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ilpungolorosso

Chi finanzierà la finanziaria?

Falsari professionali

di Il Pungolo Rosso

incontro fra meloni salvini e tajani in mattinataEntro il 31 dicembre il governo approverà la Legge Finanziaria per il 2025. Le anticipazioni hanno riempito le cronache con promesse e buffonerie à la Salvini che sono state largamente disattese. Intanto abbiamo scoperto le attitudini filo-proletarie del ministro Giorgetti in virtù delle quali egli dichiara di sapere dove stanno i soldi e a chi bisogna chiederli. Le sue prime esternazioni – l’intervista a Bloomberg – hanno fatto davvero temere che si fosse convertito al bolscevismo, ma le smentite alla sua volontà di tassare qualche patrimonio, un po’ di case e qualche rendita sono arrivate a stretto giro. Contro l’ipotesi di tassare le abitazioni che hanno usufruito della ristrutturazione col bonus al 110% si è levata la voce tonante di Angelo Bonelli. Lo sciagurato verde-sinistro non ne azzecca una: dopo aver dichiarato tutto il suo disgusto – come il nostro per lui – per la libertà di manifestare per la Palestina, unendosi al trio Piantedosi-Nordio-Crosetto, si è spinto in un impetuoso intervento alla Camera in difesa dei beneficiari del superbonus ristrutturazioni che, a detta dello stesso Giorgetti, sono per gran parte ville e villini “… di chi i sacrifici li può fare”.

Tornando al merito, bisogna dire che il consiglio dei ministri di mercoledì 16 ha varato il Documento programmatico di bilancio, una anteprima della finanziaria vera e propria e lo ha fatto con un netto anticipo rispetto al previsto per poter rispettare i tempi della Commissione Europea. Lo zelo è dovuto soprattutto al rischio di essere messi sotto procedura d’infrazione per eccesso di debito pubblico: l’Italia ancora non riesce a diminuirlo e nemmeno ad alzare il Pil e il famoso rapporto debito/Pil anche nel ’25 sarà del 3,3% – superiore a quanto chiedono gli accordi europei (3%) – e solo nel ’26 l’Italia arriverà al 2,8%. Il Documento (Dpb) si presenta essenzialmente come una serie di garanzie e di impegni a raggiungere gli standard europei.

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La Meloni riceve Larry Fink (BlackRock) a Roma e gli svende l’Italia

di OttolinaTV

Schermata del 2024 10 07 19 50 48.pngNei giorni in cui l’Iran e l’asse della resistenza mandavano un messaggio chiaro e forte all’imperialismo di tutto il mondo, anche l’Italia – e, in particolare, con il suo eroico presidente del consiglio Giorgia Meloni – non ha voluto essere da meno: da poco rientrata da New York dopo aver ritirato l’infame premio di miglior atlantista dell’anno, Giorgia la collaborazionista ha infatti ricevuto a palazzo Chigi Larry Fink, il presidente e amministratore delegato di BlackRock. Il messaggio è stato chiaro: oligarchi di tutto il mondo, unitevi! E fate dell’Italia quello che volete. Nel corso del colloquio, la madre cristiana e Fink hanno infatti discusso dei possibili investimenti del fondo finanziario americano nell’ambito dello sviluppo di data center e nelle infrastrutture energetiche di supporto; e il presidente dell’amministrazione coloniale ha inoltre prospettato al fondo di investimento americano l’opportunità di investire in Autostrade e in altri settori di natura strategica. Ma i due punti principali dell’incontro sono stati la possibilità di creare strumenti finanziari specifici da parte di BlackRock nell’ambito del famoso Piano Mattei e la definizione di prestiti obbligazionari per la ricostruzione dell’Ucraina, concepiti da BlackRock e garantiti politicamente dall’Italia; Blackrock che, ricordiamolo, gestisce un patrimonio di 10 mila miliardi di dollari (il valore del PIL di Germania e Giappone messi insieme) ed è tra i primi azionisti di gran parte delle grandi aziende occidentali, Italia inclusa. Negli ultimi giorni, Giuliano vi aveva raccontato della scalata di UniCredit a Commerzbank proprio grazie alla collaborazione del fondo di investimento e del suo ingresso con una quota del 3% in Leonardo, la principale industria degli armamenti italiana; in fatto di infrastrutture, strategiche o quasi, è bene ricordare che un altro grosso attore statunitense, il fondo KKR, ha recentemente comprato la rete fissa di Telecom Italia per 22 miliardi di euro.

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volerelaluna 

La sinistra necessaria: nuovi soggetti e nuove forme organizzative

di Fausto Bertinotti e Alfonso Gianni

9782262065959 0 536 0 75 290x220.jpgLe elezioni europee hanno confermato, al di là del dato numerico, l’egemonia della destra. Il loro esito, inoltre, ha assunto una rilevanza che va oltre il nuovo assetto dell’Europa. Lo scenario politico ne esce, anche sul versante nazionale, profondamente segnato. All’analisi dei risultati abbiamo dedicato, nell’immediato, due ampie analisi di Marco Revelli (https://volerelaluna.it/commenti/2024/06/13/elezioni-a-che-punto-e-la-notte/ e https://volerelaluna.it/commenti/2024/06/19/europa-occidente-il-canto-stonato-delle-anatre-zoppe/) e un primo intervento di Livio Pepino (https://volerelaluna.it/controcanto/2024/06/17/dopo-le-europee-la-necessita-di-un-dibattito-senza-reticenze/) teso a mettere sul tappeto alcune questioni aperte. La situazione interpella, peraltro, anche noi di Volere la Luna e i gruppi e movimenti che compongono il variegato arcipelago che ci ostiniamo a chiamare sinistra alternativa. Che fare? La domanda di sempre richiede oggi analisi particolarmente accurate e risposte all’altezza dei tempi bui che stiamo vivendo, in cui all’ormai consolidata vittoria del mercato si affiancano, in Italia, il consolidamento di una svolta autoritaria che non tollera dissenso e, sul piano internazionale, una guerra mondiale “a pezzi” che rischia di degenerare in guerra nucleare. Abbiamo, dunque, deciso di aprire, sul punto, un dibattito franco e – lo speriamo – capace di non fermarsi all’esistente e di individuare nuove modalità e nuove strade da percorrere. Le analisi e le proposte pubblicate rappresenteranno uno sforzo collettivo ma saranno tra loro assai diverse e impegneranno, per questo, solo i loro autori. Poi, a suo tempo, forti del confronto realizzato, proveremo a trarre delle conclusioni, magari in un’iniziativa di carattere nazionale su cui stiamo cominciando a ragionare. (la redazione)

* * * *

Non ci vuole solo coraggio, ma anche una buona dose di temerarietà nel cercare di rispondere alla domanda che Volere la Luna ci pone: “Che fare?”.

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Italia sotto shock: il paese rientra a scuola, ma invece dei prof ci trova Flavio Briatore

di OttolinaTV

briatore 740x437 1Oltre 7 milioni di studenti e poco meno di 700 mila insegnanti (oltre i quasi 200 mila tra personale amministrativo, tecnico e ausiliario); da stamattina si rimette completamente in moto quella che potremmo definire, in assoluto, la più grande industria del paese e anche quella che - probabilmente più di ogni altra – è indicativa del nostro stato di salute e del nostro grado di civiltà: l’industria della conoscenza o, come la definisce il nostro Federico Greco, l’industria della d’istruzione pubblica (con la d davanti). La scuola che infatti finiamo di ripopolare con oggi è una scuola che, in ossequio ai dettami del neoliberismo più fondamentalista, è stata e sarà sempre di più spogliata del suo ruolo fondamentale: la formazione di una cittadinanza consapevole che abbia tutti gli strumenti per partecipare attivamente e consapevolmente alla vita pubblica; un progetto di lunga durata, coltivato meticolosamente nel tempo, che rappresenta uno dei pilastri fondamentali di quella che noi definiamo, appunto, la Controrivoluzione Neoliberista – che, in soldoni, significa la guerra delle classi dominanti contro la democrazia. Io sono Letizia Lindi, di mestiere insegno storia e filosofia nelle scuole superiori e, con questo video, Ottolina Tv oggi ha deciso di salutare il ritorno sui banchi di scuola dei nostri ragazzi e dei miei colleghi ricostruendo, passo dopo passo, gli snodi fondamentali di questo crimine contro il popolo italiano che è stata la devastazione della scuola pubblica e cercando di fare una proposta concreta per riprendercela.

Il termine scuola significa oggi “luogo nel quale si attende allo studio”; in realtà, però, deriva dal latino schŏla che, a sua volta, deriva dal greco scholé e che in origine significa – udite, udite – tempo libero, un po’ come l’otium dei latini: quella parentesi dalle fatiche quotidiane durante la quale ci si dovrebbe poter occupare liberamente di coltivare le proprie predisposizioni intellettuali senza necessariamente avere secondi fini, giusto per il gusto di farlo.

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ilpungolorosso

Il DDL 1660: vivisezione di una legge liberticida

di Il Pungolo Rosso

Militanza graficaDa molti anni, con i più svariati pretesti, governi di diverso colore hanno introdotto leggi per limitare l’agibilità di scioperare, lottare, manifestare.

Il governo Meloni è deciso a proseguire questa operazione facendo fare alla repressione statale delle lotte e dello stesso dissenso un salto qualitativo e quantitativo attraverso il disegno di legge 1660, che dal 10 settembre è alla Camera per la discussione e la rapidissima approvazione.

Con questa “legge-manganello” il governo vuole regolare i conti con tutte le realtà ed esperienze di lotta in corso e creare gli strumenti giuridici necessari per prevenire e stroncare sul nascere i futuri, inevitabili conflitti sociali. La sempre più marcata tendenza alla guerra sul fronte esterno richiede sul fronte interno un contesto sociale pacificato, e a questo “lavorano” tutti gli apparati dello stato.

Introducendo nuovi reati e nuove aggravanti di pena, il DDL 1660 colpisce a un tempo le manifestazioni contro le guerre, a cominciare da quelle contro il genocidio dei palestinesi a Gaza, e quelle contro la costruzione di nuovi insediamenti militari; i picchetti operai; le proteste contro le “grandi opere”, la catastrofe ecologica, la speculazione energetica; le forme di lotta di cui questi movimenti si dotano per aumentare la propria efficacia come i blocchi stradali e ferroviari; le occupazioni di case sfitte. E contiene norme durissime contro qualsiasi forma di protesta e di resistenza, anche passiva, nelle carceri e nei Centri di reclusione degli immigrati senza permesso di soggiorno, perfino contro le proteste di familiari e solidali a loro supporto.

Il DDL 1660 arriva a punire anche il “terrorismo della parola”, cioè la detenzione di scritti che inneggiano alla lotta – dal momento che, gratta gratta, dietro il ricorso alla categoria “terrorismo”, usata apposta per creare paura, non c’è altro che la lotta di classe, la lotta al colonialismo e le lotte sociali ed ecologiste.

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lantidiplomatico

La «transizione energetica», Gramsci e la rivoluzione passiva

di Cristiano Sabino*

njosdbvnDavanti alla sconfitta rappresentata dal fascismo, Gramsci, in carcere, riflette sulle ragioni che hanno determinato il collasso del movimento progressista e – in generale – la crisi profonda degli stessi apparati e dei valori legati al liberalismo moderno e il contestuale prevalere di posizioni barbariche laddove si pensava che ormai dominassero l’alta cultura, il progresso, la civiltà e i diritti civili.

Contro le interpretazioni ottimistiche che dominavano all’interno del mondo liberale che derubricavano il fascismo a un fenomeno passeggero (Benedetto Croce) e in antitesi alle letture superficiali del mondo socialista e comunista che riconducevano il fascismo a niente di nuovo e di originale rispetto alle vecchie destre borghesi e nazionaliste (Amadeo Bordiga e Giacinto Menotti Serrati), Gramsci aveva capito che la forza del fascismo risiedeva proprio nella capacità di assumere elementi di modernizzazione provenienti dai settori sociali più avanzati e allo stesso tempo di sterilizzare la partecipazione popolare.

La "rivoluzione passiva" è dunque un concetto chiave nella teoria politica di Antonio Gramsci, utilizzato per descrivere un tipo di trasformazione sociale e politica in cui i cambiamenti avvengono senza una mobilitazione attiva delle masse popolari. Gramsci lo impiega per analizzare processi storici in cui il cambiamento non avviene attraverso una rivoluzione diretta e aperta, ma piuttosto come un processo graduale e controllato dall'alto, spesso senza sconvolgimenti radicali e con un compromesso a ribasso tra le classi dominanti per tagliare fuori i subalterni.

Il contrario di «rivoluzione passiva» è la «rivoluzione integrale», cioè l’«irruzione delle masse nella storia», il protagonismo popolare, la voce dei subalterni.

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lavoroesalute

L’Italia s’è destra…., destrissima, anzi fascista

Alba Vastano intervista Ascanio Celestini, artista antifascista

Schermata del 2024 07 08 16 47 28.png“… la celebrazione che di più si presenta come identitaria (parola che piace tanto ai fascisti in democrazia) per l’estrema destra è il giorno del ricordo istituito con una legge del 2003 quando è presidente del Consiglio proprio Silvio Berlusconi, quello che dichiarava di aver costituzionalizzato i fascisti. Primi firmatari sono due cresciuti nel partito di Almirante, cioè Roberto Menia e Ignazio La Russa. Quest’ultimo protagonista della politica di estrema destra da molti anni anche per le sue dichiarazioni contro l’azione partigiana di via Rasella e per la bizzarra collezione di cimeli fascisti.” (Ascanio Celestini)

“Se non si può parlare di “ritorno del fascismo”, è solo perché dall’Italia il fascismo non se n’è mai andato, ma ha continuato a scorrere sotterraneo, come un fiume carsico, riemergendo di tanto in tanto. Le sue riemersioni, da una trentina d’anni a questa parte, sono diventate sempre più frequenti, e il revisionismo storico, nella sua forma estrema, il rovescismo, ha svolto un ruolo determinante”. (Angelo D’Orsi, storico, saggista, studioso del pensiero gramsciano).

E’ evidente che la subcultura di estrema destra è dominante nel nostro Paese e non solo perché oggi vige un governo marcatamente di matrice fascista, ma perché quel modo di vedere la società e la teoria del capo che tutto può e a cui tutti devono essere subalterni prevale da sempre nella storia del nostro Paese. C’è l’uomo solo al comando dalla notte dei tempi a oggi: il principe, il re, il papa, il dittatore. E poi ci sono i sudditi, il popolo ‘bue’, quella porzione di maggioranza del popolo che necessità di essere comandata, sottomessa, svilita per sentirsi protetta.

Necessita di non pensare se non con un pensiero omologato, unico. Una sorta di sindrome psicotica e masochista.

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lafionda

La banalizzazione dell’antifascismo

di Francesco Ricciardi

Ieri, sul palco dell’Associazione Nazionale Partigiani italiani, è andato in scena quella che definirei l’ultimo episodio della banalizzazione dell’antifascismo, che segue a quella analoga del fascismo stesso, che sta caratterizzando questo secolo

banalizzazioneAntifascismo.jpgIl presidente dell’associazione, Pagliarulo, ha proposto ai segretari dei partiti dell’opposizione presenti una nuova unità antifascista contro questo governo. Allora, uno potrebbe chiedersi il perché di una tale proposta estrema. Forse, perché staranno abolendo le elezioni o vi sono violenze di piazza contro gli oppositori, si propongono leggi razziste, si chiudono giornali, partiti o sindacati, vi si vedono uomini di governo che inneggiano palesemente a Mussolini o alle “cose buone” che avrebbe fatto e cose del genere, Tra questi esempi avrei voluto aggiungervi anche l’ipotesi che ci si stia preparando a una partecipazione in guerra ma– ahimè! – quest’ultima cosa già ci coinvolge e con il consenso convinto di buona parte dell’attuale opposizione, in aperta contrasto con l’art. 11 della nostra Costituzione.

Eppure, l’attuale governo non è lì a seguito di un colpo di stato o per un atto unilaterale del Capo dello Stato, come accadde con Mussolini ovvero con Monti o Draghi. Esso è lì perché ha vinto le elezioni. E sì: oltre alla sinistra, anche la destra può, evidentemente, vincere le elezioni ed esprimere un governo. E’ la democrazia, bellezza! A chi scrive spiace constatare che queste cose le faccia notare anche la Meloni, ma la cosa più grave e che non le faccia, invece, notare la sinistra; quella stessa sinistra che è stata protagonista, di governi, appunto, a dir poco democratici e caratterizzati da riforme antisociali.

Insomma, con la predetta proposta di Pagliarulo, che pare abbia riscontrato i consensi dei presenti all’iniziativa, si sta praticamente sostenendo il principio che la destra in Italia non può andare al governo e che, se invece ci arriva al posto della sinistra – a meno che quest’ultima non trovi spazi per aggirare il consenso democratico, ritornandoci attraverso un c.d. governo tecnico – nel Paese scatta l’”emergenza democratica”.

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effimera

La doppia natura del suffragio universale

di Gianni Giovannelli

Elezioni del 2 giugno 1946 in Italia.jpgBenché ad essi l’intorbidar l’altrui pace
guadagno sommo paresse, molti pure
vollero chiarire a quai patti s’avrebbe
a far guerra, quai sarebbero stati i premi
donde le speranze e gli aiuti.
Sallustio (La guerra di Catilina, 21, trad. V. Alfieri, Asti, 2004, pag. 89)

La cronaca della guerra, in queste ultime giornate, è costretta a dividere lo spazio della comunicazione mediatica con i risultati elettorali, sia sulla carta stampata sia in rete. Mentre il giudizio sulla guerra, nella nostra vecchia Europa, si riduce a un coro quasi unanime di sostegno alle posizioni americane e di condanna a qualsiasi forma, anche tenue, di opposizione-diserzione, i commenti ai risultati elettorali sono invece di contenuto contrastante, diversi nel valutare le possibili conseguenze, discordanti nell’individuare le soluzioni più utili, quelle più adatte a risolvere i problemi di controllo sociale e a mantenere l’ordine. Il contrasto che caratterizza le posizioni assunte dagli analisti di regime non si limita all’esito delle consultazioni concluse, ma affronta pure quelle in arrivo, proponendo anzi complicate strategie volte a ottenere, per il tramite delle urne, la stabilità necessaria della cabina di comando creata per garantire il potere (sempre più chiaramente biopotere) del capitalismo contemporaneo. L’idea forza, a modo suo non priva di un certa genialità creativa, lanciata da Mario Draghi ormai più di dieci anni or sono con la formula del c.d. pilota automatico, comincia a sentire gli effetti del tempo, ogni tanto si inceppa o quanto meno lascia spazio a possibili imprevisti. Nulla, del resto, dura in eterno.

 

Guerra, elezioni, crisi

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jacobin

Doppio colpo all’università

di Lorenzo Zamponi

Dopo la guerra all'autonomia del sapere scatenata dalle destre nelle settimane scorse, il governo passa alle vie di fatto: con un decreto che aumenta la precarizzazione e una legge delega che ridisegna la governance

universita jacobin italia 1536x560.jpgUn doppio colpo all’università. Una riforma del precariato, che cancelli i passi avanti fatti nel 2022 tornando almeno alla Gelmini, se non a un suo peggioramento, da presentare subito, forse addirittura sotto forma di decreto da convertire in legge entro l’estate. E una riforma generale dell’università, che riveda governance, reclutamento, didattica e diritto allo studio, proposta sotto forma di legge delega in modo da permettere al governo di ridisegnare l’università a proprio piacimento.

Qualche settimana fa, su queste pagine, si parlava della guerra culturale scatenata dalla destra, non solo in Italia, contro l’università, come uno dei pochissimi luoghi di discussione comune e confronto tra idee rimasto nella nostra società. Nel giro di pochi giorni, ai primi di giugno, il governo ha aperto due fronti di conflitto molto concreti e materiali: prima, le anticipazioni fatte filtrare dalla commissione ministeriale sul precariato guidata dall’ex rettore del Politecnico di Milano Ferruccio Resta, sull’impellente proposta di revisione al ribasso delle figure contrattuali precarie della ricerca universitaria rispetto alla parzialmente migliorativa riforma del 2022; poi, nel consiglio dei ministri di martedì 4 giugno, il varo del disegno di legge sulla semplificazione normativa, che prevede, all’articolo 11, una delega ad ampio spettro al governo per riformare l’università. Due fulmini a ciel sereno, arrivati senza il minimo coinvolgimento della comunità accademica (con la parziale eccezione della Conferenza dei Rettori, come vedremo) e che entrano a gamba tesa in una situazione molto delicata: quella di un sistema universitario mai così pieno di precari (grazie al Pnrr), che difficilmente accetteranno di buon grado un’ulteriore riduzione delle possibilità di accesso a un contratto dignitoso. Una bomba a orologeria in attesa di esplodere.

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sinistra

Perché le Regioni rappresentano il “vincolo interno” del capitalismo italiano

di Eros Barone

Fortunato depero Skyscrapers and Tunnels 1024.jpg1. La metamorfosi della “razza ladrona”

L’inchiesta condotta dalla magistratura genovese mostra quali mutamenti siano intervenuti nella mappa della corruzione dopo Tangentopoli. Anche se è ovviamente difficile acquisire dati precisi sulle esatte dimensioni del fenomeno, per sua natura solo parzialmente visualizzabile in termini statistici, la percezione che si ricava dalla lettura degli estratti, forniti dalla stampa cartacea e digitale, della enorme documentazione su cui i giudici genovesi stanno lavorando conferma non solo che la situazione è grave, ma che è in via di peggioramento. La corruzione è, peraltro, solo un lato della questione concernente la diffusa illegalità dell’amministrazione pubblica in Italia. Basti pensare alla commistione tra amministrazioni locali e criminalità mafiosa, che non è limitata al Sud ma investe l’intero paese e, segnatamente, quel Nord-Ovest in cui, come indicano la Liguria e la Lombardia, si trova oggi l’epicentro della corruzione.

Gli studiosi del fenomeno della corruzione parlano infatti di una metamorfosi della “razza ladrona”, che si è imposta dopo “Mani Pulite” e che ha visto tale “razza” radicarsi su un terreno differente da quello che alimentò il fenomeno di Tangentopoli. E invero, il territorio di caccia prediletto del politico disonesto non sono più i ministeri e il Parlamento, ma gli assessorati comunali e i consigli regionali. Parimenti, è cambiato l’obiettivo a cui si rivolge l’azione di tale politico, che non è più quello di finanziare le segreterie nazionali dei partiti, bensì quello di arricchire la sua camarilla personale. Dunque, si tratta di una “razza ladrona” che, nei primi decenni di questo secolo, è tornata a proliferare nel Meridione e in parte nel Nord-Ovest, mentre sembra decrescere nelle “vecchie regioni rosse e bianche”, dove si è conservata, in qualche misura, una tradizione di efficienza e di correttezza nell’amministrazione della cosa pubblica.

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insorgenze

Manipolare i testimoni per deformare la storia

di Paolo Persichetti

Ancora una domenica bestiale su Rai tre, stavolta
 Report si inventa l’infiltrato della Cia nelle Brigate rosse. In azione il “metodo Mondani”: manipolare i testimoni per deformare la storia

img 3019.jpgNella puntata di Report di oggi, domenica 12 maggio 2024, Paolo Mondani intervista lo storico Giovanni Mario Ceci che ha studiato tutti i documenti desecretati delle amministrazioni Usa degli anni 70 e dei primi 80: Dipartimento di Stato, Cia, Security Concil, rapporti dell’Ambasciata americana a Roma. Ricerca poi raccolta in un volume, La Cia e il terrorismo italiano, uscito per Carocci nel 2019.

Nei report desecretati si può leggere che «Nessuno è stato in grado di trovare nemmeno uno straccio di prova convincente del fatto che le Brigate rosse ricevevano ordini dall’estero». L’affermazione era giustificata dal fatto che solo la prova di una interferenza straniera che avesse messo a rischio la sicurezza e gli interessi statunitensi avrebbe legalmente giustificato l’intervento diretto della Cia negli affari interni italiani, più volte richiesto dal governo di Roma a cominciare dallo stesso Aldo Moro pochi mesi prima di essere rapito dalle Brigate rosse.

Nonostante il libro di Ceci, documenti alla mano, sostenga questa tesi, Mondani riesce a censurare l’intero contenuto del volume, ben 162 pagine, capovolgendone il senso.


I documenti raccolti da Ceci dimostrano come la Cia intervenne per reprimere le Brigate rosse, non certo per sostenerle o manipolarle, alla fine del 1981 quando queste rapirono il generale americano James Lee Dozier. L’intervento degli uomini di Langley fu tale che il governo Spadolini non esitò ad autorizzare le forze dii polizia all’impiego sistematico della tortura durante le indagini.


Importanti testimonianze di esponenti delle sezioni speciali antiterrorismo dei carabinieri emersi recentemente hanno dimostrato (leggi qui) che a cercare di avvicinare le Brigate rosse non fu la Cia ma il Partito comunista italiano con l’accordo del generale Dalla Chiesa dopo il gennaio 1979.

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sinistra

Un oggetto di speculazione storiografica: le Brigate rosse

di Eros Barone

Image99762.jpg1. Una tesi che piace alla borghesia “di sinistra”

È vero che, come diceva Marc Bloch, “lo storico è come l’orco delle favole, va là dove sente odore di carne umana”, ma Sergio Luzzatto, a furia di scrivere biografie (fra queste quella del “Corpo del Duce” relativa alla sorte del cadavere di Mussolini, quella della “Mummia della repubblica” relativa alla sorte del cadavere di Giuseppe Mazzini, nonché quella di Padre Pio anch’essa incentrata sulla corporeità del santo); a furia di scrivere biografie, dicevo, si è talmente ingozzato di quel cibo da farne indigestione.

Il risultato è un tomo di 700 pagine, del quale, tenuto conto dei puntuali rilievi mossi da vari critici alla base documentale e testimoniale della ricostruzione e alla rielaborazione spesso romanzesca, fuorviante quando non fallace, cui quella base mette capo, il meno che si possa dire è, secondo un famoso adagio degli antichi, che “mega biblíon mega kakón” (un grosso libro è un grande male). In effetti, la tesi sostenuta dall’autore – essere state le Brigate rosse un prodotto confezionato da alcuni professori universitari di via Balbi (rione di Genova dove si trovano le sedi delle facoltà umanistiche) - è una mezza verità, che può piacere a quella frazione della borghesia intellettuale cui piace flirtare con i rivoluzionari, ma l’altra mezza verità, quella che qualitativamente è decisiva per l’interpretazione della genesi della lotta armata in Italia, ci dice che le radici più profonde delle Br vanno ricercate in una certa composizione di classe operaia e popolare, quindi non ad Albaro, quartiere residenziale alto-borghese di Genova, o in via Balbi o a San Martino, quartiere quest’ultimo dove si trovano le facoltà scientifiche, ma, oltre che a Oregina, a San Teodoro e nel Centro Storico, nel Ponente industriale, nella Valpolcevera delle grandi e piccole aziende, fra Sampierdarena, Cornigliano e Campi, quartieri schiettamente proletari.

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lavoroesalute

Sulla XII Disposizione, vecchi e nuovi fascismi

Alba Vastano intervista Raul Mordenti

maxresdefault 29.jpgEsiste un nesso assai stretto fra la guerra e il fascismo. Ciò fu evidente nel caso della I° guerra mondiale, senza la quale il fascismo sarebbe stato impensabile. Si può ben dire che la guerra produce fascismo come il fascismo produce guerra” (Raul Mordenti)

“L’antifascismo è vissuto per decenni imbalsamato in una retorica stucchevole che lo ha reso debole ed impotente, soprattutto di fronte ai nuovi fenomeni neofascisti e neonazisti. Non ha saputo di conseguenza parlare ad ampie fasce giovanili che lo hanno vissuto come lontano e, a volte, come vuota espressione istituzionale…ad aggravare la situazione non va dimenticata la storica mancata volontà politica a perseguire i casi di apologia e riorganizzazione dei movimenti fascisti, sottovalutati, lasciando così campo aperto ai nostalgici di ogni risma”. (Saverio Ferrari, Osservatorio democratico sulle Nuove Destre)

Il fascismo è finito con la fine di Mussolini. Parlarne è inutile, dopo 80 anni dalla fine della dittatura fascista. Quindi perché parlare di antifascismo?” Mantra triti e ritriti menzionati dalla gente comune e dai politici di destra nei talk show televisivi. Eppure, sarebbe falso negarlo, il fascismo serpeggia latente, ci affianca e vuole tentarci, seduttivo e con fare ambiguo riaffiora nei comportamenti più usuali e comuni a molte persone, senza che i più se ne rendano conto.

Così’ il professor Angelo D’Orsi, illustre storico (ndr, più volte ospite in questa rivista) “Se non si può parlare di “ritorno del fascismo”, è solo perché dall’Italia il fascismo non se n’è mai andato, ma ha continuato a scorrere sotterraneo, come un fiume carsico, riemergendo di tanto in tanto. Le sue riemersioni, da una trentina d’anni a questa parte, sono diventate sempre più frequenti, e il revisionismo storico, nella sua forma estrema, il rovescismo, ha svolto un ruolo determinante. Forse occuparsene, non è fare sfoggio di sapere accademico, ma fare esercizio di pensiero critico e insieme di militanza civile”.

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perunsocialismodelXXI 

AL COMPAGNO CARLO FORMENTI

Lettera aperta di Fosco Giannini

Carissimo Carlo, carissimo compagno Formenti,

ho avuto l'onore di conoscerti personalmente solo da pochi anni e il conoscerti come persona ha confermato in me la grande stima che già nutrivo per il tuo lavoro politico-teorico, che invece avevo già “frequentato”. Conoscendoti, dunque, ho potuto apprezzare, moltissimo, sia l'uomo, il compagno, che l'intellettuale.

Nonostante la tua scelta di dichiarare pubblicamente la tua non adesione (che personalmente mi fa molto male, proprio per la stima che ho nei tuoi confronti) al Movimento per la Rinascita Comunista, non nutro certo sentimenti avversi verso di te. Rimane, intera, la stima e, anche se non ci siamo frequentati tanto, anche l’affetto, cresciuto verso di te per un tuo particolare modo d’essere: quello di rimanere, senza “posa” alcuna, un “giovane rivoluzionario”.

E’ mia colpa non aver interloquito con te negli scorsi giorni, quando, con molta correttezza, hai posto il problema di pubblicare sul tuo blog la dichiarazione di non adesione al MpRC. Mi scuso sinceramente e, a mia parziale scusante, ti dico solo che, in questa fase del nostro lavoro politico, con tante iniziative su buona parte del territorio nazionale, con l’obiettivo della riuscita della nostra Assemblea dell’11 maggio a Roma e con la costruzione in atto di nuove e importanti relazioni con altri gruppi/movimenti comunisti, non ho il tempo nemmeno per la mia vita, per la mia compagna, per le mie figlie.