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Dissesto ideologico
di Ugo Boghetta
Ferrero chiude un articolo sulla questione internazionale e lista Tsipras in questo modo: "non (siamo) per il ritorno ad un impotente nazionalismo. La grande proletaria si è già mossa una volta e non è andata distante”.
La citazione della “grande proletaria” fa riferimento ad un discorso di Pascoli del 1911 favorevole all'intervento in Libia ciò affinché i proletari italiani non dovessero emigrare sparpagliandosi nel mondo ma andando in un unico paese.
Pascoli, che pur si dichiarava socialista, dettava tutti i temi più mistificanti della propaganda coloniale. Sarà poi ripreso dal fascismo per lanciare l'Italia: nazione proletaria sempre oltraggiata e misconosciuta, contro le nazioni più ricche alla ricerca di un «posto al sole».
Ferrero lancia lo strale contro le posizioni che non vedono la riformabilità dell'Europa e quindi propongono l'uscita dall'euro. Ma la citazione si riferisce solo alle forze di destra (Lega nord e Fratelli d'Italia), oppure contro tutti, compresi i noeuro di sinistra e Grillo (che in verità dice e si contraddice per prendere voti a destra e a manca)?
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Sui benefici del Reddito Minimo Garantito in Italia (LIG)
Salvatore Perri
La crisi economica internazionale e la finanziarizzazione dell'economia, hanno (finalmente) sollevato il tema della diversa distribuzione del reddito all'interno dei sistemi economici. Il Reddito di Base ed il Reddito Minimo Garantito sono due delle forme possibili per scongiurare il tracollo delle economie c.d. "avanzate". Ho già scritto sulla necessità di redistribuire il lavoro e sul Basic Income. In questo pezzo, stimolato dagli attivisti internazionali del LIG, discuto perchè il Reddito Minimo Garantito è un passaggio obbligato per invertire le odierne tendenze economiche negative altrimenti inarrestabili.
La definizione di reddito minimo. Come ho già scritto in altri pezzi, i sistemi economici maturi, come quello italiano, necessitano di un mix di redistribuzione del lavoro e reddito di base per interrompere la spirale debito-disoccupazione che stà distruggendo le fondamenta della convivenza civile. Tuttavia, nel breve periodo, un primo passo verso una diversa configurazione della struttura economica può essere il Reddito Minimo Garantito (LIG), il quale si configura come un supporto al reddito di coloro che non stanno lavorando e delle persone inabili al lavoro per malattia.
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I professori che cercano di fermare le riforme
Pubblicato da keynesblog
“Io temo che in questi trent’anni le continue prese di posizione dei Professori abbiano bloccato un processo di riforma oggi non più rinviabile per il Paese” (Maria Elena Boschi, ministro delle riforme)
Il ministro Boschi è troppo ottimista. Ci sono Professori che cercano di bloccare le riforme da molto più tempo, oltre 80 anni. Ne abbiamo scelti due tra i più inguaribili conservatori, John Maynard Keynes e Michal Kalecki.
“Una riduzione dei salari monetari ha la tendenza diretta, a parità di altri fattori, ad aumentare l’occupazione?
… abbiamo dimostrato che il volume dell’occupazione è correlato univocamente con il volume della domanda effettiva, misurata in unità-salario, e che la domanda effettiva, essendo la somma del consumo atteso e dell’investimento atteso, non può cambiare se la propensione al consumo, la scheda dell’efficienza marginale del capitale e il tasso di interesse sono tutti invariati. Se, senza alcun cambiamento di questi fattori, gli imprenditori dovessero aumentare l’occupazione nel suo complesso, i loro ricavi saranno necessariamente inferiori al loro prezzo d’offerta…
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Il Veneto tral il mito della secessione e la realtà della delocalizzazione
di comidad
La scelta di drammatizzare artificiosamente il fenomeno folkloristico del secessionismo veneto con improvvisi arresti ed imputazioni, corrisponde ad una precisa necessità attuale del lobbying euro-finanziario. Qualunque "evento" (vero o, ancor meglio, fasullo) possa distrarre da ciò che avviene effettivamente nell'Unione Europea, e sia in grado di ricondurre la conflittualità all'interno, deve considerarsi benvenuto dalla lobby finanziaria. Non c'è neppure bisogno di supporre un surplus di cospirazione, poiché i ROS avranno sicuramente ben chiara la loro specifica funzione poliziesca, che è quella di alternare la repressione con la provocazione ed il depistaggio. Proprio in questi giorni, sulla scena europea si affacciano infatti nuove sigle da far rimanere nell'ombra, come il minaccioso RSM, il Meccanismo Unico di Risoluzione, un'espressione criptica che corrisponde in concreto alle ulteriori misure di salvataggio bancario, ovviamente a spese dei contribuenti e - pare certo - anche dei depositanti.
A molti commentatori invece non è sembrato vero di poter tornare a parlare di "macroregioni", o del "Sud mantenuto a spese del Nord", insomma dell'annosa "Questione Meridionale". Ogni volta che si sente ripetere che sono i ricchi a mantenere i poveri, bisogna mettersi in sospetto, dato che il lamento vittimistico del ricco non è altro che l'ideologia di copertura dell'assistenzialismo per ricchi, un assistenzialismo di cui oggi sono i banchieri ad avvantaggiarsi maggiormente.
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L'europeismo è un aborto dell'imperialismo
di C.M.
Qualcuno si ricorderà di cosa pensasse degli Stati Uniti d'Europa un fine intellettuale di inizio novecento. Stavolta parliamo delle opinioni di un altro celebre autore, Rosa Luxemburg, in un suo scritto.
Lo Scalfari di fine ottocento affermava:
Per ottenere una pace duratura, che bandisca per sempre il fantasma della guerra, c’è solo una cosa oggi da fare: l’unione degli stati della civiltà europea in una federazione con una politica commerciale comune, un parlamento, un governo e un esercito confederali - ossia la formazione degli Stati Uniti d’Europa. Qualora si riuscisse in questa impresa, un grandioso passo potrebbe dirsi compiuto.
Non è uguale?
Altri esponenti della sinistra del tempo rincaravano la dose:
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Debito pubblico: quelli che ‘la monetizzazione si fa coi miniassegni…’
di Alberto Bagnai
Nel 2005 Barry Marshall, dell’Università di Perth (Australia), ha preso il premio Nobel per aver scoperto che l’ulcera non è causata dallo stress, ma dall’Helicobapter Pylori. Domanda: se voi aveste un ascesso a un dente, prendereste un aereo per Perth, o vi accontentereste del dentista di fiducia? Del dentista!? Sicuri!? Anche se non ha un Nobel?
Sono d’accordo con voi, e non solo perché da qui a Perth c’è più o meno un giorno di volo, ma anche perché si dà per scontato che un illustre gastroenterologo, di denti, non ne sappia un granché, e state ben certi che sarebbe lui il primo ad ammetterlo.
Nel 2011 Tito Boeri, dell’Università Bocconi di Milano, ha scritto un capitolo nel prestigioso Handbook of Labour Economics della Elsevier. Degno riconoscimento di una carriera scientifica di altissimo profilo interamente dedicata all’economia del lavoro. Domanda: se voi aveste un dubbio di economia monetaria, leggereste un fondo di Boeri, o un manuale di economia monetaria?
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The Incident
di Alessandra Daniele
Tutti gli alleati di Renzi, fuori e dentro al governo, hanno una cosa in comune: lo odiano.
Il PD lo considera una metastasi berlusconiana che ha approfittato della crisi per usurpare la guida del partito. Berlusconi lo riconosce come simile, quindi come potenziale e temibile concorrente. Per centristi e montiani la sua riforma elettorale falcia-minoranze è una vera e propria minaccia di estinzione. Persino i suoi petulanti fedelissimi/e, con quell’aria plasticosa da manichini della Standa, già si provano allo specchio la sua corona di stagnola.
Renzi è un cazzaro, e lo sa. Le sue ”riforme” se approvate faranno del precariato l’unica forma di lavoro possibile, e trasformeranno il Senato in una sala Bingo.
Non è per timore d’essere smascherato però che Renzi è così impaziente. La causa del suo nervosismo è più personale. Tutti vogliono farlo fuori.
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A che punto è la Grande Crisi?
di Joseph Halevi
1. la crisi bancaria non se ne è andata anzi è come un focolaio di peste o colera che riprende appena può (vedi Austria questi giorni).
2. la cosiddetta unione bancaria che avrebbe dovuto creare le condizioni per formare una sorta di Federal Deposit Insurance Corporation tipo Stati Uniti volta al salvataggio delle banche non è decollata, tra l'altro proprio perchè non vogliono salvare il pubblico (cioè la massa dei correntisti) bensì prevalentemente i detententori di titoli che poi in maggioranza sono banche e fondi vari. Inoltre la principale ragione finanziaria per cui l'unione bancaria è stata insabbiata è proprio l'assenza di una fiscalità europea. Di conseguenza devono escogitare veicoli finanziari molto particolari ed aleatori sui quali, in sostanza, c'è poco accordo perchè lascerebbero fuori molte banche.
3. Le operazioni di Draghi hanno ridotto la pressione speculativa sui titoli pubblici (anche perchè c'è una grossa quantità di denaro proveniente dalla rinnovata bolla borsistica USA che cerca collocamenti ovunque) però non hanno prospettiva in quanto non risolvono il problema bancario europeo che può essere affrontato solo nazionalizzando le banche più esposte e mettendo l'intero settore sotto controllo svuotandolo dei titoli marci.
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Un’architettura a misura di società
di Matteo Battistini
Da diverso tempo assistiamo a una nuova rilevanza pubblica della costituzione. Di fronte ai tentativi di riforma che hanno la pretesa di rendere i tempi istituzionali coerenti con le accelerazioni imposte dal mercato globale, il testo costituzionale torna a essere considerato un baluardo in difesa della società. Nella costituzione sono individuati principi, valori e regole del vivere in comune, con l’obiettivo di resistere – sul piano nazionale ed europeo – al tempo neoliberale della globalizzazione. Paradossalmente, la costituzione assume i caratteri di un testo sacro che, idealizzando il passato democratico del welfare state,consente di immaginare un altro futuro, mentre opera quale strumento profano di organizzazioni politiche e procedure finanziarie sovranazionali, come mostra l’introduzione del pareggio di bilancio. Paradosso che segnala la debolezza di ricostruire attorno al testo costituzionale un vocabolario politico rivolto a una nuova costituzione materiale del lavoro, della solidarietà sociale, del bene comune.
Il volume di Paola Rudan – L’inventore della costituzione. Jeremy Bentham e il governo della società (il Mulino, 2013) – non ha soltanto il merito di innovare gli studi su un autore ancora poco studiato anche per via della sua difficile classificazione nelle categorie politiche del secolo scorso. L’inventore della costituzione fornisce soprattutto un’articolata lettura dell’affermazione della costituzione quale pietra angolare del processo di formazione dell’ordine moderno in seguito alla frattura imposta dalle rivoluzioni atlantiche.
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Capitalismo patrimoniale
di Christian Marazzi
Qualcuno ricorderà lo slogan del movimento Occupy Wall Street di un paio di anni fa: “Voi l’1%, noi il 99”. Si trattò della prima, grande mobilitazione sociale contro il capitalismo finanziario che si è gradualmente imposto nel corso degli ultimi trent’anni, un capitalismo che, attraverso una successione di bolle finanziarie, ha portato le economie dei paesi sviluppati alla crisi del 2008 nella quale siamo a tutt’oggi impantanati.
Il tratto saliente della finanziarizzazione è l’aumento drammatico delle disuguaglianze all’interno dei paesi ricchi, dagli Stati Uniti ai paesi europei, Svizzera inclusa. Se la distanza tra economie occidentali e paesi emergenti come la Cina, l’India e il Brasile si è raccorciata, il divario tra ricchi e poveri nelle economie avanzate è per contro cresciuto. Ormai, perfino istituzioni conservatrici come il Fondo monetario internazionale mettono in guardia da questo aumento delle disuguaglianze.
La polarizzazione tra chi ha e chi non ha, con la conseguente riduzione del peso sociale e economico del ceto medio, ha diverse sfacettature. La si ritrova nella distribuzione del reddito, con il 10% più ricco della popolazione che conta per una quota crescente (fino al 30 e oltre percento) del reddito nazionale.
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Berlusconi l’ondivago, Renzi il frenetico ed il Presidente pericolante
di Aldo Giannuli
La settimana politica inizia nel caos: Berlusconi affossa le riforme istituzionali; cioè no, le conferma, si però dopo le europee e “nello spirito del Nazareno”. Per cui già da martedì, al Senato, non sanno che calendario avranno. Ma, secondo voi, si può fare una riforma della Costituzione, e su un punto delicato come l’assetto del Parlamento, cosi?
Insomma, abbiamo un Parlamento di nominati con un tasso di disrappresentatività spaventoso (oltre il 40%, caso unico mondiale), che è stato eletto con un sistema dichiarato in buona parte incostituzionale che, anzicchè sciogliersi, pretende di riformare la Costituzione ed a tempo di rock, sotto la regia di un semi-ottuagenario in stato confusionale e di un frenetico giovanotto in preda al ballo di San Vito: è meglio di una commedia surrealista! Pura comicità demenziale.
E pertanto riesce difficile parlarne seriamente. E tuttavia dobbiamo farlo perché questo è quello che offre il convento di questo nostro sventurato paese.
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Patrimonio culturale, Montanelli aveva già scritto tutto
di Tomaso Montanari
"Un soprintendente è tenuto a compiere sopralluoghi, controllare perizie, dirigere i lavori, pubblicare studi, redigere piani paesistici, ma soprattutto resistere ai privati che vorrebbero distruggere tutto per rifarlo in vetrocemento, quasi sempre con l’assenso e l’appoggio delle autorità”.
“Resistere ai privati”: chi lo sostiene oggi è un talebano, statalista, comunista. A scriverlo, invece, era il liberalissimo Indro Montanelli, in un memorabile articolo comparso sul Corriere della Sera il 12 marzo 1966. Oggi, invece, un giornale come Repubblica scrive che “troppo spesso le soprintendenze diventano fattori di conservazione e di protezionismo in senso stretto, cioè di freno e ostacolo allo sviluppo, alla crescita del turismo, e dell’economia”, sul Corriere si invoca un giorno sì e l’altro pure l’intervento salvifico di quegli stessi privati, Matteo Renzi ripete a macchinetta che “Sovrintendente è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba”.
L’entusiasmo e la fantasia di chi – tra il 1966 e oggi – ha sepolto questo Paese sotto una colata di cemento. L’attualità dell’articolo è devastante, perché tutto è rimasto come allora: il bilancio miserabile del patrimonio, gli stipendi da fame e la solitudine dei soprintendenti, “pochi eroi, sopraffatti dal lavoro e senza mezzi per svolgerlo”. Montanelli vedeva che il vero problema era – ed è tuttora – la disparità dei mezzi tra i difensori del bene comune e quelli degli interessi privati: “I loro uffici sono letteralmente assediati da orde di impresari, ingegneri, architetti, geometri e altri guastatori. Nel periodo del ‘ boom’ edilizio il soprintendente ai monumenti della Liguria, Mazzino, esaminò in un anno 10 mila progetti con l’aiuto di un solo architetto. Il suo collega di Sassari, Carità, deve difendere da solo circa mille chilometri di costa che, a lasciar fare agli speculatori e ai progettisti a quest’ora sarebbero già un’immensa Ostia. E mentre gli speculatori hanno a disposizione i migliori giuristi per redigerlo, il Soprintendente deve farlo con l’aiuto del bidello e della custode”.
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Il rozzo stil novo
di Marco Revelli
La crisi italiana sta producendo uno dei fenomeni politici più inquietanti, oggi, in Europa: un populismo di tipo nuovo, virulento e nello stesso tempo istituzionale. Tanto più preoccupante perché emergente non al margine ma nel centro stesso del sistema di potere. Non dal basso (come avviene per i movimenti così etichettati) ma “dall’alto” (dal cuore del potere esecutivo, dal Governo stesso), assumendo come vettore (altro paradosso) l’unico partito che continua a definirsi tale.
E che fino a ieri tendeva a presentarsi, a torto o a ragione, come la principale barriera contro le derive autoritarie e populistiche. Mi riferisco al rozzo Stil novo introdotto da Matteo Renzi, con la convinzione che non si tratti, solo, di una questione di stile. O di comunicazione, come frettolosamente lo si classifica. Ma che tutto ciò che si consuma sotto i nostri occhi alluda a una mutazione genetica del nostro assetto istituzionale e dell’immaginario politico che gli fa da contorno, in senso, appunto, populista.
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La democrazia? Un costo inutile
Dante Barontini
In un paese senza cultura – né politica, né di altro genere – il potere può usare argomenti risibili per sostenere qualsiasi cosa. Il fondo è stato momentaneamente toccato da Matteo Renzi, quando giustifica l'abolizione del Senato con la necessità di “tagliare i costi della politica”; o anche, cavalcando consapevolmente la vandea populista, di “chiedere i sacrifici anche alla classe politica”.
Facciamo finta di prendere sul serio questo argomento.
Quanto si risparmia? Lo stipendio di 315 senatori, ovvero 11.555 euro di indennità parlamentare ogni mese, più 3.500 di diaria, 1.650 euro per i trasporti (che sono in realtà gratuiti) e 4.180 euro per le spese di rappresentanza. Totale: quasi 21.000 euro mensili, al netto dei contributi previdenziali. La spesa annuale dello Stato per gli stipendi di questo ramo del Parlamento assommano a meno 100 milioni l'anno: 92.610.000, per l'esattezza, calcolando 14 mensilità. Non molto, diciamolo.
Il “nuovo Senato dei territori” disegnato da Renzusconi potrebbe comportare qualche altro piccolo risparmio (contributi previdenziali, scorte, auto blu, sedi dei gruppi, ecc), uguale o forse persino minore a quello sugli stipendi.
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Lo scontro sul Senato: cosa c’è dietro?
di Aldo Giannuli
Con l’intervista del Presidente del Senato Grasso (Corriere della Sera 30 marzo 2014) ed il successivo battibecco fra lui e Renzi è esploso uno scontro di grande portata politica, nel quale si stanno inserendo anche altri soggetti istituzionali. Con l’inarrivabile rozzezza dei renziani, la Serracchiani è arrivata a richiamare il Presidente del Senato (seconda carica istituzionale del paese) alla disciplina di partito: non era mai accaduto prima. Ma, in realtà, Grasso ha solo reso manifesto un conflitto che covava copertamente e che riguarda due diverse concezioni della democrazia, entrambe autoritarie e liberticide, ma fra loro opposte: la variante iper-populista e plebiscitaria e quella elitaria e monarchica.
La proposta fatta da Renzi e Berlusconi di fatto abroga il Senato, togliendogli quasi tutte le competenze, ma, soprattutto, disegnando una composizione non elettiva e di persone (sindaci e Presidenti di Regione) legate al loro ruolo sul territorio e, pertanto, di fatto impossibilitate a partecipare ai lavori di un organismo a centinaia di chilometri dalla propria sede. E, infatti, si prevede una riunione mensile puramente simbolica.
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Cerchiamo di capire*
di Giuliano Cappellini
La Sinistra polverizzata anela all’unità. O la sinistra è unita o non conta, non rappresenta una importante istanza sociale con interessi reali ben definiti. Questo è il busillis, che non si può essere contro l’unità della sinistra perché non esiste una scorciatoia alla soluzione della rappresentazione politica di tale istanza sociale, ecc., ma che si deve prendere atto che la Sinistra è un’entità polverizzata contro la sua volontà. Cioè non quaglia a dispetto della sua volontà, la Sinistra rimane suddivisa in nuclei autoreferenziali.
Ma oggi la Sinistra chiede l’unità e questo è un fatto reale che spiega molte cose. Come ad esempio che in tutta la galassia alla sinistra del PD si sia aperto quell’ampio lenzuolo, metafora della volontà di unire le sue diverse parti, di passar sopra alle differenze, di mediare, di cogliere i dati salienti, forse di sintesi.
Non è che non ci abbia tentato altre volte naturalmente, sempre in occasione di elezioni e, purtroppo, con scarsi risultati, ma insomma oggi, lo spostamento a destra del PD invoglia a provare con maggior determinazione.
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Berlusconi e il ’68 realizzato
di Diego Fusaro
Berlusconi e il berlusconismo sono detestabili finché si vuole, ma comunque mai quanto l’antiberlusconismo della sinistra politicamente corretta che ha abbandonato la questione sociale e Marx per passare all’integrità morale e a Saviano. Né – occorre ricordarlo – Berlusconi e il berlusconismo hanno a che fare con il fascismo e con una presunta deriva autoritaria, come da anni sentiamo ripetere a tutte le ore.
Questo modo sciagurato di impostare il problema – che è il modo adottato ormai da vent’anni ad opera di una sinistra allineata con l’ortodossia neoliberale – ha il solo compito di giustificare l’antifascismo residuale della sinistra (in assenza completa e conclamata di fascismo), di modo che essa possa continuare a esistere legittimamente pur avendo rinunciato integralmente alla lotta per i diritti sociali e all’emancipazione degli offesi del pianeta.
Abbandonando la terra ferma del politicamente corretto e delle interpretazioni legate all’inerzialità impersonale del “si dice” di heideggeriana memoria, ritagliate apposta per chi non voglia sforzarsi di pensare con la propri testa, è convinzione dello scrivente che il berlusconismo debba essere letto come tragico compimento della logica del Sessantotto. Di più, l’autore di queste righe è convinto che Berlusconi e il berlusconismo, lungi dall’essere argomenti insulsi e indegni di attenzione, dovrebbero essere oggetto di un’attenta analisi filosofica o, avrebbe detto Foucault, di una “ontologia dell’attualità” in grado di interrogare criticamente, con sguardo sagittale, il presente.
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Stupidaggini euriste
Mimmo Porcaro
Non ringrazieremo mai abbastanza Vincenzo Sparagna per la sua opera di umorista. Ma una stupidaggine resta tale anche quando è scritta da una persona divertente. E nel suo recentissimo intervento, con preveggenza intitolato “Eurostupidaggini”, le stupidaggini in questione sono almeno due.
La prima consiste nel dire che siccome i guai dell’Italia derivano dal capitalismo è sciocco, assurdo, furbesco e “di destra” prendersela con l’euro. Bel ragionamento, non c’è che dire: conseguentemente, siccome il problema è il capitalismo, non prendiamocela con la legge elettorale, con lo scasso della Costituzione, ma nemmeno coi tagli del welfare o con la deflazione salariale: tanto il problema non è l’avere più o meno salario, ma è il lavoro salariato in quanto tale. Peccato, però, che una chiara coscienza del problema generale si formi solo a partire dal problema particolare, e che solo lottando contro l’esistenza attuale e concreta del capitalismo italiano un numero crescente di cittadini potrà comprenderne i limiti storici.
La seconda consiste nel non capire che l’euro è tutt’altro che irrilevante nel consentire la sopravvivenza del sistema attuale, perché impone continuamente, qualunque sia il grado di austerity di una politica, la soluzione della deflazione salariale, e perché costringe il debitore a restare eternamente tale. Ragion per cui uscire dall’euro magari non sarà la soluzione, ma certo ne è condizione sine qua non. Ragion per cui – pensate un po’ – c’è gente a sinistra, e non sempre gente estremista, che ritiene che la battaglia contro l’euro sia essenziale e sacrosanta.
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L’internazionale socialista, Renzi e la zia di Cosimo
Nuvola rossa
A sentir parlare ministri/e e sottosegretari/e, un condominio di Trastevere sembra la camera dei lord. E i giudizi dei condomini esercitazioni di alta politica (nell’interesse della collettività). Ivan Scalfarotto (riforme costituzionali): “Io primo gay al governo, chissà ora Giovanardi”. L’interrogativo è veramente tormentoso. Maria Elena Boschi (stesso ministero): “Al referendum sull’acqua ho votato no”. Davvero un buon auspicio per le riforme.
Gian Luca Galletti (ambiente) “Io dico sì al nucleare”. Come sopra (e come il resto che segue). Dario Franceschini (Beni culturali): “Patrimonio d’arte e privati? Per me nessun problema”. Federica Guidi (Sviluppo economico): “La vicenda Fiat di Pomigliano ci porta un orizzonte di speranza”. Questo è il rinnovamento di Renzi, bellezza. Il giovane in movimento che tiene ben salde le redini del comando, tanto stimato dall’azzardoso Serra, dal paninaro postmoderno Farinetti e dallo psichiatra Crepet. Oltre che dalla zia di Cosimo Ferri, come ci fa sapere il sottosegretario berlusconiano alla giustizia in odore di P3. Ma, dice, l’economia è governata dal super esperto Pier Carlo Padoan, lunga mano di D’Alema nel governo. Errore: Padoan, secondo il quale “il dolore sta producendo risultati”, è il master addestrato dal Fondo monetario internazionale e D’Alema l’apprendista stregone che da lui ha introiettato i rudimenti del liberismo.
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Keynes in Germania
di Elido Fazi
Il 6 gennaio 1932, esattamente 20 anni prima che io nascessi, John Maynard Keynes tenne una conferenza alla International Economic Society di Amburgo. Era stato invitato da un gruppo di economisti tedeschi a spiegare cosa stavano facendo gli inglesi per uscire dalla grande depressione seguita allo scoppio della bolla finanziaria del 1929. Cercò di spiegare loro che se la Gran Bretagna avesse cercato di restare all’interno del gold standard “la posizione dell’economia mondiale nel suo complesso sarebbe considerevolmente più disperata” di quanto non fosse.
“Inoltre, considero molto probabile – e lo spero – che altre valute si accoderanno alla Sterlina nel corso del 1932…in particolare quella sudafricana, quella tedesca e di altri paesi del Centro-Europa …..In ogni caso, quando i vari negoziati ancora in corso saranno finiti, credo che un alleggerimento del grande peso della deflazione e della tassazione che oggi ricade sulle spalle del popolo tedesco sia inevitabile.”
La Germania era stato uno dei paesi europei più colpiti dalla crisi. Nel 1929, nonostante la produzione industriale in Germania avesse raggiunto quell’anno il suo picco dopo la prima guerra mondiale, la disoccupazione era già a 2 milioni. A fine 1931 aveva già raggiunto i 6 milioni. Dapprima la Germania aveva ridotto i tassi di interesse ma poi li aveva rialzati fino al 12%. Un mese prima del discorso di Keynes, il 7-8 dicembre del 1931 il Cancelliere Heinrich Bruning aveva fatto approvare quello che viene ricordato come il “Decreto di emergenza Bruning”, diretto soprattutto a ridurre i salari. La stessa cosa aveva cercato di fare qualche mese prima il governo inglese, ma il popolo si era ribellato.
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“La dottrina della precarietà espansiva è la nuova illusione europea”
L. Sappino intervista Emiliano Brancaccio
Non gliene passa una l’economista critico Emiliano Brancaccio a Matteo Renzi. La riforma del lavoro, «sarà un buco nell’acqua», perché è dimostrato «che più precarizzazione non vuol dire più occupazione». Anzi, «la scommessa sulla corsa al ribasso salariale può portare l’intera unione alla deflazione, e la deflazione rischia di aggravare la crisi del debito». Brancaccio però è sicuro che Renzi terrà fede alle sue promesse, nonostante le rassicurazioni date ad Angela Merkel sui vincoli del debito, a cominciare dagli ottanta euro in busta paga. «Sforando di qualche decimale», però, il vincolo che pubblicamente ha assicurato di rispettare, perché quello che «si stia profilando è lo scambio tra un po’ meno austerità e un po’ più riforme del lavoro».
Le riforme immaginate da Renzi, lavoro in cima, hanno convinto la Germania. E’ questo il cuore del vertice, non più una revisione dell’austerità?
«Mi sembra che in realtà si stia profilando lo scenario che avevamo previsto nel “monito degli economisti”, pubblicato lo scorso settembre sul Financial Times. La dottrina della “austerità espansiva”, secondo cui l’austerità dovrebbe assicurare la crescita, viene messa almeno temporaneamente ai margini della discussione. Non a caso Merkel non si è concentrata molto sui vincoli di bilancio. Piuttosto ha insistito su una nuova dottrina, che potremmo chiamare della “precarietà espansiva”: l’idea è che attraverso ulteriori dosi di precarizzazione del lavoro si dovrebbe generare crescita dei redditi e dell’occupazione».
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I gatekeeper 3.0 sul Viale del tramonto
di Alberto Bagnai
Non ho mai nascosto la mia non eccessiva stima per i padri nobili in generale, e per Guido Viale in particolare. Se ne è parlato in questo blog, e non credo di dover spiegare per l'ennesima volta per quale motivo chi pensa di poter fare la filiera corta con la valuta forte non merita nemmeno di essere considerato come interlocutore. Occorre certo confrontarsi, oggi più che mai, ma dato che il tempo è poco mi permetto sommessamente di far notare che non vale la pena di farlo con chi è ortogonale rispetto a quel minimo di logica elementare che rende il confronto fruttuoso. Per questo tipo di "interlocutori", quelli che non si arrendono nemmeno all'evidenza, c'è la tanto accogliente quanto (di questi tempi) vorace pattumiera della SStoria. È lì, a bocca aperta, e non vede l'ora di inghiottire quei personaggi che ancora pensano di poter campare di rendita in nome di non si sa bene quale glorioso passato.
L'ultima uscita di Viale, quella nella quale ha confessato che la Lista Tsipras ha come scopo quello di intercettare il dissenso nei riguardi dell'euro, è un gigantesco QED del quale non avevamo bisogno, e anche un colossale errore politico, per due motivi.
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Crimea e Diritto Internazionale
Jacques Sapir
Da Sapir una analisi della difficile situazione Ucraina dal punto di vista del diritto internazionale. Anche qui, i nostri governanti si muovono con assoluta incompetenza e con una tracotanza che ci mette tutti a rischi
Gli eventi hanno subito un'accelerazione in seguito alla decisione dell'Assemblea della Repubblica Autonoma di Crimea di chiedere il ricongiungimento con la Russia. Le autorità russe sono chiaramente imbarazzate da questa proposta, che potrebbe metterle in contrasto con la comunità internazionale. D'altra parte, è chiaro che questa proposta gioca sulla corda emotiva della solidarietà con le popolazioni. Venerdì 7 marzo a Mosca si è tenuta una manifestazione a sostegno della Crimea "russa" che ha raccolto più di 60.000 persone. Questo è esattamente il genere di situazioni che sarebbe stato meglio evitare. Oggi ormai c'è da temere che il genio sia già uscito dalla lampada e potrebbe essere molto difficile farcelo rientrare. E nemmeno la posizione dei governi occidentali, nonostante le spacconate di alcuni, è molto sicura.
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Muos, il silenzio è d’oro: ecco perché i giornali tacciono
di Giorgio Cattaneo
Il silenzio è d’oro: meno si parla di missili, droni e Muos, più l’imprenditoria finanziaria italiana – collegata alla grande stampa – farà affari col Pentagono. Ecco perché «la Sicilia è diventata una capitale mondiale dei droni, ma questo non è assolutamente argomento all’ordine del giorno a livello politico e mediatico nel nostro paese», accusa Antonio Mazzeo, da sempre in prima linea contro gli abusi dell’industria degli armamenti. Il nuovo sistema bellico targato Usa di stanza in Italia è un progetto che va ben oltre la semplice trasmissione di informazioni: oltre agli effetti devastanti sul territorio, l’ambiente e la salute delle popolazioni, la stazione Muos sarà un punto di riferimento fondamentale per i droni, sempre più usati in Medio Oriente per la “lotta al terrorismo” e nel nel cuore del Mediterraneo per l’individuazione e il “respingimento” dei barconi coi migranti. Tutto questo nel silenzio quasi totale dei media, nonostante le proteste No-Muos per l’installazione definitiva delle tre enormi parabole a Niscemi.
L’ultimo libro di Mazzeo, “Il MUOStro di Niscemi. Per le guerre globali del XXI secolo”, offre un’analisi meticolosa e dettagliata su questo sistema di controllo e comunicazioni satellitare della Marina degli Stati Uniti. Il Muos, dice Mazzeo a Stefano Nanni e Anna Toro di “Osservatorio Iraq” in un’intervista ripresa da “Micromega”, sarà «uno strumento di guerra che a livello mondiale contribuirà a modificare radicalmente la gestione dei conflitti».
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Padoan, un pasdaran dell’austerity
di Emiliano Brancaccio
Pier Carlo Padoan, neo ministro dell'Economia, fu uno dei miei professori durante i corsi del master in Economia del Coripe Piemonte, presso il Collegio Carlo Alberto. Sebbene fosse un master rigorosamente “mainstream”, ricordo che le lezioni di alcuni docenti, come Luigi Montrucchio e Giancarlo Gandolfo, suscitavano il nostro vivo interesse e alimentavano le discussioni. Tra i docenti c’era pure Elsa Fornero, che nel ruolo di professoressa rendeva indubbiamente molto meglio che in quello successivo di ministra. Rammento che invece non eravamo particolarmente entusiasti delle lezioni di Padoan. Forse a causa degli alti incarichi che all’epoca già ricopriva, in aula appariva un po’ distratto, vagamente annoiato, non particolarmente persuaso dai grafici che egli stesso tracciava sulla lavagna. Di una cosa tuttavia il nostro pareva convinto: la sostenibilità futura della nascente moneta unica europea era da ritenersi un fatto ovvio, fuori discussione.
Era il 1999, data di nascita dell’euro, e Padoan guarda caso teneva il corso di Economia dell’Unione europea. Una volta gli chiesi cosa pensasse delle tesi di quegli economisti, tra cui Augusto Graziani, che esprimevano dubbi sulla tenuta dell’eurozona; domandai, in particolare, quale fosse la sua valutazione di quegli studi che già all’epoca criticavano l’idea che gli squilibri tra i paesi membri dell’Unione potessero essere risolti a colpi di austerità fiscale e ribassi salariali. A quella domanda Padoan non rispose: si limitò a scrollare le spalle e a sorridere, con un po’ di sufficienza.
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Giochi piccoli, grandi giochi: lo spodestatore spodestato
di RK
Dunque, contro Napolitano e pro-Renzi le manovre avanzano, serve un cambio di passo. Già, ma a chi serve? E per cosa?
Lo scoop del Corsera sul passaggio di consegne nel 2011 da Berlusca a Monti di per sé non contiene nulla di nuovo se non forse sul ruolo del finanziere De Benedetti e di Prodi. La novità è invece lo spodestamento di fatto dello stesso re Giorgio fin qui primo garante della stabilità di governo per il rispetto degli impegni finanziari internazionali e interni. (Non c’è più riconoscenza a questo mondo).
Nessuno in alto vuole andare al voto. Troppa incertezza, e non solo perché l’anomalia grillina, piaccia o non piaccia, resiste e a volte sa piazzare colpi che fanno male, come nella vicenda del regalo alle banche. Renzi, dopo aver letteralmente rimesso in campo un gongolante cavaliere con il disegno di riforma elettorale - che rivela la dabbenaggine veltronista del ragazzone: ci fai o ci sei? - teme ora che neppure la blindatura bipolarista potrebbe bastare, il clima sociale del paese è peggiorato, neanche le minime aspettative che il voto potrebbe sollevare van bene. Meglio allora limitarsi all’investitura delle primarie da parte di un popolo della sinistra sempre più scompaginato e rincoglionito in basso e con l’acqua alla gola in alto (v. la corsa a ostacoli reciproci tra Camusso e Landini per saltare sul carro del vincitore).
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Da dove viene questo bel regalo a Napolitano?
di Aldo Giannuli
Un famoso giornalista americano, che scrive per il più prestigioso quotidiano finanziario inglese (“Il Financial Times”) scrive un libro nel quale, fra l’altro, rivela che il Presidente Giorgio Napolitano, sin dall’estate 2011, aveva avviato consultazioni informali per sostituire il governo Berlusconi ancora in carica. Un’anticipazione del libro viene fatta da “Financial Time” che gli riserva una pagina intera con richiamo in prima. Il periodo dei fatti è tre anni fa, quando Sarkozy e la Merkel si scambiavano sorrisini di commiserazione se, in una conferenza stampa, qualcuno faceva il nome di Berlusconi e quando la stessa Merkel scavalcava il Presidente del Consiglio e telefonava direttamente al Presidente della Repubblica.
La notizia, incartata nel libro, viene fuori solo ora, a distanza di qualche mese da quando il M5s ha annunciato di voler presentare richiesta di messa in stato d’accusa di Napolitano e di un paio di settimane da quando effettivamente l’ha presentata. E’ solo un caso?
Ragioniamoci un po’ su. La rivelazione sembra fatta a taglio per spingere Forza Italia e la destra a pronunciarsi per il deferimento di Napolitano davanti all’Alta corte. Se questo accadesse, per Napolitano non ci sarebbe altra strada che le dimissioni; certo, in Parlamento potrebbe contare sui voti di Pd, Centristi e, probabilmente Sel, che gli garantirebbero il proscioglimento, ma un Presidente non può accontentarsi di un proscioglimento a maggioranza, magari risicata e, se tre forze politiche (M5s, Forza Italia e Lega) ne chiedono la messa in stato d’accusa, non gli resta altro fa fare che constatare la fine della sua funzione arbitrale e rassegnare le dimissioni.
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Bankitalia: i 100 miliardi che gli italiani rischiano di perdere
Intervista a Claudio Borghi Aquilini
Un putiferio normativo, un vuoto legislativo, e un rischio da brividi. Nella grande complicazione e confusione del decreto legge del Governo, sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia e mini-Imu, si può notare soprattutto questo pasticcio illogico. Claudio Borghi Aquilini, professore di Economia degli Intermediari Finanziari all’Università Cattolica, analizza il decreto e lo definisce sospetto. E non nasconde le sue preoccupazioni. Dice Borghi Aquilini: «Il Movimento 5 Stelle ha fatto una dura lotta contro il decreto che conteneva la rivalutazione delle quote di Bankitalia curiosamente “infilato” nel provvedimento legato all’Imu. Ha fatto bene. Peccato che a giudicare da quanto hanno detto i grillini, temo che non abbiano capito che cosa sia il vero rischio di questa manovra e abbiano pensato che la rivalutazione del capitale di Banca d’Italia a 7,5 miliardi veniva fatta con soldi pubblici che vengono messi in Bankitalia e regalati alle banche. Il problema non sta in questi termini».
In altre parole, per far comprendere la questione, non è che si è staccato un assegno di oltre sette miliardi a favore delle banche?
No, quella è stata una rivalutazione, un’operazione contabile. Anzi le banche ci pagheranno anche le tasse. Il punto non è la rivalutazione fatta sul capitale fissato nel 1936.
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Bella, ciao
di Stefano G. Azzarà
Lo spettacolo osceno dei parlamentari del PD e di Siderurgia & Aperitivo che evirano la democrazia parlamentare cantando Bella Ciao conferma che abbiamo perso definitivamente un’altra casamatta. E ci dice che l’uso della retorica dell’antifascismo non è più che il canto funebre dell’antifascismo stesso, un’esperienza storica di emancipazione che nel nostro Paese va oggi morendo assieme alla Costituzione repubblicana e alla democrazia nella sua accezione moderna.
Negli anni Venti e Trenta del XX secolo, intrecciata al conflitto politico-sociale, si è svolta una lotta egemonica furibonda per il significato delle parole. Volk, Arbeiter, Sozialismus…: ancora forte della fame, della spinta ascendente dei propri miti rivoluzionari e alla testa di un processo storico impetuoso che abbracciava tutta la Terra, il movimento operaio e democratico è riuscito a respingere l’ultimo colpo di coda del vecchio ordine e – pur avendo subito in Europa delle gravi sconfitte - a difendere il significato che queste parole avevano assunto dal 1848 in avanti.
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Dal Porcellum al Cotechinum
di Alessandra Daniele
Fuori dal governo, fuori dal parlamento, Berlusconi sembrava in difficoltà. Niente paura però, come tutte le altre volte, gli è bastato schiacciare il pulsante del suo Salvamilculo Beghelli, perché il segretario del PD si precipitasse in suo soccorso.
La biscaggina di salvataggio è sempre la stessa: la riforma della legge elettorale (ex Porcellum). Dopo D’Alema e Veltroni, ora la pilota Renzi.
Ripescare Berlusconi è il principale compito del segretario del PD. Ed è anche l’unico che riesca a svolgere con successo.
Il segretario del PD è tradizionalmente un completo fallimento in qualsiasi altro campo, ma a salvare Berlusconi è bravissimo.
Perfino Bersani a modo suo c’è riuscito, nel 2011, rinunciando a elezioni che rischiava di vincere contro un PdL allo sbando, per obbedire ciecamente all’ordine BCE di grosso-coalizzarcisi, e sostenere Monti.
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