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marxiana 

Il 'Dibattito TSSI' - Le basi da cui ripartire per la ricerca nelle scienze sociali

[Raccolgo qui un'altra puntata, svoltasi sul sito Marxiana, dell'annoso dibattito sulla validità della teoria marxiana del valore. Il contributo iniziale di Macheda ha visto i successivi interventi di Duccio Cavalieri, Guglielmo Carchedi, Ascanio Berardeschi, ancora Cavalieri e Carchedi, e infine Luca Michelini. Potete trovare il testo della raccolta di scritti  "La validità della teoria del valore-lavoro e la tendenza alla crisi" a cura di Francesco Macheda al seguente link: in attesa di autorizzazione da parte della rivista "Proteo", tg]

 

Prefazione

Fino ad oggi i critici di Marx hanno stravolto il suo pensiero al fine di scovare ‘l’incoerenza interna’ che ne invalidasse il corollario politico – ossia la necessità del superamento del sistema economico attuale a favore di uno che mettesse al centro il soddisfacimento dei bisogni umani. La reintroduzione del metodo d’indagine dialettico e la diacronia del processo di produzione – i due capisaldi dell’indagine di Marx – ha permesso alla Temporal Single-System Interpretation (TSSI) di svelare l’inconsistenza delle critiche rivolte al metodo della trasformazione dei valori in prezzi, cardine della teoria marxiana della legge del valore-lavoro e fondamento della sua critica all’economia politica. Tuttavia, sebbene le tesi sostenute della TSSI abbiano conosciuto ampia diffusione e credito nel mondo anglosassone, esse rimangono praticamente sconosciute – o per meglio dire boicottate – nel panorama accademico e politico italiano.

La volontà di raccogliere una serie di articoli riguardanti la TSSI nasce da quattro esigenze.

Primo, la diffusione della TSSI sgombrerebbe il campo dalle leggende sulla supposta ‘incoerenza interna’ della teoria economica di Marx, ancora circolanti nel nostro paese.

Secondo, una volta appurata la validità della teoria valore-lavoro, si riproporrebbe l’analisi marxiana fondata sul materialismo dialettico come base imprescindibile delle scienze sociali. Se è vero che il lavoro umano rimane l’unica fonte di valore prodotto, l’indagine del suo rapporto con il capitale tornerebbe prepotentemente al centro della ricerca e del dibattito scientifico.

Terzo, il fondamento della teoria valore-lavoro confermerebbe l’analisi di Marx circa la peculiarità del modo di produzione capitalistico, ossia un sistema tendente alla crisi. Anche qui, le implicazioni per gli scienziati sociali – ma ancor più per i soggetti chiamati a ‘fare la storia’, sono di enorme rilevanza. Le loro azioni, infatti, non sarebbero guidate da semplici atti volontaristici, ma troverebbero nella dinamica capitalistica il substrato oggettivo da cui trarre nuova linfa per il superamento del sistema stesso.

 Vi è infine una necessità di ordine pratico: come giovane studioso di relazioni industriali (IR) non ho potuto fare altro che costatare come il nocciolo attorno a cui è sorta la ‘mia’ disciplina – il conflitto – sia andato via via sparendo nel corso degli ultimi vent’anni. L’approdo delle relazioni industriali verso porti manageriali, ben più sicuri, è andato di pari passo con la conclamata confutazione della teoria valore-lavoro, spesso ad opera, ironia della sorte, degli studiosi vicini al movimento dei lavoratori. Ciò ha spianato la strada alla definitiva accettazione della dottrina economica neo-classica – con le relative prescrizioni politiche – negli ambienti accademici, politici e sindacali.
La tirannia del paradigma neoclassico da un lato e la svendita del patrimonio teorico marxiano dall’altro ha fatto sì che qualsiasi comportamento conflittuale tenuto dai sindacati e dai partiti ‘labour oriented’ sia oggi reputato irrazionale poiché – stante un sistema economico razionale e volto alla crescita – non può far altro che danneggiare gli interessi dei lavoratori stessi. Questi ultimi, al contrario, beneficerebbero maggiormente di condotte cooperative, volte a garantire la stabilità sociale e quindi la profittabilità d’impresa. Al limite – e questo è il cavallo di battaglia di coloro sensibili alle tematiche lavorative – se gli imprenditori si comportassero in maniera troppo egoistica, allora i rappresentanti dei lavoratori sarebbero autorizzati a reclamare una fetta di torta maggiore. Non solo. Il conflitto ‘redistributivo’ avrebbe effetti benefici per il sistema economico generale poiché rilancerebbe la domanda aggregata e quindi gli investimenti, l’occupazione e i salari. In ambo i casi, tuttavia, svanisce qualsiasi prospettivista di cambiamento radicale poiché sia il comportamento cooperativo sia il comportamento conflittuale hanno l’obiettivo (conclamato o no) di salvaguardare e riprodurre il sistema economico attuale.

Recuperare il nocciolo dell’analisi economica di Marx – la teoria valore-lavoro – significa leggere il disequilibrio economico e (quindi) l’instabilità sociale come parti integranti e indissolubili dello sviluppo capitalistico. Specularmente, le strategie operate per imbrigliare e reprimere le forme di lotta al fine di garantire la ‘stabilità’ tornerebbero a essere il metodo attraverso cui la classe padronale e i suoi agenti perpetuano il loro dominio sulla classe lavoratrice.

Nondimeno, fare riferimento alla (autentica) teoria di Marx come base di partenza della ricerca scientifica richiede di sapere ribattere punto su punto alle obiezioni circa il famoso quanto vecchio (non) ‘problema della trasformazione’ il quale, invalidando la teoria valore-lavoro e l’analisi economica marxiana, dovrebbe dissuadere il giovane studioso dall’intraprendere percorsi di ricerca che squarcerebbero il velo d’ideologia in cui le scienze sociali da troppo tempo sono avvolte. Questo, in definitiva, è il principale proposito degli esponenti della Temporal Single-System Interpretation.

Il testo raccoglie il dibattito svoltosi sulla rivista Proteo – curata dal Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali e dalla Federazione Nazionale delle Rappresentanze Sindacali di Base – durante il quinquennio 2001-2006. Gli scritti a mio avviso fondamentali escono dal pugno di Guglielmo Carchedi, professore di Economia all’Università di Amsterdam. L’esposizione di Carchedi è accompagnata, oltre che dagli interventi di Alan Freeman, Andrew Kliman e Luciano Vasapollo, dalle obiezioni che Ernesto Screpanti, Luigi Cavallaro, Valerio Rappuoli e Andrea Micocci gli muoveranno di volta in volta. Come si evince al termine della disputa, tuttavia, la TSSI dimostra la validità della teoria del valore di Marx mentre è smascherata l’inconsistenza delle critiche rivoltegli.

Tranne l’introduzione e lo scritto di Rappuoli, tutti gli articoli appaiono nella loro forma originaria in modo da rispecchiare fedelmente i contenuti e i toni del dibattito. L’introduzione, che riprende un articolo di Luciano Vasapollo apparso su Proteo nel 2002, ha subìto solo l’eliminazione delle parti attinenti al racconto di un convegno tenutosi all’Università La Sapienza di Roma nel 2002. L’articolo di Rappuoli, invece, riprende la seconda parte dello scritto originario. Tuttavia, la mancanza della prima parte non pregiudica la sostanza del dibattito, dal momento che essa trattava temi riguardanti la storia del pensiero economico. Anche i capitoli in appendice riproducono gli interventi di Carchedi pressoché nella loro forma originaria.
 
La resistenza della teoria del valore-lavoro implica la solidità dell’altro pilastro della teoria marxiana, ossia la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, quel fenomeno secondo cui l’aumento progressivo degli investimenti in macchinari a scapito dell’impiego della forza lavoro produce come risultato tendenziale un saggio di profitto sempre minore.

Ciò spiega la presenza di un’appendice all’interno della quale ho voluto inserire tre interventi apparsi sulla lista ‘Marxiana’ nel marzo 2009 in cui Carchedi, usando un linguaggio per certi versi informale ma non per questo meno chiaro e rigoroso, evidenzia la robustezza teorica e la capacità esplicativa della legge marxiana della caduta tendenziale del saggio di profitto nello svelare le cause profonde della crisi economica attuale.

Gli oggetti della critica di Carchedi sono l’approccio fisicalista e il Teorema di Okishio che, sebbene partano da punti differenti, giungono alla medesima conclusione secondo cui l’aumento della produttività si tramuterebbe in una crescita del tasso di profitto, piuttosto che, come in Marx, in una sua diminuzione. Inoltre, è confutata la teoria ‘sottoconsumista’ secondo la quale la crisi attuale scaturirebbe dal basso livello dei salari che, contraendo la domanda aggregata, avrebbe condotto a una crisi di ‘realizzazione’ del plusvalore in profitto.

Per concludere, la sfida lanciata dalla Temporal Single-System Interpretation, mettendo in discussione i fondamentali generali della vulgata che vorrebbe la teoria di Marx ‘logicamente incoerente’, sta nella ri-congiunzione dell’economia alla politica, ma questa volta nell’interesse della classe lavoratrice e in grado di rilanciare la lotta di classe, quella il cui scopo è il superamento del capitalismo piuttosto che la sua riproduzione.

Francesco Macheda
30.03.2010

 

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-------- Messaggio Originale --------
Oggetto:     [marxiana] Il dibattito TSSI
Data:     Fri, 7 May 2010 12:43:09 +0200
Da:     Duccio Cavalieri <duccio.cavalieri.......>
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Cari compagni e amici della lista 'marxiana',
   vorrei intervenire, non per dare ragione all'uno o all'altro dei contendenti, ma per cercare di fare un poco di chiarezza nel confuso dibattito in corso sul TSSI, da economista teorico e marxista critico ovviamente interessato al problema.
  Che cosa è il TSSI? E' un approccio fondamentalista alla teoria marxiana del valore che assume che i valori degli inputs siano già trasformati in prezzi (e che quindi tanto il capitale costante C quanto quello variabile V e il sovrappiù S non siano espressi in tempo di lavoro, ma in termini di moneta). Ed è un approccio sequenzialista, che rifiuta la metodologia dell’equilibrio - quella di Bortkiewicz, Sraffa e Roemer - in cui le merci hanno gli stessi prezzi quando compaiono come inputs e come outputs.
   In estrema sintesi, direi che il TSSI, come la "New Interpretation", è una teoria monetaria del valore, in cui il lavoro è considerato la sostanza del valore e la moneta ne costituisce la forma. Ma consideriamolo più da vicino. Alla ‘critica della circolarità’, che non tiene conto della variabile tempo, mossa a Marx dagli autori che si muovono in un’ottica di equilibrio statico, secondo cui i prezzi (non trasformati) degli inputs non possono essere diversi da quelli (trasformati) degli outputs, viene obiettato che gli inputs devono essere acquistati e utilizzati prima che vengano prodotti e venduti gli outputs e che i mezzi di produzione comprati all’inizio di un processo non sono gli stessi che vengono poi venduti al termine di quel processo.
   Valori e prezzi sono visti come elementi interdipendenti di un unico sistema definito nel tempo storico, nel corso del quale, a differenza di quanto accade nei sistemi teorici che presuppongono l'equilibrio, le variabili rilevanti non sono determinate simultaneamente e il tempo di lavoro richiesto per produrre una merce può cambiare. Il TSSI non è un approccio di equilibrio e non rende uniforme nei vari settori il saggio di profitto calcolato sul costo di riproduzione.
   Ne consegue che, ferma restando la tecnologia di un sistema produttivo molto semplice, di tipo point-input point-output, i prezzi possono cambiare nel corso del processo di produzione delle merci. Il prezzo di una merce utilizzata come input (un valore trasformato, calcolato all’interno di un dato periodo) può non essere lo stesso della medesima merce ottenuta come output (un valore non trasformato, pertinente a un periodo immediatamente successivo) e il prezzo ricevuto da chi vende una merce può non corrispondere a quello pagato da chi la acquista. Non vi è quindi alcuna necessità di configurare uno scambio tra equivalenti. Il valore degli inputs di ogni periodo è uguale a quello degli outputs del periodo precedente, ma non è necessariamente uguale a quello degli outputs dello stesso periodo, perché i momenti in cui essi vengono presi in considerazione non sono simultanei, ma diacronicamente distinti.
   In tale contesto, in cui il tempo è esplicitamente introdotto nell’analisi, il prezzo può essere considerato il modo in cui si manifesta il valore nell’ambito di un unico sistema, nel quale i valori vengono ridefiniti e sono valutati ai prezzi correnti. Essi perdono quindi il significato che avevano nel sistema teorico ricardiano-marxiano. Il teorema fondamentale marxiano’ di Morishima, che riconduce l’origine del profitto allo sfruttamento capitalistico del lavoro salariato, continua a svolgere il discusso ruolo che gli viene comunemente attribuito. E non vale il teorema di Okishio, che contraddice la tesi marxiana della caduta tendenziale del saggio di profitto al procedere dell’accumulazione del capitale. Sul piano teorico, tale tendenza – che non esclude il possibile manifestarsi di controtendenze, che non la annullerebbero – potrebbe essere quindi confermata.
   Si può di conseguenza comprendere come qualcuno sia arrivato a concludere che, a prescindere dal fatto se tale sistema teorico possa essere o meno considerato una corretta reinterpretazione di quello di Marx, esso può apparire logicamente coerente, una volta che si accolgano le sue discutibili premesse, che includono la dogmatica assunzione marxiana dell’uguaglianza tra il neovalore e il lavoro vivo. E si spiega come i sequenzialisti possano sostenere che tale sistema è in grado di superare le critiche rivolte sotto questo aspetto alla teoria marxiana e consente di replicare i risultati teorici che Marx riteneva di avere raggiunto.
   L’approccio ‘sequenzialista’ va visto, in sostanza, come un tentativo di restituire coerenza logica alla teoria del valore di Marx, criticata dai neoricardiani. Un tentativo operato tenendo ferma l'assunzione di Marx che il lavoro vivo sia l'unica fonte del plusvalore, introducendo nella teoria marxiana del valore l’elemento tempo e calcolando i prezzi di produzione delle merci senza fare alcun riferimento ai valori.
   Sul terreno dell’esegesi testuale i sequenzialisti non hanno tuttavia potuto provare che questo fosse realmente l’approccio di Marx al problema del valore. Una cosa infatti è sostenere che la TSSI è una costruzione teorica logicamente coerente, se si accettano le sue premesse (discutibilissime); altro è affermare che essa fornisce una corretta interpretazione del pensiero di Marx. Questi – come è noto – non valutava il valore in unità di moneta, ma in unità di lavoro astratto socialmente necessario.
   Postulare l’uguaglianza tra neovalore e lavoro vivo o diretto equivale ad assumere che il postulato marxiano di invarianza a livello aggregato tra la somma dei valori-lavoro e la somma dei prezzi di produzione delle merci sia da riferire al prodotto netto del sistema, anziché al prodotto lordo. Ovviamente, questa è un’assunzione perfettamente legittima (può apparire addirittura intuitiva a chi condivide una certa visione preanalitica), ma che va giustificata, quando la produzione non avviene con il solo impiego di lavoro, ma richiede anche l’impiego di capitale fisico, cioè di mezzi materiali. Purtroppo, siamo ancora in attesa che qualcuno fornisca questa giustificazione.
   Va anche ricordato che alla coerenza logica della ‘nuova ortodossia marxista’ sostenuta dai successivisti sono state mosse varie critiche. Si è anzitutto obiettato all’idea di fondo, tipica di tutti i single systems, che valori e prezzi formino un unico sistema di equazioni, da risolvere simultaneamente. Si è inoltre contestata l’idea che in equilibrio i beni debbano scambiarsi ai loro valori. Altre critiche riguardano l’impossibilità, seguendo questa impostazione, di distinguere il lavoro necessario dal pluslavoro e di costruire in base a questa distinzione una teoria dello sfruttamento capitalistico. Questo è oggi, obiettivamente, mi pare sia lo stato del problema.

 

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-------- Messaggio Originale --------
Oggetto:     Re: [marxiana] Il dibattito TSSI
Data:     Fri, 7 May 2010 16:19:33 +0200
Da:     guglielmo carchedi <carchedi38@........>
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Referenze:     <0C327F1B46FE4C13BB49DB91735F031D@PCDuccio>

 Caro Cavalieri, perdonami se ti dico che nonostante la tua encomiabile intenzione di fare chiarezza sul dibattito attorno al TSS, purtroppo tu raggiungi l'effetto opposto. Mi manca il tempo di scrivere un pezzo coerente, quindi mi limito ad alcune considerazioni a piè di pagina (in rosso).


Cari compagni e amici della lista 'marxiana',
   vorrei intervenire, non per dare ragione all'uno o all'altro dei contendenti, ma per cercare di fare un poco di chiarezza nel confuso dibattito in corso sul TSSI, da economista teorico e marxista critico ovviamente interessato al problema.
  Che cosa è il TSSI? E' un approccio fondamentalista [mi dispiace che tu incominci il tuo intervento con un epiteto. Come sai, il termine 'Marxist fundamentalism' è stato usato da Steedman dall'alto della arroganza e dal basso della sua pochezza teorica. Viene usato da coloro, in genere di estrazione neo-ricardiana, per indicare coloro che sarebbero dei credenti in Marx e che invece dimostrano la corenza logica della sua teoria del valore. L'unica discussione che mi interessa è libera da epiteti. Quindi ti inviterei gentilmente ad astenerti da simili esternazioni a meno che tu non specifichi in quale senso, non peggiorativo, tu usi questa parola] alla teoria marxiana del valore che assume che i valori degli inputs siano già trasformati in prezzi (e che quindi tanto il capitale costante C quanto quello variabile V e il sovrappiù S non siano espressi in tempo di lavoro, ma in termini di moneta). [questo non non c'entra nulla col TSS. Il valore degli outputs - prezzo di produzione o valore trasformato attraverso l'ugualizzazione dei tassi di profitto -  è trasformato sia che sia calcolato in termini di lavoro (una operazione perfettamente possibile) che in termini di moneta. La trasformazione non è una trasformazione di valori in moneta ma di valori non trasformati in valori trasformati, siano essi espressi in termini di lavoro che di moneta. Lo stesso valore è il valore sia degli degli inputs che degli outputs (le stesse merci possono essere vendute ed acquistate solo allo stesso prezzo). Solo che come inputs di un nuovo processo di produzone, tale valore non è più trasformato, ossia può essere trasformato di nuovo  perchè  durante il nuovo process di produzione, se per esempio nuovi e più economici mezzi di produzione vengono immessi nel mercato,la merce di cui quel mezzo di produzione è un input realizza un valore minore corrispondente al minor valore del quel input].  Ed è un approccio sequenzialista [di nuovo, tu introduci un ulteriore elemento di possibile confusione. Anche il metodo iterativo è sequenzailista, solo che implica la mancanza di tempo. Il TSS è un approccio temporalista, in cui la sequenza di processi di produzione e realizzazione è temporale] che rifiuta la metodologia dell’equilibrio - quella di Bortkiewicz, Sraffa e Roemer - in cui le merci hanno gli stessi prezzi quando compaiono come inputs e come outputs.[ questo non è il punto, il punto è che le merci hanno gli stessi prezzi quando sono inpits e outputs dello stesso processo di produzione e realizzazione. Questo è il motivo per cui nell'equilibrio il tempo è cancellato].
   In estrema sintesi, direi che il TSSI, come la "New Interpretation", è una teoria monetaria del valore [no, vedi sopra], in cui il lavoro è considerato la sostanza del valore e la moneta ne costituisce la forma [si]. Ma consideriamolo più da vicino. Alla ‘critica della circolarità’, che non tiene conto della variabile tempo, mossa a Marx dagli autori che si muovono in un’ottica di equilibrio statico [ma anche dinamico, non fa nessuna differenza] , secondo cui i prezzi (non trasformati) degli inputs non possono essere diversi da quelli (trasformati) degli outputs, viene obiettato che gli inputs devono essere acquistati e utilizzati prima che vengano prodotti e venduti gli outputs e che i mezzi di produzione comprati all’inizio di un processo non sono gli stessi che vengono poi venduti al termine di quel processo [logico, no?].
   Valori e prezzi sono visti come elementi interdipendenti di un unico sistema definito nel tempo storico, nel corso del quale, a differenza di quanto accade nei sistemi teorici che presuppongono l'equilibrio, le variabili rilevanti non sono determinate simultaneamente e il tempo di lavoro richiesto per produrre una merce può cambiare. Il TSSI non è un approccio di equilibrio [è vero]  e non rende uniforme nei vari settori il saggio di profitto calcolato sul costo di riproduzione. [ma, scusa, come fai a dire una cosa del genere?]
   Ne consegue che, ferma restando la tecnologia di un sistema produttivo molto semplice [perchè semplice? Marx e il TSS sono applicabili a sistemi produttivi sia semplici che complessi], di tipo point-input point-output, i prezzi possono cambiare nel corso del processo di produzione delle merci. Il prezzo di una merce utilizzata come input (un valore trasformato, calcolato all’interno di un dato periodo) può non essere lo stesso della medesima [simile] merce ottenuta come output (un valore non trasformato, pertinente a un periodo immediatamente successivo) [ma no, il prezzo dell'input è non trasformato e quello dell'output è trasformato, esattamente l'opposto di quello che dici tu] e il prezzo ricevuto da chi vende una merce può non corrispondere a quello pagato da chi la acquista [ciò è assurdo e completamente l'opposto di quello che dice il TSS e il normale buon senso. Se io ti vendo un mezzo di produzione per 100, tu mi paghi 100 e io ricevo 100. quello che cambia è il valore di quel mezzo di produzione se durante il periodo in cui viene usato per produrre un certo output , altri meno costosi mezzi di produzione  vengono usati per produrre lo stesso output]. Non vi è quindi alcuna necessità di configurare uno scambio tra equivalenti [infatti, la trasformazione implica uno scambio tra non-equivalenti]. Il valore degli inputs di ogni periodo è uguale a quello degli outputs del periodo precedente, ma non è necessariamente uguale a quello degli outputs dello stesso periodo, perché i momenti in cui essi vengono presi in considerazione non sono simultanei, ma diacronicamente distinti.
   In tale contesto, in cui il tempo è esplicitamente introdotto nell’analisi, il prezzo può essere considerato il modo in cui si manifesta il valore nell’ambito di un unico sistema, nel quale i valori vengono ridefiniti e sono valutati ai prezzi correnti. Essi perdono quindi il significato che avevano nel sistema teorico ricardiano-marxiano [certamente non nel sistema marxiano]. Il teorema fondamentale marxiano’ di Morishima, che riconduce l’origine del profitto allo sfruttamento capitalistico del lavoro salariato, continua a svolgere il discusso ruolo che gli viene comunemente attribuito. E non vale il teorema di Okishio, che contraddice la tesi marxiana della caduta tendenziale del saggio di profitto al procedere dell’accumulazione del capitale. Sul piano teorico, tale tendenza – che non esclude il possibile manifestarsi di controtendenze, che non la annullerebbero – potrebbe essere quindi confermata.
   Si può di conseguenza comprendere come qualcuno sia arrivato a concludere che, a prescindere dal fatto se tale sistema teorico possa essere o meno considerato una corretta reinterpretazione di quello di Marx, esso può apparire logicamente coerente, una volta che si accolgano le sue discutibili premesse, che includono la dogmatica assunzione marxiana dell’uguaglianza tra il neovalore e il lavoro vivo. [primo, l'uguaglianza tra nuovo valore e lavoro vivo è l'essenza della teoria del valore di Marx. se la si chiama dogmatica, vuol dire che si pensa che altri fattori possano produrre valore. Questo è incoerente con Marx perchè contraddice tutte le sue conclusioni. Secondo, un'assunzione è sempre dogmatica all'inizio della teoria semplicemente perchè tutte le teorie devono fare delle assunzioni iniziali che non si possono provare, altrimenti si dovrebbero fare delle assunzioni precedenti.  Le assunzioni vengono corroborate dalla coerenze logica della teoria costruita su di esse, dal riscontro empirico e dalle conseguenze per la lotta di classe. È ugualmente 'dogmatico' assumere che per esempio anche i mezzi di produzione e cioè il capitale producano valore. Solo che l'assunzione di Marx è coerente con una teoria in cui il capitale e il lavoro sono nemici irriconciliabili, mentre l'altra assunzione prevede il campo teorico in cui capitale e lavoro cooperano alla produzione di valore. Questo è solo un esempio di dove conducano i 'miglioramenti' di Marx]. E si spiega come i sequenzialisti possano sostenere che tale sistema è in grado di superare le critiche rivolte sotto questo aspetto alla teoria marxiana e consente di replicare i risultati teorici che Marx riteneva di avere raggiunto [giusto, questo è quanto affermo e che nessuno, neanche in questa lista, ha potuto inficiare].
   L’approccio ‘sequenzialista’ va visto, in sostanza, come un tentativo di restituire coerenza logica alla teoria del valore di Marx, criticata dai neoricardiani. Un tentativo operato tenendo ferma l'assunzione di Marx che il lavoro vivo sia l'unica fonte del plusvalore, introducendo nella teoria marxiana del valore l’elemento tempo e calcolando i prezzi di produzione delle merci senza fare alcun riferimento ai valori [assolutamente sbagliato].
   Sul terreno dell’esegesi testuale i sequenzialisti non hanno tuttavia potuto provare che questo fosse realmente l’approccio di Marx al problema del valore. Una cosa infatti è sostenere che la TSSI è una costruzione teorica logicamente coerente, se si accettano le sue premesse (discutibilissime); altro è affermare che essa fornisce una corretta interpretazione del pensiero di Marx. Questi – come è noto – non valutava il valore in unità di moneta, ma in unità di lavoro astratto socialmente necessario.[come è noto, Marx calcolava il valore sia in termini di lavoro astratto che di moneta, tanto è vero che i suoi esempi numerici sono il più delle volte in moneta].
   Postulare l’uguaglianza tra neovalore e lavoro vivo o diretto equivale ad assumere che il postulato marxiano di invarianza a livello aggregato tra la somma dei valori-lavoro e la somma dei prezzi di produzione delle merci sia da riferire al prodotto netto del sistema, anziché al prodotto lordo [questo è un altro elemento del tutto estraneo al TSS e per di più profondamente sbagliato]. Ovviamente, questa è un’assunzione perfettamente legittima (può apparire addirittura intuitiva a chi condivide una certa visione preanalitica), ma che va giustificata, quando la produzione non avviene con il solo impiego di lavoro, ma richiede anche l’impiego di capitale fisico, cioè di mezzi materiali. Purtroppo, siamo ancora in attesa che qualcuno fornisca questa giustificazione [io penso che avremo molto da aspettare].
   Va anche ricordato che alla coerenza logica della ‘nuova ortodossia marxista’ sostenuta dai successivisti sono state mosse varie critiche. Si è anzitutto obiettato all’idea di fondo, tipica di tutti i single systems, che valori e prezzi formino un unico sistema di equazioni, da risolvere simultaneamente [ovviamente, non ti rifersisci al TSS]. Si è inoltre contestata l’idea che in equilibrio i beni debbano scambiarsi ai loro valori [di nuovo, nulla a che fare col TSS]. Altre critiche riguardano l’impossibilità, seguendo questa impostazione, di distinguere il lavoro necessario dal pluslavoro e di costruire in base a questa distinzione una teoria dello sfruttamento capitalistico [andiamo di male in peggio]. Questo è oggi, obiettivamente, mi pare sia lo stato del problema. [scusami, ma a me questo pare lo stato della confusione].

 

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-------- Messaggio Originale --------
Oggetto:     Re: [marxiana] Il dibattito TSSI - replica a Duccio Cavalieri
Data:     Sat, 08 May 2010 16:04:37 +0200
Da:     ASCANIO <ascaniober@...>
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Referenze:     <0C327F1B46FE4C13BB49DB91735F031D@PCDuccio>
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Replica al contributo di Duccio Cavalieri del 07/05/2010 12:43

(C=Cavalieri - B=Bernardeschi)

1) C: "Che cosa è il TSSI? E' un approccio fondamentalista alla teoria marxiana del valore". B: Non mi piace etichettare, ma dovendo scendere su questo piano, io ritengo che siano fondamentalisti gli approcci che considerano logicamente infondato tutto ciò che contraddice lo schema della scuola sraffiana (si badi bene, non di Sraffa, che era molto più cauto dei suoi seguaci).

2) C: "è una teoria monetaria del valore, in cui il lavoro è considerato la sostanza del valore e la moneta ne costituisce la forma". B: Per essere più precisi: il lavoro è la sostanza del valore; il tempo di lavoro socialmente necessario ne è la misura immanente; il denaro ne è la misura esterna NECESSARIA (sottolineo necessaria). Questo concetto, ripetuto da Marx più volte, viene ignorato da quasi tutti i suoi critici. Per Marx infatti non è possibile, nella pratica degli agenti economici, misurare il tempo di lavoro socilamente necessario: esso si manifesta fenomenicamente nel denaro. Invito a riflettere sul fatto che nei numerosissimi esempi numerici che Marx fa nel "Capitale", egli utilizza assai di più le somme di denaro che rapresentano un quid di valore (di lavoro) piuttosto che le ore di lavoro stesse.

3) C: "Il TSSI non è un approccio di equilibrio e non rende uniforme nei vari settori il saggio di profitto calcolato sul costo di riproduzione". B: Che non sia un approccio di equilibrio è un dato di fatto di cui i sostenitori sono orgogliosi. Che debba essere reso uniforme il saggio di profitto dei vari settori calcolato sul costo di riproduzione è una necessità che non appartiene al sistema di analisi di Marx, ma è un'ipotesi aprioristica dei sistemi di derivazione sraffiana. Io non sono un economista, bensì un semplice ragioniere e so come funziona la contabilità delle imprese. Il profitto (e il saggio di profitto) vengono misurati considerando il capitale effettivamente impiegato, cioè l'esborso monetario effettivamente sostenuto per acquistare i fattori produttivi (capitale costante e variabile). Che poi si debba tener conto, in sede di valutazioni (ammortamenti, valore delle scorte ecc.) , delle variazioni di prezzo che alcuni di quegli elementi (non certo il capitale variabile, però) hanno subito nel frattempo è un altro paio di maniche. E gli operatori economici fanno le loro scelte (per esempio decidono se spostare o meno i capitali da un settore all'altro) in base al saggio di profitto così calcolato. Ma loro, come me, non sono economisti, e senz'altro si sbagliano. Un altro problema di cui non ho certezze e che chiedo a qualcuno della lista che mi venga chiarito: esiste nella pratica la possibilità per gli agenti economici di conoscere i prezzi di riproduzione e il saggio del profitto ad essi corrispondente?

4) C: "Non vi è quindi alcuna necessità di configurare uno scambio tra equivalenti". B: Lo scambio tra equivalenti invece è presupposto. Solo che l'equivalenza si deve registrare tra i valori delle merci AL MOMENTO DELLO SCAMBIO, che è diverso per gli input e per gli output. Cioè quando acquisto frza lavoro e mezzi di produzione pago l'equivalente che valgono a quel momento. Quando vendo la merce, pago l'equivalente a quel momento successivo. Se dovessi considerare il valore o i prezzi degli input al momento della vendita del prdotto, allora sì, avverrebbe davvero che per questi input considero un valore che non è quello sostenuto, non cnsidero l'equivalente all'atto dell'acquisto.

5) C: "In tale contesto, in cui il tempo è esplicitamente introdotto nell’analisi, il prezzo può essere considerato il modo in cui si manifesta il valore nell’ambito di un unico sistema, nel quale i valori vengono ridefiniti e sono valutati ai prezzi correnti. Essi perdono quindi il significato che avevano nel sistema teorico ricardiano-marxiano". B: Non esiste un sistema teorico
ricardiano-marxiano. Pur con i debiti di Marx verso Ricardo, il suo sistema teorico è una rottura rispetto a quello di Ricardo. I valori di Marx non hanno lo stesso significato di quelli di Ricardo.

6) C: "Si può di conseguenza comprendere come qualcuno sia arrivato a concludere che, a prescindere dal fatto se tale sistema teorico possa essere o meno considerato una corretta reinterpretazione di quello di Marx, esso può apparire logicamente coerente, una volta che si accolgano le sue discutibili premesse, che includono la dogmatica assunzione marxiana dell’uguaglianza tra il neovalore e il lavoro vivo. E si spiega come i sequenzialisti possano sostenere che tale sistema è in grado di superare le critiche rivolte sotto questo aspetto alla teoria marxiana e consente di replicare i risultati teorici che Marx riteneva di avere raggiunto".B: Cavalieri si autodefinisce "marxista critico". Ma se si abbandona l'assunzione, da lui definita "dogmatica", che tutto il neovalore scaturisce dal lavoro vivo, non resta niente di Marx. Non si tratta quindi di essere marxisti dogmatici o critici, ma di essere marxisti o non marxisti. Naturalmente i non marxisti hanno tutto il mio rispetto e non nego alcuni risultati scientifici che hanno prodotto, ma è bene che sia chiara la differenza. E che si confuti Marx all'interno del suo sistema di analisi e non di quello di Sraffa, così come la coerenza del sistema Sraffa deve essere esaminata al suo interno, non all'interno del sistema di Marx. Altra cosa è confrontare i due sistemi sulla base dei diversi presupposti, ipotesi, finalità della ricerca, risultati ecc.

7) C: "L’approccio ‘sequenzialista’ va visto, in sostanza, come un tentativo di restituire coerenza logica alla teoria del valore di Marx, criticata dai neoricardiani. Un tentativo operato tenendo ferma l'assunzione di Marx che il lavoro vivo sia l'unica fonte del plusvalore..." B: Idem c.s.

8) C:"... introducendo nella teoria marxiana del valore l’elemento tempo e calcolando i prezzi di produzione delle merci senza fare alcun riferimento ai valori". B: Mah. Il valore del capitale costante e del capitale variabile viene considerato attraverso il valore rappresentato dal denaro esborsato (fin qui anche Dumenil, Foley, Moseley ecc ecc sono d'accordo e perfino Sraffa offre alcuni spunti che potrebbero essere sviluppati in questa direzione). Il lavoro vivo costituisce il neovalore aggiunto al valore del capitale costante. Questo consente di deternminare gli aggregati economici che determinano il saggio generale del profitto. Il quale poi determina la redistribuzione del plusvalore tra i settori. Mi sembra che i valori ci sono eccome; che senza di essi non si potrebero determinare i prezzi. Solo che non siamo in un sistema duale in cui il sistema dei prezzi si poteva deterninare indipendentemente da quello dei valori (Bortkiewicz ecc) esponendosi all'ironica considerazione di Samuelson (cito a memoria): "1 si determinano i valori; 2 si cancellano i valori; 3 si deteminano i prezzi ed ecco risolta la trasformazione dei valori in prezzi".

9) C: "Sul terreno dell’esegesi testuale i sequenzialisti non hanno tuttavia potuto provare che questo fosse realmente l’approccio di Marx al problema del valore. Una cosa infatti è sostenere che la TSSI è una costruzione teorica logicamente coerente, se si accettano le sue premesse (discutibilissime) ; altro è affermare che essa fornisce una corretta interpretazione del pensiero di Marx. Questi – come è noto – non valutava il valore in unità di moneta, ma in unità di lavoro astratto socialmente necessario". B: Si veda il punto 2).

10) C: " Postulare l’uguaglianza tra neovalore e lavoro vivo o diretto equivale ad assumere che il postulato marxiano di invarianza a livello aggregato tra la somma dei valori-lavoro e la somma dei prezzi di produzione delle merci sia da riferire al prodotto netto del sistema, anziché al prodotto lordo. Ovviamente, questa è un’assunzione perfettamente legittima (può apparire addirittura intuitiva a chi condivide una certa visione preanalitica), ma che va giustificata, quando la produzione non avviene con il solo impiego di lavoro, ma richiede anche l’impiego di capitale fisico, cioè di mezzi materiali. Purtroppo, siamo ancora in attesa che qualcuno fornisca questa giustificazione". B: Si dà il caso che nel TSSI (e in Marx) vale che l'invarianza a livello di aggregati funziona sia per il prodotto netto del sistema (il neovalore) che è uguale al lavoro vivo utilizzato, sia per il prodotto lordo che è uguale al neovalore più il valore del capitale costante trasferito nel prodotto stesso.

11) C: "Si è anzitutto obiettato all’idea di fondo, tipica di tutti i /single systems/,/ /che valori e prezzi formino un unico sistema di equazioni, da risolvere simultaneamente". B: Si veda il punto 9.

12) C: "Si è inoltre contestata l’idea che in equilibrio i beni debbano scambiarsi ai loro valori". B: A parte che il TSS esplicitamente si pone il problema di spiegare anche un sistema non in equilibrio (e le sue formulazioni più generali includono perfino l'esistenza di saggi del profitto differenziati); a parte che l'assenza di equilibrio è la regola e l'equilibrio è qualcosa a cui ci si avvicina progressivamente e da cui ci si allontana ad ogni scossone (scossone che pure è la regola e quindi l'equilibrio non si raggiunge mai); a parte tutto ciò anche quei visionari del TSS affermano che i beni si scambiano ai loro prezzi. Con la sola precisazione che i valori degli input corrispondono al valore rappresentato dal denaro speso per acquistare forza lavoro e mezzi di produzione ai prezzi vigenti all'atto dell'acquisto.

13) C: "Altre critiche riguardano l’impossibilità, seguendo questa impostazione, di distinguere il lavoro necessario dal pluslavoro e di costruire in base a questa distinzione una teoria dello sfruttamento capitalistico". B: Non conosco questo tipo di critiche e mi piacerebbe che qualcuno della lista, o lo stesso Cavalieri, mi fornissero qualche riferimento in proposito.

14) C: "Questo è oggi, obiettivamente, mi pare sia lo stato del problema". B: Questo è oggi, obiettivamente, lo stato del problema così come è pensato da Cavalieri.

 

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-------- Messaggio Originale --------
Oggetto:     [marxiana] Il dibattito TSSI
Data:     Sat, 8 May 2010 23:02:12 +0200
Da:     Duccio Cavalieri <duccio.cavalieri1@...>
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Ringrazio Mino Carchedi e Ascanio Bernardeschi per le loro risposte. Esse mi inducono a fare alcune brevi precisazioni.


1) Non era mia intenzione attribuire all'aggettivo 'fondamentalista' un significato peggiorativo. E lo stesso vale per l'aggettivo 'sequenzialista' (che trovo preferibile a 'temporalista' e a 'successivista').
 
2) Quando parlo di valori trasformati, intendo trasformati in moneta.
 
3) Provo a riformulare, sperando di renderla più comprensibile, una mia frase che ha suscitato un'ingiustificata reazione di Mino Carchedi: "Ferma restando la tecnologia del sistema produttivo, i prezzi possono cambiare nel corso del processo di produzione delle merci. Il prezzo di una merce utilizzata come input in un dato periodo (un valore trasformato del periodo precedente, ma non ancora trasformato nel periodo che si considera) può non essere lo stesso della medesima merce ottenuta come output (un valore trasformato nel periodo in corso, che tornerà a essere considerato non trasformato all'inizio del periodo immediatamente successivo). Il valore degli inputs di ogni periodo è uguale a quello degli outputs del periodo precedente, ma non è necessariamente uguale a quello degli outputs dello stesso periodo, perché i momenti in cui essi vengono presi in considerazione non sono simultanei, ma diacronicamente distinti, e nell'intervallo di tempo la produttività può subire delle variazioni. A meno che si ipotizzi di ragionare nell’ambito di una teoria del capitale in steady state".
 
4) Si può non accogliere la teoria pura del valore-lavoro (la legge del valore di Marx) e ritenersi nondimeno un marxista (critico). Claudio Napoleoni ne è un esempio. Altri illustri esempi: Lukàcs, Fromm, Adorno, Marcuse, Korsch, Schaff e molti altri esponenti del cosiddetto 'marxismo critico occidentale'.
 
5) Al punto 13 di Ascanio rispondo che si possono vedere le critiche mosse alla TSSI da Rieu, 2000;  Mongiovi, 2002; Mohun, 2003; Fine, Saad-Filho e Lapavitsas (2004) e Veneziani, 2004 e 2005.
 
Cordialmente.        d.c.

 

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-------- Messaggio Originale --------
Oggetto:     Re: [marxiana] Il dibattito TSSI
Data:     Sun, 9 May 2010 09:41:22 +0200
Da:     guglielmo carchedi <carchedi38@...>
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A:     This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Referenze:     <F6C95262BA294004BFEC5716A29E5382@PCDuccio>

 

"2) Quando parlo di valori trasformati, intendo trasformati in moneta". Caro Cavalieri, è  ovvio che puoi definire i valori trasformati come valori trasformati in moneta. Però così facendo non solo mischi due aspetti diversi della teoria di Marx ma ti poni anche al di fuori della discussione come si è sviluppata fin dalla publicazione del terzo volume del Capitale. La trasformazione (nel senso di cambiamento di forma, e cioè cambiamento qualitativo piuttosto che quantitativo) dei valori come (quantità di) lavoro in (quantità di) moneta  è semplicemente la teoria della moneta di Marx. Se si è studiato questo aspetto, si vede come Marx possa parlare intercambiabilmente di valore sia in termini di ore di lavoro che di quantità di moneta.

 
Ora, il cosidetto 'problema' della trasformazione è tutt'altra cosa, esso riguarda la incoerenza logica in Marx che sorgerebbe una volta che si introducono i prezzi di produzione, cioè l'egualizzazione dei tassi di profitto. Questo è un cambiamento quantitativo, piuttosto che qualitativo, e cioè riguarda la redistribuzione di una data quantità, del plusvalore creato, a causa della ugualizzazione dei tassi di profitto. Questo problema c'è o non c'è sia che si ragioni in termini di lavoro che di moneta. Qui il valore non trasformato è quello prima della ugualizzazione dei tassi di profitto (detto anche valore contenuto) e quello trasformato è quello dopo tale ugualizzazione (detto anche prezzo di produzione, secondo la terminologia di Marx). È importante tenere i due aspetti della teoria separati (la trasformazione qualitativa del valore-lavoro in valore-moneta e la trasformazione quantitativa del valore prima e dopo l'ugualizzazione dei tassi di profitto), anche se vi sono ovvie connesioni tra di essi.
 
Una volta fatto ciò si capisce come dal punto di vista temporale i valori siano sempre una espressione monetaria di ore di lavoro umano, sia che si condideri il valore prima della ugualizzazione che dopo. Infatti, il valore contenuto, quello degli inputs quando essi entrano nel periodo t1-t2, è il loro stesso valore come outputs del periodo t0-t1 e quindi dopo l'ugualizzazione dei tassi di profitto nel periodo precedente. (Una merce venduta come output di un periodo e comprata come input del periodo successivo è comprata e venduta ovviamente allo stesso prezzo). Il valore è sempre lavoro umano espresso come moneta, sia degli inputs che degli outputs. È per questo che, nonostante che il valore sia degli inputs che degli outputs si possa esprimere in moneta, è assolutamente sbagliato pensare che il TSS sia una teoria monetaria, intesa come moneta scissa dal valore nel senso di Marx (si veda per esempio l'approccio della Value Form di Chris Arthur e altri). L'approccio temporale (quello di Marx) deve essere criticato perchè se è una teoria valida la critica lo può solo irrobustire. Ma ciò presuppone una sua rappresentazione corretta. Cordialmente,

Guglielmo Carchedi

 

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-------- Messaggio Originale --------
Oggetto:     Fw: [marxiana] Il 'Dibattito TSSI' - Le basi da cui ripartire per la ricerca nelle scienze sociali
Data:     Mon, 10 May 2010 15:35:54 +0200
Da:     antonio pagliarone <antonio.pagliarone@...>
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A:     <This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.>


Inoltro in calce un intervento di Luca Michelini sulla raccolta proposta da Francesco Macheda realtiva al TSSI. Non l'ho ancora letta, ma mi pare corretto farla circolare.
ante

----- Original Message -----
From: Luca Michelini
To: antonio pagliarone
Cc: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Sent: Monday, May 10, 2010 3:28 PM
Subject: R: [marxiana] Il 'Dibattito TSSI' - Le basi da cui ripartire per la ricerca nelle scienze sociali

Caro Pagliarone
cara rivista "Proteo"
caro Vasapollo
 
vi allego alcune riflessioni che mi ha suscitato la lettura del testo-antologia sulla teoria del valore di Marx. Se le ritenete interessanti per Proteo, fatemelo sapere: a me farebbe molto piacere.
Grazie e a presto
Luca Michelini

 

Sulla trasformazione dei valori in prezzi di produzione. A proposito del dibattito ospitato dalla rivista “Proteo”

di Luca Michelini*

 

1. Trovo molto opportuno e stimolante proporre una collazione del dibattito sulla teoria del valore di Marx ospitata sulle pagine di “Proteo”: ritengo infatti che il pensiero di Marx sia indispensabile e imprescindibile per comprendere il meccanismo di funzionamento del mondo in cui viviamo. Non mi soffermo ora sui singoli interventi, tutti ricchi di stimoli: mi limito a segnalare che non riesco bene a comprendere gli intenti di coloro che, pur rifiutando il pensiero economico di Marx, continuano a disquisirne e, spesso, ad utilizzarne le categorie interpretative. Beninteso: un autore non deve essere necessariamente accettato in blocco e tanto più Marx, che è ricchissimo di spunti interpretativi; al tempo stesso, però, trovo davvero singolare che taluni studiosi non si rendano conto che gran parte di questi spunti interpretativi, se non tutti, prendono origine da una costatazione lapalissiana, che anche la crisi attuale mette benissimo e statisticamente in luce1: fonte della ricchezza è, con la natura, il lavoro umano. Lo aveva chiarissimo in mente, un tempo, anche la tradizione liberale: a cominciare da A. Smith e finendo con J.M. Keynes2.

 

2. Prima di affrontare il tema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione, vorrei soffermarmi sui suoi presupposti. Prescindo, in prima battuta, dal tasso uniforme del profitto.

A tal fine mi riferisco alla medesima tabella semplificata proposta da Carchedi3.

 

 

C

V

C+V

P

P/V

Valori

C+V+P

offerta

R: saggio profitto settore

Prezzi:

C+V+Rg

Settore C

80

20

100

20

100%

120

20/100

Rc 20%

130

Rgc 30%

Settore V

60

40

100

40

100%

140

40/100

Rv 40%

130

Rgv 30%

domanda

140

60

200

60

 

260

Rg Saggio gen. profitto

60/200

30%

260

 

Questa tabella va letta fino alla colonna “prezzi” esclusa, visto che questa colonna implica l’introduzione dell’argomento “tasso uniforme intersettoriale del profitto”; è quindi altresì escluso il riquadro Rg, dove tale tasso è calcolato.

La tabella ci dice che:

  • a parità di capitale totale investito, cioè C + V (in entrambi i casi: 100)

  • a parità di saggio di sfruttamento, cioè P/V (= 100%)

  • con composizione organica differente, in C maggiore che in V;

Avremo che in ciascun settore è differente:

  • il plusvalore: in C, P = 20; in V, P = 40.

  • il saggio del profitto: in C, 20/100; in V: 40/100.

 

Più in particolare si evidenzia come:

  • Pv > Pc (Profitto in V > Profitto in C)

  • Rv > Rc (Saggi profitto in V > Saggio Profitto in C)

Infine, si evidenzia come a parità di investimento (C + V), ma con composizione organica differente, i valori prodotti sono differenti:

  • in C, ove maggiore è la composizione organica e minore sono il profitto e il saggio del profitto, il valore prodotto è minore (120);

  • in V, ove minore è la composizione organica e maggiore il profitto e il saggio del profitto, il valore prodotto è maggiore (140).

 

3. Marx ha dunque ribadito un’importante scoperta con questa tabellina, che avvalora la sua teoria:

  1. a parità di capitale investito (C + V) l’impiego di una quantità differente di lavoro vivo (V) produce differenti valori;

  2. a parità di capitale investito (C + V) maggiore è il lavoro vivo impiegato, e maggiore sono il profitto e il saggio di profitto.

 

In altre parole, là dove a parità di investimento (C + V), è maggiore la proporzione di forza-lavoro (V), sono maggiori il profitto (P) e il saggio del profitto (R). A parità di investimento (C+V) avrebbe inficiato la teoria del valore di Marx constatare che, con differenti composizioni organiche del capitale, si sarebbero prodotti valori uguali.

 

4. Fino a questo punto, dunque, esistono solo saggi del profitto di “settore”, cioè nei settori di produzione di C e di V. Ancora non si è formato un saggio generale del profitto; né si sono formati dei prezzi di produzione: abbiamo solo valori.

Ora leggiamo anche le cifre delle tabelle “prezzi” e il riquadro “saggio generale del profitto”.

Il procedimento logico che comunemente si usa è il seguente.

Data l’esistenza di un saggio generale uniforme del profitto, avremo che:

 

  • Questo saggio generale del profitto è Rg = 60/200; dato dalla relazione tra P totale e C + V totali;

  • Il saggio generale del profitto è diverso da quelli (R) di settore, con:

Rg (30/100)>Rc (20/100)

Rg (30/100)<Rv (40/100)

 

  • Si calcolano i prezzi in base a Rg: entrambi i prezzi sono di 130, poiché a parità di investimento (C + V = 100) e a parità di Rg, avremo i prezzi = 130, dati da (C + V: 100) + Rg (30)

 

Questo calcolo ci mostra come nei settori C e V avviene una “redistribuzione” del plusvalore4, o, in altri termini, una “appropriazione”5 di plusvalore, tale che viene realizzato un quid in più o in meno del valore prodotto. Una “redistribuzione” o “appropriazione” che avvantaggia il settore C dove minore è P ed R, rispetto al settore C.

 

5. Siamo quindi arrivati ad uno snodo teorico importante.

Da un lato, secondo i critici del pensiero economico di Marx, la “trasformazione” dimostra come a lavoro vivo differente, si arrivi a valori uguali, e quindi che a lavoro vivo uguale si arriva a valori differenti: la teoria fondata sul lavoro contenuto parrebbe “incoerente” in quanto il lavoro incorporato non è misura del valore.

Dall’altro lato, secondo i sostenitori del pensiero di Marx (ed il sottoscritto tra questi), si sottolinea, in primo luogo, come la non coincidenza tra valori e prezzi si fondi su una “redistribuzione” o “appropriazione” di plusvalore.

In secondo luogo, secondo costoro è evidente, e di grande importanza teorica e pratica, il fatto che la cosiddetta “trasformazione” avviene nella circolazione e non nella produzione della ricchezza. E’ quindi la circolazione che ridistribuisce il plusvalore o altera l’appropriazione del plusvalore e fa sì che i prezzi divergano dai valori. In altri termini, la categoria fondamentale per comprendere il modo di produzione capitalistico rimane quella del plusvalore, e di conseguenza il testo fondamentale è il primo Libro del Capitale. E’ quindi del tutto legittimo, ritengo, pensare, con diversi studiosi pensano, che il celebre ragionamento di Marx volto a mettere del tutto in secondo piano le difficoltà logico-simultaneiste della teoria valore fondata sul lavoro contenuto6 debba spingere a ritenere del tutto inutilizzabile il primo Libro; penso sia altrettanto legittimo, però, ritenere, come ritiene il sottoscritto, che rinunciare al Primo libro implichi rinunciare a spiegare gran parte del mondo che ci circonda. Recuperare, come oggi tutti recuperano in gran fretta, Keynes i manuali di economia dell’immediato secondo dopoguerra (personalmente consiglio Di Fenizio, Hoepli, 1949), significa porsi quegli stessi problemi che si pose Marx solo grazie alle categorie del primo Libro; naturalmente, interpretazioni e soluzioni a quei problemi possono anche divergere.

In terzo luogo, il ruolo svolto dalla circolazione è tale, per cui viene del tutto oscurata7 l’origine del plusvalore e alcune fondamentali leggi del capitalismo e non si riesce ad offrire un quadro d’insieme capace di spiegare il movimento del capitalismo.

Infine, per coloro che ritengono euristicamente feconda l’impostazione marxiana, la contraddizione tra valore e prezzi lungi da costituire un problema logico-matematico e di tenuta dell’intero sistema, costituisce una importantissima chiave di lettura per comprendere, nella pratica come in teoria, come interagisce il mondo della produzione (C+V) con il mondo della circolazione. Non a caso il tema della trasformazione è propedeutico, nel Terzo Libro del Capitale, allo studio di importanti fattori dell’evoluzione socio-economica del capitalismo. Dall’indice del volume riportiamo i seguenti argomenti: legge della caduta del saggio di profitto; capitale commerciale; ripartizione del profitto in interesse e utile d’impresa (che disquisisce anche di credito e di capitale fittizio); rendita fondiaria.

 

6. Rimane ora da capire se utilizzare il termine di “redistribuzione” oppure quello di “appropriazione” sia equivalente. Per rispondere a questo quesito, dobbiamo chiederci: come avviene nel concreto questa redistribuzione o questa appropriazione?

Dal punto di vista logico-matematico il procedimento che abbiamo adottato è stato il seguente: una volta che si sa, cioè che sono conosciuti, il capitale investito (C+V) e il profitto totale (dato da Pc+Pv), si calcola poi il saggio generale del profitto. Scoperto così Rg, si producono quindi i Prezzi come C+V+Rg.

Ma in concreto, nella realtà, come avviene questo processo?

 

7. Carchedi descrive la redistribuzione in questi termini:

Ora, se le imprese nel settore C ricavano un tasso di profitto inferiore a quelle nel settore V, vi sarà una tendenza a disinvestire nel primo settore e a investire nel secondo. La produzione e quindi l’offerta nel settore C diminuisce e quella nel settore V aumenta. Se la distribuzione della domanda (cioè del potere d’acquisto) tra i due settori è invariata, i prezzi aumentano nel settore C e cadono nel settore V. Lo stesso vale per i tassi di profitto: il tasso nel settore C cresce al di sopra del 20% e quello nel settore V cade al di sotto del 40%. Cioè vi è una tendenziale perequazione dei tassi di profitto verso (20+40)/(80+20+60+40)= 60/200 = 30%.”8

 

Qui il punto rilevante per la formazione del tasso uniforme del profitto è il seguente: il capitale accorre dove maggiori sono i profitti e il tasso di profitto: accorre quindi da C verso V. Questo processo però provoca dei cambiamenti nei due settori:

  1. in C si disinveste, mentre si investe in V;

  2. a parità di domanda, in C i prezzi, il profitto e il saggio di profitto, aumentano;

  3. viceversa nell’altro settore.

  4. Si genera quindi una forza che tende a riequilibrare i saggi di profitto di settore verso un unico saggio generale del profitto.

 

8. Ora torniamo alla tabella, sempre escludendo i Prezzi e soffermandoci sui soli Valori.

La precedente tabella rappresenta anche la circolazione della produzione semplice (senza accumulazione: tutto P è speso in V): il valore totale prodotto è 260; di cui 140 in C; ne avanza 120: di cui 60 in V, e 60 in P.

Abbiamo una produzione dal lato dell’offerta così distribuita:

  • C = 120 e V = 140;

  • ma dal lato della domanda, abbiamo: C = 140 e V + P (domanda globale) = 120.

  • Quindi abbiamo un eccesso di domanda di C = 20 (140-120)

  • e abbiamo un eccesso di offerta di V = 20 (140-120).

 

Questi “eccessi” sono tali per cui il Valore sarà differente dal Prezzo, in ciascun settore:

  1. Prezzo di C maggiore valore di C; prezzo di V minore valore di V.

  2. In effetti, queste direzioni corrispondono alla differenze tra Prezzi e Valori, allorquando si inserisce Rg: Il Prezzo di V è infatti 130 invece che 120; e il Prezzo di V è 130 invece di 140.

  3. Venduti a questi Prezzi, avremo che i rispettivi saggi del Profitto sono differenti: il Saggio di Profitto realizzato in C è maggiore di Rc e quello realizzato in V è minore di Rv.

 

Il risultato finale è il seguente: capitali liquidi uguali (C+V=100), ma con composizione organica differente, producono merci dello stesso prezzo: il valore (dato da C+V+P) differisce dai Prezzi (dati da C+V+Rg) perché esiste un extra-profitto (che può essere uguale, maggiore o minore di zero, con Rg oppure = P) dato da “eccessi” di domanda o di offerta.

Sono tuttavia questi “eccessi” a mettere in moto il travaso da C a V, perché comunque esiste ancora una differenza tra Rc e Rv, risultando il secondo maggiore del primo. Si mette dunque in moto il meccanismo di variazione dei saggi di profitto di settore.

 

9. Proviamo ora a calcolare i Rc e Rv considerando come Prezzo di mercato il Valore rispettivamente della domanda di C (140, +20 rispetto al valore) e della offerta di V (140, +20 rispetto alla domanda globale). Insomma, come se gli eccessi di domanda per C e di offerta per V determinassero il Profitto e quindi il Saggio di Profitto dei rispettivi settori.

Venduti al prezzo di 140, il Profitto in C non sarebbe più di 20, ma di 40 e quindi il saggio di profitto invece che del 20% sarebbe del 40% (40/100).

Venduti al prezzo di 120 il Profitto in V sarebbe non più 40, ma 20 e quindi il saggio del profitto invece che del 40% sarebbe del 20% (20/100). Il tutto con un Saggio generale del profitto invariato (35%). Insomma, questi “eccessi” sarebbero tali per cui il processo che porta il capitale liquido da C a V non ci sarebbe. Anzi, la direzione sarebbe esattamente contraria: da V verso C.

Riassumendo: eccessi di domanda di C e di offerta di V, portano a Prezzi differenti dai Valori, nel senso che il Prezzo di C è maggiore del Valore di C, e quindi anche il Profitto e il Saggio del Profitto, e viceversa. Questi “eccessi”, tuttavia, possono comportare anche che il meccanismo di travaso dei capitali da un settore all’altro non si generi, o si generi in senso contrario da quello postulato inizialmente.

Potremmo forse concludere che solo casualmente il saggio generale del profitto è raggiungibile sulla base di “eccessi” di domanda o di offerta di C e V. Meglio ancora: potremmo forse concludere che sono le leggi, se ve ne sono, che generano l’extraprofitto di settore a spiegare come sia possibile generare il saggio generale del profitto e la direzione degli spostamenti di capitale liquido tra settori. Per esempio Marx sottolinea come l’esistenza di questo saggio generale del profitto dipenda dal grado di mobilità del capitale e della forza-lavoro9. Si tratta di argomenti che concernono lo “studio specifico della concorrenza”. Per esempio, la perfetta mobilità del capitale “presuppone una completa libertà di commercio all’interno della società e l’eliminazione di ogni monopolio che non sia quello naturale, cioè nascente dal modo stesso capitalistico di produzione. Presuppone inoltre lo sviluppi del sistema del credito, che concentra di fronte ai singoli capitalisti la massa inorganica del capitale sociale disponibile e, infine, la sottomissione a capitalisti delle diverse sfere di produzione”10.

 

10. Tutto semplice, dunque? Lo stesso Marx, che pure afferma che è grazie al fatto che il capitale si ripartisce “fra le diverse sfere a seconda che il saggio di profitto qui sale e là scende” generando “un tale rapporto fra domanda ed offerta, che il profitto medio nelle diverse sfere di produzione diventa lo stesso”11, è lo stesso Marx, dicevo, che scrive: “Il problema veramente difficile è come avvenga questo livellamento dei profitti in un saggio generale di profitto, dato che questo, evidentemente, può essere solo un risultato, non un punto di partenza”12. E’ appunto il programma di lavoro che Marx si prefiggeva di raggiungere nel III Libro.

Un esempio. Leggendo Marx13 si può evincere che “appropriazione” implica il seguente processo: il capitale liquido (in cerca di immobilizzarsi in C e V) esige che venga retribuito ovunque nello stesso modo, cioè con un saggio uniforme del profitto. Data, supposta questa esigenza, prezzi e valori non coincidono. Utilizzare il termine “esige” non significa proporre interpretazioni “psicologiche”. Invece, a me pare evidente che ciò che va spiegato è il saggio generale del profitto, cioè come esso si genere effettivamente nella storia e nel mercato. Ciò che le discussioni sulla “trasformazione” danno per scontato, cioè l’esistenza di un saggio generale del profitto, va invece spiegato. In altri termini, la domanda della cosiddetta “trasformazione” diventa la seguente: come accade che, nel concreto processo storico, il capitale in cerca di investimento pensa e impone di poter essere remunerato allo stesso modo indipendentemente dalla composizione organica del capitale? A me pare questa la domanda vera a cui va risposto. Una domanda che implica di capire come (cioè in quali forme logico-storiche) il “capitale liquido” si emancipa dal capitale industriale, cioè dal concreto investimento in C e V. E’ insomma la nascita di un mercato dei “capitali liquidi”, in cerca di profitto, a generare la tendenza all’uniformità del saggio di profitto. Non è chi non veda l’estrema attualità di questa domanda, visto che postula la nascita e l’interazione tra economia reale (C e V) e “capitale liquido”.

Poiché nella produzione capitalistica si tratta di “ricavare, per il capitale anticipato nella produzione, lo stesso plusvalore o profitto di ogni altro capitale della stessa grandezza, o pro rata della sua grandezza, in qualunque ramo della produzione sia impiegato”, ovvero poiché “si tratta di vendere le merci, come minimo, a prezzi che arrechino profitto medio, cioè a prezzi di produzione”, il capitale “prende in questa forma coscienza di sé come potenza sociale”: è “indifferente allo specifico valore d’uso e, in generale, alla particolarità della merce che produce”. “In ogni sfera di produzione” alla produzione capitalistica non “importa che di produrre plusvalore, di appropriarsi nel prodotto del lavoro una determinata quantità di lavoro non retribuito”14. Poco più avanti specificherà come sia necessario considerare “ogni capitalista (…) come puro e semplice azionista dell’impresa complessiva”, come colui “che partecipa al profitto totale pro rata dell’ammontare della sua quota di capitale”15.

 

* Università LUM J. Monnet di Bari.
1 Aumenta il risparmio mentre il saggio d’interesse è zero: quel fenomeno che Keynes definisce con il termine di “trappola della liquidità”; un fenomeno che per essere colto in tutta la sua importanza euristica deve essere però messo in relazione al saggio di profitto (all’efficienza marginale del capitale, in termini keynesiani) e alla diseguaglianza di reddito, cioè all’esistenza, nei paesi ricchi, di un’enorme quantità di risparmio che non si traduce in investimenti (rimando a L. Michelini, Per Krugman, (ben) oltre Krugman, “Italianieuropei”, 2009, n. 5).
2 A differenza di Keynes, e di tutti i cosiddetti “socialisti ricardiani” e di Proudhon (poi ripreso da Gesell e quindi da Keynes), Marx tuttavia non pensava che il rimedio alla crisi potesse essere lo scambio dei prodotti al loro lavoro contenuto, bensì l’uscita dell’umanità da un’economia di mercato, cioè un’economia fondata sul tempo di lavoro come misura della ricchezza (cfr. L. Michelini, Dal lavoro astratto al general intellect: l’utopia sociale di Marx e di Engels, “Studi storici”, 2005, n. 3). Rimane però da capire, con analisi appropriata, se un’economia di tipo keynesiano non possa spingere, dato un “blocco storico” capace di indirizzarvela “egemonicamente” (utilizzo termini gramsciani), al superamento dell’economia di mercato: cfr. P. Mattick, Marx e Keynes. I limiti dell’economia mista, De Donato, 1972.
3 G. Carchedi, Il problema inesistente: la trasformazione dei valori in prezzi in parole semplici, in F. Macheda, a cura di, La validità della teoria del valore-lavoro e la tendenza alla crisi. Raccolta di scritti sulla Temporal Single-System Interpretation, Edizioni Autonome, 2010, p. 21.
4 Ibid., p. 22.
5 Ibid., p. 22.
6 “Resta (…) sempre esatta la proposizione che il prezzo di costo delle merci è sempre inferiore al loro valore. Infatti, per quanto il prezzo di costo delle merci possa divergere dal valore dei mezzi di produzione in essa consumati, al capitalista questo errore trascorso è indifferente. Il prezzo di costo della merce è un prezzo dato, un presupposto indipendente dalla produzione del capitalista, mentre il risultato della produzione di costui è una merce che contiene plusvalore; dunque, eccedenza di valore sul prezzo di costo”: K. Marx, Il Capitale, Libro terzo, a cura di B. Maffi, Utet, 1987, p.215.
7 Nei fatti, prima che nelle coscienze e nelle teorie, visto che al capitalista importa il profitto e il saggio di profitto; in altri termini, il capitalista, come il capitalismo, non distingue (prescindendo dalla rendita) tra profitto ed extra-profitto di settore.
8 G. Carchedi, Il problema inesistente: la trasformazione dei valori in prezzi in parole semplici, p. 22.
9 K. Marx, Il Capitale, Libro terzo, p. 252.
10 Ibid., p. 252.
11 Ibid., p. 252.
12 Ibid., p. 226. Vi sono stati studiosi, come G. Pietranera (cfr. l’Introduzione a R. Hilferding, Il capitale finanziario, Feltrinelli, 1960) ed A. Macchioro (Studi di storia del pensiero economico, Feltrinelli, Milano, 1970), che hanno finito per concludere che la formazione di un saggio uniforme del profitto non è possibile in economie che non sono dominate dalla concorrenza perfetta.
13 K. Marx, Il Capitale, Libro terzo, pp. 251 e sgg.
14 Ibid., p. 251.
15 Ibid., p. 268.

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