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anticitera

Perché nel XVII secolo vi fu un crollo della ricerca scientifica italiana?

di Lucio Russo

Questo articolo riprende, in forma molto sintetica, una tesi esposta in L. Russo ed E. Santoni, Ingegni minuti, Una storia della scienza in Italia, Feltrinelli, 2010

320px Bertini fresco of Galileo Galilei and Doge of VeniceCredo che si possa tranquillamente affermare che la moderna scienza europea nacque nel Rinascimento italiano (anche se gli storiografi anglosassoni tendono a spostare il lieto evento di qualche secolo, facendolo coincidere con il salto di qualità, sul quale torneremo, che si realizzò alla fine del Seicento).

Senza ricordare i tanti successi scientifici italiani del Quattrocento e del Cinquecento, notiamo solo che una chiara prova del ruolo centrale svolto dal nostro paese nella scienza dell’epoca è fornita dalla sua capacità di attrarre studiosi stranieri. È universalmente riconosciuto il ruolo chiave svolto dal fiammingo Andrea Vesalio (Andreas van Wesel) nella nascita dell’anatomia moderna; è perciò significativo che Vesalio, dopo aver studiato a Lovanio e Parigi, abbia voluto coronare la sua carriera laureandosi a Padova, divenendovi professore e svolgendovi le sue principali ricerche. In astronomia è universalmente noto il ruolo svolto da Niccolò Copernico (Mikołaj Kopernik), che aveva studiato a Bologna, Ferrara e Padova. Ancora nel Seicento il padre riconosciuto della geologia e della stratigrafia, il danese Niccolò Stenone (Niels Stensen), svolse quasi tutta la sua attività di ricerca in Toscana.

Nel Seicento ai successi italiani nelle scienze fisico-matematiche (soprattutto, ma non solo, ad opera della scuola galileiana) si accompagnò, nelle scienze della vita, il ruolo decisivo svolto da scienziati come Francesco Redi e Marcello Malpighi.

Nel Settecento, e già alla fine del Seicento, l’Italia era tuttavia divenuta un paese scientificamente sottosviluppato (con qualche eccezione nelle scienze della vita). Quali furono le cause di un crollo verticale così rapido?

La vulgata, ripetuta infinite volte, dà una risposta netta e chiara: la colpa fu della chiesa cattolica, che bloccò le ricerche scientifiche con i processi e le condanne di Bruno (1600) e di Galileo (1633).

Credo che questa risposta sia quasi universalmente accettata (con l’eccezione di pochi cattolici integralisti) perché permette di soddisfare sia il nostro antropomorfismo, che suggerisce di ricondurre le cause di processi storici all’individuazione di colpevoli, sia il desiderio di “sentirsi dalla parte giusta”, addebitando crolli culturali e disastri economici e politici ad avversari ideologici.

Le cose non sono però così semplici. In primo luogo la spiegazione usuale è smentita dalla cronologia. Il processo a Galileo si concluse nel 1633. Spostiamoci alla metà degli anni sessanta. In che stato è, dopo più di trent’anni, la scienza italiana e in particolare l’astronomia, che era stata colpita dalla condanna dell’eliocentrismo da parte della Chiesa? Il principale astronomo europeo è, all’epoca, l’italiano Giovanni Domenico Cassini (1625-1721): non solo è copernicano, ma dà anche importanti conferme osservative delle leggi di Keplero. Cassini lavora nello Stato pontificio, dirigendo l’Osservatorio di Bologna.

Nel 1666 Giovanni Alfonso Borelli pubblica a Pisa le Theoricae mediceorum planetarum ex causis phisicis deductae. Il moto dei satelliti intorno a Giove vi è studiato in analogia con la rivoluzione dei pianeti intorno al Sole: entrambi i moti sono spiegati con l’attrazione del corpo centrale, equilibrata dalla forza centrifuga. È l’opera che, anticipando parte dei risultati di Newton, inaugura la meccanica celeste.

Nello stesso 1666, a Firenze, Lorenzo Magalotti pubblica i Saggi di naturali esperienze fatte nell’Accademia del Cimento. L’Accademia del Cimento era stata fondata nel 1657 (un quarto di secolo dopo il processo a Galileo) ed era la prima accademia europea dotata di laboratori in cui si compivano esperimenti: costituì, in larga misura, il modello della Royal Society e delle accademie scientifiche sorte negli altri principali paesi europei.

Alla stessa epoca Marcello Malpighi portava avanti il suo studio pionieristico dell’anatomia e fisiologia microscopiche. Nel 1666 pubblicò, in particolare, il De viscerum structura, nel quale era messo in evidenza la struttura microscopica dei reni ed era sviluppato un nuovo modello del processo della secrezione.

In quegli stessi anni, a Bologna, Pietro Mengoli, in lavori oggi spesso ignorati [1], sviluppava metodi di analisi infinitesimale e in particolare i concetti di limite e di integrale definito, con un rigore che Leibniz e Newton non eguaglieranno.

Nel 1665 è pubblicata postuma l’opera di Francesco Maria Grimaldi in cui si annuncia la scoperta della diffrazione della luce: Physico mathesis de lumine, coloribus, et iride, aliisque annexi libri duo.

Il lavoro che inaugura la biologia sperimentale, le Esperienze intorno alla generazione degl’insetti, di Francesco Redi, vede la luce nel 1668.

La stratigrafia nasce nell’opera di Stenone De solido intra solidum naturaliter contento dissertationis prodromus, pubblicata a Firenze nel 1669.

Potrei continuare, ma credo che gli esempi fatti finora siano sufficienti a mostrare una ricerca scientifica italiana che negli anni sessanta del XVII secolo appare in ottima salute. Il colpo subito a causa del processo a Galileo era stato evidentemente ben assorbito nell’arco di qualche decennio, anche nel settore dell’astronomia. Il crollo è però subitaneo ed avviene intorno al 1670. Ricordiamo poche date:

Nel 1669 si riunisce per l’ultima volta l’Accademia del Cimento [2].

Nello stesso 1669 Marcello Malpighi smette di pubblicare in Italia. Tutte le sue opere successive saranno pubblicate a Londra, a cura della Royal Society.

Nel 1670 Giovanni Domenico Cassini lascia Bologna e si trasferisce a Parigi, dove Luigi XIV lo ha chiamato a dirigere l’Osservatorio astronomico da poco creato. Partendo, dichiara di non lasciare successori in Italia. Fonderà una dinastia di astronomi francesi.

Non conosco opere scientifiche di importanza confrontabile con quella delle opere citate degli anni sessanta del secolo XVII pubblicate in Italia nel decennio successivo.

Le date viste finora acquistano un maggior significato se viste insieme ad altre date, relative ad eventi esterni all’Italia.

Nel 1662 a Londra nasce la Royal Society e Robert Hooke vi è assunto per occuparsi degli esperimenti: è il primo ricercatore retribuito della storia europea.

Nel 1665 appare a Parigi il Journal des sçavans (poi divenuto Journal des savants). È la prima rivista scientifica europea. L’anno successivo è affiancata dalle inglesi Philosophical Transactions of the Royal Society.

Nel 1666 è istituita a Parigi l’Académie des sciences; è una delle istituzioni scientifiche francesi create in quegli anni per iniziativa di Jean-Baptiste Colbert, il potente ministro di Luigi XIV che fondò anche l’Osservatorio astronomico di Parigi, completato nel 1671, e una scuola di idrografia.

Nel 1675 è fondato l’Osservatorio reale di Greenwich.

In quegli anni in Inghilterra sono pubblicati lavori fondamentali di meccanica e di astronomia, tra gli altri di Hooke. Altri lavori, altrettanto fondamentali, di meccanica sono pubblicati in Olanda da Huygens (ricordiamo l’Horologium oscillatorium sive de motu pendularium, del 1673), mentre nello stesso paese Antoni van Leeuwenhoek fonda la microbiologia scoprendo infusori, batteri e spermatozoi.

Non è necessario allungare troppo questo elenco per rendersi conto che il crollo italiano è contemporaneo a un salto di qualità nell’organizzazione della ricerca e nei risultati scientifici in paesi come la Francia, l’Inghilterra e i Paesi Bassi, che si dotano di laboratori, riviste scientifiche, accademie e altre strutture scientifiche. Vi è, in altre parole, un chiaro passaggio di consegne dagli Stati italiani ad altri Stati europei, ed alcuni scienziati italiani ne sembrano pienamente consapevoli e partecipi, come abbiamo visto nel caso di Cassini e di Malpighi.

Comincia ad apparire chiaro che si tratta di un fenomeno europeo che difficilmente può essere stato causato dalle decisioni di un paio di pontefici. Cos’era dunque successo? L’attiva politica scientifica di un politico ed economista come Colbert mostra con chiarezza l’origine economica del fenomeno. Se uno Stato come la Francia e le élite inglesi e olandesi (in paesi nei quali il finanziamento alla ricerca fu più privato che statale) decidono di investire risorse finanziarie nella ricerca scientifica, è evidentemente perché pensano che si tratti di un buon investimento.

La ricerca scientifica non è, se non in misura trascurabile, una ricerca disinteressata della “verità”. Per lo più nasce dall’esigenza di risolvere problemi concreti. Quali erano stati i problemi concreti affrontati dagli scienziati italiani del Quattrocento e del Cinquecento? Una rapida rassegna dei risultati ottenuti rende evidente che si trattava soprattutto di applicazioni riguardanti i consumi delle élite: le belle arti avevano stimolato lo sviluppo della teoria della prospettiva e dell’anatomia (che all’epoca interessava scultori e pittori più che i medici); l’astronomia era motivata dall’esigenza di compilare costosi oroscopi personali; la botanica coincideva in larga misura con la farmacologia, sviluppata soprattutto per curare i membri della classe dominante; la matematica era applicata alla contabilità che interessava banchieri e commercianti. Il mecenatismo dei principi era allora sufficiente per finanziare la ricerca. Applicazioni di interesse per gli Stati e per la nascente borghesia erano state tentate nel Cinquecento (sin dalla Nova Scientia di Tartaglia, del 1537, in cui si iniziarono gli studi di balistica) e soprattutto nel Seicento, quando Galileo aveva tentato di convincere la repubblica di Venezia di saper risolvere problemi (che ora diciamo di scienza delle costruzioni) di interesse per la cantieristica navale. Si trattava però di tentativi privi di reale efficacia pratica. Nella seconda metà del Seicento la scienza mostra invece di poter essere convenientemente applicata a problemi che interessavano gli Stati nazionali e la borghesia: innanzitutto nell’ambito della navigazione, della costruzione di navi e dell’artiglieria. A quel punto l’Italia è superata rapidamente dalle potenze europee e in particolare dalle potenze marittime. È in effetti impressionante vedere quanta parte delle ricerche scientifiche nell’ambito della scienza esatta nel secondo Seicento e nel Settecento fu motivata dai bisogni della navigazione: l’esigenza di determinare la longitudine in mare aperto motivò non solo lo sviluppo dell’orologeria (che a sua volta stimolò la meccanica), ma una serie di altre direzioni di ricerca: ad esempio fu il tentativo di risolvere il problema della longitudine con metodi astronomici che portò, tra l’altro, alla prima misura della velocità della luce; il calcolo vettoriale nacque in larga misura dallo studio della navigazione a vela, mentre il moto dello scafo nell’acqua stimolò la fluidodinamica, che pose problemi all’analisi matematica; importanti concetti della meccanica dei corpi rigidi (come gli assi principali di inerzia) furono introdotti da Eulero per l’analisi del beccheggio e del rollio delle navi; il cannocchiale era stato sviluppato nei Paesi Bassi per le esigenze dei marinai e il telescopio a riflessione fu in larga misura un sottoprodotto dello sviluppo dei fari; la ricerca sulle maree ebbe importanti ricadute sulla meccanica e sull’astronomia; lo studio delle mappe conformi (ossia delle funzioni olomorfe) nacque per le esigenze della cartografia nautica; … si potrebbe continuare a lungo.

L’organizzazione dei grandi Stati richiese anche lo sviluppo della statistica matematica (chiamata inizialmente aritmetica politica) e della cartografia. Lo sviluppo di strumenti scientifici fu spesso motivato anche da esigenze pratiche di artigiani e commercianti. Un solo esempio: il già citato fondatore della microbiologia, l’olandese Antoni van Leeuwenhoek, era inizialmente un commerciante tessile, che aveva cominciato a usare microscopi per analizzare la qualità dei tessuti.

L’Italia non poteva più essere competitiva non solo perché non vi era uno Stato unitario capace di investire significative risorse nella scienza, ma, ancor più, perché per vari motivi (tra i quali ebbe certamente una grande importanza lo spostarsi delle più importanti rotte commerciali fuori dal Mediterraneo [3]) la sua economia aveva subito un crollo già intorno al 1620, quando le esportazioni di Milano, Genova e Venezia erano precipitate e Genova era stata sostituita da Amsterdam come centro della finanza europea. Carlo Maria Cipolla scrive che in quell’occasione

l’Italia da paese trasformatore di materia prima ed esportatore di manufatti e servizi divenne un paese eminentemente agricolo di baroni e contadini che esportava soprattutto prodotti agricoli. [4]

In questa situazione il crollo scientifico era inevitabile, ma poiché una tradizione culturale di alto livello non muore in pochi anni, si può capire che seguì quello economico con un paio di generazioni di ritardo.

Sembra chiaro, in definitiva, che le spiegazioni popolari, che vorrebbero interpretare fenomeni culturali in termini ideologici, come se fossero avulsi dal contesto materiale, economico e sociale, sono gravemente inadeguate. Non vi è dubbio che episodi gravi come il processo a Galileo dimostrano che le gerarchie della Chiesa cattolica svolsero, più delle confessioni protestanti, un ruolo di freno verso la ricerca scientifica, ma credo che il rapporto causa-effetto debba essere rovesciato. Alla base di questa differenza non vi furono le differenze teologiche tra le due religioni (ricordiamo che i protestanti furono, tra l’altro, molto più attivi dei cattolici nella caccia alle streghe), ma con ogni probabilità la circostanza che nel centro del cattolicesimo, cioè, per dirla con le parole di Cipolla, in un paese eminentemente agricolo di baroni e contadini che esportava soprattutto prodotti agricoli, vi era molta meno attenzione ai benefici portati dalla ricerca scientifica.


Note
[1] Ad esempio uno storico come Morris Kline nella sua Storia del pensiero matematico ignora i fondamentali risultati di Mengoli.
[2] Di solito si legge che l’Accademia del Cimento cessò l’attività nel 1667, ma la documentazione dell’esistenza dell’Accademia nei due anni successivi fu esibita da Raffaello Caverni ed è stata giudicata ineccepibile da Ugo Baldini.
[3] È significativo che il primo settore della tecnologia scientifica italiana che fu superato dalle nuove potenze marinare fu la cartografia, che anticipò di quasi un secolo il crollo generale. La produzione cartografica di Venezia, che fino ad allora era stata la prima al mondo, crollò infatti verticalmente intorno al 1575, sopraffatta dalla concorrenza fiamminga e olandese.
[4] Carlo M. Cipolla et al., Storia facile dell’economia italiana dal Medioevo a oggi, Mondadori, Milano 1996, p. 72.

Comments

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daniele benzi
Friday, 22 March 2019 22:20
Interessante congettura, forse un po' stravagante. Mentre è assodato ormai che i marinai cinesi almeno 50 anni prima dei portoghesi avevano già tutti gli strumenti tecnici e le conoscenze per arrivare un po' ovunque. La trasmissione diretta e indiretta di molti di essi, insieme a quelli del mondo musulmano, furono fondamentali perchè portoghesi, spagnoli, italiani, olandesi e poi inglesi e francesi (parlare di "europei" per quell'epoca è ancora prematuro in termini identitari) potessero dare vita alle loro imprese scientifiche, ma anche alle loro enormi devastazioni e genocidi..
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Mario M
Thursday, 21 March 2019 09:43
Secondo il matematico e storico Umberto Bartocci, la scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristoforo Colombo fu soprattutto un'impresa scientifica. Egli sostiene che Colombo era a conoscenza dell'effettiva distanza che separava le coste europee da quelle della Cina, perché la circonferenza terrestre era stata misurata con sufficiente esattezza già ai tempi degli scienziati ellenistici, inoltre si conosceva la distanza via terra che separava l'Europa dalla Cina, per via dei traffici commerciali lungo la via della seta. Pertanto Colombo non poteva essere così folle da imbarcarsi nell'impresa di "buscar el levante por el poniente"; era invece sicuro che, sulla base del differente livello delle maree fra il Mediterraneo e l'Adriatico, ci doveva essere un continente fra l'Europa e l'Asia. Oscure questioni di rapporti di potere impedivano a Colombo di palesare i suoi veri obiettivi. http://www.cartesio-episteme.net/libri/cap1-4.pdf
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daniele benzi
Wednesday, 20 March 2019 01:26
"Credo che si possa tranquillamente affermare che la moderna scienza europea nacque nel Rinascimento italiano (anche se gli storiografi anglosassoni tendono a spostare il lieto evento di qualche secolo, facendolo coincidere con il salto di qualità, sul quale torneremo, che si realizzò alla fine del Seicento)".

Ma è davvero così? Per chi, come me, ha sempre dubitato del "genio" scientifico europeo moderno (dunque anche italico), segnalo almeno il libro di John Hobson, The Eastern Origins of Western Civilisation, Cambridge University Press. Per quanto ne so inspiegabilmente non tradotto in italiano.
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