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Alla Leopolda nasce la "nuova" destra italiana
Luigi Pandolfi
Cosa rappresenta oggi Renzi? Cos'è il "suo" partito democratico? Come si può qualificare l'azione del suo governo? Dopo la grande manifestazione della Cgil a Roma e la Leopolda di Firenze, forse, a queste domande è più agevole dare una risposta.
Incominciamo dalle prime due, con una premessa: questo ragazzotto vivace e molto ambizioso è un figlio prediletto della lunga e pervicace crisi della politica che ci sovrasta dalla fine degli anni ottanta e del modello berlusconiano che, intelligentemente, l'ha interpretata e cavalcata per oltre un ventennio. Non c'è dubbio: il Cavaliere politicamente è finito, ma la sua eredità incombe, impastandosi agli effetti tossici, sul versante politico e sociale, della crisi economica ancora in atto. Di che modello si tratta? Tre, a mio avviso, i suoi principali elementi costitutivi, che, mutatis mutandi, rinnovano con Renzi la loro presenza nel sistema politico italiano:
1)La politica è la comunicazione. Berlusconi è stato il pioniere della televisione commerciale nel nostro paese ed il primo politico al mondo che abbia concepito il suo partito alla stregua di una merce qualsiasi da piazzare sul mercato. In questo caso parliamo ovviamente di mercato elettorale. Di più: Forza Italia, che già nel nome richiamava il genio della trovata pubblicitaria, nacque prima in televisione, in quanto spot, e poi nel paese reale, nelle città, nei territori.
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Il partito della nazione
Dante Barontini
E venne l'ora del partito unico... Il comitato elettorale di Renzi ha un obiettivo ambizioso: passare dal 41 al 51%, inglobando il berlusconismo anche formalmente.
Diciamolo: quel sistema partitico lì era da decenni un guscio vuoto. Persino il “bipolarismo obbligato” da leggi elettorali sempre più ostative è in fondo inadeguato ad esprimere compiutamente il “dominio della politica”. Naturalmente usiamo il termine “dominio” in senso Internettiano, come ambito identificativo; la “politica” come attività e azione, infatti, non conta e non modifica più nulla. Tutto discende dai cieli di Bruxelles, abitati da imprese multinazionali e un personale tecnico tecnicamente apolide, “formato” e foraggiato al di fuori dei contesti locali-nazionali. Si può obiettare qualcosa, non opporsi.
Anche il bipolarismo obbligato, infatti, restituisce l'immagine “novecentesca” di ideologie contrapposte, che in ultima analisi potrebbero anche rimandare a interessi sociali diversi. No, meglio farne a meno... Anche se la differenza tra schieramenti parlamentari è ormai ridotta all'atteggiamento sul divorzio breve o sulle unioni civili, non certo sulle politiche economiche o le alleanze militari, quella “divisione” potrebbe catalizzare – in un lontano futuro, certo – opzioni sociali differenti. Divisive.
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Un indicatore per domarli
Militant
Su Il Sole 24 Ore di qualche giorno fa è uscito un articolo intitolato “Italia e Germania divise dal «Nawru»” che, nonostante a tratti sia poco comprensibile per i non addetti ai lavori, nel succo rende bene l’idea di uno di quei tanti indicatori che sono tutto tranne che roba da economisti per gli effetti che comportano sull’economia reale. L’oggetto del pezzo è il cosiddetto Nawru, definito dall’autore dell’articolo come uno dei perni, che si vedono poco e di cui non si parla poi così tanto, dell’intera concezione monetaria e economica – fiscale e di bilancio – dell’Unione europea.
L’acronimo sta letteralmente per “Non Accelerating Wage Rate Of Unemployment” e rappresenta il tasso di disoccupazione di equilibrio tale da non generare aumenti eccessivi nei salari che potrebbero provocare inflazione. In pratica, è il tasso di disoccupazione giusto per far stare tutti buoni, quello che presuppone un “esercito industriale di riserva” abbastanza grande da ridurre al minimo i rapporti di forza in favore dei lavoratori che altrimenti potrebbero avanzare richieste in termini di migliori salari e condizioni di lavoro.
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Perché Jeremy Rifkin sbaglia strada
di Philippe Bihouix
E' una buona decina di anni che Jeremy Rifkin parla di economia all'idrogeno e di tante altre meraviglie ma, fino ad ora, non si è visto niente di concreto. Ultimamente, si è messo a parlare di "Fine del Capitalismo" sulla base dei nuovi sviluppi della tecnologia. In questo articolo, originariamente pubblicato su "Les Echos," Philippe Bihouix fa notare a Rifkin che le cose potrebbero non essere così semplici (UB)
Jeremy Rifkin è tornato alla carica: dopo la “Terza rivoluzione industriale”, adesso propone nientemeno che la fine del capitalismo o quasi, per via della gratuità universale delle comunicazioni, dell'energia e degli oggetti, i cui costi di produzione tenderanno allo zero. Dopo la rivoluzione tecnologica delle comunicazioni, verrà quella di un Internet dell'energia – basato sul dispiegamento massiccio delle rinnovabili, lo stoccaggio attraverso l'idrogeno e la “smart grid” - e quella di un Internet degli oggetti, collegati e prodotti a volontà da stampanti 3D.
La tesi seduce, ognuno ci trova qualcosa di proprio: vendicatori di un fordismo sfruttatore, edonisti che non ci vedono la messa in discussione del consumo o della mobilità (al contrario, tutto sarà gratuito), industriali allettati da nuovi mercati, ecologisti ingenui che fanno leva su un'energia pulita ed abbondante... Come sembra radioso il futuro! Sfortunatamente, Rifkin ha una tendenza comune presso gli economisti: in nessun caso si occupa della questione della disponibilità delle risorse fisiche, o della realtà materiale delle sue riflessioni.
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Storia napoletana di un delirio a sinistra
Giacomo Giossi
Ermanno Rea, Il caso Piegari (Feltrinelli)
Durante la direzione nazionale del PD Pier Luigi Bersani ha paventato il rischio di caso Boffo contro chiunque all’interno del partito esprimesse posizioni discordanti da quelle della maggioranza o comunque diversa dalla linea impressa dal segretario. È chiaro che la dialettica interna in un partito è parte essenziale della sua stessa vita, tuttavia quello che oggi è definito generalmente sotto l’etichetta di macchina del fango sembra avere un impatto sulla vita personale e politica principalmente di carattere mediatico: può stroncare una carriera; perché oggi una carriera politica è, al pari di mille altri mestieri, una professione spesso carica di ambizioni, ma povera di passioni.
Tutta un’altra storia con quanto accadeva anche solo fino a qualche anno fa all’interno dei movimenti politici e in particolare all’interno del Partito Comunista italiano. Molti si ricorderanno l’espulsione del gruppo de il manifesto, ma pochi avranno memoria del Gruppo Gramsci di Napoli. Il Gruppo Gramsci fu al centro del romanzo di Ermanno Rea, Mistero napoletano, lo stesso Rea vi ritorna a distanza di anni con una piccola storia, quella privata e intima del suo fondatore e leader, il geniale Guido Piegari.
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Speranza contro arroganza
Alfonso Gianni
La settimana appena passata, dal 18 al 25 ottobre, ha segnato un passaggio determinante per la delineazione del nuovo quadro politico e sociale maturato nel nostro paese. Ciò che è più importante è che questo non è accaduto nei palazzi istituzionali, ma nelle piazze o in convegni pubblici. Milano, 18 ottobre: la manifestazione «Stop immigrazione» organizzata dalla Lega Nord con significative adesioni extralombarde delle più vivaci organizzazioni neofasciste. Firenze, 24–26: la Leopolda 5, tre giorni di convention organizzata da Matteo Renzi e profumatamente finanziata dal peggio del capitalismo nostrano e non solo. Roma 25 ottobre: piazza San Giovanni, la più grande manifestazione di popolo da almeno dieci anni a questa parte (bisogna risalire a quella contro la guerra del 15 febbraio del 2003 per avere un paragone quantitativo all’altezza) finanziata dai lavoratori stessi tramite le iscrizioni al sindacato, preceduta dallo sciopero dei sindacati di base del giorno prima. Mentre la meno recente performance grillina del Circo Massimo — non propriamente un successone — sembra già scolorire nei ricordi.
Ognuno di questi tre appuntamenti ha avuto un segno e un significato preciso difficilmente equivocabili, con i quali bisogna fare i conti.
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Il caudillo della Leopolda va alle elezioni
ilsimplicissimus
Elezioni a primavera. Non c’è bisogno di appoggiare l’orecchio alle segrete porte della politica o di avere strizzate d’occhio da vecchi e intollerabili marpioni per capirlo: il ricorso alle urne è nella logica delle cose e nei segni che vengono lanciati ai pescecani di confindustria, alle mammine, ai grand commis dello stato -affari o nei ripensamenti sulla legge elettorale. Di certo il gigantesco bluff di Renzi non può resistere i fatidici mille giorni, ha ancora qualche mese di vita prima di essere scoperto lasciando il posto all’ira e questo rende imperativo per il guappo tentare di andare alle urne prima che il suo castello di carte venga spazzato via dalla tempesta. Cercare di resistere sulla tolda delle chiacchiere e dei twitter ancora più a lungo sarebbe un azzardo ed esporrebbe sia il leader che il suo partito – nazione alla dissoluzione. E’ fin troppo chiaro che la manovra si regge e può eventualmente passare a Bruxelles solo grazie alla clausola di salvaguardia, ossia ad aumenti automatici del prelievo fiscale qualora le coperture venissero a mancare. Si tratta nello specifico di aumenti dell’Iva di due o tre punti che scatterebbero a partire dal 2016 e una serie di tassazioni nascoste tutte dirette a colpire le fasce più deboli. Dunque il 2015 è l’ultimo anno in cui le balle possono sopravvivere.
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Come la psywar ridicolizza il dissenso
Comidad
Sorprendentemente, si è sgonfiata in meno di un giorno la falsa notizia della settimana scorsa sui calciatori della nazionale della Corea del Nord, di cui si è narrato che sarebbero stati arrestati con la prospettiva di essere condannati a morte; ciò a causa della sconfitta nel derby con la Corea del Sud nell'ambito dei Giochi Asiatici. La sorpresa ovviamente non sta nella scoperta che si trattasse di un falso, ma nel fatto che il sito di Rainews abbia ammesso l'errore, ricordando anche altri casi di fiabe-horror sulla Corea del Nord, rivelatesi poi del tutto infondate; ad esempio, la storia dello zio del "dittatore" dato in pasto ai cani.
Se da un lato è notevole che, almeno stavolta, una smentita sia prontamente arrivata, rimarrebbe comunque da spiegare come mai i precedenti non abbiano consigliato maggiore prudenza, anche considerando l'evidente inconsistenza della fonte della notizia sui calciatori nord-coreani, e cioè l'associazione "Nessuno tocchi Caino", di area radicale. Il punto è che le smentite non hanno mai la stessa risonanza delle "notizie" che sono state "sparate" all'inizio con tanta evidenza. Rimane così nell'opinione pubblica quell'impressione di fondo per la quale in Corea del Nord qualsiasi crudeltà sarebbe possibile; perciò, se l'alternativa sarebbe quella di cadere nelle mani di un dittatore sanguinario, allora tanto vale tenersi Goldman Sachs.
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Una giornata particolare
Un sabato di massa a Roma
Vista da lontano, da chi era a casa occupato in faccende quotidiane, la giornata di ieri è stata davvero una giornata particolare, caratterizzata dall’estranea partecipazione di chi segue due eventi che si scrutano da lontano. Se a Firenze l’evento ci sarebbe stato in ogni caso, solo la presenza di massa nelle piazze e nelle strade di Roma ha fatto sì che ci fosse un controevento. Ed era drammaticamente necessario che quella massa fosse esorbitante, pena la sua inesistenza politica. La settimana precedente sono bastati trentamila tra fascisti e razzisti perché si urlasse al consolidamento di una nuova realtà politica. C’è stato chi ha registrato con malcelata soddisfazione l’esordio del lepenismo all’italiana. In fondo un buco nero di razzismo e di fascismo può essere sempre agitato per intimorire le proteste montanti, così come può essere utilizzato produttivamente per rompere fronti che altrimenti potrebbero consolidarsi. Anche per questo ieri trecentomila tra lavoratori, pensionati e precari non sarebbero bastati. Ci voleva una cifra favolosa, tale da non permettere di ironizzare sulla politica di massa. Un milione era la cifra minima che si poteva annunciare. Insomma, dovevano essere abbastanza da non poter essere contati.
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Sotto il Cazzaro niente
Alessandra Daniele
Fango. Macerie. Gente incazzata. Genova in questi giorni non è certo il genere di scenario nel quale a Renzi piaccia essere fotografato. Perciò se n’è tenuto alla larga il più possibile.
Il neopremier ha bisogno di fondali glamour, luccicanti, patinati, da spot. Eleganti vertici internazionali fra stucchi dorati e bandiere multicolori. Bagni di folla festante in assolate piazze turistiche. Talk show USA. Varietà Mediaset.
Matteo Renzi è solo immagine, un’immagine talmente vuota da prendere il colore dello sfondo sul quale viene proiettata. Come la cravatta di Felice Caccamo.
Anche tutta la sua presunta personalità è un’illusione ottica, una ribollita di caratteristiche altrui: la fuffa di Veltroni, l’arroganza di Craxi, la doppiezza di D’Alema, la megalomania truffaldina di Berlusconi.
Il presunto uomo nuovo, ultima risorsa della classe dirigente italiana, è in realtà un pupazzo fatto coi calzini vecchi dei suoi peggiori predecessori. Riverniciato da conduttore Mediaset, e caricato a slogan.
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Ora vi spiego perché l’onestà in politica serve a poco
Aldo Giannuli
Già vedo le facce esterrefatte di molti lettori che staranno pensando che sia impazzito, che stia facendo la difesa di ufficio dei ladri di regime ecc. Nulla di tutto questo. E se avrete la bontà di seguirmi, capirete in che senso sostengo che l’onestà non è affatto la cosa più importante in politica, ma solo un modesto prerequisito. Sia chiaro che non sto affatto dicendo che rubare sia un peccato veniale o un trascurabile vizietto che si può benissimo sopportare. Assolutamente no. Rubare denaro pubblico è un gesto assolutamente odioso che delegittima la democrazia (spesso affetta dalla corruzione) e crea disfunzioni sistemiche anche gravi. Dunque, non è una bagatella da giustificare o sopportare, e cacciare i politici corrotti è un obbligo di primaria importanza. Ma, mentre la percezione di quanto sia cattiva la corruzione dei politici, non c’è affatto quella di quanto in politica sia pericolosa l’inettitudine (poco importa, se per impreparazione o stupidità). C’è poco da fare: il cretino fa tenerezza, si è convinti che, poverino, sbaglia in buona fede, per cui, pazienza se non ne imbrocca una, non lo fa apposta. Ed anche l’impreparato può contare su un certo tasso di comprensione: si ha sbagliato, ma imparerà. Insomma, pur di evitare un corrotto possiamo accontentarci di un cretino o un ignorante totale che non faranno grandi cose, ma neppure grandi disastri.
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Chi non salta è inutile
Dante Barontini
Guardando al calendario delle mobilitazioni in corso, o programmate, contro il Jobs Act e in generale gli effetti delle politiche di austerità, si viene colti da una strana sensazione. Sembra quasi che stia montando un “possente movimento”, come negli anni '70. Un movimento che, pur partendo da posizioni e quindi iniziative diverse, converge “oggettivamente” contro il comune nemico.
Non è così, lo sappiamo benissimo. Dietro le tante date sul calendario ci sono cose medie, piccole o piccolissime; che costano sforzi sovrumani di ristrette avanguardie sindacali e politiche, di lavoratori e studenti, di movimenti territoriali o settoriali. Che raramente convergono, più spesso si frammentano ulteriormente.
Lo stesso “nemico” non è affatto identificato con chiarezza. Per qualcuno è Renzi, per altri (sempre di più, per fortuna) è l'Unione Europea, per altri ancora – nella sinistra ex radicale – continua a essere “il pericolo che torni Berlusconi” (in modo da poter ritenere il Pd ancora “accettabile” come treno elettorale). E naturalmente non mancano dietrologi, astrologi e psicologi, che cercano il nemico in oscuri complotti anziché nelle forze materiali – evidentissime – che stanno rovesciando il mondo in cui tutti ci eravamo abituati a vivere.
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Crisi della sinistra, crisi della democrazia
di Fabio Vander
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Una giornata storica per Taranto
di Antonia Battaglia
Una giornata storica per Taranto, questo 16 ottobre 2014. Una spaccatura netta tra passato e presente.
Un passato che sarà giudicato dal processo “Ambiente Svenduto”, del quale l’udienza preliminare di questo 16 ottobre è appunto l’inizio. Un presente che è quello del non rispetto delle norme, come attesta oggi la Commissione Europea che porta la procedura d’infrazione lanciata a due riprese (settembre 2013 e aprile 2014) contro l’Italia per lo stabilimento Ilva alla sua seconda fase, quella del “parere motivato”. Siamo ad un passo dal deferimento alla Corte di Giustizia.
Ma andiamo per ordine.
Il processo al passato. Esso vede 53 imputati, di cui 50 persone fisiche e tre società, appartenenti al Gruppo Riva, ancora proprietario dell’ILVA, fino a quando non ci sarà l’annuncio formale della vendita ventilata, ma non confermata, che vedrebbe l’Ilva in mano al Gruppo Marcegaglia e al colosso franco-indiano Arcelor Mittal.
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Una capitale senza teatro (ma col tiramisù)
By Dracula Frizzi
Nell’inverno del ’45, prima di rifugiarsi a Zurigo, Wilhelm Furtwängler diresse a Vienna la seconda sinfonia di Brahms. Da qualche mese Albert Speer, l’architetto di Hitler, gli aveva confermato ciò che ormai era innegabile: la guerra dei nazisti era persa, prudente trovare un luogo in cui riparare.
Furtwängler venne processato (e assolto) durante la fase di denazificazione della Germania: non fu mai iscritto al partito ma allo stesso modo non abbandonò mai la Germania, come invece tanti altri intellettuali dell’epoca, e continuò a dirigere fino a quando la situazione lo rese possibile. Disse durante il processo “…io mi sono sentito responsabile per la musica tedesca, ed è stato mio compito farla sopravvivere a questa situazione, per quanto ho potuto…Questo popolo, compatriota di Beethoven, Mozart e Schubert, doveva ancora vivere sotto il controllo di un regime ossessionato dalla guerra… Non potevo lasciare la Germania in quello stato di massima infelicità.”.
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Ebola: un'emergenza pro FMI
Comidad
Il governo ha lanciato l'ennesimo allarme. In Italia si produce troppa energia elettrica e, dato che non c'è speranza in una rapida risalita dei consumi a causa della crisi, una centrale su quattro dovrà sparire. Ovviamente almeno la metà dei posti di lavoro del settore elettrico è a rischio. Appena sei anni fa ci era stato detto che senza la costruzione di centrali nucleari, il rischio sarebbe stato invece il black-out.
Stime sbagliate? Questa è la versione che ci viene imposta al momento. Persino il Fondo Monetario Internazionale si mette a fare l'autocritica, ammettendo di aver sbagliato le previsioni di crescita, offrendo un quadro molto più ottimistico di quanto i fatti avrebbero rivelato.
Qualcuno potrebbe rilevare il carattere ideologico di certe posizioni degli "organi competenti", che usano i loro errori passati per riconfermare la propria credibilità: visto che abbiamo sbagliato in passato, allora dateci ancora più retta per il futuro. Ma forse anche l'ideologia è un concetto sovrastimato; non c'è infatti la preoccupazione di provvedersi di una visione del mondo, ma soltanto di servirsi di volta in volta della pubblicità ingannevole più utile per ottenere certi vantaggi di business. Mentì il governo del 2008 per poter costruire le centrali nucleari, e mente il governo attuale, esagerando a proposito della sovrapproduzione di elettricità. Probabilmente i pubblicitari del governo stanno preparando la strada per spingere ad un'ulteriore privatizzazione dell'ENEL.
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La guerra nella guerra
Le donne di Kobane nuovo mezzo di propaganda
di Alessia Lai
Sono belle le combattenti curde. Figure romantiche, coraggiose, a difesa della loro Kobane contro i tagliatori di teste dell'Isis.
E quanto piacciono, ora, a tutti gli scribacchini d'Occidente che fino a ieri avevano descritto i fanatici islamisti come dei ribelli in cerca di libertà e democrazia.
Senza un minimo di vergogna oggi dipingono con toni ammirati, a tratti vergognosamente sdolcinati, le vite delle ragazze curde che hanno rinunciato a fare l'Università per andare a combattere. Università che frequentavano, magari, ad Aleppo, nella seconda città di quella Siria retta dal «crudele Assad» che, per inciso, tre anni fa, dopo anni di rapporti difficili con questa comunità, aveva dato ai curdi la cittadinanza siriana. Sembra poco, forse, per chi ha scelto fin dal principio della crisi siriana lo sport del tiro al presidente. A chi ha deciso di prendere le parti di una rivolta studiata a tavolino e poi alimentata dall'estero allo scopo di distruggere l'ultimo paese che nell'area si opponeva ancora fermamente alla ingerenze statunitensi, che rappresentava un mosaico irripetibile di culture e religioni.
Non si può certo dire che i curdi siriani fossero o siano alleati di Assad, col quale hanno avuto rapporti altalenanti e difficili, ulteriormente raffreddatisi negli anni di avvicinamento tra il presidente siriano e la Turchia.
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Le verità di Barroso
di Militant
L’intervista di oggi sul Corriere dell’ex Presidente della UE Josè Manuel Barroso, fra molte sciocchezze, dice anche qualcosa di giusto e che dovrebbe essere compreso prima di tutto da chi vorrebbe opporsi al processo di costruzione dell’Unione Europea. Alla domanda del giornalista sulla presunta imposizione delle politiche UE ai governi nazionali, Barroso risponde così: “Le regole che i governi devono seguire sono state scelte, e poi decise imperativamente, proprio da loro, nel Consiglio dei Ministri UE. Anzi, loro stessi le hanno poi rafforzate. La UE non ha imposto un bel niente e la UE non è Bruxelles. Ma un’unione collettiva di governi”. E’ esattamente ciò che diciamo da tempo, e non potrebbe essere spiegato più efficacemente. La visione politica ed economica dell’Unione Europea non è stata imposta dall’alto ai governi nazionali, che ora sbraitano contro di essa perché priverebbe i singoli Stati degli strumenti necessari alla crescita economica. La politica e l’economia UE, la visione del mondo del processo imperialista che contraddistingue l’accentramento europeista, altro non è che la volontà politica dei governi dei singoli Stati, governi sia di centrodestra che di centrosinistra.
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Economia globale nel caos, le borse cadono
Claudio Conti
Lo diciamo con cautela, ma va detto: «le cose si dissociano, il centro non può reggere». il centro (capitalistico) non tiene più insieme le infinite parti costituenti l'economia globale. Alcuni centri dispongono ancora di una forza di impatto notevole (poche banche centrali, le più importanti banche di investimento, alcuni fondi sovrani, un buon numero di imprese multinazionali) e sono tentate di usarla. Ma non sanno prevedere le conseguenze di ogni loro mossa.
I dati diffusi stamattina in Europa mostrano un avvitamento ulteriore della crisi economica che a questo punto ha per epicentro la Germania. Non che gli altri partner vadano meglio (anzi...), ma la Germania dell'austerità per tutti - quella che per prima "aveva fatto le riforme strutturali" e iniziato a impoverire programmaticamente la propria popolazione - è il baricentro dell'economia del vecchio continente. I suoi spostamente condizionano tutto l'immenso e disarticolato corpaccione. E l'Unione Europea dei tecnici può solo aggravare gli squilibri. L'Unione Europea è quel super-stato ancora in cantiere che ha tra le figure-chiave un imbecille dotato di forbici e sprovvisto di visione strategica come Jyrki Katainen, incaricato di guidare il team della Commissione che deve in questi giorni esaminare le "leggi di stabilità" nazionali.
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E se la sinistra si riappropriasse della parola "socialismo"?
Luigi Pandolfi
Dal 'patto degli apostoli' in poi, anche a dispetto delle reali intenzioni dei promotori, si è aperta una nuova discussione pubblica a sinistra sul chi siamo e sul che fare. Si potrebbe dire: ancora? Ma la sinistra è anche questo: pensiero, riflessione, spirito critico, "analisi reale della situazione reale" avremmo detto un tempo. E menomale, aggiungerei. Sull'argomento è intervenuto, tra gli altri, anche Tonino Perna con un editoriale su Il Manifesto, che, dal mio punto di vista, ha posto una questione seria, dirimente, su cui vale la pena soffermarsi e riflettere: l'uso distorto che oggi si fa della parola 'sinistra' (vale anche per le parole 'riforma', 'cambiamento') impone una grande opera di "tessitura culturale", uno sforzo immane non soltanto per redimere il significato di parole fraudolentemente usurpate in questi anni, ma anche per darsene di altre che, inequivocabilmente, siano in grado di "costruire la visione del futuro desiderabile e credibile", alternativo alla (falsa) ineluttabilità del modello sociale ed economico neoliberista oggi dominate.
C'è una parola, non nuova, abusata nella sua versione aggettivale e accantonata, perfino esecrata, nella sua variante sostantivale, quale orizzonte storico da perseguire ed ambizione collettiva, che immediatamente dà il senso dell'alterità rispetto allo stato di cose presenti.
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La cessione di sovranità
Militant
Mai come in questi giorni l’ormai inflazionata espressione “cessione di sovranità” assume tutto il suo rilievo. Da mesi il governo discute della legge di bilancio, l’ex legge finanziaria, tramite la quale impostare la previsione economica del prossimo anno. La legge che determina dove reperire risorse economiche e come allocarle, quante e quali tasse pagare, il livello dei finanziamenti alla pubblica amministrazione e alle imprese statali e così via. Insomma l’atto che determina la natura politica di un governo. A seconda di come verranno redistribuite le risorse, dove verranno reperiti i fondi, come e quanto verranno finanziate le attività pubbliche, si specifica la differenza qualitativa fra le varie formazioni politiche. Questo processo politico è però terminato nel momento in cui i governi nazionali hanno devoluto alle istituzioni tecnico-economiche della UE le decisioni in merito a come impostare le varie leggi di bilancio degli Stati. In queste ore la Commissione Europea sta valutando la nostra legge di bilancio. Se convincerà i commissari, questa potrà essere approvata poi dal Parlamento. Se invece non dovesse convincere, la legge dovrà essere riscritta da capo. Per di più, se dovesse piacere alla Commissione, questa non potrà più essere cambiata dal Parlamento, che dovrà approvarla così com’è, e semmai litigarsi le briciole economiche, purché il tutto avvenga a saldi invariati.
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“È vietato rassegnarsi, il mondo si può cambiare”
Claudio Gallo intervista Diego Fusaro
Partendo dal mito della caverna di Platone, Diego Fusaro invita con Il domani è nostro a credere in un futuro migliore
Bisognerebbe smettere di chiamare Diego Fusaro «giovane filosofo», nonostante abbia soltanto 31 anni. Dopotutto ha ormai diversi libri di successo alle spalle, come il bestseller filosofico Bentornato Marx! e Il futuro è nostro, appena uscito da Bompiani. Seguace indipendente di Hegel, Marx e Gramsci, docente all’Università San Raffaele di Milano, critica radicalmente la nostra società, senza risparmiare «la falsa coscienza» della sinistra. Un atteggiamento che nel mondo della fine della storia conferisce un caratteristico sentore di zolfo.
«Il futuro è nostro» parte dalla caverna di Platone per dire come il singolo non deve rinunciare a desiderare un mondo più vero e più giusto, un’aspirazione che si realizza compiutamente nella dimensione sociale. Ma non ci aveva spiegato Popper che Platone era una specie di proto-nazista?
«Si può essere liberi solo se libera è la società. L’essere liberi, con buona pace delle retoriche neoliberali, non è questione meramente individuale. Metafora dell’unione inscindibile di verità e liberazione, la caverna di Platone ci insegna che il compito della filosofia non arresa all’esistente è affrancare l’umanità dalle catene ideali e materiali, dalle ideologie e dalla schiavitù che domina in un mondo che continua a proclamarsi libero.
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Legge di stabilità 2015: confindustriale, liberista e recessiva
di Leonardo Mazzei
E' noto come Mussolini usasse spostare di continuo i pochi ed inefficienti carri armati di cui disponeva per far credere a tutti, e ad Hitler in particolare, di avere un esercito ben più potente della misera realtà che la guerra dimostrerà ben presto.
Passano gli anni, l'Italia non è in guerra, ed al posto del fascista romagnolo c'è solo un fiorentino in odore di massoneria. E, tuttavia, certi vizi paiono davvero immortali. Al posto dei carri armati ci sono ora i miliardi di una manovra economica che ha la stessa credibilità dell'esercito mussoliniano.
Allora Hitler non si fece certo impressionare dal suo alleato italiano, tanto ambizioso quanto subordinato nei fatti. Vedremo ben presto quale sarà la risposta di Angela Merkel, ma il «cambiareverso» all'Europa è ormai soltanto un ricordo a cui nessuno più crede.
L'allievo ha superato il maestro
Il prestigiatore Renzi, fin dal liceo chiamato non casualmente «il bomba», ha da tempo superato il maestro Berlusconi. Con la differenza che mentre al puttaniere di Arcore interessava soprattutto la moltiplicazione dei capelli, a lui piace spararle grosse con gli annunci sui miliardi. Che a tal fine conta e riconta più volte.
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Democrazia della catastrofe
di Augusto Illuminati
Il populismo neo-liberale o democrazia del pubblico è la categoria politologica dominante dell’ultimo decennio, indicante il rapporto diretto fra leadership e consenso mediatico. In Italia se n’è inventata una variante: la gestione del fallimento, della caduta associata di occupazione, consumi e felicità.
Prima Berlusconi e poi Renzi –con il significativo intermezzo dei governi tecnici che hanno esonerato il Premier dai fastidi di una campagna elettorale– hanno risolto la crisi universale della sovranità e della rappresentanza con il dissolvimento del sistema dei partiti di massa che ne era stato il supporto e con l’accelerato svuotamento delle istituzioni parlamentari mediante due strumenti: la delegittimazione del prestigio con la corruzione e impopolari privilegi, l’inceppamento dei meccanismi con il ricorso permanente a maxi-emendamenti e voti di fiducia sulle leggi. Ne è seguito il crollo della partecipazione popolare al voto, la ridondanza delle assemblee, l’accentramento del potere decisionale nel governo, il cui rapporto con gli elettori ha assunto un carattere vieppiù plebiscitario e mediatico, fondato su stile personale del leader, annunci e promesse non verificabili per contenuti e tempistica.
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Doria, De Magistris, Pisapia, Marino
Ma che disastro che sono questi sindaci “arancione”!
Aldo Giannuli
Poco più di tre anni fa, ci fu l’affermazione di una schiera di nuovi sindaci che conquistavano comuni in buona parte amministrati dalle destre, dopo aver battuto nelle primarie i candidati del Pd. E che comuni! Milano, Roma, Napoli, Genova, Cagliari. Spesso erano militanti di Sel o appoggiati da Sel, in qualche caso ex dipietristi come De Magistris. Vittorie che suscitarono molte speranze di una sinistra diversa, meno legata agli apparati e più legata alla società civile, e, perciò stesso, più credibili ed in grado di battere le destre. Fu proprio quella tornata di amministrative che aprì la strada al crollo berlusconiano. A distanza di tre anni il bilancio è desolante.
De Magistris, dopo aver sgovernato Napoli, è caduto proprio sul terreno della legalità che ne era l’originaria bandiera, Doria si rivela un inetto che ha lasciato che restassero inerti i cantieri per la messa in sicurezza di Genova, la Roma di Marino è una catastrofe senza precedenti e di Pisapia tutto quello che si può dire è che è una Moratti con più tasse. A salvarsi probabilmente è il solo Zedda a Cagliari, nonostante un’inchiesta penale –ancora in corso- per un caso del tutto minore.
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Stanco di questo mondo guidato dal mercato? Sarebbe sano
di Georges Monbiot
Sul The Guardian il commento a un bel libro di psicologia sociale sulla lotta per l'identità in una società basata sul mercato: la truffa del neoliberismo è che ha eroso proprio quegli stessi valori che avrebbe dovuto premiare
Essere in pace con un mondo inquieto: questo non è un obiettivo ragionevole. Può essere raggiunto solo attraverso un disconoscimento di ciò che ti circonda. Essere in pace con se stessi all'interno di un mondo inquieto: questa, al contrario, è un'aspirazione onorevole. Questo spazio è per chi si sente in contrasto con la vita. Invita a non vergognarsi.
Sono stato spinto a scrivere da un libro notevole, appena pubblicato in inglese, di un professore belga di psicoanalisi, Paul Verhaeghe. "What About Me? The Struggle for Identity in a Market-Based Society" è uno di quei libri che, collegando fenomeni apparentemente distinti, permette improvvise nuove intuizioni su ciò che ci sta accadendo e perché.
Verhaeghe sostiene che siamo animali sociali e le nostre identità sono formate da norme e valori che assorbiamo da altre persone. Ogni società definisce e plasma la propria normalità - e la propria anormalità - secondo le narrazioni dominanti, e cerca di fare in modo o che le persone la rispettino o di escluderle se non lo fanno.
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Renzi continua a sbagliare (e anche i mercati lo sanno)
di Alfiero Grandi
L’aspetto curioso ed inquietante della situazione è che, sia mettere in discussione seriamente la politica di austerità dell’Europa, che tuttora è dominante, sia limitare l’iniziativa per tentare di ottenere qualche miliardo di margine, sempre premettendo dichiarazioni impegnative sul rispetto del 3 % da parte dell’Italia, cambia poco agli occhi dei mercati e delle “signorie” che decidono quando è il momento del pollice verso e quindi puntano su un aumento dello spread.
La convinzione che bastasse attaccare l’articolo 18, aumentare la precarietà attraverso il tempo determinato, mettere nell’angolo i sindacati per tenere a bada i mercati finanziari e ammorbidire le risposte dei conservatori europei è semplicemente destituita di fondamento.
Del resto la Grecia ha provato a convincere i mercati che la cura da cavallo subita l’ha già messa nelle condizioni migliori per togliersi di dosso l’ipoteca della troika, ma si è trovata immediatamente sotto attacco, al punto da fare fibrillare anche altri paesi europei.
I mercati sanno benissimo che ciò che fa la differenza è la ripresa economica perchè solo così il debito pubblico può essere garantito, e ripagato, mentre purtroppo l’Italia è in recessione da anni e non si vede la famosa luce in fondo al tunnel di montiana memoria.
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Manovra chiara
Alfonso Gianni
Legge di stabilità . L’ottimismo dell’esecutivo si basa sui numeri ballerini di alcuni capitoli
Già lo aveva detto Mario Draghi qualche settimana fa: «La sola politica monetaria non basta di fronte alla gravità della crisi». Poi aveva aggiunto che ci vogliono riforme profonde per rilanciare la crescita. Questa seconda parte dell’affermazione è stata giustamente letta come una ulteriore pesante intromissione della Bce nell’ambito delle scelte di politica economica dei singoli paesi e, nel caso nostro, come una mano d’aiuto al governo Renzi impegnato a distruggere ciò che resta del diritto del lavoro.
Così è rimasta un poco in ombra la prima parte dell’asserto draghiano. Forse persino il premio Nobel a Jean Tirole pare esserne una conseguenza.
Lo studioso francese è stato premiato per i suoi lavori sui modi di imbragare i mercati dove ci sono posizioni dominanti, senza metterne in discussione le fondamenta e, per quanto riguarda il mercato del lavoro, la stessa Voce.info si è compiaciuta di sottolineare le affinità tra la propria proposta (rapporto di lavoro a tutele crescenti) e le affermazioni di Tirole. Più o meno come la slabbrata legge delega su cui, con un evidente strappo costituzionale, il governo Renzi ha posto la questione di fiducia al Senato.
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La più grande riduzione di tasse della storia umana
di Paolo Cardenà
"Quella contenuta nella Legge di Stabilità è la più grande riduzione di tasse mai fatta da un governo nella storia della Repubblica in un anno, un grandissimo messaggio che va al cuore degli italiani e delle italiane". Matteo Renzi in conferenza stampa, il 15 ottobre 2014.
Da Italia Oggi del 17 ottobre 2014:
Aumento dell’Iva spalmato su tre anni per l’aliquota del 22% e in due per quella del 10%. Ritocchi alle accise di benzina e gasolio e il taglio delle detrazioni da 3 mld, contenuto nella legge di Stabilità 2014, e pronto a scattare dal 1° gennaio 2015, rinviato di un anno, dal 2016 e nella misura di 4 mld. È questa una delle sorprese delle bozze di legge della Stabilità 2015. Gli effetti vanno a iscriversi nell’articolo 45, quello rubricato:
«Ulteriori misure di copertura», che prevede tra l’altro una sforbiciata al fondo per la riduzione della pressione fiscale.
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La manovra pagata con la salute
Anna Lombroso
“La manovra è insostenibile per le Regioni a meno di non incidere sulla spesa sanitaria, che rappresenta l’80% della spesa regionale, o sui servizi fondamentali, dal trasporto pubblico alle politiche sociali”. Il giorno dopo la presentazione della Legge di Stabilità, perfino il presidente della conferenza delle Regioni, il renziano Sergio Chiamparino, torna all’attacco del governo. Avvertendo che i “18 miliardi di tasse in meno” annunciati dal premier sono finanziati per 4 miliardi con tagli alle Regioni, con 1,2 miliardi di tagli ai Comuni, con 6 milioni di tagli allo Stato. Non è un’ipotesi di scuola dei gufi: nelle bozze della manovra che circolano in queste ore c’è una clausola ‘taglia-sanità’ in base alla quale se le Regioni non troveranno un accordo per ripartire i 4 miliardi di spending review a loro carico interverrà il governo “considerando anche le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale”. E le ripercussioni si avranno sull’assistenza, sulle borse di studio, sui trasporti, sulle mense scolastiche e sulle imposte locali.
Nella ricerca puntigliosa che i governi dell’Unione in ubbidienza ai comandamenti dell’imperialismo finanziario effettuano allo scopo di estendere i ceti chiamati a pagare una crisi della quale non hanno nessuna responsabilità – malgrado venga attribuita a deficit di bilancio conseguenza di una “dolce vita”, di un consumismo dissipato e parassitario, del vivere al di sopra delle proprie possibilità, perfino sottoponendosi a tac e risonanze sibaritiche – il bersaglio preferito è quello che era stato chiamato il modello sociale europeo: sanità pubblica, previdenza sociale, sostegni al reddito in caso di disoccupazione, che oggi vengono presentati come lussi da estirpare in nome della necessità e come fossero una doverosa e imprescindibile espiazione.
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