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Alla scoperta del moro

di Enzo Modugno

La crisi economica ha riportato al centro della scena Karl Marx. Tanto che in alcuni recenti volumi la sua analisi è usata per capire il perché la privatizzazione del sapere e il cambiamento delle università in agenzie di formazione dei lavoratori della conoscenza siano una necessità del capitalismo mondiale

Uno stile di discussione «a un tempo spietato e di reciproca stima» caratterizza dal 1991 gli incontri annuali degli economisti e dei filosofi dell'International Symposium on Marxian Theory. Una decina dei loro interventi sono ora pubblicati dalla Città del Sole (Marx in questione, a cura di Riccardo Bellofiore e Roberto Fineschi). Sono molti gli aspetti del capitalismo che l'opera di Marx, un secolo e mezzo dopo, riesce ad interpretare con insuperato rigore: perfino la grande stampa, a proposito della crisi, ha dovuto riconoscerlo. E questo volume ne è un'ulteriore conferma. La logica capitalistica della «produzione snella» per esempio, era già analizzata nel secondo volume del Capitale, come ha mostrato nel suo intervento Tony Smith. E l'inseparabilità della teoria marxiana del valore dal suo versante monetario, esposta da Riccardo Bellofiore, può interpretare i più intimi meccanismi dell'attuale modo di produzione. Questo volume insomma mostra quanto la teoria marxiana sia rilevante anche per l'analisi delle più recenti trasformazioni del modo di produrre.

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Schegge marxiane

di Benedetto Vecchi

Gli ultimi tre libri dello studioso francese della complessità Edgar Morin rivalutano il pensiero di Karl Marx in nome di una critica della realtà mondiale dopo il crollo del socialismo reale. Un ritorno alle origini del suo percorso intellettuale dettato inoltre dal degrado ambientale e dai conflitti sociali alimentati dalla crisi economica, ma anche dagli effetti totalitari di una ideologia del progresso che sta portando l'umanità all'autodistruzione

Una vita segnata da grandi passioni e da una profonda insofferenza verso qualsiasi prassi teorica che non accetti di aderire a quel principio di realtà da cui dovrebbe trarre linfa vitale. Un'attitudine che lo ha portato a uscire dal pratico comunista francese poco dopo la liberazione del suo paese e a fustigare per quasi un quarantennio la figura dell'intellettuale engagé incarnato da Jean Paul Sartre, colpevole di occultare il reale in nome di una teoria, quella comunista, che nell'Unione sovietica era diventata una religione di stato strenuamente difesa da istituzioni e personaggi che ricordavano più l'inquisizione che non esponenti di un partito che voleva cambiare il mondo. Uno strano destino ha però portato Edgar Morin, acclamato teorico della complessità, a ritornare alle sue origini intellettuali, mandando alle stampe, a pochi mesi di distanza, tre libri che hanno come asse portante il pensiero di Karl Marx, ritenuto, dopo una vita passata a marcare la distanza intellettuale e politica dalle sue posizioni, uno dei massimi filosofi dell'Ottocento e massimo interprete del capitalismo mondiale.

Certo, il Marx che propone Morin si discosta moltissimo da tutte le varie e spesso conflittuali interpretazioni che si sono accumulate nel corso degli anni. Sotto molti aspetti è un Marx vincolato alle nozioni di «individuo sociale» e di «essere generico», chiavi di accesso ai misteri della natura umana all'interno della quale la trasformazione e il cambiamento delle proprie condizioni di vita e di scambio con la natura impediscono, secondo Morin, il consolidamento di realtà politiche autoritarie.

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Quale ritorno a Marx per riflettere sui nostri tempi?

Scritto da Laurent Etre

Faccia a faccia con: Edgar Morin, sociologo, filosofo, direttore di ricerca emerito al CNRS e dottore ‘honoris causa’ di numerose università nel mondo; André Tosel, filosofo, specialista nel pensiero di Marx e del marxismo, professore all’Università di Nizza

crisi sinistra2Con la crisi, il riferimento a Marx cessa di essere un tabù. Le opere sull’autore del Capitale si moltiplicano, così come i ‘dossier’ speciali nei giornali e nelle riviste. Senza mettere sullo stesso piano le numerose pubblicazioni consacrate a Marx in questi ultimi mesi, non si può nemmeno non interrogarsi su questo ritorno di interesse così repentino.

Quando riviste quali “
Le Nouvel Observateur” o “Le Point”, ciascuno con la propria sensibilità, si occupano di Marx, ciò fornisce l’indicazione che si apre qualche crepa in un paesaggio mediatico ancora dominato dall’ideologia del capitalismo come orizzonte insuperabile della storia.

Si può ben dire che ciò a cui noi assistiamo non è soltanto la fine della guerra fredda o di una fase particolare del dopoguerra, ma la fine della storia in quanto tale: l’universalizzazione della democrazia liberale occidentale come forma finale del governo umano” scriveva nel 1989, anno della caduta del muro di Berlino, il capofila di questa concezione, l’americano Francis Fukuyama.

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Il conflitto sociale

Valerio Bertello

E’ sempre stata ambizione delle scienze umane quella di costituire un sapere nel senso unitario in cui lo sono le scienze della natura, cioè una scienza fondata su un unico metodo, quello scientifico, e su un unico principio fondamentale, quello causale. Coloro che operano in campo sociale hanno sempre agito secondo principi pragmatici più o meno esplicitati, ma lontani dal costituire una teoria, e comunque contrapposti fra loro. Circostanza che in questa disciplina ha sempre costituito fonte di incertezza e perplessità.

Vi è un’unica significativa eccezione, l’economia, che ha sempre asserito di costituire una scienza del comportamento sociale secondo l’accezione delle scienze naturali. Non a caso essa è alla base dell’economia politica, quale sua applicazione in campo sociale nel senso più estensivo del termine. Nell’ambito dell’economia politica il socialismo scientifico è la teoria più comprensiva e conseguente, in quanto pone integralmente l’economia come propria base e dichiara suo campo d’indagine e d’applicazione tutta la storia. Quindi il socialismo scientifico non è solo un’applicazione dell’economia alla società, ma una teoria che considera l’economia una teoria della storia. Cioè come afferma Marx “l’anatomia della società civile è da cercare nell’economia politica”. Più precisamente il socialismo scientifico teorico è il materialismo storico marxiano, mentre come prassi è il socialismo in quanto movimento politico. Così non solo l’economia viene storicizzata, ma la storia diviene storia materiale e l’economia, interpretata come materialismo storico, diviene per la storia ciò che la fisica è per le scienze della natura, la teoria fondamentale di tutte le scienze umane[1].

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marxiana 

Il 'Dibattito TSSI' - Le basi da cui ripartire per la ricerca nelle scienze sociali

[Raccolgo qui un'altra puntata, svoltasi sul sito Marxiana, dell'annoso dibattito sulla validità della teoria marxiana del valore. Il contributo iniziale di Macheda ha visto i successivi interventi di Duccio Cavalieri, Guglielmo Carchedi, Ascanio Berardeschi, ancora Cavalieri e Carchedi, e infine Luca Michelini. Potete trovare il testo della raccolta di scritti  "La validità della teoria del valore-lavoro e la tendenza alla crisi" a cura di Francesco Macheda al seguente link: in attesa di autorizzazione da parte della rivista "Proteo", tg]

 

Prefazione

Fino ad oggi i critici di Marx hanno stravolto il suo pensiero al fine di scovare ‘l’incoerenza interna’ che ne invalidasse il corollario politico – ossia la necessità del superamento del sistema economico attuale a favore di uno che mettesse al centro il soddisfacimento dei bisogni umani. La reintroduzione del metodo d’indagine dialettico e la diacronia del processo di produzione – i due capisaldi dell’indagine di Marx – ha permesso alla Temporal Single-System Interpretation (TSSI) di svelare l’inconsistenza delle critiche rivolte al metodo della trasformazione dei valori in prezzi, cardine della teoria marxiana della legge del valore-lavoro e fondamento della sua critica all’economia politica. Tuttavia, sebbene le tesi sostenute della TSSI abbiano conosciuto ampia diffusione e credito nel mondo anglosassone, esse rimangono praticamente sconosciute – o per meglio dire boicottate – nel panorama accademico e politico italiano.

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Gli inganni della propaganda intellettuale odierna    

Franco Soldani

Chi non conosce la scienza,
sa ben poco del mondo contemporaneo.

Roland Omnès

In questi mesi a Bologna, per iniziativa del fisico Bruno Giorgini, si stanno svolgendo alcuni incontri intitolati Scienza & Democrazia. Ci si può fare una sommaria idea del carattere degli incontri scorrendo le pagine del blog dedicato all'iniziativa: http://scienzademocrazia.wordpress.com.

Leggendo la traccia preparata dallo stesso Giorgini, Voci per un seminario, siamo rimasti colpiti dal numero e dalla qualità dei luoghi comuni, dalla selva di idee depistanti e dai trucchi cui egli ricorre pur di costruire l'ennesima immagine stereotipata della scienza, ancora una volta del tutto funzionale alla riproduzione del dominio e perciò lontana, troppo lontana da un qualsiasi discorso su cosa possa mai essere oggi la democrazia. Con una scienza come questa e con uomini come questi che la fanno non è possibile alcuna forma di democrazia...

Nello scritto che segue, che proponiamo diviso in sette puntate, Franco Soldani muove dalla critica  all'impostazione degli incontri bolognesi e arriva a disegnare un quadro ben diverso della comunità scientifica occidentale e delle sue prassi. Un quadro dove risaltano le forti compromissioni degli uomini di scienza con i funzionari dei media e con quel cielo invisibile sotto il quale scienza e teologia - dato in pasto alle plebi acculturate dell'Occidente il mito della loro irriducibile querelle - si sono invece sempre rincorse ed abbracciate fuori scena allo scopo di scongiurare un qualsiasi salto di consapevolezza circa l'effettivo stato delle cose da parte dei dominati...

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I segni del comando

UNA POLITICA NEL LABORATORIO DELLA RETE

di Sergio Bellucci, Marcello Cini

 L'attuale capitalismo è un'immensa produzione di segni ridotti a merce. Per traformare la realtà, non basta però invocare il rispetto delle regole o, all'opposto, la loro violazione per restituire la libertà alla cooperazione produttiva. Occorre invece lo sviluppo di un welfare delle relazioni che favorisca le diversità senza che queste si traducano in forti diseguaglianze sociali

«Quando le immagini - scrive Franco Berardi nel suo articolo La misura dell'illegalità pubblicato il 27 marzo sul Manifesto - non più semplici rappresentazioni della realtà, divengono simulazione e stimolazione psico-fisica i segni divengono la merce universale, oggetto principale della valorizzazione del capitale... Questa è la ragione per cui possiamo parlare di semiocapitalismo: perché le merci che circolano nel mondo economico - informazione, finanza immaginario - sono segni, immagini, numeri, proiezioni, aspettative, il linguaggio non è più uno strumento di rappresentazione del processo economico e vitale, ma diviene fonte principale di accumulazione che continuamente deterritorializza il campo dello scambio».

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Materialismo al tramonto

Rocco Ronchi

Alle spalle della sinistra attuale non c'è, come si crede, un vuoto di idee. Se oggi le si rimprovera di somigliare troppo al suo avversario è perché, rinunciando al materialismo, ha scelto l'opinione al posto della scienza, la retorica al posto della verità, la seduzione al posto della pedagogia, tutte opzioni già segnalate da Platone all'inizio della filosofia

Da tempo la sinistra italiana ha fatto del materialismo solo una delle tante «tradizioni» che (faticosamente) convivono all'interno della sua imprecisata galassia ideologica, quasi il retaggio polveroso di un'epoca definitivamente tramontata. I destini del materialismo, come metodo di analisi e come fondamento della prassi politica, e quelli della sinistra politica non sono inscindibilmente legati. Ne fa fede, appunto, la nostra sinistra. Vale però la pena di chiedersi che cosa diventi una sinistra senza materialismo.

La risposta non è difficile. Diventa quello che effettivamente è oggi in Italia: un movimento di «opinione» che contende ad altre «opinioni» il diritto di essere opinione «dominante». L'arena della contesa è la sfera dell'«opinione pubblica». Su tale opzione di fondo si è costruita l'ipotesi del partito democratico. Fin dalla scelta del nome è resa esplicita l'intenzione programmatica di rompere con l'eredità «materialista» del passato. Un riferimento anche vago al «socialismo» lo avrebbe invece implicato.

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infoaut

La libertà operaista

di Gigi Roggero

"Guardi, ha sbagliato piano", rispondeva all'inizio degli anni '90 Romano Alquati a una studentessa di sinistra che voleva fare una tesi sugli operai. "Qua siamo a scienze politiche. Se vuole fare una tesi sugli operai dovrebbe andare al secondo piano. Archeologia". Proprio come la "rude razza pagana", Romano non aveva dei e rifiutava i miti. Il culto del passato, poi, è una cosa davvero miserabile. Quando era arrivato a Torino, nel 1960, dopo essere cresciuto a Cremona e aver vissuto a Milano nella comune di via Sirtori (vera e propria fucina culturale e intellettuale degli anni cinquanta e sessanta, luogo di incontro di fenomenologia e marxismo, crocevia internazionale di rivoluzionari e filosofi), Romano - così come quella generazione politicamente e umanamente eccezionale che darà vita all'operaismo - non era alla ricerca di un soggetto disincarnato e metafisico, eroico custode dell'interesse generale. "C'è stato e c'è ancora fra l'altro l'operaismo populista ed assistenziale (di derivazione cristiana), l'operaismo sindacale, e una combinazione dei due; e questi si sono caratterizzati nel considerare gli operai come una ‘quota debole' della popolazione, e quindi bisognosa d'aiuto; questi operaisti amavano gli operai, l'operaità stessa. Gli operaisti ‘politici' al contrario s'interessavano ai proletari operai perché, contro ogni universalismo, li vedevano come una parte forte, una forza".

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Nel bipolarismo saremo sempre minoritari

Intervista a Mario Tronti

ingrao paietta berlinguer al congresso del 1972Di Pietro Ingrao, che martedì compirà novantacinque anni, si conosce tutto. La storia, il rapporto intenso con la politica e la militanza, le sue tesi nel Pci di apertura ai movimenti, ma anche la sua idea di partito, la centralità del lavoro, la riflessione sulle forme della democrazia. Meno dibattuta, invece, è se esista oggi l'ingraismo. Se ci sia una cultura politica riconducibile a Pietro Ingrao da poter giocare oggi nella costellazione della sinistra. Lo chiediamo a Mario Tronti, presidente del Centro per la riforma dello Stato (che tra l'altro, organizza due iniziative per festeggiare i 95 anni di Ingrao).


Ingrao incarna il politico d'altri tempi. Quanto siamo lontani dall'immagine della classe politica di questi anni, della Seconda Repubblica?


Da quando ha compiuto novant'anni come Crs organizziamo a ogni suo compleanno, in suo onore, la lectio di un autore che con lui abbia avuto rapporti politici, di amicizia, culturali. Gli interessi di Ingrao sono molto vasti. Lui rappresenta la figura del politico-intellettuale. A volte si è spinto persino fino al punto di dire che sarebbe stato più bravo come regista che come politico.

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SCHEGGE di demos

di Stefano Petrucciani

Le procedure e le istituzioni necessarie affinché lo Stato non si trasformi in uno strumento di dominio. Da qui l'invito a pensare allo sviluppo di una democrazia radicale che preveda diritti universali di cittadinanza, ma anche il riconoscimento dei diritti alla diversità. Appunti critici sulle tesi del filosofo argentino Enrique Dussel su una possibile «politica della liberazione»

      Protagonista di quella tendenza di pensiero che si definisce «filosofia della liberazione», Enrique Dussel è uno scrittore prolifico: noto in Italia soprattutto per i suoi studi sui manoscritti inediti di Marx (Un Marx sconosciuto e L'ultimo Marx, pubblicati entrambi da manifestolibri) ha ora appena terminato un'opera in tre volumi dedicata alla Politica della liberazione. In attesa di una loro traduzione, sono state pubblicate dall'editore Asterios Venti tesi di politica (sottotitolo: «per comprendere e partecipare», traduzione e introduzione di Antonino Infranca, pp. 188, euro 19) che condensano, in un testo agile, la sintesi del pensiero politico dello studioso latino-americano. Coniugando il confronto con il pensiero europeo (soprattutto Hannah Arendt, Jürgen Habermas e Karl-Otto Apel) con la riflessione sulle recenti esperienze politiche dell'America Latina in movimento, Dussel propone nel suo libro una visione complessiva della politica e dell'emancipazione, che prende le mosse dall'analisi di un tema centrale della teoria politica, quello del potere. L'obiettivo è infatti quello di ragionare su come si possa restituire il potere ai cittadini, che ne sono ovunque espropriati; ma a questo scopo anche il concetto del potere va ripensato, come Dussel propone, ripartendo da Hannah Arendt.

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cina rossa

La Cina contemporanea e l'effetto di sdoppiamento

Come redazione, abbiamo ricevuto e deciso di pubblicare la prefazione comune ed un capitolo di Sidoli  sulla Cina contemporanea contenuti nel libro di Costanzo Preve e Roberto Sidoli Logica della storia e comunismo novecentesco*, perché riteniamo che possano contribuire alla comprensione della dinamica attuale del gigantesco paese asiatico.

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Logica della storia e Comunismo novecentesco

L’effetto di sdoppiamento

C. Preve e R. Sidoli

Prefazione

Secondo la concezione marxista-ortodossa della storia universale, quest’ultima può essere paragonata ad una grande e lunga strada a senso unico, anche se composta da alcune diramazioni secondarie che in seguito si ricollegano al sentiero principale, oltre che da una serie di vicoli ciechi che vengono abbandonati, più o meno rapidamente.

In questa prospettiva storica, la “grande strada” è formata nella sua essenza da vari segmenti interconnessi, seppur ben distinti tra loro (comunismo primitivo/comunitarismo del paleolitico, nella preistoria della nostra specie; fase del modo di produzione asiatico; periodo schiavistico; fase feudale; epoca capitalistica e, infine, socialismo/comunismo), ma essa era ed è considerata tuttora un tracciato  predeterminato, almeno in ultima istanza: qualunque “viaggiatore” e società potevano/possono anche prendere delle “scorciatoie” ma alla fine, volenti o nolenti, erano /sono costretti a rientrare nel sentiero di marcia principale e nelle sue variegate, ma obbligate tappe di percorso.

In base ai dati storici allora a conoscenza di Marx ed Engels, fino al 1883/95, questa era probabilmente l’unica visione complessiva del processo di sviluppo della storia universale che poteva essere (genialmente) elaborata a quel tempo ma, proprio dopo il 1883/95, tutta una serie di nuove scoperte ed avvenimenti storici portano a preferire una diversa concezione generale della dinamica del genere umano.

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Marx e la decrescita. Per un buon uso del pensiero di Marx

di Marino Badiale e Massimo Bontempelli

Questo saggio, il cui titolo nomina Marx e la decrescita, è ovviamente rivolto in primo luogo alle persone interessate a Marx e a quelle interessate alla decrescita, e il primo obiettivo che ci poniamo è quello di suscitare una discussione costruttiva fra questi due gruppi.

1. Introduzione.

E’ noto che, in genere, fra coloro che continuano a ricavare ispirazione dal pensiero di Marx e coloro che in tempi recenti hanno iniziato a teorizzare la decrescita non corrono buoni rapporti. I primi tendono a vedere la decrescita, nel migliore dei casi, come un’aspirazione soggettiva di natura socialmente ambigua, mentre i “decrescisti” vedono nel pensiero di Marx nient’altro che una versione “di sinistra” dell’idolatria dello sviluppo che oggi domina il mondo e contro cui intendono combattere. Giudichiamo questa contrapposizione del tutto negativa, e cercheremo in questo saggio di mostrare le ragioni di questo nostro giudizio.

La prima tesi generale che ci sforzeremo di argomentare nel seguito può essere così enunciata, in una sintesi quasi da slogan: “coloro che seguono le teorie di Marx hanno bisogno della decrescita, la decrescita ha bisogno di Marx”. E con questo intendiamo dire quanto segue: da una parte, oggi ogni teoria ispirata a Marx ha bisogno della decrescita perché essa rappresenta l’unica formulazione possibile di un anticapitalismo adeguato alla realtà del capitalismo attuale; dall’altra, la decrescita ha bisogno del pensiero di Marx perché in esso si trovano alcuni fondamenti teorici indispensabili per l’elaborazione di una proposta teorica e politica adeguata ai problemi che la decrescita stessa individua.

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nazione indiana

Dopo la tragedia, la farsa!

Ovvero come la storia si ripete

Slavoj Žižek

Introduzione. Lezioni del primo decennio.

Il titolo di questo libro dovrebbe costituire un test del quoziente intellettuale elementare: se la prima associazione che provoca nel lettore è il volgare cliché anticomunista: “Ha ragione – oggi dopo la tragedia del totalitarismo del XX secolo, tutta questa faccenda di un ritorno al comunismo non può essere che una farsa!”, ebbene, gli consiglio vivamente di fermarsi qui. Non solo, ma il libro gli dovrebbe venire confiscato, perché vi si tratta di una tragedia e di una farsa assolutamente diverse, ossia dei due avvenimenti che aprono e chiudono il primo decennio del XXI secolo: gli attacchi dell’11 settembre 2001 e la débacle finanziaria del 2008.

[...]
L’analisi proposta in questo libro non ha nulla di neutro; al contrario, è impegnata e “parziale” al massimo – perché la verità è di parte; essa è accessibile-vi si può accedere soltanto se si prende partito, e non per questo è meno universale. Il partito preso qui è naturalmente quello del comunismo. Adorno fa iniziare i suoi Tre studi su Hegel con un rifiuto della domanda tradizionale su ciò che egli esemplifica col titolo del libro di Benedetto Croce: Che cosa è vivo e che cosa è morto nella filosofia di Hegel? Una simile domanda suppone da parte del suo autore l’assunzione di una posizione arrogante di giudice del passato, ma quando abbiamo a che fare con un filosofo veramente grande, la vera domanda da formulare non riguarda quello che questo filosofo può ancora dirci, quello che ancora può significare per noi, ma piuttosto il contrario: a che punto siamo ai suoi occhi?

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nazione indiana

Per finirla con il XXI secolo

Jean-Claude Michéa

(Prefazione all’edizione francese di The Culture of Narcissism de Christopher Lasch, Climats, 2000)(1)

All’inizio del suo meraviglioso libretto su George Orwell, Simon Leys fa notare, e a ragione, che ci troviamo davanti a un autore che ” continua a parlarci con una chiarezza e una forza di gran lunga superiore alla prosa che opinionisti e politici ci fanno leggere sui quotidiani ogni giorno”(2). Con le giuste proporzioni del caso, un tale giudizio lo si può applicare perfettamente all’opera di Lasch e in particolare a The culture of narcissisme, che è indubbiamente il suo capolavoro. Ecco, in effetti, un’opera scritta più di vent’anni fa(3) e che rimane, con tutta evidenza, infinitamente più attuale della quasi totalità di saggi che hanno avuto la pretesa, da allora, di spiegare il mondo in cui abbiamo da vivere.

Grazie alla formazione intellettuale iniziale (marxismo occidentale e in particolare, la Scuola di Francoforte) Lasch s’è ritrovato assai presto immunizzato contro il culto del “Progresso” (come si dice ora, della modernizzazione) che costituisce ai nostri giorni, il residuo catechismo degli elettori di Sinistra e dunque uno dei principali catenacci mentali che li trattiene in questa strana Chiesa nonostante il suo evidente fallimento storico. Presentando, qualche anno più tardi, la logica del suo itinerario filosofico, Lasch arriva a scrivere che il punto di partenza della sua riflessione era stata da sempre “una questione tutt’altro che semplice: come si spiega che delle persone serie continuino ancora a credere al Progresso quando l’evidenza dei fatti avrebbe dovuto, una volta e per tutte, portarli ad abbandonare una simile idea?”(4).

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Perché ancora l'operaismo

Mario Tronti

Alcune parole per rispondere alla domanda: perché ancora l’operaismo, malgrado ormai la palese assenza delle condizioni che l’hanno originato e prodotto? Tali condizioni si possono sommariamente riassumere nel neo-capitalismo grande-industriale, oggi deceduto, con cui per la prima volta ci si confrontava in Italia, nella fase fordista, anch’essa archiviata; in un ciclo di lotte operaie che hanno investito il paese nei primi anni Sessanta, con al centro la figura dell’operaio-massa, memoria rimossa e dimenticata. Credo che oggi il passaggio – ormai avvenuto – dalla centralità alla marginalità non riguarda solo gli operai. Questo passaggio riguarda anche il capitale. Nel senso proprio del Das Kapital marxiano, come lo intendeva Marx ma anche come lo intendevamo noi: il capitale cosiddetto sociale, o il piano del capitale, come si diceva nei «Quaderni rossi». Come gli operai, così anche questa forma di capitale è diventata da centrale a marginale.

La lotta era lotta di classe tra due centralità: ognuna aveva il proprio campo e il proprio blocco sociale, ognuna era centrale nella propria parte. Erano appunto campi socialmente omogenei, proprio perché avevano questa forza centrale che li unificava e concentrava.

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Destra e sinistra: una risposta a Costanzo Preve

di Domenico Losurdo

[Alcune settimane fa avevamo pubblicato le riflessioni di Costanzo Preve sul colloquio di Domenico Losurdo con alcuni studenti pisani. Preve muoveva dalla contestazione delle categorie di destra e sinistra per allargare il suo ragionamento, in maniera critica ma solidale, all'approccio complessivo che Losurdo propone rispetto alle questioni storiche e filosofiche dell'età contemporanea. Con lo stesso spirito Domenico Losurdo risponde adesso a Costanzo Preve, concentrandosi però sulla dicotomia destra/sinistra.]

Dalla mia intervista ovvero dalla mia conversazione informale con un gruppo di studenti pisani, condotta col linguaggio tipico delle conversazioni informali, Costanzo Preve prende lo spunto per una critica alla mia produzione intellettuale nel suo complesso. Sono lusingato dell’attenzione a me riservata da un autore, che a causa anche del suo stile chiaro e brillante io leggo sempre con interesse e piacere, e che ora con le sue osservazioni critiche mi stimola a chiarire ulteriormente il mio pensiero.

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DIVISIONE DEL LAVORO E SOCIALIZZAZIONE

Valerio Bertello

“Il lavoro annuale di ciascuna nazione è il fondo donde originariamente si traggono tutte le cose necessarie e comode della vita, le quali annualmente consuma, e le quali consistono sempre o nell’immediato prodotto di quel lavoro o in ciò che col medesimo dalle altre nazioni si acquista.”

Così A. Smith inizia “ex abrupto” la sua “Indagine”, ponendo il lavoro come fondamento dell’esistenza non solo di ciascuna nazione, ma dell’insieme delle nazioni, cioè dell’umanità tutta. Infatti dichiara esplicitamente che il lavoro nella forma di bene utile o viene consumato immediatamente o viene scambiato con altro lavoro. Ma si può constatare che la parte di lavoro scambiata è storicamente sempre aumentata fino a divenire all’epoca di Smith quella di gran lunga preponderante. Quindi la sua asserzione significa che in realtà il lavoro si presenta come totalità, e se l’umanità sussiste su questa base unitaria, anch’essa costituisce necessariamente una totalità.

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Marx: ancora una volta!

Donatello Santarone* intervista Marcello Musto

Marcello Musto insegna presso il Dipartimento di Scienze Politiche della York University di Toronto (Canada) ed è curatore di due recenti volumi su Marx:  "Sulle tracce di un fantasma. L’opera di Karl Marx tra filologia e filosofia" (Manifestolibri, 2005) e "Karl Marx’s Grundrisse. Foundations of the Critique of Political Economy 150 Years Later" (Routledge, 2008).

Ha inoltre scritto numerosi articoli su Marx, i marxismi e la nuova edizione storico critica delle opere di Marx ed Engels, la Marx-Engels Gesamtausgabe (MEGA 2), ed è autore del libro Saggi su Marx e i marxismi (in uscita per Carocci nel 2010).

 

D. S.: La prima domanda che vorrei rivolgerti concerne la ragione della imponente ripresa di interesse per l’opera di Marx – attestata da centinaia di libri e convegni internazionali a lui dedicati, scritti o organizzati da parte di studiosi dei più diversi orientamenti culturali e politici.

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Il “ritorno dello Stato” come amministratore della crisi

Norbert Trenkle

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Gran parte della sinistra riconduce l’attuale crisi economica mondiale a cause politiche. Secondo questa sinistra, il neo-liberalismo, che ha totalmente deregolamentato il mercato e in modo particolare scatenato i mercati finanziari, ha fallito. Adesso ci aspetterebbe una nuova era di regolamentazione e controllo statale, su cui diventerebbe perciò essenziale incidere. Punti centrali sarebbero il ridimensionamento del capitale finanziario e il rafforzamento dell’economia reale, la quale da parte sua dovrebbe essere riformata in senso ecologico e sociale. La riuscita di questo progetto dipenderebbe soprattutto dai rapporti di forza e dalla mobilitazione politica.

2.
Questa analisi trascura però l’origine di fondo della crisi globale. Anche se essa è stata innescata da un crack dei mercati finanziari, le sue cause vanno cercate in tutt’altro luogo. L’enorme rigonfiamento dei mercati finanziari degli ultimi 30 anni non dipende da decisioni politiche arbitrarie o sbagliate, ma è espressione di una crisi strutturale della valorizzazione del capitale, crisi che è emersa con la fine del boom fordista del dopoguerra.

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manifesto

Una sinistra senza Rete

Benedetto Vecchi

      «Lo spettro del capitale», un saggio di Marcello Cini e Sergio Bellucci sull'economia della conoscenza

world wide web 317169334      Pagine sostenute da un'urgenza politica: perché il movimento operaio è incapace di proporre una visione alternativa a quella dominante? È attorno a questa domanda che il saggio di Marcello Cini e Sergio Bellucci Lo spettro del capitale (Codice edizione) si sviluppa, evidenziando come, anche chi esercita il potere, non dorme sonni molto tranquilli. Lo testimonia la crisi economica, che da un biennio sta ridisegnando i rapporti sociali e le relazioni tra Stati a livello mondiale in una direzione che, più che costituire una soluzione, rappresenta un problema aggiuntivo rispetto la possibilità di uscire dalla crisi, perché le dinamiche e i conflitti sociali e geopolitici del capitalismo contemporaneo non contemplano un esito riformista, come è stato il New Deal e il welfare state dopo la crisi del '29 e la seconda guerra mondiale. Dunque, un saggio ambizioso che concede ben poco allo stile espositivo e molto, invece, alla radicalità dei problemi che la sinistra, meglio quello che ne rimane, si trova di fronte.

      La tesi dei due autori è presto riassunta. Negli ultimi lustri, il capitalismo ha conosciuto un mutamento radicale che ha portato al centro della scena la conoscenza, divenuta fonte primaria nei processi lavorativi nonché settore trainante della produzione della ricchezza. Una conoscenza intesa nella sua forma generica, ma tuttavia pervasiva dell'attività economica. Non solo dunque il sapere tecnico-scientifico, ma anche l'informazione, l'intrattenimento, l'immaginario collettivo sono diventati il cuore del capitalismo.

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liberazione

C'è una logica nella crisi. Vale la pena rileggere Marx

di Alberto Burgio

In libreria una raccolta di scritti marxiani, in parte inediti, curati da Vladimiro Giacché

great depression main full«Come sempre, con la prosperità si sviluppò molto rapidamente la speculazione. La speculazione di regola si presenta nei periodi in cui la sovrapproduzione è in pieno corso. Essa offre alla sovrapproduzione momentanei canali di sbocco, e proprio per questo accelera lo scoppio della crisi e ne aumenta la virulenza. La crisi stessa scoppia dapprima nel campo della speculazione e solo successivamente passa a quello della produzione. Non la sovrapproduzione, ma la sovraspeculazione, che a sua volta è solo un sintomo della sovrapproduzione, appare perciò agli occhi dell'osservatore superficiale come causa della crisi».

«Il fatto che, laddove l'intero processo poggia sul credito, non appena il credito viene improvvisamente a mancare e ogni pagamento può essere effettuato solo in contanti debbano subentrare una crisi creditizia e la mancanza di mezzi di pagamento - è ovvio, come lo è il fatto che la crisi nel suo complesso debba presentarsi prima facie come crisi creditizia e monetaria. Ma in realtà non si tratta unicamente della "convertibilità" delle cambiali in denaro. Un'enorme massa di queste cambiali non rappresenta nulla più che transazioni truffaldine, che ora sono scoppiate e vengono alla luce del sole; esse rappresentano speculazioni andate male e fatte con il denaro altrui. È proprio bello che i capitalisti, che gridano tanto contro il "diritto al lavoro", ora pretendano dappertutto "pubblico appoggio" dai governi e facciano insomma valere il "diritto al profitto" a spese della comunità».

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Scie per il marxismo del XXI secolo

di Franco Soldani

soldaniPremessa

Il lettore troverà nei paragrafi che seguono alcune ipotesi teoriche, aventi in parte lo status di concetti definiti, in parte la forma d'un programma di ricerca, relative a una rilettura del pensiero di Marx. Esse costituiscono in pari tempo una critica di quella galassia concettuale universalmente conosciuta col nome di marxismo storicamente costituito, marxismo il più delle volte codificato in scuole di vario tipo, spesso reso accademico e persino identificato con singoli intellettuali. Tali eventi lo hanno ormai reso definitivamente sterile dal punto di vista cognitivo.

Questo variegato arcipelago teorico, la cui formazione d'altro canto è durata più d'un secolo (cosa che ne spiega la natura coriacea e l'attuale sopravvivenza qua e là in Europa e altrove), viene qui considerato morto e sepolto. Detta tradizione ha avuto nel passato una nobile e tragica storia e ha svolto una funzione determinante nel dare la sua forma odierna al mondo contemporaneo. Oggi però essa è irrimediabilmente superata e deve essere sostituita con una differente interpretazione della realtà sociale.

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La crisi di Karl

Lo spettro della bolla che si aggira per la realtà

di Vladimiro Giacchè

Un mondo spiegato a partire dalla centralità del capitale finanziario che stringe nella sua morsa l'economia. È questa la lettura dominante della crisi, relegata a incidente di percorso del capitalismo. Spiegazione che può essere smontata a partire dagli scritti di Marx dedicati al tema e che sono stati raccolti in un volume da oggi in libreria di cui pubblichiamo brani dell'introduzione

La spiegazione della crisi attuale come una crisi finanziaria che ha contagiato l'economia reale è oggi largamente prevalente. Si tratta della versione contemporanea della concezione, ben nota a Marx, secondo cui la crisi sarebbe dovuta «all'eccesso di speculazioni e all'abuso del credito». Precisamente questa spiegazione delle crisi era stata sostenuta dalla commissione incaricata dalla Camera dei Comuni inglese di redigere un rapporto sulla crisi del 1857. Marx contestava questo punto di vista: «la speculazione di regola si presenta nei periodi in cui la sovrapproduzione è in pieno corso. Essa offre alla sovrapproduzione momentanei canali di sbocco, e proprio per questo accelera lo scoppio della crisi e ne aumenta la virulenza. La crisi stessa scoppia dapprima nel campo della speculazione e solo successivamente passa a quello della produzione. Non la sovrapproduzione, ma la sovraspeculazione, che a sua volta è solo un sintomo della sovrapproduzione, appare perciò agli occhi dell'osservatore superficiale come causa della crisi».