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I risultati delle elezioni greche

Grande incertezza, situazione eccellente

di Akis Gavriilidis

o.265201Dopo il suo commento pre-elettorale, pubblichiamo un contributo di Akis Graviilidis sulla situazione greca dopo le elezioni e il giuramento del primo governo di SYRIZA. Quasi ironizzando sulle preoccupazioni di chi teme per i propri principi o per le proprie aspettative, Akis pone politicamente il problema delle possibilità aperte dal fatto della vittoria di Syriza. A noi questa annotazione politica pare decisamente importante. Prendere le mosse dal movimento che dal quel fatto può scaturire aiuta a evitare di ragionare sempre – in Grecia come altrove – come se nulla mai possa veramente cambiare, come se i soggetti politici siano sempre gli stessi. 

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1. La mia seconda nota sulle elezioni greche, questa volta dopo che hanno avuto luogo, sarà necessariamente più frammentaria e impressionistica, oltre che più sentimentale. Il che (almeno spero) non significa che sarà superficiale.

Il primo sentimento che viene alla mente è il sollievo. La gente che non vive in Grecia, o che non ha neppure avuto modo di visitarla occasionalmente negli anni scorsi, non ha neanche idea di quanto insostenibile fosse diventata l’amministrazione di Samaras, da un punto di vista politico, etico e persino estetico. È difficile spiegare il senso di soffocamento prodotto da questo dominio basato sulla paura, sull’odio, sull’autoavvilimento, su praticamente tutte le possibili passioni negative che sono state compensate, a livello immaginario, da un’overdose di vanità e autoglorificazione nazionalistica.

D’altra parte è molto facile trovare esempi della stupidità aggressiva e reazionaria che ha rimpiazzato qualunque pensiero o azione politica decente – persino sul fronte conservatore – da quando il governo di cui finalmente ci liberiamo è andato al potere. Per fare l’esempio più recente: a un solo giorno dalle elezioni, dopo che Alexis Tsipras aveva annunciato la sua intenzione di prestare un giuramento civile anziché religioso come nuovo primo ministro, il portavoce del partito Nuova Democrazia lo ha accusato di «ignorare manifestamente la tradizione secolare della Nazione Greca [lettere maiuscole nella dichiarazione originale], il cui corso è intrecciato a quello della Cristianità Ortodossa». Il colmo, ciò che è stato francamente osceno, è che questi adepti di un localismo xenofobo ed eteronormativo sono riusciti a persuadere le élites europee, se stessi e gran parte dell’opinione pubblica in Grecia che sono loro gli «europeisti» che si oppongono al SYRIZA «antieuropeista». Quanto a Samaras, che il 10 di gennaio è partito per manifestare a Parigi insieme agli altri pagliacci e dimostrare che anche «lui è Charlie», è tornato in Grecia solo per continuare la sua campagna di rassicurazione del popolo greco, facendosi garante del fatto che «le icone sacre sarebbero rimaste alle pareti delle corti greche, nonostante i malvagi piani di rimozione dell’ateo SYRIZA».

Questo cliché dell’«antieuropeismo» di SYRIZA ha sedimentato tra i media ed è stato condiviso dall’ex conduttore televisivo e attuale fondatore e leader di quella particolare formazione politica chiamata TO POTAMI (Il fiume), Stavros Theodorakis, che dopo le elezioni ha intimato a Tsipras di «non deviare la Grecia dal suo corso Europeo». Ovviamente dichiarare la propria determinazione a combattere contro un pericolo che non esiste è il modo migliore per creare l’impressione che questo pericolo sia reale. Questo trucchetto da politicanti sarebbe normalmente privo di interesse, ma è un esempio di ciò a cui mi riferivo nella mia nota precedente parlando di «auto-colonizzazione» della mentalità o di quello che il lacaniano Yiannis Stavrakakis ha recentemente chiamato «il nostro Super-io europeo». La meschinità dell’affermazione di Theodorakis è fondata su almeno due punti problematici: a) considera il rapporto della «Grecia» con l’«Europa» come un rapporto esterno ed esclusivamente passivo, come un rapporto di comando e subordinazione unidirezionale; b) a monte, identifica l’«Europa» e le sue pretese con l’estremo neoliberalismo esistente. Non può neppure concepire la possibilità del conflitto, di visioni differenti e contese di un futuro condiviso sul quale si possa reciprocamente concordare. Per queste ragioni, Theodorakis è un politico meschino, così come è stato un giornalista meschino. Perché fuori dalla paura e dall’auto-colonizzazione gli sfugge la cosa più importante: la sua immaginazione e la sua ambizione politica non potranno mai arrivare a pensare che il punto è nientemeno che evitare che l’Europa devii dal suo corso «greco» (che è anche quello spagnolo, irlandese, italiano, portoghese, belga…).

In molti hanno espresso sfiducia e dubbi in merito alla possibilità che questo sia «un obiettivo facile da conseguire». Certo, ci sono molti ostacoli e difficoltà. Ma sarebbe sbagliato guardare la cosa da questo punto di vista, perché significa pensare gli eventi politici in modo semplicemente strumentale, come mezzi per un fine: prima «prendiamo il potere» in modo da ottenere poi dei «risultati materiali». Almeno in alcuni casi (e questo è senz’altro uno di quelli) si tratta di fare tesoro dei risultati – assolutamente materiali, non «simbolici» in senso negativo – che l’evento ha prodotto, indipendentemente da ogni sviluppo successivo. Ciò che questa vittoria ha già raggiunto, non importa che cosa accadrà dopo, è che ha articolato per la prima volta un desiderio politico. Ha messo in gioco e trasformato in un legittimo oggetto di discussione qualcosa che fino a un momento prima non era neppure considerata un’opzione possibile. Questo risultato è stato sintetizzato adeguatamente dal primo ministro britannico, David Cameron, con queste parole:

Le elezioni greche incrementeranno l’incertezza economica in Europa.

Non potrei essere più d’accordo! Grande incertezza, situazione eccellente, per parafrasare il presidente Mao.

 

2. Un’altra questione che certamente richiede un commento è la collaborazione con i «Greci Indipendenti» per la formazione del governo. Molti, in Grecia e all’estero, vedono in quest’alleanza un ostacolo e un fardello rispetto all’attuazione di un programma «davvero di sinistra». Io stesso avrei ovviamente preferito che SYRIZA ottenesse la maggioranza assoluta. Tuttavia, uno deve lavorare con ciò che ha davanti e la gente fa la storia in condizioni che non ha scelto.

In questa situazione dobbiamo tenere conto di un fatto, che ho già segnalato nella mia nota precedente: non si può credere che due milioni e mezzo di persone abbiano votato per SYRIZA perché travolti da ideali anticapitalisti o da qualche altro insieme di principi. Per molti di loro questo voto è stato una via di fuga. Niente di più, ma neppure niente di meno che questo. Questo tipo di attaccamento può sembrare opportunistico o confuso ma, in certe condizioni, questa fragilità può rivelarsi una forza. In ogni caso, seppure SYRIZA avesse ottenuto da sola 160 seggi in parlamento, il suo gruppo sarebbe comunque stato composito, non certo un monolite; anche prima delle elezioni Tsipras è stato criticato dai puristi dentro e fuori il suo partito per avere accettato tra i suoi candidati persone che erano state fino a poco prima membri di altri partiti, anche dei «Greci Indipendenti» e del PASOK, come se queste persone non condividessero alcun ideale comune o alcuna lotta con gli attivisti di SYRIZA. Visto il risultato, ora è più chiaro che c’erano due possibilità: o accettare queste persone come candidati del tuo partito prima delle elezioni, o collaborare con loro in qualità di parlamentari di un altro partito, come partner di una successiva coalizione. Tutto sommato, tatticamente la prima opzione è di gran lunga la migliore: una volta che uno è stato eletto con SYRIZA, da principio deve la sua lealtà alle linee guida del partito e ha meno possibilità di imporre le proprie condizioni.

In ogni caso, anche in una coalizione di cui SYRIZA è la forza principale e un altro partito rappresenta solo il 4,5%, è quest’ultimo che sarà costantemente posto sotto pressione. Almeno per alcuni mesi, tutti sapranno che, se i «Greci Indipendenti» decideranno di ritirare il loro supporto, saranno loro a essere biasimati per il collasso del governo, mentre andare a nuove elezioni darebbe molto probabilmente a SYRIZA la maggioranza assoluta e quindi la possibilità di governare da solo. Per usare il linguaggio dei manager, sembrerebbe di essere di fronte a una situazione «o vinci o vinci». Ammesso che, comunque, si condivida la prospettiva di formare un governo. Perché, d’altra parte, se uno preferisce l’isolazionismo e l’attitudine autistica di quella setta che si fa chiamare «Partito Comunista Greco», pur non avendo nemmeno una connessione remota, né tanto meno qualcosa in comune, con il comunismo, non c’è alcun dilemma e non ha senso pensarci.

Da questo punto di vista, la tattica di SYRIZA costituisce una «cesura epistemologica» nella storia della sinistra greca. Non solo perché il suo nuovo ministro della formazione sarà Aristides Baltas, un intellettuale che ha insegnato e pubblicato molto a proposito di Louis Althusser, Spinoza e Wittgenstein, ma anche perché segue la lezione fondamentale delle arti marziali asiatiche: il miglior stratega non è quello che schiaccia le forze nemiche, ma quello che le usa a suo favore. È questo che rompe con la lunga tradizione – forse con l’unica tradizione – della sinistra greca: il separatismo, l’idea di un «partito fortezza» come unica forma di politica di sinistra. Fino a ora, questa politica si è limitata in modo pressoché esclusivo a organizzare se stessa sui principi fondamentali dell’unità e della purezza, e ha considerato il «pluralismo» come un’arma insidiosa usata dall’ideologia borghese per indebolire il nostro «campo» e portarvi discordia. Oraper la prima volta qualcuno cerca di abbandonare il monismo (o il dualismo, che è praticamente la stessa cosa) e lavorare con la molteplicità come strumento per incrementare la propria forza e produrre un effetto di trasformazione e di emancipazione.

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