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Una moneta senza stato e fisco rende fragile tutta l'Europa

di Joseph Halevi

Esiste ormai una crisi generale in Europa senza visibili o credibili vie di uscita. Essa è evidenziata dal continuo accendersi di focolai di tensione: dalla vicenda greca alla penisola iberica e ritorno, fino alle sempre meno velate allusioni all'Italia o dal drastico voltafaccia di Parigi.

Fino a poco più di un mese fa Sarkozy era convinto di poter ritardare al 2012-13 la riduzione del deficit francese entro i livelli dei parametri di Maastricht e Dublino. Adesso invece si parla di un precipitoso rientro a breve termine. E' un nuovo crollo di Parigi di fronte alla Germania, generato dalla paura che «i mercati», cioè le banche, speculino sulle ingiunzioni di tagli al bilancio che da Berlino e da Bonn, sede della Bundesbank-Bce, vengono emanati nei confronti dei paesi della zona dell'Euro.

Parigi teme che l'aumento del deficit pubblico faccia schizzare in alto il premio di rischio sui titoli del tesoro francesi rispetto ai quelli tedeschi. Oltre alla solita instabilità finanziaria, un tale evento metterebbe in crisi la posizione della classe dirigente francese in Europa, che è poi il punto di forza del suo controllo sul paese, isempre più ferreo da Jospin a tutt'oggi. La prospettiva, già in atto, è quindi quella di tagli di bilancio che non elimineranno il deficit, pena l'aggravarsi della crisi sociale, ma ridurrano comunque i servizi pubblici e l'occupazione.

Le reazioni tedesche e francesi alla situazione greca ed iberica stanno riportando alla ribalta sia il ruolo dei «mercati» finanziari (lungi dall'essere stati pacificati, speculano invece sui criteri di Maastricht-Dublino imposti dalla Germania), sia l'assoluta insostenibilità di tali patti e del sistema monetario europeo.

La vicenda greca ha originato sul Financial Times un importantissimo dibattito sull'aspetto istituzionale di questo sistema monetario, di cui, mi sembra, nessuna eco è arrivata in Italia. Lo ha aperto il 16 febbraio addirittura Otmar Issing, già membro della direzione della Bce e, come economista, principale responsabile della formulazione delle modalità di funzionamento dell'Unione Monetaria Europea (UME) da cui è scaturito l'euro.

Issing scrive che un salvataggio della Grecia è impossibile per ragioni normativo-giuridiche, in quanto farebbe saltare l'asse che regge l'unione monetaria. Si tratta del fatto che gli stati membri della zona euro si sono legalmente impegnati a risolvere i problemi fiscali «da soli». Per Issing, aiutare la Grecia comportrebbe un rischio morale di credibilità senza precedenti per ragioni politiche. Leggiamolo assieme: «Nella sua stessa forma costitutiva, l'UME è una comunità di stati sovrani fondata sul non trasferimento. Trasferire soldi dei contribuenti dai paesi che hanno obbedito alle regole a quelli che le hanno violate creerebbe ostilità verso Bruxelles ed anche tra i paesi dell'area dell'euro». Nella parte introduttiva del suo pezzo Issing riconosce l'incoerenza del unione monetaria europea: «Nel 1990 molti economisti, tra i quali io stesso, avevano ammonito che dar vita ad un'unione monetaria senza una unificazione politica era mettere il carro davanti ai buoi. Ora la questione è se l'unione monetaria può sopravvivere senza una tale unificazione politica».

Issing ha ragione, solo che dopo aver sottolineato l'illogicità istituzionale su cui si basa l'euro, sostiene però che il sistema può essere mantenuto se si rispettano le regole, rifiutando quindi di aiutare la Grecia. La debolezza del suo ragionamento conclusivo è stata colta da Padoa Schioppa il quale, con aria innocente. propone sempre sul Financial Times del 19 febbraio, che si proceda quindi all'unificazione politica; sapendo benissimo che questa espressione è un anatema sia per la Francia che per la Germania.

A tagliare la testa al toro è invece il finanziere George Soros. In un articolo del 22 febbraio egli osserva come la costruzione europea sia patentemente viziata: nessun sistema monetario può funzionare senza l'azione combinata della Banca centrale e del Tesoro. E questo manca all'Europa, che è congelata nella sua forma attuale. La falla nel sistema europeo, scrive Soros, è stato dimostrato durante lo scoppio della crisi nel 2008 quando ciascun paese dovette soccorrere le proprie banche e, aggiungo, alterando la posizone relativa di bilancio in un quadro altamente ineguale ed asimmetrico.

Il finanziere sottolinea due elementi importanti. Il primo riguarda la Grecia, dove i drastici tagli produrrano una caduta della domanda e quindi del reddito, con conseguente riduzione delle entrate fiscali, senza pertanto risolvere il problema. Il secondo elemento concerne l'Europa. L'articolo 125 del Trattato di Lisbona prevede aiuti coordinati, ma non esiste alcuna normativa che li disciplini. Data l'opposizione della Germania a «pescare nelle proprie tasche» per aiutare altri paesi europei, l'articolo 125 è destinato a rimanere lettera morta.

La situazione viene aggravata dall'attività dei mercati dei credit default swaps (Cds), i certificati di assicurazione dal rischio e quindi di speculazione nei confronti del debito. I Cds speculano sul fallimento, cioè sul default. Tanto più la Grecia viene lasciata sola, tanto più la speculazione è vincente; fino a quando non accadrà il botto.

Il neomercantilismo, la ragione profonda dell'incoerenza dell'euro, è il grande assente nell'analisi. La Germania ne è il cuore. Ma allo stesso modello aspira anche quello un po' più straccione delle microimprese dell'Emilia e del nordest italiano, nonchè quello istituzional-statale francese. Ambedue sono fallimentari: la Francia raramente realizza surplus esteri; e quello italiano non fa sistema, basandosi sulla dipendenza dall'export verso la Germania e/o sulla bolle consumistiche emerse e sgonfiate qua e là nel mondo. L'euro, avulso dalla politica fiscale, non serve alla stabilità, ma a garantire la concorrenza oligopolistica intraeuropea attraverso la deflazione salariale. La crisi sta ridisegnando i rapporti neomercantilistici e su questi si concentrano maggiori interessi.

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