni ‘produttive’ del sistema complessivo. Cioè, asservito a un qualsiasi processo, entità o persona proprietaria, imprenditoriale o funzionale del capitalismo che da origine e sfrutta diverse forme di lavoro o impiego, che sia salariato o ‘autonomo’. Il lavoro ha assunto infatti le forme più svariate: in ufficio, in fabbrica, in rete, in casa, in aria, mare o terra, fisso, precario, temporale, autonomo, cooperativo o in altri modi produttivi e remunerativi sempre più mutevoli ed individualizzati. Quindi sempre meno omologabili al classico salariato delle famose otto ore delle antiche falci e martelli.

Tant’è che si possono persino prefigurare delle sommatorie sociali artificiali, dette ceti o ‘classi medie’ per esempio - ed ecco il ruolo delle ideologie e sociologie sistemiche! - che corrispondono in realtà a nuove forme operaie (privilegiate?) sorte dall’anticamente cosiddetto ‘proletariato’!

Per non parlare di espressioni e combinazioni produttive attuali, integrate appunto tra comunicazione, consumo e creazione di valore. Sempre più patologicamente individualizzate e inconsapevoli, pur se registrate tra queste fantomatiche ‘classi medie’ e settori ‘consumo-produttori’ di rete o internet.

In ogni caso, affinché sia possibile attivare tutto il potenziale radicale della presa di coscienza per sé, devono essere assolutamente edotte tutte e tre le condizioni che la determinano. Quindi non basta la sola coscienza di una di esse - quella tipica dell’attività salariata, per esempio - per sentirsi, pensare ed operare come classe reale. Come potenziale, complessiva e libertaria operatrice di comunismo.

 

Basta ‘socialismi’ e riforme sistemiche!

Senza le premesse illustrate nel capitolo precedente, ogni movimento insurrezionale vittorioso fatto in nome di una classe castrata o estratta dall’algoritmo capitalista completo che la genera, si installa in più o meno breve tempo in un nuovo ma sempre condizionante assetto sistemico dell’Avere. Basti pensare al capitalismo di stato sovietico che ne è stato il più tragico esempio, dopo un primo - forse fin’ora il più importante - tentativo di uscire da questa sempre più sofisticata e sviluppata barbarie della specie umana. L’unica razza animale che violenta ed uccide i propri simili anche grazie alla creazione di valori, codici, termini e linguaggi congruenti con ogni tipo di abuso e appropriazione. Come il termine all’uso di giustizia, per esempio. O persino di diritti e di pace.

Una barbarie che si presenta come civiltà ‘avanzata’, e che i suoi riformatori e sostenitori ‘socialisti’ pretendono a volte ‘migliorare’... proprio grazie all’incapacità o rifiuto di assumerne tutte e tre le evidenti condizioni e spiegazioni della sua essenza contro natura - appunto: appropriazione, alienazione e sfruttamento. Quando, viceversa, dovrebbero essere contemporaneamente tutte ammesse, sviscerate e studiate, e poi politicamente espresse a fondo per e nelle lotte generali. Per non ricadere in nuove riforme e abbellimenti del mondezzaio!

Che sia appunto con la coscienza tutt’ora così evidente ed ideologicamente dominante della condizione-sfruttamento del lavoro, oppure con quella sempre più incisiva e profonda della soggezione culturale, ideologica (spirituale), simbolica, politica (con tutto ciò che denominiamo alienazioni politico-istituzionali, come oggi quella diffusa di ‘democrazia’), ecc; ma sempre (o soprattutto per chi si pretenda ‘comunista’) con la condizione storicamente principale e determinante, la questione proprietaria. Della cosiddetta ‘proprietà privata’, come si suol dire.

Così decisiva rispetto, per esempio, alla drammatica questione ecologica e all’involuzione climatica del nostro pianeta, con la maggior parte dei cosiddetti ‘beni comuni’ in mano o controllati da una estremamente esigua minoranza, con le proprie finalità, connessioni, associazioni e stati.

In sostanza, così determinante rispetto a tutto ciò che concerne l’appropriazione o espropriazione particolare, storica e complessiva di quasi tutte le ricchezze scoperte, prodotte o ereditate. Materiali o astratte e ‘virtuali’ come i saperi, i ‘diritti legali’, le tecnologie, ecc. Tutto ciò che possiamo definire come congeniti e potenziali beni comuni dell’umanità, siano essi naturali o artificiali, cioè creati dall’attività - lavoro/attività salariata o no - umana. Del resto e in realtà, praticamente sempre in modo collettivo o socialmente connesso.

Ecco perché anche su questo aspetto l’articolo di Fisher appare interessante e conseguente quando afferma che “dalla metà degli anni Settanta a oggi, si nota che le classi sono scomparse dalla scena politica come concetto di base. Oppure sono state arruolate nei modelli socio-politici dominanti, in Europa come negli Stati Uniti e nel Regno Unito”, e che “da allora, abbiamo assistito all’eliminazione del concetto di classe, o meglio, all’eliminazione della coscienza di classe, che non è la stessa cosa dell’eliminazione dei rapporti di classe”. Anche quando cita l’espressione di Wendy Brown “risentimento di classe, senza coscienza di classe” o ricorda “l’eco riscontrato dal libro di Owen Jones, La demonizzazione della classe operaia (2012)” sottolineando come “ci troviamo ad affrontare delle manifestazioni di odio, di umiliazione e subordinazione sociale, ma senza le istanze che prima esistevano per combatterle e senza la coscienza di classe in grado di contrastarle”.

 

Critica marxiana delle prescrizioni marxiste...

Ed eccoci arrivati a una terza indispensabile chiave marxiana: la concezione materialistica della storia, con l’analisi concreta di ogni situazione concreta. Con una dialettica prassistica che ci sollecita a sottoporre la teoria a verifiche permanenti della pratica, e viceversa. Ciò che la stragrande maggioranza delle ideologie marxiste ha troppo poco o per nulla stimolato dopo Marx. Ma ancor peggio, la cui insufficienza ha prodotto un’infinità di sinistre sistemiche (anche se giungono ad autobollarsi ancora come ‘comuniste’, per non parlare delle ‘socialiste’...) già subito dopo la rivoluzione sovietica e tedesca del 1918-19. Cioè, detto chiaro e tondo, che si sono ben guardate dall'applicare la lotta di classe in modo radicale ed esplicito su tutti i suoi TRE fondamenti essenziali. E che di conseguenza hanno permesso - se non facilitato o persino dialetticamente prodotto - le posteriori evoluzioni del capitalismo dopo ogni epoca di grandi lotte9. Fino ad arrivare al sofisticato abbrutimento neoliberista dei giorni nostri, a sua volta avviato - come vedremo - fin dagli anni 70 come ultima risposta generale sistemica alle forti richieste e lotte sociali del periodo.

Proprietà e Avere: parlando in particolare di questa prima condizione di base della dimensione operaia, come quinta ‘chiave’ specifica, costatiamo l’enorme aggravio della sua rimozione anche nell’analisi di classe odierna. Quasi incredibile! Un elemento tremendamente emarginato e che potrebbe in parte spiegare l’emergere dei virus lavoristi del marxismo. Cioè, l'elemento che ha permesso la convenzionale elevazione al grado di classe del solo settore e condizione dei lavoratori sfruttati salariati - denominata ‘classe lavoratrice’, voilà! Con l’assurdo orgoglio del lavoro salariato e con tutte le derive teoriche corrispondenti, come l’esplicita rimozione dalla dimensione di classe di altri movimenti e componenti specifiche: disoccupati, riproduttrici, migranti, autonomi, pensionati, precari, studenti10, ecc. che rispondono invece tutti alle tre condizioni definitorie di base. Insomma, tutto l’enorme e cangiante universo umano che chiamiamo appunto classe operaia. Riproducendo, in fin dei conti, il fondo etico e ideologico dell’ideologia lavorista che sostenta tutto il sistema.

Poco importa che sia poi d’origine cristiana o luterana, produttivistico-progressista, nazionalista, concorrenziale-individualista o tutto ciò che già Paul Lafargue pose così bene in evidenza, proprio di fronte al purtroppo assai tedesco suocero K. M. Basti pensare che la magnifica ode di Lafargue al sano e naturale ozio umano è stata tenuta il più possibile nascosta da quasi tutti i ‘marxismi’, alienandone addirittura il titolo, sostituendo pigrizia con ozio.

Cominciamo pertanto con una dura critica di questo primo errore fondamentale ‘di sinistra’, la non applicazione del cosiddetto materialismo storico e dialettico fino in fondo e la sua conseguente riduzione politica all’ambito delle sole ‘forze produttive’. Inquadrando cioè, con un esempio da riconoscere chiaramente proprio rispetto all’antica esperienza militante dello stesso Marx, quell’inerzia tipica dell’assumere alla cieca le sue prescrizioni politiche - piuttosto che le teoriche più radicali - risultanti dalle circostanze di lotta sociale del secolo XIX. Vale a dire le sue istruzioni tattiche e strategiche dettate dalle primarie esperienze di conflitto operaio, come le storicamente circostanziali dei lavoratori dell’AIL, poi I Internazionale. Con conseguenti e molto gravi contraddizioni rispetto alle differenti opzioni libertarie di allora, la cui rimozione rivela ancora una volta gravi debolezze ‘scientifiche’ dei marxismi su questa terza chiave di lavoro. Con le rispettive e fatali scelte politiche, come ci insegna, per esempio subito dopo il ‘17 sovietico, la terribile ma indicativa tragedia di Kronstadt (1921).

Teorizzando ed operando quindi strategicamente con una classe operaia ridotta all’osso del suo movimento certamente più importante, esplicito ed organizzato in molte tappe precedenti del capitalismo, ma parziale, come oggi ben sappiamo: appunto quello dei lavoratori salariati, soprattutto nel modo che si dirà più tardi dei (più) ‘garantiti’. Oltretutto e essenzialmente lavoratori industriali. Cominciando dal correlativo componente personificato dal cosiddetto lavoratore ‘professionale’ con tutti i suoi sindacati sistemici o riformisti. Certo, logicamente, con una specifica ed enorme potenzialità politica; ciò che Lenin seppe magnificamente valutare e dinamizzare in funzione del processo rivoluzionario sovietico. Ma rispondendo pur sempre già allora - sopratutto nella più avanzata Germania d’inizio secolo XX - a un solo aspetto specifico e definibile della propria composizione del settore salariato, come in Gran Bretagna, Francia o Stati uniti.

Dov’erano infatti le altre figure e settori operai oltre i lavoratori salariati nei primi processi rivoluzionari o insurrezionali del capitalismo industriale? Specificando, dove e come si registravano e manifestavano in senso politico le diverse frazioni della dimensione operaia, come plausibili e specifiche iniziative di lotta? Soprattutto, con precise proposte strategiche inclusive, anche se tatticamente differenziate all’interno di tutto il movimento complessivo? Già a partire da tutta la gamma dei lavoratori industriali con specifici interessi, culture e contrastanti situazioni e coscienze di sfruttamento? E poi includendo l’importante universo della disoccupazione, oppure quell’insieme storicamente celebrato degli operai-soldati, durante o alla fine della prima guerra mondiale; per non saper poi affrontare quello vitale delle operaie della riproduzione, della cura e del sesso, e così via per altre figure oggettivamente di classe, evidentemente già allora esistenti. Alcune, del resto, troppo spesso fagocitate dal discutibile concetto di lumpenproletariat! Con persino delle figure sociali messe in rilievo da associazioni specifiche, ma al margine delle tradizionali e ufficialmente rappresentate dai sindacati. Allo stesso tempo troppo sommerse in concetti come ‘massa’, ‘proletariato’ e persino lumpen appunto; guarda caso semplificazioni comuni tipiche di molti marxismi tradizionali. Che ancor oggi si continua ad utilizzare in modo sbrigativo e generico, quando non velleitario, da frazioni assai settarie e dogmatiche ‘di sinistra’. E non sarà forse anche un po’ il caso di certe ‘moltitudini’11?

 

Il più importante fallimento marxista: la rivoluzione tedesca 1918-19

Proprio nell’ambito di questa troppo inutilizzata terza chiave marxiana, l’analisi concreta della situazione reale di classe, con l’applicazione del cosiddetto materialismo storico anche rispetto ad ogni nazionalità naturale, mi sembra interessante un breve commento sull’impressionante rimozione ‘di sinistra’ o ‘comunista’ dell’esperienza tedesca. Che dovrebbe invece preoccuparci ancor oggi, ricordando l’esito nazista dopo la ‘crisi’ di allora della Germania. Pensiamo ad esempio a Le Pen, Trump, Orban e un troppo lungo eccetera. Una grave rimozione generale, questa del 18-19 tedesco, non solo stalinista - cioè da parte del peggior processo di smantellamento d’inizio secolo XX dell’ideale comunista - ma che riguarda troppe branche del movimento politico cosiddetto ‘comunista’, ivi compresi i vari PC ‘terzinternazionalisti’. Disgraziatamente comunisti; cominciando dal sopruso dell’etichetta.

Perché la disfatta rivoluzionaria tedesca fu un’esperienza così essenziale e quindi fin’ora forse il più importante fallimento marxista?

Rappresenta infatti, in quel momento storico di condizioni politiche e sociali, l’apice delle migliori e possibili condizioni insurrezionali generali realmente anticapitaliste e contemporaneamente la cecità di classe delle varie congregazioni lavoriste ‘di sinistra’ scroccone di Marx, che tentavano di dirigere i disuguali movimenti insorti nelle principali capitali tedesche. Per non parlare dei famosi e funesti commissari giunti da Mosca che ben conobbe Rosa Luxemburg, ad esempio. Alla stregua di quelli inviati vent’anni più tardi nella penisola iberica per soffocare i potenziali rivoluzionari più radicali della resistenza antifascista. Attraverso l’uso delatore e persino poliziesco del partito ‘comunista’ spagnolo, con corrispondenti fucilazioni, torture e liquidazioni varie di ‘estremisti’, poco conformi con un nebuloso fronte repubblicano interclassista. Il contrario, almeno in gran parte, di ciò che riuscì a raggiungere il movimento comunista cinese quasi nello stesso periodo, precisamente grazie all’osservazione, comprensione materialista ed esercizio politico-militare delle “contraddizioni secondarie” o interne al ‘popolo’!

 

Rosa Luxemburg e la democrazia operaia

All’inizio del secolo scorso, la Germania rappresentava come abbiamo detto uno dei pochi stati industriali capitalisti sviluppati. Mentre, per esempio, l’impero russo in ebollizione - nonostante il suo peso geostrategico e poi l’esito ideologicamente operaio dell’iniziativa bolscevica - si presentava ben più socialmente arcaico e periferico dal punto di vista dell’evoluzione sistemica di allora. Soprattutto, rispetto alle forze produttive e corrispondenti composizioni sociali e naturalmente di classe, in tutte le varie nazionalità dell’impero. Oltretutto, in un quadro istituzionale ancora in buona parte feudale.

In Germania però la rivoluzione fallì (1919) e come ragione principale, fosse anche solo quella risultante dall’analisi di testi che ci hanno tramandato i suoi protagonisti, possiamo identificare l’incapacità di percepire, analizzare e riconoscere da un punto di vista marxiano una già molto composita, complessa e preponderante classe operaia. Un elemento già determinante dell’insieme sociale tedesco, pur con ancora presenti certe diverse originalità nazionali interne o regionali. Precisamente, a differenza della ben più arretrata realtà sovietica con enormi settori ‘proletari’, contadini, pastori e persino servitù feudali e ‘tribali’, in parte spiegabili in questo caso dalla molto variata composizione plurinazionale del dominio zarista e poi sovietico.

La stessa Luxemburg, rara perla umana e politica che più di ogni altro compagno di strada tentò di abbozzare linee politiche rivoluzionarie efficaci in quell’impressionante vicenda, non riuscì a sua volta a superare esplicitamente le sommarie categorie di “classe” lavoratrice, proletariato, masse, lumpen, ecc. Sebbene, già avesse manifestato in molti scritti e discorsi significative sensibilità rispetto a determinati riflessi, contingenze e movimenti di superficie che emergevano e riflettevano le rilevanti contraddizioni capitaliste della società tedesca. Tentando perciò di superare i troppo rigidi modelli analitici e politici bolscevichi, che invece l’esito sovietico del ‘17 pareva dover imporre, o almeno avallare come altrettanto validi per la Germania.

Ciò si svela in molti punti del suo lascito teorico e politico, compreso il fatto che dovremmo già poterla considerare una femminista e persino ecologista ante litteram, espresso in termini anacronistici ma che rispecchiano abbastanza bene le sue sensibilità personali.

Come scrive A. Marazzi in “Rosa Luxemburg: rivoluzionaria, donna, femminista” soprattutto per “il suo rigore etico (che) le rendeva insopportabili ambiguità e ipocrisie” in una società che “affonda le sue radici nei tempi antichissimi della preistoria umana e che il potere dell’uomo sulla donna si è espresso nella strutturazione di una società in primo luogo patriarcale (e solo successivamente di classe)”! Tenendo conto tra l’altro come poco dopo “la controrivoluzione burocratica staliniana stroncò - insieme a tante altre cose - anche il possibile affermarsi di un femminismo rivoluzionario in grado di portare, all’interno delle esperienze rivoluzionarie successive all’Ottobre russo, i contenuti di una lotta libertaria contro la discriminazione tra i sessi e l’oppressione femminile, per un’effettiva liberazione di tutti, donne e uomini”12.

Volendo focalizzare meglio la questione della percezione ‘di classe’ da parte della gran rivoluzionaria a proposito del “problema dell’alternativa organizzativa formulata da Luxemburg”13 dovremmo considerare come “il faticoso meccanismo delle istituzioni democratiche possiede un potente correttivo appunto nel vivente movimento delle masse, nella loro pressione ininterrotta”. Trattando naturalmente della democrazia operaia, reale, come ‘potere popolare’, e non del regime parlamentario, partitocrazia e votocrazia vigenti. Infatti “la democrazia si può solo esperire ed imparare continuamente; essa è educazione politica, processo. La democrazia è rapporto sociale, è la forma di un problema, che è in fondo il problema del potere, problema che deve sempre essere tenuto vivo: essa è una espressione vitale del conflitto, della lotta politica; una pressione ininterrotta e perciò incontenibile da qualsiasi forma istituzionale. Si tratta come per lo sciopero di massa di ‘un reale movimento popolare’. Eppure resta aperto il problema della sua afferrabilità concreta. Essa compare come un lampo al centro del momento rivoluzionario e continua a dipendere sempre da quel momento”.

Una questione che chiariscono a loro volta M. Montinelli e T. Rispoli in “Note sparse sulla Democrazia consiliare. A partire da Rosa Luxemburg”14 discutendo del famoso dibattito con Lenin. Quando spiegano come nell’intervento conosciuto come “Assemblea Costituente o Governo dei Consigli” “ritorna allora quella stessa tensione che innervava scritti come quello sullo ‘Sciopero di massa, partito e sindacato’, là dove l’elemento fondamentale su cui riflettere e operare è il ruolo delle masse, la loro capacità di organizzazione dal basso, contro le prescrizioni del sindacato o la meccanicistica funzione di avanguardia del partito”. E ancora:

Quella stessa tensione che Luxemburg esprimerà in maniera quanto mai chiara e potente nel Discorso sul programma: ‘Noi dobbiamo lavorare dal basso e questo corrisponde precisamente al carattere di massa della nostra rivoluzione [...] risponde al carattere dell’odierna rivoluzione proletaria che noi dobbiamo conquistare il potere politico non dall’alto ma dal basso’. [...] Non prescrivere meccanicamente dall’alto, ma, tutt’al più, leggere la tendenza e indirizzare l’azione rivoluzionaria in base a questa lettura. Ma muovendo dal basso, sempre dal basso, potenziando il livello di autorganizzazione del proletariato. Perché ‘è esercitando il potere che una massa impara a esercitarlo. Non c’è nessun altro mezzo per insegnarglielo’.

Una lezione oggi ancor più essenziale, solo a patto però di riuscire ad uscire dalla genericità di termini sbrigativi come “masse”, “proletariato”, “moltitudini” o “popolo” per poter invece identificare in modo chiaro ogni componente, espressione o movimento specifico della classe, con le sue diverse potenzialità d’operatività politica. Perché ognuno di essi ha delle precise concrezioni autodeterminate di lotta da sviluppare, ma sempre potenzialmente - e strategicamente, se vi fosse una dinamizzazione organizzata congiunta - in un’orditura comune di classe operaia. Quindi, per poter superare fino in fondo il capitalismo, con la necessaria coerenza operativa rappresentata finora dalla nozione del “partito rivoluzionario”, come vedremo.

Si vedano oggi - oltre ai lavoratori più tutelati da norme e convenienze produttive, o politiche - le componenti degli intermittenti e precari, delle riproduttrici e di tutto l’ambito sessuale, e della cura, o dei migranti e persino dei rifugiati, e poi via via con pensionati, studenti operai, disoccupati, ecc; insomma tutte le espressioni organizzabili - nell’insieme di classe per sé - che incarnino ed assumano le contraddizioni sistemiche fondamentali.

Una realtà dunque estensibile per esempio a molti movimenti ecologisti, internazionalisti o solidali, ecc. che abbiano confronti o nessi operai su una o tutte e tre le determinazioni di classe. O ancor più nitidamente applicabile a quelli che lottano per il diritto alla casa e alla salute, la concezione dei trasporti pubblici o privati ed il territorio, la centralizzazione multistatale del commercio o le strutture di vita collettiva, di quartiere, e così via! Movimenti che prefigurano oltretutto le indispensabili alleanze con altri settori del cosiddetto proletariato, i contadini tanto per cominciare. Oltre che con specifici e concreti nessi settoriali ma inter/nazionali di classe, per esempio nell’ambito sempre più diffuso delle delocalizzazioni produttive e delle sotto-contrattazioni delle catene commerciali, logistiche, ecc.

Per concludere sul fallimento tedesco, fu proprio grazie all’ignoranza insurrezionale della composizione sociale, e poi di tutta la classe, ma persino del suo settore lavoratore, che le forze reazionarie o riformatrici (socialiste) del sistema riuscirono ben presto ad infiltrare e poi imporre la loro terribile potenzialità politica e istituzionale conservatrice. Combinando come sempre terrore e riforme, divisione ed integrazione. Tanto per cominciare, proprio disgregando lo stesso settore lavoratore per integrarne tatticamente una parte significativa delle figure più ‘professionali’. Grazie naturalmente, come sempre, al servizio della socialdemocrazia, ed aprendo già allora una eccellente pista a Keynes, Roosevelt o Ford.

Non solo, dando i primi passi concreti per la costituzione di quel settore ‘operaio’ che oggi potremmo definire populista-nazionalista: determinante in Germania per il susseguente sviluppo del nazismo e delle sue squallide ma terribili squadre! Un settore che oltretutto darà quasi subito avvio, come vedremo, all’intelligente inganno sociologico e politico keynesiano e post-keynesiano delle cosiddette ‘classi medie’. E tutto ciò fino ad oggi!

 

La quarta chiave marxiana: l’alienazione

Riepilogando, siamo partiti dal cardine marxiano dell'autocoscienza della dimensione-classe per sé, per poi insistere sull’imprescindibile convergenza globale e la coerenza definitoria dei suoi tre elementi originali - proprietà, alienazione e lavoro salariato - menzionando però la loro irrinunciabile e permanente verifica temporale e spaziale: storica, materiale e politica. Da svolgersi, per cominciare, in ognuna delle estensioni nazionali e/o statali della classe globale, ma in una connessione mondiale sempre più necessaria. Visto che, è una dimensione già proprio IN SÉ come parte globalmente organica, cioè sempre più oggettivamente connessa, dell’evoluzione sistemica generale. Indispensabile quindi da conoscere ed esprimere in tutte le sue interne e specifiche estensioni nazionali (e persino regionali), e poi statali, ma allo stesso tempo ben messa a fuoco, ripetiamolo, rispetto alle specifiche dimensioni settoriali - produttive in particolare, dei vari ambiti “dell’economia” - cioè nel contesto planetario rispettivo. Intendendo quindi con il concetto di ‘estensioni nazionali’ della classe, evidentemente, le partizioni operaie delle rispettive migliaia di insiemi culturali e sociali esistenti.

Visto che ci sembra basilare tener conto della realtà, non solo culturale, di piccoli o grandi collettivi “nazionali” sempre più visibili in un mondo dove si parlano tutt’ora più di 5.000 lingue: la maggior ricchezza della nostra specie! Trattando perciò di insiemi e composizioni sociali in molti casi ben vive come popolo, nazione o nazionalità, seppur negati - o proprio per questo - da stati e regimi predisposti dallo sviluppo del sistema istituzionale capitalista. Oltretutto, proprio per questo aspetto, sostanzialmente colonialista e imperialista.

In questo panorama mondiale diventa fondamentale per aprire connessioni attive conoscere e considerare le diverse composizioni, movimenti e proposte di classe di ognuna delle estensioni nazionali della classe globale, cominciando dagli stessi stati metropolitani europei. Parlando oltretutto di realtà nazionali le cui contundenti espressioni radicali e di classe - per chi vi presta un minimo di interesse, per non parlare di solidarietà! - sono ormai da decenni sempre più presenti in ogni continente. Come ciò che intravvediamo oggigiorno osservando per esempio l’eccezionale processo comunalista del movimento rivoluzionario curdo nella Rojava. Definito come “costituzionalismo democratico” e sorto precisamente dal superamento materialista da parte del PKK (Partito curdo del lavoratori) del suo iniziale dogmatico o essenzialmente ideologico passato marxista. O di idealismo marx-leninista.

A questo punto dell'analisi, diventa necessario confrontarsi con l’infinita e complessa dimensione dell’alienazione operaia e capitalista generale.

Per sviscerare “la crescente percezione delle relazioni sociali, delle concezioni e delle forme di soggettività capitalistica come cause inevitabili, impossibili da sradicare”, come si propone in termini di “deflazione della coscienza” proprio all’inizio del testo “Verso l’Acid Communism”15. (Visto che) “l’emergere di questa percezione è direttamente correlata con la recessione del concetto di coscienza all’interno della cultura. (Per cui) dobbiamo capire il neoliberismo non come si è cercato di presentare, ovvero in termini di libertà individuale, ma come una strategia diretta in primo luogo alla distruzione delle manifestazioni di crescente consapevolezza emerse in quel periodo”, parlando delle lotte degli anni Sessanta e Settanta.

Che noi specificheremo però assai meglio in questi termini: “deflazione della coscienza (..) direttamente correlata” con il riflusso teorico, sia dello studio e conoscenza materialista che dello stesso concetto marxiano d’alienazione. Proprio all’interno della dimensione operaia, di classe. Alcuni potranno poi aggiungere: e all’interno della movenza ‘comunista’. O ‘di sinistra’. O ‘anarchica’ ecc.

Ciò che in parte si riconosce più avanti sempre in “Verso l’Acid Communism” quando si afferma nella sezione “Presa di coscienza” che soprattutto grazie all’incidenza del femminismo socialista “è stato possibile prendere in considerazione un’attività rivoluzionaria che va oltre il modello leninista standard, concentrato sul lavoro manuale, lavoro salariato di fabbrica, ecc, la cui importanza andava già scomparendo nel ‘nord globale’, ma che trova ancora malinconicamente posto nei programmi e nell’azione politica della sinistra”.

Ma ecco, sempre e poi sempre lavorismo, con la riduzione della questione dell’alienazione all’attività salariata. Cioè - e lo riprendiamo qui da un ben diverso punto d’osservazione -riducendola:

All’alienazione concreta e immediata del lavoro, che però corrisponde all’alienazione generale dell’attività produttiva dell’essere umano e perciò di una parte determinante della sua vita. Ed è quindi solo un elemento o aspetto dell’alienazione fondamentale: la condiscendenza vitale, passiva od attiva, verso il dispositivo capitalista generale, alle sue leggi, valori e principi. Precisamente ciò che grandi moltitudini alienate hanno assunto come normalità vitale, dovendo entrare fisicamente e mentalmente con gran parte o con tutta la loro esistenza nei meccanismi di proprietà e valorizzazione capitalista. Già fin da quando cominciamo a prendere più o meno coscienza della realtà diventando adulti e ‘responsabili’. Per come siamo educati e formati, normalizzati e formattati dai meccanismi riproduttori del modello imperante. Prima di tutto la famiglia monogamica classica ‘metropolitana’, e poi la scuola16.

Ricollegandoci di nuovo a Fisher, va detto che non si parla solo di malinconie, visto ciò che affronterà per esempio più avanti sotto il titolo “Sfruttamento e promozione di sé” sempre parlando di merce in termini marxisti tradizionali. Mentre ormai sappiamo che la materia - come ci segnala la dimensione di Higgs - non si può più solo ridurre alle dimensioni spaziali tradizionali, e persino dello spazio-tempo; cioè alla fabbrica e produzione tradizionale che lavora con masse-macchina per trasformare materiali-massa in merce, potremmo dire. Anche se poi, in questi paragrafi ci propone un altro passo avanti quando si addentra nella valorizzazione per mezzo della “promozione”, segnalando oltretutto nell’evoluzione capitalista attuale “una sorta di livello distopico” spaventoso dovuto al “grado di influenza del capitale sulle sfere del nostro tempo e della nostra coscienza reso possibile dai recenti sviluppi tecnologici”17.

Allora, quelle che vengono identificate come malinconie si riveleranno bensì il frutto della grossa difficoltà - oltre al dover sviscerare le nuove forme di ‘produzione’ di valore già segnalate - del sapersi staccare dall’assoluto impero ed alienazione lavorista del soggetto di classe. Vale a dire del riuscire a reimpostare proprio la questione del lavoro ben subordinata a tutte e tre le determinazioni della dimensione operaia: con la proprietà come presto vedremo, e l’alienazione generale come abbiamo appena visto. Ciò che ci permetterebbe di perfezionare anche la decisiva critica di Lukacs verso coloro che riducono essenzialmente il capitalismo a una forma di economia; quando invece lo dobbiamo considerare come la costituzione di un “vero mondo storico, un sistema totale che trasforma in profondità tutti gli aspetti dell’esistenza umana”18.

Ma non solo. Oggi dobbiamo cogliere e sviluppare tutta questa critica - quindi completare la messa a fuoco delle nostre cinque chiavi - rispetto per esempio a quel che si può definire come la “crescente centralità degli algoritmi” nel modo di sviluppo capitalista e “nelle pratiche organizzative che si sono diffuse, grazie all’importanza delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sia nella produzione che nella circolazione, dalla logistica industriale alla speculazione finanziaria, dalla pianificazione urbanistica e il design urbano alla comunicazione sociale”. Parlando quindi della questione del rapporto tra algoritmi e capitale, come sviluppa acutamente T. Terranova in “Red stack attack! Algoritmi, capitale e automazione del comune” in un testo che “vuole essere un documento, sintetico ma possibilmente innovativo, che fa riferimento a un ‘sapere sociale’ diffuso sul digitale, articolando una serie di problemi, tesi e relazioni al confine tra teoria politica e ricerca su scienza, tecnologia e capitalismo”. Testo da cui abbiamo preso tutte le citazioni di questo paragrafo19.

 

Alienazione e idealismi marxisti. Anti-materialisti

Approcci alla realtà sistemica eccessivamente economicisti e lavoristi corrispondono inevitabilmente ad una delle principali espressioni idealiste del marxismo. Più precisamente, dei diversi marxismi, da intendere soprattutto come nuove ideologie, e che fanno parte a loro volta dei più sofisticati processi d’alienazione ideologica e culturale capitalista. Anche o soprattutto in caso di capitalismo di stato, URSS, RPC, ecc. Precisamente, nella linea del primo esperimento sovietico, con la terribile sequenza dello stalinismo che ha ridotto a pura ideologia la stessa concezione comunista marxiana. Traviandone non solo la teoria, forse più di ogni altro fenomeno ‘marxista’, ma la sua stessa base etica, i suoi valori, i concetti e le semantiche radicali.

Per questo parliamo - proprio nella dimensione di questa quarta chiave marxiana, l’alienazione - di idealismi marxisti, purtroppo ancora troppo diffusi. Quindi, in termini marxiani, per nulla materialisti e di conseguenza solo in parte ereditati da quell’abnorme fenomeno storico dell’URSS che più di ogni altro ha affogato un progetto d’emancipazione pieno di aspettative verso una transizione sociale realmente democratica e comunistica.

Soprattutto perché, val la pena di ripeterlo, è proprio da questa fonte contaminata del ‘socialismo reale’ che si è via via estesa una concezione estremamente lavorista della dimensione operaia, quella famosa ‘classe lavoratrice’ delle rosse bandiere con falci e martelli che proprio non è una classe nel senso originale. Quando poi appunto si giunge nella prassi, ricordiamoci per esempio del cosiddetto ‘68, a escludere dalle ‘lotte’ - grazie al sindacalismo sistemico o ‘riformista’ - altri interi settori e figure operaie come gli studenti, le riproduttrici, i precari o i disoccupati; oggi del resto sempre più coscienti e attivi20.

Tornando a Fisher e alle malinconie, la conclusione del capitolo “Sfruttamento e promozione di sé” risulta problematica in quanto evita di trarre delle conclusioni precise riguardo al lavoro (e di conseguenza della classe!). Se è indubbiamente condivisibile ciò che afferma sui nuovi mezzi tecnologici personali che:

[...] permettono questa forma di sovra-sfruttamento nel quale gli uomini e le donne non sono mai liberi dal lavoro, dallo spettro del lavoro o dallo spettro dell’ansietà. E ovviamente, ciò non significa che tutti quanti abbiano del lavoro; la chiave di questo meccanismo non risiede tanto nel lavoro quanto piuttosto nella disponibilità al lavoro. La differenza tra un disoccupato e il mio lavoro è spesso minima oggi.

Non approfondisce però le cause di questa “disponibilità” allo sfruttamento o lavoro salariato, e quindi dell’esigenza di risalire alle origini del sistema, e soprattutto di questo soggetto “produttivo”21. Riannodando ad esempio il filo delle alienazioni sistemiche storiche, già precapitaliste. Come la capitale alienazione patriarcale, tanto ultra millenaria come tante altre corrispondenti proprio alla proprietà. A partire dal neolitico, come si suol dire. Cioè con l’impressionante evoluzione della nostra specie a proposito dei valori dell’Avere rispetto all’Essere. Con tipiche e correlative reificazioni e leificazioni via via sviluppatesi nei vari e successivi modi di produzione e appropriazione22.

Solo così assume un senso profondo, e libertario comunista, l’evocazione positiva del femminismo che ci propone Fisher nell’articolo. Proprio rispetto alle caratteristiche di un operare strategicamente risolutivo su tutte le possibili questioni vitali, assieme a tutta un’umanità ben collegato a partire dalla complessità e interconnessione della dimensione operaia. Quindi rispetto a tutte le profonde e patologiche radici del sistema vigente, tra le quali il patriarcato è parte essenziale.

Aprendo tattiche, strategie e connessioni operaie globali che permettano lo sviluppo e l’integrazione dinamizzatile nel processo rivoluzionario (d’emancipazione e liberazione) di tutte le possibili risorse umane. Comprese persino quelle che già in parte si sviluppano nei vari continenti, dalle Ande alla Siberia, dallo stato indiano al cinese, con tutta la ricchezza di centinaia o migliaia di culture ‘nazionali’ - definite troppo spesso e in modo negativo come ‘tradizionali’ o persino tribali -che a volte mantengono e sviluppano profondi e positivi legami collettivi con la natura23.

Oltre le alienanti ‘razionalità’ dell’intelligenza e cultura metropolitana più o meno codificata; ed oggi omologata sempre più a fondo nell’etica capitalista. Considerando persino le realtà di tutta la dimensione informazionale (e quindi energetica) universale umana, ciò che spesso cataloghiamo, riduciamo o bolliamo come ‘spirituale’. Mentre ci integriamo e sottomettiamo sempre più all’invasivo universo virtuale individualista, il bio-ipermedia cittadino o delle ‘società civili’ amministrato da poche imprese globali di internet , e che T. Terranova affronta così bene24.

Proprio per poter aprire queste connessioni operaie globali, nella prospettiva di prossime inevitabili ribellioni o processi di riscatto dell’umanità, dobbiamo avere il coraggio di discernere () cause e caratteristiche dei precedenti e più significativi tentativi di superamento della barbarie capitalista, della sua etica, norme e matrici reali. Criticando i condizionamenti ideologici - sempre alienazioni -che ci allontanano da molte chiavi teoriche utili, o persino indispensabili, come le cinque che proponiamo qui, tra le molte altre esistenti nella storia di liberazione ed emancipazione umana. Questo comporta il superamento delle vecchie formule di connessione, e di organizzazione. Locale, nazionale o globale.

Come esempio di un nuovo modello seguiremo, alla fine di questo contributo, le tracce di un’esperienza già molto avanzata - anche se poi abbandonata o smantellata - come quella basca del KAS. Per alcuni versi assai vicina alle potenti proposte che ora ci giungono dalla straordinaria vicenda curda. Proprio nella direzione, come scrivono Mezzadra e Neumann nelle conclusioni25, di una “politica di classe [...] oggi piuttosto pensabile soltanto come una politica in movimento della solidarietà e del comune, in cui i propri interessi si collettivizzano e si coniugano con una comprensione degli altri: come processo di solidarizzazione”.

Cerchiamo quindi di avanzare con la quinta chiave di questo urgente lavoro di connessione operaia globale. Per le prossime ribellioni e avvenimenti di un ancora forse possibile riscatto generale dell’umanità. Trattando più a fondo il primo elemento definitorio del concetto teorico di classe: la proprietà.


 

Quinto cardine critico: la proprietà

All'interno del quadro che abbiamo cercato di tracciare finora, è necessario che si affronti più a fondo la questione della proprietà. Tanto più se teniamo presente, a cominciare per esempio dalla cultura informazionale, la lenta progressione della fisica quantistica. Che sta rompendo non pochi schemi della nostra percezione della realtà. Alla stessa stregua di tutto l’universo umano della cosiddetta virtualità - nel fondo essenzialmente matematica - che si giunge persino a interpretare come nuova spiritualità: nel senso di una vera e propria oggettività esistente nell’ambito informazionale (Qi) e a partire tra l’altro dai livelli delle nuove conoscenze sulle nostre estensioni cerebrali, quando parliamo per esempio di neuroni specchio e delle possibili rispettive intricazioni subatomiche.

Ma detto in termini etici o ideologici più consueti, non potremo mai trasformarci da virtuali o potenziali operatori di ‘comunismo’ in veri operai, chirurgi e costruttori che superino realmente lo stato di cose e di valori presente, fintanto che non recuperiamo una coerenza radicale più profonda proprio sul concetto e discorso della proprietà. Cioè come classe o dimensione in sé certamente potente e coerente, ma politicamente ancora disgregata tra le sue innumerevole componenti, precisamente e di nuovo grazie all’incoscienza di questa prima condizione che secondo Marx determina le posizioni di classe: la proprietà.

Parlando di tutto ciò, rispetto all’ambito della dimensione spazio-temporale dei beni comuni, della natura, di tutte le potenziali ricchezze prodotte o naturali, fisiche o virtuali, meccaniche o di saperi e culture che ha scoperto l’umanità nell’ultramillenario corso della sua storia, o inventato, creato e prodotto. Appuntando quindi la messa a fuoco dimensionale di classe, e d’emancipazione e liberazione generale, sulle proprietà naturali e relative responsabilità comuni, di tutti gli esseri vivi ed intelligenti dell’umanità, rispetto ad ogni tipo o campo di materia o immateriale in o con cui viviamo. Materia naturalmente in senso post-Higgs, per sottolineare la disparità corrente tra massa e materia. Che, con nuove caratteristiche già percettibili dell’evoluzione umana, sarà sempre più presente nella nostra coscienza e conoscenza. Ben oltre falci e martelli. In rete sempre più, ma poi sempre e soprattutto nel comune o collettivo reale.

Siamo allora ben più pessimisti di Fisher a proposito della progressiva incidenza delle “sinistre” stataliste sull’evoluzione sistemica, quando afferma alla fine dell’articolo che “siamo sulla soglia di una nuova onda, sulla quale possiamo cominciare a surfare per dirigerci verso il postcapitalismo”, ...grazie alle nuove formazioni politiche, nuovi pensieri, nuove organizzazioni che stanno nascendo a sinistra (cita Syriza o Corbyn!).

Proprio perché il contrappunto, che guarda caso segnala nello stesso paragrafo “Verso il postcapitalismo” come un “terremoto (che) ha condotto all’emergere della destra estrema”, non deriva o non si spiega solo con fenomeni come la “crisi dei migranti (che) ha fatto sorgere lo spettro terrificante di ciò che vi è stato di peggio nella storia europea”26. Bensì e precisamente con la gravissima incapacità di queste “sinistre” di sviluppare il discorso fondamentale marxiano di classe, a cominciare appunto dalla coscienza e conoscenza della questione proprietaria.

Tra l’altro, assolutamente indispensabile per studiare e capire la capitalizzazione - nel sistema, per mezzo di particelle di proprietà ‘privata’ - di molti settori di lavoratori, in generale a partire da Keynes potremmo dire! Per poi comprendere la questione del potere e logicamente il senso delle lotte e connessioni operaie nell’ambito di rete o virtuale di internet.

Oppure, più carnalmente, per sviscerare la natura dello stesso patriarcato e di molte altre espressioni di violenza della nostra specie, o della contaminazione sempre più incisiva dei beni comuni, come gli oceani, e più in generale dell’irresponsabilità verso l’ecosistema, e persino verso le grandi ricchezze culturali di nazionalità chiamate selvagge o sottosviluppate...

Oltre che per cogliere e poter smantellare - anche politicamente - le molte alienazioni e robotizzazioni personali che si trascinano ‘stile ceto medio’ e che ognuno di noi - per esempio come scurrili metropolitani - metabolizza bene o male con apparentemente comode, convenienti, utili o necessarie. casette, auto, turismi, sport-mercato, mode, giochi virtuali, inglesismi, consumi. sempre più lontani da emozioni, sensazioni e intuizioni naturali - di vita collettiva soprattutto! - che dovremmo invece poter godere e condividere tutti, ogni giorno! Ricostruendo spazi urbani e architetture umanamente decenti, tanto per cominciare. Nulla a che vedere con grattacieli e altre gabbie metropolitane dove si consumano grigie solitudini - magari con cagnetto - di porzioni sempre più impressionati di ‘cittadini’ vecchi o giovani.

Rimettendo dunque al loro posto le più o meno sottili degenerazioni di valori, modelli, rapporti umani, comportamenti e significati con cui ci inondano in tutti i modi dagli Stati uniti. Parlando di una società in cui la vita collettiva è quasi ridotta a zero, senza piazze e strade per percorsi condivisi potremmo dire, e strutturatasi da non troppi decenni sull’etnocidio delle nazionalità originarie e la schiavitù di massa. Oltre che dalla sua permanente attività legionaria imperiale. Che poi ora si impone persino nel linguaggio comune con una infiltrazione sempre più sgradevole ed alienante dell’idioma imperiale - non solo tra i più deboli subalterni, ma anche tra apparentemente dotte e sapienti persone, sinistre comprese, soprattutto in Italia! - invece di proporsi semplicemente come mezzo utile o a volte necessario per una comunicazione internazionale.

Ed ecco infatti una ragione in più per spiegare la deriva votocratica ‘di destra’ di molti settori ‘popolari’; precisamente ben rimossa da queste cosiddette ‘sinistre’ intimamente alienate da archetipi sostanziali del sistema. Appunto gli stessi valori e concetti individualistici che hanno permesso e continuano a permettere di ‘credere’ in questo famoso ceto o ‘classe’ media. Composto in realtà, in gran parte, da specifiche frazioni di lavoratori (autonomi, professionali, cooperativistici, creativi, ‘intellettuali’, ecc.) - parzialmente o totalmente - capitalizzati! E quindi più sommergibili nell’individualismo, l’asocialità e l’infobesità (combinata con ingrassi chimici e transgenici del corpo), l’ignoranza organica, la contaminazione emotiva, il consumismo telediretto ‘made in USA’ appunto, con tutte le conseguenti abitudini e compulsioni (cominciando specificamente dalle linguistiche...), il turismo allucinatorio, il nazionalismo statalista, la cerniera mono-riproduttiva della specie e tutte le altre derive prodotte da alienazioni più attuali e specifiche di un capitalismo così artificialmente intelligente. Che perciò si nutre sempre più di individui algoritmicamente27 individualizzati e controllati. Ora specialmente dalla California...28.

Ed allora, in questo complesso contesto del discorso, può risultare di nuovo interessante riprendere il già citato testo di Monferrand e Chanson29 laddove analizzano in modo costruttivo le coincidenze e le contraddizioni (secondarie) tra l’ “operaismo” italiano del secolo scorso e la “Teoria critica” della scuola di Francoforte, mettendole spesso in rapporto con il lavoro di Georg Lukacs. Soprattutto, quando verso la conclusione si propone il lavoro teorico di Hans-Jurgen Krahl (sviluppato in particolare in ‘Konstitution und Klassenkampf’) a proposito della reificazione e dell’antagonismo; a cui questo compagno assegna il ruolo di “due cardini concettuali del percorso tra operaismo e Teoria critica” che cerca a sua volta di sviluppare.

E lo fa appunto con quella frase che “il capitalismo è irriducibile secondo Lukacs a una forma d’economia: (visto che) costituisce un vero mondo storico, un sistema totale che trasforma in profondità tutti gli aspetti dell’esistenza umana”. Citando guarda caso anche “l’idea di un diveniretotalitario del capitalismo” sostenuta per esempio da Pollok e Panzieri.

Ma sebbene Krahl riconosca anche qui come “le diverse ‘inchieste operaie’ effettuate dal gruppo di Quaderni rossi tendano a dimostrare (che) i lavoratori sono effettivamente portati dalle loro esperienze quotidiane sia a demistificare le forme reificate della valorizzazione capitalista, che a superare le loro rivolte individuali e le rivendicazioni sindacali in direzione di una lotta politica per il potere”, non giunge in ogni caso a reimpostare gli strumenti necessari per un atterraggio preciso e definitivo nel cuore della basilare questione proprietaria e operaia globale, pur abbozzando alcune manovre di avvicinamento. Ad esempio citando Adorno a proposito del dominio dello stato e della burocrazia rispetto ai rapporti di produzione, dove afferma che “questi ultimi non sono più ormai dei rapporti di produzione fondati esclusivamente sulla proprietà ma sull’amministrazione, ivi compreso al massimo livello il ruolo dello stato come capitalista globale”.

Ma è proprio anche questa manovra con Adorno che impedisce un atterraggio sul solido, tanto più oggi quando il ruolo degli stati, sotto l’offensiva neoliberista in corso (ciò che sfacciatamente chiamano crisi), si vede sempre più chiaramente come amministrazione sì, certamente, ma soprattutto ben salda strategia nelle mani di proprietari globali. Sempre più minoritari e sempre più delinquenti accumulatori selvaggi di beni comuni su tutto il pianeta! Quindi, non sono solo i famosi “rapporti di produzione” ad essere “fondati esclusivamente sulla proprietà”, ma tutto un sistema proprietario globale ancora in gran parte amministrato attraverso gli stati, ed oltretutto in modo via via sempre più integrato e delinquenziale, se guardiamo alle conseguenze di morte, distruzione, miseria, malattie ed inquinamenti.

Tant’è vero che laddove cita e sviluppa poco dopo il discorso dello stesso Tronti, e più avanti di Negri, Vercellone e Bologna parlando di post-operaismo, intelletto generale, capitalismo cognitivo, stato-impresa, operaio-sociale, ecc. ci troviamo sempre di fronte alla stessa barriera. Persino quando riferisce del “lavoro immateriale” di Vercellone

Come spiega Carlo Vercellone, saremmo così passati a una nuova fase del capitalismo - il ‘capitalismo cognitivo’ - caratterizzata dall’egemonia tendenziale del lavoro immateriale nel processo di valorizzazione del capitale. Per ‘lavoro immateriale’ dobbiamo intendere l’insieme delle attività che, qualsiasi sia il campo di divisione sociale del lavoro in cui si svolgano, mobilizzano un sapere sociale accumulato da e nella totalità della società (l’intelletto generale). In questo nuovo capitalismo, il valore accumulato oggettiverebbe allora meno la quantità di lavoro usato in un tempo chiaramente misurabile che la qualità delle conoscenze impiegate dai lavoratori nel processo di produzione. E nella misura in cui l’acquisizione di queste conoscenze dipende dall’insieme dei rapporti che stabiliscono gli individui nel corso della loro vita sociale, il capitale tenderebbe a ritirarsi dalla produzione per accontentarsi di privatizzare, sotto forma di brevetti, redditi o azioni finanziarie, il prodotto collettivo della cooperazione.

Ma bravo, allora! La questione è proprio sempre o sempre più quella della proprietà!

Proprietà da una parte o dall’altra della dimensione di Higgs e degli algoritmi telematici...

Possiamo allora avvicinarci con queste nostre cinque chiavi a un’apertura politica del finora troppo inerme potenziale di classe. E lo faremo lanciando proprio qui l’ultima frase di “Réification et antagonisme”30 quando, dopo aver ricordato che in effetti, “per l’autore di Konstitution und Klassenkampf, questa contraddizione (capitale/lavoro) non esiste che nei diversi conflitti di cui ne è la causa, e dei quali le lotte dei lavoratori non ne sono che un’espressione, e per nulla privilegiata a fianco delle lotte studentesche o femministe”. Proponendo poi la seguente possente sfida di navigazione:

Nella misura, dunque, in cui il ‘lavoratore collettivo’ non è un Soggetto univoco, ma un insieme contraddittorio di soggettività” (che invece qui definiamo come componenti collettive della dimensione di classe operaia) “le elaborazioni krahliane aprono sulla collocazione di un problema strategico, che è ancora il nostro: come far convergere le diverse lotte sociali sulla base della loro rispettiva autonomia? L’assunzione collettiva di questo problema è senza dubbio un compito che incombe tutte e tutti coloro che intendono mantenere vive queste due tradizioni che sono l’operaismo e la Teoria critica.

Si, certamente! Però è ancora troppo poco per poter aprire reali connessioni operaie globali, vista la sempre più preoccupante rotta di navigazione della nostra specie! Di fronte, ad esempio, alla mostruosità votocratica di uno stato imperiale determinante come gli Stati Uniti, dove l’infobesità di massa perviene a produrre un’elezione a capo di stato di un personaggio così profondamente infermo, ignorante ed irresponsabile come Trump.

Mentre, d’altro canto, già registriamo sul pianeta interessanti esperienze di lotta sociale che potrebbero aprirci almeno gli occhi sul profondo contenuto politico rivoluzionario del concetto teorico marxiano di classe operaia. Certo, rispetto ad ogni diverso livello di sviluppo delle migliaia di nazioni esistenti, e quindi delle rispettive estensioni nazionali della classe globale. Classe globale, da non intendersi, ovviamente, nella sua applicazione meccanica, sociologica o di concezione gruppale, come abbiamo evidenziato all’inizio! Piuttosto, come strumento teorico di connessione politica, d’organizzazione o sperimentazione tattica, e poi di disegno strategico di negazione globale sistemica. Per uno sviluppo globale e antagonista di tutte le sue possibili e contraddittorie potenzialità, settoriali e persino personali o gruppali, e di movimenti interni... se pensiamo all’arte, alla creatività umana individuale o cooperativa, e persino all’esplorazione e ricerca scientifica, ecc.

Di conseguenza, in connessione oltre la dimensione operaia, con espressioni di tutto lo spazio sociale ‘proletario’, come si diceva un tempo. Ora parzialmente telediretto e più o meno sotto quasi totale controllo alfanumerizzato da parte dell’intelligenza estrattiva capitalista.

A scopo esemplificativo facciamo allora un’altra piccola digressione complementare tratta da “Neooperaismo e decrescita. Aprire un percorso di riflessione”31 dove Leonardi afferma che:

pare che la strada verso un anticapitalismo ecologicamente desiderabile debba passare sia da una coalizione tra i segmenti eterogenei che partecipano alla produzione di valore (dagli operai del manifatturiero ai contadini, fino ai knowledge workers) sia da un’alleanza tra quei segmenti politicamente riuniti e le espressioni del “fuori” (cosmo-visioni indigene, comunità legate all’agricoltura di sussistenza, lavoratori dell’economia “informale”). In altre parole, credo si debba considerare più attentamente la questione del rapporto tra quei soggetti che scrutano l’“oltre” il valore a partire da ciò che fu il punto più alto dello sviluppo capitalistico e quei soggetti che vedono l’“altro” dal valore da una posizione di (relativa, graduabile) esternità - poiché o non vi sono stati inclusi oppure hanno opposto un rifiuto. Insomma: i diritti della Pachamama e il reddito di base possono salire sulla stessa barca rivoluzionaria?”

A questo punto dovremmo allora chiederci se “quei segmenti politicamente riuniti e le espressioni del ‘fuori’ (cosmo-visioni indigene, comunità legate all’agricoltura di sussistenza, lavoratori dell’economia ‘informale’)” a cui aggiungiamo molti movimenti ecologisti, organismi socialmente solidali di ogni genere, o che lottano nell’educazione, per il recupero della vita comune di quartiere, per la salute o per le applicazioni libere in rete o tecnologiche in generale, per la propria autodeterminazione culturale collettiva (e nazionale) ed un quasi infinito eccetera di iniziative e movimenti, non siano quindi anch’essi parte in gran misura, o in intimo contatto di collaborazione radicale e di soggezione comune alle tre determinanti di classe operaia. Cioè, dell’unica dimensione e soggetto in sé potenzialmente operativo per un cambio epocale generale.

Queste sono le condizioni affinché possano svilupparsi sufficienti capacità d’organizzazione - come per esempio già ce lo sta più che suggerendo l’esperienza curda nella Rojava32- per finalizzare tattiche e strategie generali efficaci per questo cambio sempre più urgente. Cominciando proprio dalla rottura delle barriere interne di classe, per superarne le contraddizioni, come dice Leonardi e lo ripeto: “tra quei soggetti che scrutano l’ ‘oltre’ il valore a partire da ciò che fu il punto più alto dello sviluppo capitalistico e quei soggetti che vedono l’ ‘altro’ dal valore da una posizione di (relativa, graduabile) esternità - poiché o non vi sono stati inclusi oppure hanno opposto un rifiuto”!

 

Festeggiamo la morte del Partito?

Siamo alle conclusioni. Che lanciamo riannodando Marx, Luxemburg ed altri fabbri delle nostre cinque chiavi con la riflessione di M. Cento, R. Ferrari in “Classe e partito: note finali”33, quando ricorda che Luxemburg “è consapevole della necessità del momento organizzativo espresso dal partito, ma ne riconosce l’insufficienza. Il partito può essere organizzazione realmente rivoluzionaria solo se si ridefinisce, si modifica, si ristruttura nella lotta di classe in un rapporto dialettico e fecondo con le masse, che però ha il compito di guidare”. Al fine della nostra analisi è ora quindi necessario un approfondimento della comprensione luxemburghiana del partito.

 

Organizzazione realmente rivoluzionaria

Rivoluzionaria non solo per la pretesa di rompere e superare il modo imperante di “produzione”, ma per assumere il permanente compromesso e dipendenza esistenziale dal processo di auto negazione della classe in sé. Quindi, di tutte le premesse della sua sussistenza come classe operaia. Per cominciare: dinamizzazione invece di direzione; coordinazione invece di comando; costruzione democratica invece di centralizzazione e di conseguenza critica e lotta alle dottrine e ideologie (marxiste incluse) come a tutte le tendenze burocratiche, più o meno sostanziali. Come ben dice un basco autocritico e nostalgico degli anni 60-80 quando si poteva ancora parlare di un processo di fatto nella direzione di una “rivoluzione socialista basca” (proprio grazie all’impulso della “Coordinatrice KAS”, parzialmente inclusiva dell’ETA ed ora smantellate):

Una pista. Quando produciamo dei dirigenti e portiamo avanti assiduamente il loro protagonismo, e va sparendo la formazione teorica, cala il dibattito orizzontale, si cominciano a sfigurare gli obiettivi principali, ci si centra eccessivamente in tappe pianificate, ci si avvia a navigare con alleanze riformiste-grigie-piccolo-borghesi-sistemiche e si accresce la tendenza a intavolare negoziati (sapendo che è uno scenario del nemico) nell’esistente percorso verso i nostri obiettivi centrali... Ahi poveri noi!34

Certo che queste determinazioni elementari si dovrebbero presumere come acquisite da tutti... Ma approfondiamo allora queste caratteristiche essenziali che ci propone Rosa per il ‘partito’. Quando espone che “si ridefinisce, si modifica, si ristruttura nella lotta di classe in un rapporto dialettico e fecondo con le masse, che però ha il compito di guidare”.

 

Si ridefinisce

Tanto per cominciare, oggi non sarà più un partito. Lasciamo questo modello d’organismo politico e poi istituzionale alle partitocrazie del regime parlamentario capitalista, che osano chiamare democrazia! O alle dittature pseudo socialiste, la sua stessa denominazione è ormai indecente, persino - o soprattutto - quando si bolla come comunista. Ebbene, quando un’organizzazione rivoluzionaria, democratica, di dimensione operaia si descrive, si spiega e dispiega oggigiorno, non dovrebbe mai assomigliare a un partito agli occhi di qualsiasi proletario. Almeno sotto tutte le forme con cui si presenta fin dal secolo XVIII. Fino alle congreghe all’attuale impianto votocratico, e gerontocratico, ma comprese le vecchie ricorrenze del cosiddetto centralismo-democratico leninista o post-leninista.

Quindi e prima di tutto, un movimento o un’organizzazione rivoluzionaria e cioè eversiva dell’ordine economico, istituzionale, politico, etico e morale dominante, dovrebbe sempre esporre e sottoporre alla critica permanente gli strumenti teorici che dichiara e che utilizza. Come le nostre 5 chiavi. E soprattutto aborrire al massimo l’insediamento di ideologie personali o di gruppo! Si vedano tutti quei marxismi ideologici falcemartellisti che hanno disposto e condizionato le rispettive formazioni politiche senza conoscere a fondo, lavorare ed avanzare nella teoria marxiana a cui pretendevano riportarsi. Senza tanti -ismi, insomma. E se si vuole con un po più di coerenza con il loro Marx particolare: cioè con meno balle ideologiche e più lavoro concettuale o scientifico.

 

Si modifica

La predisposizione all’evoluzione permanente delle forme e sostanze organizzative - quando risulta necessario - dovrebbe derivare come implicita in qualsiasi allestimento o complesso politico che si pretenda socialmente innovatore ed eversivo verso lo stato di cose presente. E non possono che essere le espressioni politiche dei principali organismi, movimenti e settori della classe operaia a sollecitare queste modificazioni, nel corso dello sviluppo delle lotte. Secondo l’evolversi delle situazioni in cui si va centrando o si trovi immersa l’organizzazione o il processo generale. Oggi sempre più nell’ambito globale, naturalmente! Ma contemporaneamente in conformità con le rispettive composizioni di classe di ognuna delle centinaia o migliaia di nazionalità e comunità in movimento. Oltre gli stati-nazione oggi ammessi ed utilizzati dal composto istituzionale cosiddetto Capitale.

Si tratta di un aspetto fondamentale di una impostazione organizzativa democratica. Esattamente al contrario di ciò che successe nell’Unione sovietica durante fasi già consolidate della rivoluzione, e soprattutto dopo l’instaurazione del ferreo regime dittatoriale. Per non parlare della successiva e terribile degenerazione che chiamiamo stalinismo, sia nella Russia ‘centrale’ che nelle altre repubbliche dell’Unione. Quelle ‘repubbliche socialiste’ che la storiografia marxista in generale si è ben guardata dallo studiare. O solo ricordare, vista la patologia statalista ed anti-nazionale dei ‘comunismi’ d’etichetta, che scordano - per ignoranza, pigrizia o superficialità - le oltre 5000 nazionalità esistenti oggi sulla Terra, con le proprie caratteristiche operaie o proletarie, oltre che culturali e di espressione politica specifica. Di fronte all’opprimente ed etnocida struttura capitalista globale di solo 200 stati che pretendono chiamarsi “nazioni”35. Cominciando dal gran montaggio generale dell’O‘N’U. Che non è in assoluto un’organizzazione di nazioni ma solo di stati.

Disponiamo invece di varie nuove esperienze di ribellione che potrebbero offrirci alcune linee molto interessanti d’evoluzione dinamizzatrice rivoluzionaria delle lotte: si veda ancora il processo in corso nel Kurdistan meridionale. Aldilà delle serrature ‘amministrative’ del sistema istituzionale, ‘legale’, ‘di diritto’ e costituzionale appunto sostenuto dall’ONU. Anche se in questi casi - oltre ai curdi possiamo parlare degli amazigh o berberi, dei mapuce e di molte altre nazioni già in movimento nell’Abya Yala, in Africa, Asia, ecc. - l’assenza di rispettivi e potenti movimenti di lavoratori salariati, soprattutto industriali, non ci può probabilmente informare in modo sufficiente sul ruolo chiave e le contraddizioni che questo settore della classe globale può, deve o dovrebbe sviluppare oggi in tale contesto generale d’organizzazione politica. In particolare rispetto alle nazioni o nazionalità degli stati metropolitani, quindi in Europa, Stati uniti, ecc.

Un ruolo questo di (ancora?) potenti sezioni e figure metropolitane di settori salariati, evidentemente non solo industriali, che è sempre specificamente molto incisivo nell’ambito di dinamizzazione complessiva (mondiale) della dimensione operaia.

Inoltre è proprio sulle contrapposizioni trans-statali e internazionali di molti settori lavoratori della classe che la delinquenza capitalista sviluppa gran parte delle sue strategie. Cominciando dalle delocalizzazioni intercontinentali con tutte le corrispondenti forme di precarizzazione; poi nella logistica commerciale intercontinentale super mercantilista, o con l’imposizione globale delle tecnologie e produzioni alimentari, per non parlare dell’uso delle migrazioni, ecc. sempre sotto il controllo centralizzato di internet e degli strumenti millantatori di organizzazioni inter-statali come l’OMC, l’OML, l’OMS, ecc.

 

Si ristruttura

A proposito di questo argomento potremmo probabilmente riferirci di nuovo alla straordinaria esperienza basca - soprattutto del KAS - per il periodo già citato degli anni 60-80, o persino di parte dei 90, come attesterebbe l’eccezionale studio di J. della Cueva36.

La forza principale di ciò che sarà presto denominato ENAM (iniziali basche di ‘Movimento di Liberazione Nazionale Basco’) si sviluppa fin dall’inizio dei Sessanta a partire dalla formazione partigiana ETA (iniziali di ‘Paese Basco e Libertà’) su due assi politici generali di ‘liberazione nazionale’ e lotta di classe. Tendente a connettere fin dal principio gran parte delle espressioni organizzate radicali sia di carattere più specificamente nazionale (culturale, linguistica, educativa) che operaia (lavoratori, gioventù, studenti, ecc.). Oltre al femminismo, alla solidarietà con i prigionieri e internazionale (Askapena), allo sviluppo di mezzi di comunicazione propri, e più tardi all’ecologismo e la lotta contro la drogo-dipendenza, il servizio militare coloniale, eccetera.

Verso la fine degli anni Settanta, si formalizza esplicitamente una struttura politica adattata a tutto l’insieme, denominata KAS, Coordinatrice nazionale socialista37, concepita però secondo vari livelli ‘paralleli’ e separati di intervento politico: dinamizzazione delle lotte operaie, dei movimenti sociali, della resistenza e collegamento con le strutture partigiane ed i prigionieri, ecc. Oltre che con una connessione molto ponderata con la prima formazione politica ‘ufficiale’, cioè parlamentaria o d’ambito legale (spagnolo soprattutto), la famosa Herri Batasuna (Unità Popolare). In ogni caso, fin dall’inizio, le basi teoriche marxiane (però assai generiche; marxiste in generale) sono quelle che informano gli obiettivi coordinati di tutti questi diversi livelli.

Ed è proprio nella questione di un marxismo generico che la forza crescente del complesso KAS è andata purtroppo perdendo via via elementi importanti della sua capacità di gestione e dinamizzazione politica generale. Di fronte a cambiamenti molto profondi e progressivi della struttura produttiva e dell’evoluzione sistemica del paese. Quindi della composizione di classe, e sociale in generale. Soprattutto a partire dai primi anni Ottanta (entrata spagnola nella UE e prime manifestazioni di peso dell’offensiva neoliberista nel Paese basco).

Pertanto, a partire da un impressionante crescendo di iniziative sociali generali, accompagnate dalla spettacolare incidenza dell’attività partigiana, appunto molto connessa con tutto l’insieme, si è poco a poco verificato l’inevitabile scollamento dalla composizione di classe: determinato dall’assenza di analisi concreta, in chiavi marxiane, degli incredibili cambiamenti in corso nella società. Con viceversa un progressivo protagonismo politico dell’organizzazione ‘di regime’ o parlamentaria HB (Herri Batasuna, Unità popolare). Sempre più populista, logicamente.

Ma questa esperienza KAS potrebbe comunque rappresentare un riferimento molto utile proprio in questo contesto, in termini di strutture d’organizzazione. Di superamento drastico, almeno in teoria, della concezione del ‘partito’ e della ‘democrazia operaia’ di stampo bolscevico38. O di altri vecchi schemi organizzativi marxisti come quello del centralismo o ‘centralismo democratico’, o per esempio la famosa relazione tra ‘braccio armato’ e partito, o tra partito e sindacato.

 

Il compito di guidare

Il riferimento specifico di Rosa Luxemburg alla funzione di guida dell’organizzazione di classe, o rivoluzionaria, si riflette nel brano citato in modo troppo generico. Per avanzare nella nostra analisi, val la pena osservare alcune caratteristiche molto interessanti dell’esperienza basca. Anche se fortemente caratterizzate dallo specifico tentativo di portare avanti una ‘liberazione nazionale’ di carattere ‘socialista’. Del resto, la forza impressionante con cui si presentò nel cuore imperiale europeo almeno nel corso di tre decenni, deriva dal superamento della vecchia formula del partito.

 

Le chiavi del KAS, Coordinatrice basca socialista

Cominciamo con una prima caratteristica basilare: la militanza o lavoro personale nel KAS era concepito in tre livelli minimi di lavoro molto attivo, assai specifici e come vedremo a prima vista autonomi:

A) la militanza rivoluzionaria generale come membro del KAS;

B) un intenso dinamismo in un movimento o gruppo sociale ben concreto (culturale, ecologista, giovanile, internazionalista, di lavoratori, ecc.);

C) e in terzo luogo una presenza il più possibile discreta ma efficace nella formazione politica di massa e parlamentare: Herri Batasuna.

La sintesi politica collettiva (A) si svolgeva logicamente negli ambiti locali o nazionali della coordinatrice KAS (clandestina, viste le implicazioni di collegamento con l’organizzazione eversiva armata), lavorando appunto su basi teoriche marxiste. Con seminari di formazione, permanenti passaggi d’informazione, riunioni di pianificazione e specifiche assemblee.

Il secondo livello (B), quello dell’impegno personale, specialistico diciamo, consisteva nella partecipazione molto attiva, lottando con uno qualsiasi degli organismi sociali più o meno conosciuti pubblicamente: appunto sindacati, movimenti popolari, gruppi o società culturali, giovanili, femministe, d’appoggio ai prigionieri, ecc. Cioè a partire dal concreto sociale, fisicamente vivo e collettivo dei nuclei combattivi locali, di base.

In terzo luogo (C), nell’ambito più aperto di partecipazione personale nel ‘partito’ parlamentare HB, si trattava di intervenire discretamente ‘come semplice cittadino’ in riunioni o assemblee di paese, pubbliche e abbastanza frequenti, come anche nelle manifestazioni politiche di massa; oltre a trovarsi a volte (raramente) presenti nelle stesse commissioni o liste elettorali municipali, regionali o nazionali, e persino statali (spagnole). Solo in caso di necessità, si potrebbe dire.

Seconda caratteristica: Ognuno di questi tre livelli di ‘militanza’, cioè di partecipazione e dinamizzazione, dovevano restare sempre autonomi uno dall’altro, quando non clandestini. Sia il deputato, che un semplice militante ecologista, giornalista o sindacalista, non doveva in principio non solo rivelare la sua contemporanea militanza in KAS, ma pure evitare di esplicitare gli altri due interventi del suo ambito di lavoro di base come ‘militante’ del KAS. Quindi, con la massima immersione, ma nel rispetto delle diversità dei contesti di lavoro, ad esempio tra quella di HB ed un’altra in un organismo sociale (studentesco, anti-repressivo, ecc.). Anche se naturalmente, soprattutto in ambiti di quartiere o di paese, la fiducia e tipica vitalità e fluidità collettiva basca nei rapporti sociali, poteva permettere più ampli margini di trasparenza o di compromessi ‘incrociati’; persino pubblicamente riconoscibili. Soprattutto tra ‘compagni’, quindi con garanzie di discrezione (fosse solo per ragioni di sicurezza, vista la nota e massiccia diffusione della tortura di stato) e di comprensione riguardo a queste diverse espressioni o livelli di ‘militanza’ personale.

Terza caratteristica, dipendente delle precedenti: Conseguente a questa peculiare organizzazione della militanza, si instaura un cosiddetto ‘sdoppiamento’ del lavoro politico. Sia sul piano pratico o concreto di intervento che nel dibattito e formazione teorica. Cioè con la capacità di saper operare “in modo ben separato” in ognuno dei tre livelli ed in ogni contesto e situazione sociale. Rispettando quindi in modo assoluto i parametri specifici (etici, ideologici, di stile di lavoro, ecc.) dell’organismo (non sempre pubblicamente visibile) in cui ci si muove, si lavora, si dibatte e a volte si assumono delle responsabilità. Evitando in ogni caso cortocircuiti, o attribuzioni di posizioni di responsabilità, influenza o condizionamento grazie alle conoscenze ed esperienze negli altri due livelli di intervento o dinamizzazione politica. Tutto ciò solo in parte spiegabile a partire dalle condizioni di clandestinità imposte da una dura repressione. Con varie decine di morti e più di 10.000 torturati da parte delle forze coloniali spagnole, per non dimenticare questa pagina terribile della Spagna Post-franchista, soprattutto nell’Euskal Herria.

Per concludere: ecco un interessante esempio di ‘guida’ politica, o di dinamizzazione organizzativa intelligente e di fatto democratica, nel rispetto permanente e di principio di ogni diversità o specifica espressione collettiva dell’universo di classe, ideologica e proletaria in generale. Quindi, non unicamente di guida verso o nei sindacati, oppure rispetto al ‘braccio armato’ come nel caso del vecchio partito. Una capacità di dinamizzazione adattabile a proposte o esigenze di ogni contesto o tipo d’intervento, permettendo però - attraverso permanenti dibattiti nelle armature collettive del KAS - una sofisticata convergenza strategica di classe oltre che nazionale. Con combinazioni ed esperienze tattiche a volte particolarmente ardite - non solo ideologicamente - tra ambiti, settori, organismi movimenti e militanze rivoluzionarie operaie, o semplicemente proletarie, di una parte significativa della società basca. Una prassi che oltretutto, non va trascurato, si andava via via sviluppando e radicando alla base: nei quartieri e località di quasi tutte le città e regioni del paese, favorendo il ripristino del senso collettivo reale, naturale e locale, di una lotta in principio generale e nazionale39.

Allo scopo di meglio illustrare le peculiarità del caso basco ci serviremo di due esempi, la nascita estremamente difficoltosa, in un panorama mediatico affogato in modo traumatico dalla stampa coloniale spagnola e francese, dell’unico quotidiano basco tuttora esistente, Egunkaria40, e l’impressionante battaglia contro il progetto atomico di Lemoiz, paralizzato dopo un decennio di lotte durissime di ogni tipo, molto estese a livello popolare. Sia spontanee che perfettamente organizzate.

Si potrebbe considerare il miglior paradigma di questo fenomeno organizzativo, della sua enorme potenza ed eccezionale qualità politica, il fatto di essere riuscito a bloccare la costruzione della centrale nucleare di Lemoiz, imposta dalla Spagna e dalla borghesia collaborazionista basca negli anni 70. Una lotta ecologica, nazionale, di classe e culturale. Evidentemente ‘anche’ partigiana, viste ad esempio le centinaia di tralicci elettrici abbattuti, o i colpi inferii con esplosivo nel cuore stesso della centrale, persino a costruzione già quasi terminata. Durante tutto il periodo della battaglia si verificavano infatti innumerabili piccoli o grandi sabotaggi operati dagli stessi lavoratori della centrale o presso i fornitori.

La potenza multinazionale del progetto nucleare, e poi la sua disfatta con tonnellate di acciaio e cemento che perdurano tuttora a Lemoiz come testimonianza di una quasi incredibile vicenda -dopo centinaia di detenuti, molti torturati, vari morti, e per anni diversi prigionieri e rifugiati - è un episodio storico che non deve farci perdere di vista alcuni altri elementi significativi. A cominciare malauguratamente del fardello marxista che in meno di una decina d’anni ha purtroppo permesso se non favorito lo scollamento analitico, e poi politico del KAS dalla composizione di classe. Con un'assurda sostituzione delle dimensioni operaie reali attraverso la mitizzazione del cosiddetto ‘PTV’, “Pueblo Trabajador Vasco”, popolo lavoratore basco, concepito fin dall’inizio del movimento come espediente o concetto elettoralistico per HB, che ha poi, purtroppo, via via rimpiazzato la critica marxiana approfondita, o marxista in questo caso, della società. Portando al progressivo scollamento dei militanti del KAS e della stessa organizzazione partigiana dai precisi, prioritari ma sempre contraddittori terreni sociali di lotta.

Oltre agli aspetti già illustrati, dovremmo inoltre includere le prospettive d’ambito informazionale, culturale e persino ‘spirituale’ che la particolare civiltà basca continua sotto sotto ad esprimere e che facevano pur parte del non detto o dell’inscritto o ammesso tacitamente nella stessa concezione del KAS; soprattutto nell’ambito della lotta culturale. In particolare linguistica, presente non a caso attraverso specifici codici trasmessi - con la lingua, il canto o la poesia popolare ‘di piazza’ (del tipo delle ottavine toscane) - dal più antico, radicato e riconosciuto idioma vivente europeo. Come già si comincia a riconoscere nell’ambito accademico internazionale. Quindi, trasversalmente potremmo dire, con sempre vitali usanze collettive come il famoso ‘auzolan’ o lavoro di quartiere, o comunale come direbbero nella Rojava. In questo caso precisamente applicato all’attività politica, persino con certe specificità a-patriarcali (c’è persino chi afferma ‘matriarcali) tipiche del resistente entroterra basco, in parte ancora pastorale e contadino, anche se sommerso da una civiltà sempre più industrializzata e metropolitana.

Questa variegata e complessa dinamizzazione di tradizioni e scambi è stata mantenuta almeno fino alla ripresa della profonda iniziativa sistemica e UE, amministrata in Euskal Herria dal nazionalismo spagnolista borghese, il democristiano Partito Nazionalista basco (PNV). Con un'impressionante ristrutturazione socio-economica neoliberista da un lato, e dall’altro con la posteriore e lenta ‘ripresa’ del KAS (ed ETA), in questo caso con classiche strategie di ‘direzione’ politica, da parte del partito del/nel regime HB. Sempre più protagonista e primo attore ‘politico’, naturalmente nel senso mediatico ed istituzionale.

Ciò che spiega tra l’altro l’autocritica nostalgica segnalata a pagina 2141, con la conseguente fatale regressione verso schemi partitocratici tradizionali, di centralismo anti-democratico. Quindi sistemici e molto simili a quelli dei partiti classici, come abbiamo visto già denunciati a suo tempo da Rosa Luxemburg. Nell’ambito dominante del parlamentarismo, con elettoralismi o votocrazia e riferimenti istituzionali in primo luogo.

Regressione alla quale, logicamente, non hanno potuto rispondere i vecchi schemi marxisti ai quali era andata via via accomodandosi buona parte della militanza, soprattutto e logicamente la più stagionata o professionalizzata, dunque più integrabile nell’ottica del parlamentarismo ‘socialista’ o ‘socialdemocratico’, cioè nella concezione ‘democratica’ dei regimi parlamentari sistemici. Nonostante alcuni coraggiosi ma vani tentativi di ripresa o riscossa teorica, tra cui il già segnalato intervento di Justo della Cueva42, non si è però sviluppato un movimento tale da impedire lo scollamento dalle contraddizioni - in particolare, per esempio, della nuova composizione dei settori salariati scatenata dall’offensiva neoliberista - non solo nell’ambito operaio generale, ma in tutta la società basca.

Parliamo precisamente di un processo che si può soprattutto imputare alla perdita sempre più manifesta e generale, da parte degli ormai cosiddetti insorti o rivoluzionari, proprio delle necessarie cinque chiavi che abbiamo cercato di sviscerare in queste pagine. Di fronte a una società in rapida ‘evoluzione’ ed integrazione neoliberista metropolitana. Dunque, con il comprensibile e crescente populismo dell’Unità Popolare, HB; cioè con quelle tendenze sempre più ‘interclassiste’ e votocratiche volgarmente parlamentaristiche. Pertanto con una progressiva e fatale omologazione alle mansioni politiche di sinistra di tutti i regimi politico-istituzionali dell’UE.

Nonostante le derive degli ultimi decenni la sperimentazione del KAS rimane un’esperienza politica peculiare, con fenomenali potenzialità, certo non circoscrivibili alla sola società basca, ma interessante per chiunque pensi che un processo rivoluzionario possa sempre presentarsi o porsi all’ordine del giorno. Senza accontentarsi ed appagarsi con gli impeti iniziali e con le dinamiche e possibili diffusioni inerziali o meccaniche - disorganizzate - come purtroppo abbiamo costatato finora.

 

Movimento, teoria, coscienza, attuazione, emancipazione, connessione, liberazione generale...

Visto il sempre più lamentabile stato di cose, risulta molto difficile parlare ora di conclusioni. Tanto per cominciare, di fronte alle crescenti prospettive di un cataclisma ecologico generale, che si avvicina senza quasi incontrare ostacoli. Ben accompagnato da una degradazione sociale, umana, e soprattutto metropolitana sempre più solitaria, telediretta e alienata.

Sebbene si aprano sempre delle esperienze importanti con rinnovate possibilità antagonistiche, a volte persino affrontate in modo organizzato ed effettivo, liberate da ideologie e vecchi schemi di lavoro e di lotta che ne decretano l'inevitabile fallimento. In ogni caso, come la Rojava insegna, evidentemente ben più appassionanti del funesto futuro che ci propongono le ‘sinistre’ del capitalismo. Proprio in misura, della loro coerenza con queste chiavi o strumenti flessibili e dinamici, quanto solidi e accessibili che abbiamo qui illustrato.

Visto che ci possono consentire - è l’obiettivo di tutto questo messaggio - di scoprire e collegare ciò che abbiamo in comune: classi, movimenti e soggetti sociali già ora disposti o attivi nelle lotte globali, a cominciare dalle specifiche condizioni nazionali e statali. Come via necessaria, insistiamo, per armare ed attivare l’unico soggetto globale che può personificare la negazione definitiva di questa tanto più infetta e penetrante quanto profondamente sofisticata civiltà del Capitale. Da non intendersi come una cosa, un mostro esterno ad ognuno di noi, bensì un rapporto sociale generale molto complesso, in cui siamo sommersi come persone. Patologicamente mediate dall’Avere e dai suoi alienanti poteri psicologici, emozionali, culturali, intellettuali, spirituali o ideologici.

Quindi, concretamente, questi stimoli di teoria, coscienza, connessione, movimento, emancipazione, e liberazione generale dovrebbero poter trasmettere incitamenti di lavoro generale più creativo, fruttuoso e contundente contro il capitalismo di quello che per esempio avevano ereditato i movimenti di rivolta internazionale degli anni '60 e '70. Rigidi e sorpassati come ‘il partito’ del ‘centralismo democratico’ dei lavoratori, tipo Terza Internazionale o Komintern. Con le corrispondenti dottrine e settarismi: vecchi, scialbi e facilmente integrabili dal sistema. Ma ci si può aspettare naturalmente che nei prossimi tempi si possa sviluppare una nuova e diffusa ondata di sollevazioni, e com'è consueto soprattutto giovanile e inesperta. In contrapposizione a una, finora ben alienata ma radicata, gerontocrazia parlamentaria al servizio di un Capitale globale sempre più intelligente grazie alle nuove tecniche e tecnologie.

Attenzione però! Tutte le esperienze che si possono raccogliere dall’ormai ben più che centenario impegno umano per uscire e superare lo stato miserevole ed autodistruttivo dell’apoteosi dell'Avere, dello “stato di cose presente” di Marx, devono essere verificate con la terza chiave che abbiamo evidenziato. Per esempio nel caso dell’evento KAS, rilevandone la sua estraneità organizzativa e politica spaziale o globale. Cioè, almeno, verso i corrispondenti ecosistemi sociali più vicini, francese, spagnolo e catalano in questo caso. O Europeo in generale, per esempio rispetto all’italiano e tedesco così attualmente significativi. Oggi più che mai infatti, tutta la ricchezza dell’essenziale, basilare, lavoro collettivo locale - abbiamo segnalato il tipico ‘auzolan’ basco per esempio - non ha nessun futuro costruttivo di fronte alla crescente globalizzazione sistemica metropolitana, se non sviluppando connessioni - operaie per cominciare - nelle direzioni su cui abbiamo ripetutamente insistito. Dunque su terreni concreti - e mondialmente intesi - di ogni iniziativa, movimento, organizzazione inter/nazionale o inter/statale esistente. Comprendendone però le specifiche composizioni e contraddizioni, quindi le ricchissime diversità potenziali, da criticare o sviluppare, con riguardo ad ogni estensione nazionale o regionale di tutta l’immensa dimensione virtualmente insorgente.

Quindi, in primo luogo, con connessioni tattiche settoriali, fondate su ogni specifica realtà sociale e con pratiche locali ma connesse alla visione globale di ogni specifico settore.

Come base per attivazioni e dinamizzazioni strategiche, coordinate localmente ma connesse globalmente, con tutti gli altri potenziali operativi disposti ad uscire dal contaminante mondezzaio alienante ed individualista in cui ci stiamo progressivamente (e tecno-logicamente) sommergendo!

Possiamo tornare, in conclusione e circolarmente, all’inizio, alle nostre cinque chiavi teoriche:

* Dimensionalità operaia: unica plausibile ed efficace per uscire dalla barbarie. Ma solo se intesa nella profondità, completezza ma gran contraddittorietà e varietà del ‘per sé’.

* Categoricamente inscindibile trinomio contro natura della dimensione operaia: proprietà, alienazioni e sfruttamento capitalisti.

* Consapevolezza delle composizioni ed evoluzioni sociali, nella storia delle lotte, per far fronte alla caducità ed estraneità di prescrizioni meccaniche e ideologiche, marxiste comprese.

* Coscienza delle alienazioni crescenti contro la vita. Cominciando per esempio dal patriarcato, chiave patologica sempre centrale nell’attuale riproduzione umana. Alienazioni ora bio-ipermediatizzate, che “creano nuove ‘zone’ attorno a corpi che ora si muovono attraverso ‘spazi codificati’, intessuti di informazione”.

* Proprietà, patrimonio capitalista, espropriazione-accumulazione, eredità, con tutti i loro fraudolenti ‘diritti’ antidemocratici: con cui riproducono direttamente potere, violenza, oppressione, sfruttamento e classi. Capitale e ricchezze, dunque l’Avere, come chiave basilare di dispiego del vigente modello etico generale, contro l’Essere di ognuno di noi, ma anche e sempre più, contro la nostra essenza universale, collettiva e vincolata a tutto l’ecosistema del pianeta Terra.


Note
1 Civiltà capitalista, un ormai abbagliante mondezzaio prodotto da “automatismi tecnici, linguistici, finanziari e psichici che sempre più spesso conducono al suicidio: il suicidio collettivo della devastazione ambientale, e il suicidio individuale che inghiotte un numero crescente di vite umane.” (Quando) “occorre invece comprendere la tragedia e parlare il suo linguaggio, se si vuole entrare in sintonia con la mutazione profonda che sta attraversando la società. E se si vuole cercare, ammesso che esista, una via d’uscita dall’abisso cui il capitalismo ha destinato la storia dell’umanità.” F. Berardi “Bifo”, Scacco (matto?), http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=3570 .
2 Parliamo in primo luogo di una tangibile dimensione o classe ‘operaia’ (del sistema o modo di produzione e sviluppo presente, capitalista) che esiste IN SÉ ed è quindi ben definibile. Con precise caratteristiche che ne determinano la sua spiegabile realtà complessiva; naturalmente in continuo sviluppo e trasformazione come tutta la società. Quando invece la specifichiamo come classe PER SÉ, ciò è dovuto alla concretezza del presentarsi in modo esplicito come tale sulla scena culturale, sociale, economica e politica, cosciente di essere una classe specifica del sistema. Con consapevolezza politica di esistere in quanto tale, classe o dimensione operaia soggetta al Capitale. Quindi con coscienza delle proprie condizioni e caratteristiche; perciò anche delle contraddizioni - proprie interne o complessive - e dei processi con cui si sviluppano. Ciò che fin’ora non è quasi mai accaduto nella storia dei vari conflitti storici di classe del capitalismo. A parte, in determinate situazioni, una ormai proverbiale ma ottusa coscienza ‘per sé’ di determinati settori lavoratori salariati della classe, esibita in genere da organizzazioni socialiste, comuniste, ecc. sulla scena sociale e politica. Rivendicandone pertanto e purtroppo la rappresentazione totale come ‘classe’ - di questo unico e preciso settore lavoratore - tra tutto l’insieme molto composito di classe operaia. In realtà, una dimensione ben più vasta e complessa dei settori salariati e tradizionalmente sfruttati.
3 S. Mezzadra, M. Neumann, “Al di là dell’opposizione tra interesse e identità. Per una politica di classe all’altezza dei tempi” http://www.euronomade.info/?p=9402 .
4 Nonostante le vaste e profonde “ricerche teoriche di parte dei contributi apparsi sui siti di Commonware, Effimera, EuroNomade (che) si muovono sulla falsariga della metodologia operaista che prende piede nella conricerca e nell’inchiesta sulla condizione operaia ai tempi dello sviluppo delle prime lotte dell’operaio massa”, come scrive in Effimera Andrea Fumagalli, in “Operaismo, post-operaismo? Meglio neo-operaismo”. Da citare come uno tra molti esempi odierni interessanti, tra l’altro ancora quasi solo o soprattutto sviluppati in Italia.
5 S. Mezzadra, M. Neumann.
6 A. Fumagalli, ultimo paragrafo, “Metamorfosi del rapporto capitale-lavoro: l’ibridazione umano-macchina” (http://effimera.org/metamorfosi-del-rapporto-capitale-lavoro-libridazione-umano-macchina-andrea-fumagalli/).
La delinquenza etica, legalizzata, dello sfruttamento del lavoro altrui per esempio, o delle aggressioni all’ecosistema, non devono comunque esimerci dal riconoscere aspetti di ruolo creativo, ‘associativo’, costruttivo e produttivo dell’imprenditore quando incarna oggettivamente delle aliquote favorevoli nello sviluppo della specie.
Dobbiamo quindi chiederci di quale tipo di sviluppo si tratta, possiamo parlare allora di veri e propri delinquenti anche se camuffati all'interno delle nuova carità professionalizzata di Fondazioni, ONG, ecc. le quali provocano però a loro volta, molto spesso, nuove forme di alienazioni, dipendenze e abusi. Grazie tra l’altro agli attuali modelli ‘noblesse oblige’ di filantropia, sempre più diffusi soprattutto negli Stati Uniti, Gran Bretagna o Francia, in sostituzione di alcune funzioni degli stati e molto generosamente coperti da incredibili deduzioni delle imposte. Ad esempio Billy Gates e le sue istituzioni che ‘donano’ con finalità di beneficenza ‘gratuita, con la finalità di sostenere il modello d’appropriazione con cui si va ingrassando in modo spaventoso. Parliamo cioè di una pratica d’assistenza secolo XXI, quasi sempre estesa alle periferie dell’impero, che modernizza il classico ‘dono benefattore’ borghese, del Signor padrone, con l’attuale carità di multimiliardari e simili. Integrata e impulsata specialmente a partire da Reagan, Bill Clinton, Tony Blair, ecc. e non casualmente contemporanea alle scandalose privatizzazioni di determinati servizi (sanitari, assistenza, ecc.) che stiamo constatando e subendo da allora. Allo scopo di affondare lo ‘stato provvidenza’ e, en passant, potenziando rinnovate ideologie del sacro ‘lavoro’, Vedasi ora Macron. Ovviamente, un lavoro possibilmente infra-salariato e precario che si ricollega a tutta la politica generale ‘anti-crisi’ (!) poi giustificata dal famoso montaggio del ‘debito pubblico’. Un’altra fabbricazione essenziale dell’offensiva neoliberista, che gli interessati e gli imbecilli continuano appunto a chiamare ‘crisi’... mentre sono andati via via smantellando tutto un sistema impositivo di tipo ‘keynesiano’ su ‘fortune’ e ‘redditi’ dei più possidenti, accumulatori e sfruttatori, istituito nel secolo scorso per poter appunto finanziare il cosiddetto stato provvidenziale. Stato chiamato nelle diverse fasi storiche persino ‘sociale’, e del ‘benessere’. ma allora sostanzialmente anti-sovietico, se vogliamo ridurre all’osso tutta la questione.
8 Come vedremo più avanti, esistono logicamente e sempre più dei veri e propri processi di capitalizzazione operaia, con corrispondenti attribuzioni personali o familiari di valori e realtà ‘proprietarie’ (‘mini proprietà’ proletarie). Come del resto in altre dimensioni sociali ‘inferiori’. Grazie in primo luogo alla carica etica e ideologica del valore capitalista dell’AVERE rispetto a quello dell’ESSERE (collettivo e individuale), che ci aliena alla radice, nei confronti della nostra stessa natura; e poi rispetto a tutto l’ecosistema. Generando quindi tutta una conseguente dinamica di mini-appropriazioni e mini-patrimoni, cominciando per esempio dalla “propria casa”, dalla “mia macchina”, e poi via via con tutti gli oggetti e corrispondenti rapporti collettivi (competitività, ‘sicurezza’, mode e lo stesso patriarcato, per esempio) indotti dal ‘possedere’, dal consumismo e dalla cultura dominante, che costituiscono delle specie di involti - valori - apparentemente ‘normali’ dell’immondezzaio sociale generale. Normali o normalizzati certo, ma per nulla naturali. Vedasi allora proprio in questo caso - a parte la questione dell’alienazione generale - le precise alienazioni semantiche nodali contenute e trasmesse dal linguaggio, come nel caso del termine di naturale invece di normale... e viceversa!
9 Il loro nascere ‘contro’ o ‘altro’ diventa così serbatoio di innovazione sociale che alimenta, anche in modo inconscio, gli animal spirit del capitale, tramutandosi in linfa fresca per la sua perpetuazione”. Vedi, A. Fumagalli, “Metamorfosi del rapporto capitale-lavoro: l’ibridazione umano-macchina”.
10 Si veda per esempio il fondamentale intervento del sociologo basco J. de la Cueva su ‘Alienazione e identità delle classi sociali’ presentato nell’incontro “Socialismo secolo XXI in Euskal Herria” (Bilbo, 11 febbraio 2012). In particolare a proposito del settore studentesco della classe (punto 5: ‘Come le e gli studenti sono la seconda frazione più numerosa della classe operaia basca’); o sulla questione delle “casalinghe” (punto 4: ‘Come le “casalinghe” sono la frazione più numerosa della classe operaia basca’). http://www.abertzalekomunista.eu/es/biblioteca/autores-vascos/de-la-cueva-justo/158-alineacio-n-e-identidad-de-las-clases-sociales-2012 oppure: https://borrokagaraia.files.wordpress.com/2012/02/ipes-justo.pdf
11 Pur con tutta l’enorme ricchezza che offrono, in particolare in Italia, molte linee di ricerca marxiana connesse a questo discorso. Come forse per esempio questo frammento di A. Negri (da “Annotazioni sullo sciopero astratto”, Euronomade, http://www.euronomade.info/?p=4794 , nonostante i discutibili ‘due sensi’ del discorso). “Oggi (, certamente, non ci si può più deridere -) è a tutti evidente infatti che siamo in una situazione nella quale il capitale ha interamente identificato quel nuovo ricchissimo contesto nel quale il lavoro vivo si esprime e lo ha interamente posto sotto il suo comando. Il capitale ha agito in due sensi. Da un lato, ha articolato il suo comando alla vivente produzione di linguaggi; d’altro lato, opera attraverso la funzionalizzazione dei bisogni e dei desideri al comando capitalista. Il capitale (nel neoliberalismo) vuole che la forza della soggettivazione produttiva si riconosca come soggetto del rapporto di capitale. Vuole servitù volontaria.”
12 A. Marazzi,“Rosa Luxemburg: rivoluzionaria, donna, femminista”, www.utopiarossa.blogspot.com e https://ilcomunista23.blogspot.com.es/2016/05/rosa-luxemburg-rivoluzionaria-donna.html
13 M. Cento, R. Ferrari, “ Fare la propria parte: Rosa Luxemburg e la disciplina della rivoluzione”, http://stefano-santarelli.blogspot.com.es/2014/11/rosa-luxemburg-e-la-disciplina-della.html
14 M. Montinelli, T. Rispoli,“Note sparse sulla Democrazia consiliare. A partire da Rosa Luxemburg”, http://www.lumproject.org/note-sparse-sulla-democrazia-consiliare-a-partire-da-rosa-luxemburg/
15 M. Fisher, trad. A. Fumagalli, D. Gallo Lassere, “Verso l’Acid Communism. Presa di coscienza e postcapitalismo.
16 K. Raveli , “Tras las huellas del algoritmo capitalista” http://argentina.indymedia.org/news/2017/04/905933.php
17 M. Fisher, trad. A. Fumagalli, D. Gallo Lassere, “Verso l’Acid Communism. Presa di coscienza e post-capitalismo.
18 F. Monferrand, V. Chanson , “Réification et antagonisme. L’opéra'isme, la Théorie critique et les apories du “marxisme autonome” http://revueperiode.net/reification-et-antagonisme-loperaisme-la-theorie-critique-et-les-apories-du-marxisme-autonome/
19 T. Terranova, “Red stack attack! Algoritmi, capitale e automazione del comune” http://www.euronomade.info/?p=1893
20 Primi antichi abbozzi di gioventù, dall’emigrazione: https://sinistrainrete.info/marxismo/4005-karlo-raveli-verso-la-metamorfosi-completa-delloperaio-sociale.html
21 Il poderoso lavoro di S. Mezzadra “Nei cantieri marxiani. Il soggetto e la sua produzione”, Manifestolibri, può servire molto bene per approfondire e sviluppare questo lavoro critico, con la dovuta prudenza rispetto al tema sostanziale della classe.
22 Su leificazione vedi l’ultimo commento in: http://barcelona.indymedia.org/newswire/display/495396/index.php : “C'est justement un dépassement sémantique que l'on propose, avec ce terme de léification. Au moins c'est ce que nous pourrions en déduire. Bien au-delà d'une soumission aux lois, il s’agirait en effet de l'intégration dans son propre univers mental, en particulier dans le logiciel étique des pensées d'un sujet, des catégories de référence et des parcours déterminés entre tout-ga, que chaque loi utilise et veut conditionner ou aliéner. Donc, plus qu'une soumission, voilà une puissante aliénation de sa propre liberté et spontanéité, ce qui va conduire volontairement le sujet vers des nouveaux objectifs choisis apparemment par lui meme, mais déterminés sur la base des nouvelles catégories d'analyse et de choix intégrées avec l’acceptation des valeurs contenus ou affirmés par des normes ou des lois “extérieures”, et pas seulement comme choix d'obéissance vers ces normes ou lois spécifiques.
23 E. Leonardi, “Neo-operaismo e decrescita. Aprire un percorso di riflessione” http://effimera.org/neo-operaismo-decrescita-aprire-un-percorso-riflessione-emanuele-leonardi/
24 T. Terranova, “Red stack attack! Algoritmi, capitale e automazione del comune” http://www.euronomade.info/?p=1893
25 S. Mezzadra, M. Neumann, “Al di là dell’opposizione tra interesse e identità. Per una politica di classe all’altezza dei tempi” http://www.euronomade.info/?p=9402
26 M. Fisher, trad. A. Fumagalli, D. Gallo Lassere, “Verso l’Acid Communism. Presa di coscienza e post-capitalismo".
27 “È essenziale ricordare che gli algoritmi hanno per il capitale un valore strumentale che non esaurisce il ‘valore’ della tecnologia in generale e degli algoritmi in particolare, ovvero la loro capacità di esprimere non solo il ‘valore d’uso’ (per dirla con Marx) ma anche valori estetici, esistenziali, sociali ed etici.” T. Terranova
28 Senza mai scordare il ruolo dello stato in tutto ciò. Come cita e sottolinea Mezzadra “Nei cantieri marxiani” da un paio di paragrafi di “La questione ebrea” di Marx, “lo stato è il mediatore tra l’uomo e la libertà dell’uomo. Tanto più il ‘mediatore’ si perfezione e tanto più lo ‘stato politico perfetto’ da espressione, rappresentandola, alla ‘vita generica dell’uomo’, più si approfondisce la scissione tra quest’ultimo e una ‘vita naturale’ dell’uomo”.
29 F. Monferrand, V. Chanson , “Réification et antagonisme. L’opéra'isme, la Théorie critique et les apories du “marxisme autonome” http://revueperiode.net/reification-et-antagonisme-loperaisme-la-theorie-critique-et-les-apories-du-marxisme-autonome/
30 Ivi.
31 E. Leonardi, “Neo-operaismo e decrescita. Aprire un percorso di riflessione” http://effimera.org/neo-operaismo-decrescita-aprire-un-percorso-iiflessione-emanuele-leonardi/
32 Si vedano per esempio riferimenti indicativi sulle “formazioni” curde Tev Dem, Ybs, Pyd, Pkk e Kck segnalate in “Sfidare la modernità capitalista: cosa si è detto alla conferenza di Amburgo”,
http://www.infoaut.org/index.php/blog/approfondimenti/item/18619-sfidare-la-modernit%C3%A0-capitalista-cosa-si-%C3%A8-detto-alla-conferenza-di-amburgo
33 Ultimi paragrafi di “Classe e partito: note finali” in http://stefano-santarelli.blogspot.com.es/2014/11/rosa-luxemburg-e-la-disciplina-della.html
34 Dal commento “Anonimoa-k dio, 23:22 07/02/2017 in QQue fue de la revolución socialista vasca?” https://borrokagaraia.wordpress.com/2017/02/07/que-fue-de-la-revolucion-socialista-vasca/
35 Accettando comunque la differenza tra il concetto di ‘stato nazionale’, che corrisponde ad una unità istituzionale realmente nazionale in termini sociali, storici e culturali, e quello di ‘stato-nazione’ che (come tutt’ora la maggior parte) corrisponde ad una situazione oggettivamente plurinazionale. Ma generalmente governata da una nazione dominante che impone la propria lingua, cultura e specifici processi storici e sociali. In fin dei conti occupante o coloniale, e ancora troppo spesso realmente etnocida.
36 Justo de la Cueva su ‘Alienazione e identità delle classi sociali’ presentato nell’incontro “Socialismo secolo XXI in Euskal Herria” (Bilbo, 11 febbraio 2012) http://www.abertzalekomunista.eu/es/biblioteca/autores-vascos/de-la-cueva-justo/158-alineacio-n-e-identidad-de-las-clases-sociales-2012
37 A livello formale si dovrebbe dire che all’iniziativa partigiana si affiancavano formalmente nella coordinatrice KAS delle organizzazioni come HASI (partito marx-leninista), ASK (specializzata in movimenti sociali), LAB (sindacato dei salariati), Jarrai (gioventù) o Egizan (femminismo). Ma ciò che ci interessa realmente esplorare del KAS sono le caratteristiche del potenziale di connessione e dinamizzazione generale, e di classe, fondate sulla dimensione etica e strategica del lavoro politico ‘socialista-rivoluzionario’ nel rispetto delle diversità ideologiche, proprio per superare meccanicismi ed autoritarismi tipici o inerziali del concetto tradizionale di ‘organizzazione centralizzata’ rigida o monolitica di ‘partito’.
Per quanto riguarda invece il sindacato LAB va sottolineato che si tratta - o trattava, fino alla ‘socialdemocratica’ dissoluzione del KAS all’inizio degli anni novanta - di uno tra i rarissimi sindacati metropolitani che non funzionano come organismi d’accompagnamento e in fin dei conti collaborazionisti del sistema capitalista. Una deriva integratrice che come ben sappiamo precede l’attuale offensiva neoliberista. Basti ricordare il ruolo nefasto di gran parte del lavorismo sindacalista degli anni 60 e 70 contro altri movimenti di classe: studenti, ‘femminismo’, ecc. Per non riprendere il corrispondente discorso sulla rivoluzione tedesca, ecc.
38 È assolutamente indispensabile ed urgente la ricodifica del termine e concetto di DEMOCRAZIA, che soprattutto dopo la rivoluzione sovietica ha subito sempre più l’appropriazione e banale falsificazione borghese come sinonimo del regime parlamentario e dello stato ‘di diritto’ capitalista, intrinsecamente anti-democratici. Invece di essere esattamente inteso come espressione di processi di potere popolare, e di classe nel linguaggio marxiano. Con gli stessi strumenti di manipolazione con cui si espropriano altri concetti, come quello di terrorismo, da parte di stati e istituzioni - polizie, eserciti, ecc. - che praticano e sopravvivono proprio grazie ai loro specifici terrorismi. Lo stesso si può estendere ad altri termini politici, come ‘libertà’ e ‘libertario’, o ‘giustizia’, ‘diritto’, ecc. che solo possono riacquistare valori naturali od oggettivi, e quindi riemanciparsi, in presenza di potenti movimenti sociali profondamente critici ed intelligenti.
39 “Costruire una forza rivoluzionaria consiste precisamente in questo oggigiorno: articolare tutti i mondi e tutte le tecniche rivoluzionarie necessarie, aggregando tutta l’intelligenza tecnica in una forza storica e non in un sistema di governo”. (Comitato invisibile, “Ai nostri amici”, 2015).
40 Egunkaria (giornale), un quotidiano in assoluto esplicitamente portavoce ‘socialista rivoluzionario’ piuttosto omologabile, per esempio, a Il Manifesto italiano, venne assalito e serrato dalla ‘guardia civile’ spagnola la notte del 20 febbraio 2003, agli ordini del famigerato tribunale speciale spagnolo denominato Audiencia ‘Nacional’, tutt’ora attivo. Il direttore di Egunkaria Martxelo Otamendi venne catturato con altri 10 giornalisti e furono sottomessi a tortura per ben 4 o 5 giorni, aggiungendosi così ai più rinomati tra le varie migliaia di torturati baschi dalla morte del dittatore. In uno stato ‘democratico’ della UE. L’impressionante mobilizzazione generale della popolazione basca che ne è immediatamente seguita, forse uno degli avvenimenti di massa più rilevanti degli ultimi anni, impose e finanziò in pochi giorni la riapertura del giornale. Sotto un nuovo nome, BERRIA (nuovo), fino ad oggi in edicola.
41 Dal commento “Anonimoa-k dio, 23:22 07/02/2017 in “^Que fue de la revolución socialista vasca?” https://borrokagaraia.wordpress.com/2017/02/07/que-fue-de-la-revolucion-socialista-vasca/
42 J. de la Cueva su ‘Alienazione e identità delle classi sociali’ presentato nell’incontro “Socialismo secolo XXI in Euskal Herria” (Bilbo, 11 febbraio 2012)

Comments

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C. Speziali
Wednesday, 19 August 2020 17:04
Raveli, hai fatto centro. Parlando dell’ex-quotidiano comunista.
Guarda un po’ cosa ci racconta un paio di giorni fa’ la Castellina, per dipiù chiudendo un editoriale:
“Quello su cui non ha purtroppo scritto ancora nessuno, ed è quanto ha reso così difficile la vita della sinistra oggi, è come si possa aggregare il soggetto antagonista, vale a dire usare positivamente la ricchezza delle nuove contraddizioni, impedendo che esse diventino invece divisive.
La difficoltà sta nel fatto che assai meno di una volta, quando c’era una bella classe operaia omogenea e geograficamente concentrata, non basta la protesta: serve, per far nascere il nuovo soggetto, più mediazione politica e culturale di un tempo. I movimenti di protesta sono indispensabili perché si muovono, ed hanno perciò antenne sensibili. Ma da soli non bastano.”
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Francesco
Tuesday, 21 July 2020 17:17
Anche se in chiave riformista così come purtroppo funziona ormai il Manifesto, troviamo a volte qualche perla.
Per esempio questa di Aliberto Olivetti quando offre anche lui qualche chiave importante per ‘aprire connessioni’ tra movimenti. Così in Allargamento dell’esistere e comunismo del 17 scorso, ricorda per Ingrao quando afferma che “le realtà, vuoi soggettive, vuoi di relazione, plurali, poliedriche e multiformi, producono complessità e come complessità agiscono. «Dar conto della complessità»: tale, dice Ingrao, è il compito d’una politica che sia intesa a «esprimere un allargamento dell’esistere» e si faccia dunque capace di articolare una praxis che ne determini le condizioni, ovvero l’espansione delle libertà. Dove, a ben vedere, la locuzione allargamento dell’esistere par qui giunta a sussumere il termine comunismo”.
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Karlo
Wednesday, 01 July 2020 16:57
Stati Popolari.
A quanto pare si riaccende un ampio movimento proletario e operaio che potrebbe - a partire dal 5 luglio prossimo, a Roma - dare l'avvio a connessioni operaie reali, dinamiche, come cerco di sviluppare in:
“Dimensione operaia degli Stati Popolari, Sardine, ecologismo, antirazzismo, antipatriarcato...”
che è in via di pubblicazione.
Buon lavoro a tutti!!
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Susanna
Saturday, 07 September 2019 15:00
Uno scritto che si dovrebbe tradurre affinchè lo possano leggere anche Greta Thunberg e tutti quei giovani che rappresentano ormai l'unica speranza per uscire dal cataclisma umano che si avvicina!
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K. R.
Thursday, 14 March 2019 15:32
Rispondo anche a Diego, in un commento che ho appena inviato allo stesso indirizzo (https://www.sinistrainrete.info/sinistra-radicale/14499-karlo-raveli-proprieta-patriarcato-e-criminalita-ecologica-cop24.html)
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K. R.
Thursday, 14 March 2019 15:30
Totalmente d'accordo, Cesare, è ciò che sviluppo nell'ultimo articolo proprio qui:
https://www.sinistrainrete.info/sinistra-radicale/14499-karlo-raveli-proprieta-patriarcato-e-criminalita-ecologica-cop24.html
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Cesare SG
Thursday, 21 February 2019 16:03
Direi proprio che per aprire "connessioni operaie globali" decisive per le "prossime esperienze e ribellioni per un ancora possibile riscatto dell’umanità" dovremmo scommettere le nostre forze sulle lotte femministe ed ecologiste, oltre che sulle lotte dei lavoratori, centri sociali, internazinaliste e così via.
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Diego G.
Thursday, 07 February 2019 12:09
Mi piacerebbe avere qualche riferimento utile per poter approfondire meglio questa questione, o esperienza, di KAS.
Mi ricorda forse un pò ciò che succede, quasi incredibile, nella Rojava, il curdistan siriano.
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Giorgio
Friday, 10 November 2017 19:47
Mi sembra una definizione strategica abbastanza difficile da decifrare, ma molto arricchente e illuminante, persino in rapporto alle eccellenti proposte sviluppate da Ortiz de Zarate in "Alternativas al poder corporativo", che non ho trovato in italiano.
(http://www.icariaeditorial.com/libros.php?id=1632)
Infatti la formulazione di premesse (6), agende, proposte (20) e misure politiche (90) di Ortiz de Zarate non sopporta in modo sufficiente, mi pare, le basi molto profonde e chiare per una strategia globale che si presentano qui. Per superare questo sistema criminale che ci conduce tutti verso il disastro.
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