Perché le Regioni rappresentano il “vincolo interno” del capitalismo italiano
di Eros Barone
1. La metamorfosi della “razza ladrona”
L’inchiesta condotta dalla magistratura genovese mostra quali mutamenti siano intervenuti nella mappa della corruzione dopo Tangentopoli. Anche se è ovviamente difficile acquisire dati precisi sulle esatte dimensioni del fenomeno, per sua natura solo parzialmente visualizzabile in termini statistici, la percezione che si ricava dalla lettura degli estratti, forniti dalla stampa cartacea e digitale, della enorme documentazione su cui i giudici genovesi stanno lavorando conferma non solo che la situazione è grave, ma che è in via di peggioramento. La corruzione è, peraltro, solo un lato della questione concernente la diffusa illegalità dell’amministrazione pubblica in Italia. Basti pensare alla commistione tra amministrazioni locali e criminalità mafiosa, che non è limitata al Sud ma investe l’intero paese e, segnatamente, quel Nord-Ovest in cui, come indicano la Liguria e la Lombardia, si trova oggi l’epicentro della corruzione.
Gli studiosi del fenomeno della corruzione parlano infatti di una metamorfosi della “razza ladrona”, che si è imposta dopo “Mani Pulite” e che ha visto tale “razza” radicarsi su un terreno differente da quello che alimentò il fenomeno di Tangentopoli. E invero, il territorio di caccia prediletto del politico disonesto non sono più i ministeri e il Parlamento, ma gli assessorati comunali e i consigli regionali. Parimenti, è cambiato l’obiettivo a cui si rivolge l’azione di tale politico, che non è più quello di finanziare le segreterie nazionali dei partiti, bensì quello di arricchire la sua camarilla personale. Dunque, si tratta di una “razza ladrona” che, nei primi decenni di questo secolo, è tornata a proliferare nel Meridione e in parte nel Nord-Ovest, mentre sembra decrescere nelle “vecchie regioni rosse e bianche”, dove si è conservata, in qualche misura, una tradizione di efficienza e di correttezza nell’amministrazione della cosa pubblica.
Così, se è vero che i politici che delinquono per profitto personale costituiscono oggi la “maggioranza silenziosa” del ladrocinio e della malversazione, è altrettanto vero che il continuo riproporsi, sia pure in forme nuove, della questione morale segnala un drammatico abbassamento del livello etico-sociale del nostro paese. Nella fase successiva a Tangentopoli giocano infatti un ruolo significativo le figure di nuovi “notabili” provenienti dal mondo delle libere professioni, che si collocano in prevalenza nel centrodestra ma sono ben presenti anche nel centrosinistra. Costoro si muovono per finalità di arricchimento privato piuttosto che di sostegno ai partiti, e non agiscono in modo isolato. Rappresentano piuttosto i punti nodali di reti ampie e strutturate, che a volte vedono coinvolta direttamente la criminalità organizzata. Non a caso, risulta dalle indagini sulla criminalità che i mafiosi implicati nelle collusioni politiche aumentano e compaiono in un numero crescente di casi.
2. La mappa della corruzione
Sennonché tanti politici disonesti adesso si vendono non per denaro ma per favori d’altro genere: case, auto, assunzioni o promozioni di parenti, pacchetti di voti. Del resto, anche il mercato della corruzione si è sbriciolato. Ormai le prede più attraenti si trovano nei Comuni e nelle Regioni, che, a partire dalla sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione, hanno ereditato quote di potere e di spesa pubblica sempre più ricche a danno del governo centrale, talché un assessore, un sindaco o un presidente di Regione hanno più occasioni di appropriarsi delle risorse pubbliche rispetto ad un sottosegretario o a un ministro. In tal modo, si è venuto affermando nella Costituzione materiale del paese un federalismo (non democratico ma) cleptocratico fondato sulla depredazione, a fini personali e di gruppo, delle risorse fornite dai contribuenti.
I dati, sia pure interpretati con le dovute cautele, suggeriscono una certa continuità del ceto politico coinvolto in fatti di corruzione durante i decenni successivi a Tangentopoli. Tali dati suffragano una diagnosi chiara: le amputazioni operate dalla magistratura sono riuscite solo a rallentare il male, che in breve volgere di tempo ha ripreso a crescere, diffuso spesso dagli stessi untori. La metà di questi opera nel Sud, però a livello di regioni, dopo la Campania, ci sono la Liguria e la Lombardia. D’altra parte, la corruzione è anch’essa lo specchio della società e ciò è dimostrato dalle differenze di stile dei mariuoli. Nella pianura padana prevale un’impronta imprenditoriale, nel Meridione avvocati e medici seguono invece la tradizione dei notabili e delle clientele. Ma il risultato è identico: la devastazione delle risorse pubbliche, l’azzeramento della produttività, la negazione del merito a vantaggio dei raccomandati. E il prezzo di questo sistema è pagato da tutti i cittadini, ma ovviamente in misura diversa a seconda della posizione economica e sociale.
I dati, sia pure interpretati con le dovute cautele, suggeriscono una certa continuità del ceto politico coinvolto in fatti di corruzione durante i decenni successivi a Tangentopoli. Tali dati suffragano una diagnosi inequivocabile: le amputazioni operate dalla magistratura sono riuscite solo a rallentare il male, che in breve volgere di tempo ha ripreso a crescere, diffuso spesso dagli stessi untori. La metà di questi opera nel Sud, però a livello di regioni, dopo la Campania, ci sono la Liguria e la Lombardia. D’altra parte, la corruzione è anch’essa lo specchio della società e ciò è dimostrato dalle differenze di stile dei mariuoli. Nella pianura padana prevale un’impronta imprenditoriale, nel Meridione avvocati e medici seguono invece la tradizione dei notabili e delle clientele. Ma il risultato è identico: la devastazione delle risorse pubbliche, l’azzeramento della produttività, la negazione del merito a vantaggio dei raccomandati. E il prezzo di questo sistema è pagato da tutti i cittadini, anche se ovviamente in misura diversa a seconda della posizione economica e sociale.1
3. I costi economici, sociali e culturali del federalismo cleptocratico
Come è difficile misurare con precisione quanto sia estesa la corruzione nella pubblica amministrazione, così è ancora più complesso valutarne i costi. Questo soprattutto perché ai costi diretti devono aggiungersi enormi costi indiretti quando la corruzione si fa diffusa. In un appalto truccato il contribuente finisce col pagare beni e servizi a un prezzo che comprende le tangenti agli amministratori e una rendita all’impresa (la quale, pagando, si garantisce il privilegio di non avere competizione). Questi sono i costi diretti. Ma quando la corruzione diventa un “sistema”, è l’intero sistema economico che ne paga le conseguenze. Se gli appalti sono truccati, le imprese che li ottengono sono quelle che riescono a mantenere rapporti con la politica o con la criminalità organizzata. Accade allora che imprese più efficienti ma meno “connesse” siano scalzate dal mercato. Come indica il caso da manuale, posto in luce dall’inchiesta genovese, del rapporto tra Spinelli e Toti, gli imprenditori di successo sono quelli in grado di fornire vantaggi privati al politico di turno, non quelli in grado di produrre beni e servizi di qualità a basso prezzo per l’amministrazione pubblica.
I casi di imprenditori che guadagnano i favori del mondo politico organizzando feste, festini e incontri intimi rappresentano uno squallido esempio dei meccanismi corruttivi posti in essere dalla triangolazione eticamente perversa e giuridicamente illecita tra politici, imprenditori e funzionari, così come dei “costi della corruzione” che ne discendono. Ma anche il fatto che i giovani più brillanti si iscrivano soprattutto a legge e non a ingegneria, in controtendenza col resto del mondo sviluppato, segnala il grado di degenerazione parassitaria di un sistema economico e sociale in cui ha successo l’azzeccagarbugli, vale a dire chi si sa muovere con abilità e spregiudicatezza nella giungla di leggi, leggine, istituzioni, commissioni e stanze del potere.
Va poi annoverato tra i costi indiretti della corruzione anche il disincentivo agli investimenti diretti esteri. Una delle ragioni, infatti, per cui l’Italia ne riceve un settimo rispetto alla Francia è che le imprese straniere sanno che entrerebbero in un mercato distorto in cui faticherebbero a reggere una concorrenza disonesta, e quindi preferiscono starne fuori. 2 Dopodiché, un’altra categoria di costi indiretti della corruzione va addebitata alla distorsione della competizione politica ed elettorale. Tale distorsione consiste nel fatto che i partiti, in un sistema di questo tipo, competono a livello locale attraverso il controllo economico del territorio. I politici locali sono di conseguenza selezionati non sulla base delle loro capacità o della loro onestà, ma al contrario sulla base della loro abilità a convogliare fondi dal sistema centrale verso la propria regione e a controllarne la distribuzione sul territorio. Ed è in questo controllo della distribuzione di fondi e appalti sul territorio che spesso i rapporti con la criminalità organizzata assumono una notevole importanza.
4. Valore e limiti dell’azione giudiziaria
La magistratura genovese, sollevando la pietra sotto la quale si nascondevano i meccanismi corruttivi azionati da quella tribù di roditori delle finanze regionali che comprende autorità pubbliche, imprenditori privati e organizzazioni mafiose, ha dunque messo a nudo, come era già accaduto nel 2015 con l’amministrazione di centrosinistra presieduta da Burlando, ma ora su scala ben maggiore, quel verminaio di corrotti e di corruttori che si è formato, sotto le due presidenze di Toti, con l’attuale amministrazione di centrodestra. Dopodiché, se è prioritario per la magistratura inquirente e giudicante accertare le responsabilità individuali di Toti e degli altri incriminati in ordine ai reati ipotizzati, è del tutto secondario, in un’ottica globale che guardi non solo al funzionamento ‘de jure’ di un regime di democrazia borghese, ma anche e soprattutto al rapporto ‘de facto’ di questo regime con il modo di produzione capitalistico quale si configura nella fase del liberismo, stabilire se il ‘modus operandi’ dei titolari di incarichi pubblici e di imprese private interagenti con essi fosse o no, e in quale grado, legalmente corretto. In altri termini, non vi è alcun dubbio che in questo, così come in altri casi a questo simili, valga, indipendentemente dal giudizio di conformità legale attribuibile (o non attribuibile) a quel ‘modus operandi’, la ben nota regola: “Il cane abbaia, ma la carovana va avanti”.
Sennonché occorre riconoscere che uno degli errori più grossolani che ha commesso il blocco dominante negli ultimi vent’anni è stato la riforma del Titolo V della Costituzione. Le conseguenze sono state micidiali: la politica energetica, industriale e delle infrastrutture, nonché le sovvenzioni alle imprese sono passate sotto le Regioni, non solo dando spazio a quei meccanismi ma provocando anche una frammentazione deleteria. A ciò si aggiunga la formazione professionale, la spesa sanitaria e la politica agraria, che sono state anch’esse regionalizzate.
Basti pensare all’esiguità del bilancio dell’Enit, ente di promozione all’estero del turismo italiano, e alle difficoltà incontrate dal governo nel sostenere le spese di promozione delle aziende manifatturiere all’estero, difficoltà che traggono origine dalla soppressione dell’Ice, l’Istituto per il commercio estero, voluta, è bene ricordarlo, da Berlusconi.
5. Il trionfo della rendita immobiliare
Occorre, dunque, denaro sonante. Dove trovarlo? Lo si trova in quello spazio intermedio tra profitti e salari che è composto da milioni di persone che in parte vivono della intermediazione parassitaria sulla spesa pubblica, alimentata in questi decenni da tutti i partiti, e in parte hanno trovato una comoda nicchia nello spazio del capitale commerciale. Nello specifico, il settore edile sia diretto che indotto, con il mezzo milione di persone che vi lavorano, costituisce un serbatoio importante per quella mostruosa sanguisuga che è la rendita immobiliare, destinata nei prossimi anni, con l’esaurirsi degli effetti generati dalle ristrutturazioni private pagate con il denaro pubblico, a subire un drastico sgonfiamento, cioè un poderoso processo di svalorizzazione del capitale. Basti pensare, in ordine all’intreccio perverso tra la rendita e il profitto, che nel nostro paese una quota crescente dei profitti industriali si è trasformata in rendita immobiliare, mentre una quantità minima è stata investita in macchinari e ammodernamento di impianti. 3 Così, con il dominio della rendita finanziaria il capitalismo è tornato al primato del possesso sulla produzione e il declino del capitale industriale è stato nascosto sotto il mattone, come attesta il fatto che, a partire dalla seconda metà degli anni novanta del secolo scorso, i grandi gruppi italiani hanno scoperto le gioie del “real estate”. 4
Che la rendita sia un problema storico-politico di primaria importanza è dimostrato dal silenzio quasi tombale dei ‘mass media’, che grava su di esso. Non a caso, è proprio nei periodi di decadenza, come quello attuale, che la rendita esercita il suo predominio. È infatti improbabile che un politico vada oggi in televisione a parlare di rendita urbana e immobiliare, e anche tra gli esperti non è frequente trovare riflessioni sui processi economici della sua trasformazione. Nelle riviste italiane, in coerenza con l’imperativo sistemico della “comunicazione deviante”, l’argomento della rendita apparirebbe fuori luogo. Si deve poi prendere atto che le amministrazioni locali hanno dimostrato una scarsa capacità di autoregolazione e la legislazione regionale, sotto l’incalzare dei processi di valorizzazione capitalistica, non ha voluto né saputo rendere cogenti i princìpi di intervento e regolazione dei suoli e della edificabilità, pur solennemente dichiarati. Questo non intervento (per non dire questa complicità) ha ormai lasciato segni indelebili sul territorio.
Per converso, dal punto di vista storico, è giusto ricordare che il tentativo più alto e mai più raggiunto di dare al paese una moderna regolazione dei suoli fu la proposta di legge del ministro democristiano Fiorentino Sullo nel 1962. Questa portò a sintesi gli stimoli di una ricca discussione culturale e tentò di recepire le tesi allora più avanzate nella ricerca europea, attuando, in coerenza con un punto di vista improntato a un riformismo borghese “illuminato”, una totale separazione tra la proprietà e il diritto edificatorio, secondo le teorie dello svizzero Hans Bernoulli riassunte nello slogan: “il suolo alla comunità, la casa alla proprietà privata”. In effetti, ogni grande questione politica ha dietro di sé un problema storico: la rendita, col suo enorme potere regolativo sui processi economici, sociali, ideologici, politici e fisici, è stata ed è una forza selvaggia la cui storia, pur avendo condizionato il corso della nostra vicenda nazionale, non è stata ancora scritta.
6. “Faux frais” della circolazione e processo di centralizzazione: la lotta di classe all’interno del blocco capitalistico
Tornando ai nostri giorni, accade che, nel quadro di un conflitto sempre più aspro tra le frazioni del capitale industriale e le frazioni del capitale usurario e commerciale, ossia tra i profitti e la rendita (conflitto acuito dalla crisi di sovrapproduzione e dalla caduta del saggio medio di profitto), viene spazzato via, senza tanti complimenti, un bel gruppo di industriali e banchieri che in questi anni hanno giocato d’azzardo, per l’appunto, nella gestione del capitale usurario e commerciale. Si tratta di un chiaro esempio di lotta di classe all’interno del mondo capitalistico. Affinché questa lotta sia portata avanti occorre però che una parte della popolazione sia proletarizzata e, soprattutto, che diminuisca fortemente la spesa per il mantenimento di strutture improduttive e parassitarie, dal punto di vista capitalistico, quali possono essere, e sono in molti casi, le Regioni. Del resto, uno degli scopi (se non lo scopo fondamentale) a cui deve servire la legge sull’autonomia differenziata è proprio questo: diminuire quelle che Marx definiva le “faux frais” della circolazione capitalistica, ossia le spese accessorie impreviste in cui rientrano anche i “costi della corruzione”, e rilanciare l’accumulazione capitalistica ristagnante per via degli eventi bellici, della contesa mondiale in corso e di un debito pubblico gigantesco, ulteriormente gonfiato dalle esorbitanti regalie concesse ai proprietari immobiliari dai governi che, prima con Conte e poi con Draghi, si sono succeduti alla guida del nostro paese.
Le banche e le imprese stanno ora operando quali vettori di un poderoso processo di centralizzazione capitalistica il cui obiettivo è quello di spostare masse enormi di capitali utili al rilancio dei processi di accumulazione capitalistica. Queste forze capitalistiche hanno già ottenuto l’abbattimento dei costi di riproduzione della forza-lavoro e il ristabilimento dell’esercito industriale di riserva, ma adesso occorrono, da un lato, una centralizzazione dei processi decisionali e delle risorse pubbliche finalizzata all’abbattimento degli oneri fiscali e a crescenti spese in conto capitale per aumentare la produttività totale dei fattori produttivi, e dall’altro una concentrazione di masse di capitali necessarie sia per sostenere i costi delle guerre in corso sia per penetrare nei mercati mondiali (si pensi al divario fra ambizioni espansioniste e risorse disponibili, che caratterizza il cosiddetto “piano Mattei” tanto pubblicizzato dal governo Meloni). La conseguenza è lo svilupparsi della lotta di classe entro il blocco economico del potere capitalistico: una lotta in cui chi vincerà deciderà le sorti del paese per i prossimi decenni.
7. Genesi ed epilogo dell’endiadi ‘Regioni/corruzione’
Concludendo, si può senz’altro affermare che l’endiadi ‘Regioni/corruzione’, oltre a essere il prodotto della storia tardiva e distorta dello Stato unitario e la potenziale premessa della sua dissoluzione, è l’esito nefasto di un disegno di regionalizzazione tradotto in legge nel 1997 e concepito da Bassanini, un ‘socialista’ il cui ruolo storico è stato quello di favorire (non il capitale industriale ma) il capitale usurario e commerciale.
Pertanto, a coloro che, come Salvini e Crosetto, temono la “destabilizzazione del sistema” ad opera dell’attività giudiziaria è doveroso rispondere sottolineando che è proprio questo “sistema” che condanna il nostro paese alla stagnazione e lo confina ai margini del mondo sviluppato. Ma non meno doveroso è evitare di illudersi che bastino le azioni giudiziarie a contrastare e ridurre un fenomeno che trae origine dai caratteri regressivi del blocco dominante italiano fondato, a livello economico, sulla ferrea alleanza tra il profitto e la rendita e, a livello politico, sul connubio trasformista tra il centrodestra e il centrosinistra.
Comments
L'introduzione delle regioni fin dall'inizio è stato un.disastro per il.capitalismo "kaleckiano" democristiano italiano.
Andrebbero abolite le regioni dei nefasti maharaja locali, invece hanno abolito le più utili province.