Print Friendly, PDF & Email

sicobas

Referendum Veneto-Lombardia: cosa porterà ai lavoratori la vittoria del sì?

Comitato di sostegno ai lavoratori Fincantieri
Comitato permanente contro le guerre e il razzismo

zaia maroniDue note sui risultati dei referendum in Veneto e Lombardia, senza ripetere quanto abbiamo già detto in precedenti prese di posizione.

 

1. L'esito del voto era scontato, dato che l'intero arco delle forze istituzionali era a favore del Sì (con lievi mal di pancia nel Pd e in Fratelli d'Italia). L'analisi del voto dice che la prospettiva autonomista ha più consenso in Veneto che in Lombardia, più seguito nei comuni minori e periferici che nelle città, e soprattutto nella sola metropoli dell'area (Milano). A favore di questo risultato hanno giocato fattori storici, economici (la crisi ha colpito più duro in Veneto che in Lombardia, e lo scontento sociale è più diffuso) e culturali - le linee di fuga localiste e regionaliste hanno maggiore presa là dove minore è il contatto diretto con il capitalismo globale, e più forte resta la illusione antistorica di poter vivere meglio "chiusi". Almeno in Veneto, poi, hanno avuto il loro peso sul risultato il nettissimo schieramento per il Sì delle strutture della Chiesa cattolica, e un sentimento di rivalsa venetista nei confronti dei 'lombardi' presente dentro la Lega e nelle piccole ma attive aree autonomiste-indipendentiste. Insomma: il passato pesa come un incubo sul cervello dei viventi.

E i boss leghisti e i loro alleati di destra e di "sinistra" sanno come rivitalizzarlo indicando il ritorno (in qualche modo) all'indietro come falsa via di uscita dai reali disagi del presente e dal timore per un futuro molto incerto.

 

2. Non ci sono analisi del voto disaggregate per classi sociali, e neppure per generazioni e generi. Una sola cosa è certa: tutte le organizzazioni e associazioni dei ceti medi cosiddetti produttivi e dei commercianti si sono non soltanto dichiarate, ma attivamente spese all'unanimità per il Sì (qualche capitalista transnazionale, vedi Benetton, si è espresso invece in modo blando per il no). Quanto agli operai, abbiamo registrato due diversi atteggiamenti: un largo sì passivo ('in ogni caso una maggiore autonomia può darci qualche vantaggio') e un nucleo minoritario aggressivo, che ha raccolto e diffuso i temi della Lega e dei Cinquestelle, in Veneto (e non solo) molto convergenti. In tutta la vicenda i giovani, a nostro avviso, sono stati meno coinvolti delle persone di mezza età e degli anziani. In generale, la mobilitazione dei promotori è stata di tipo capillare e con propaganda via tv e web. Le pochissime sortite in piazza sono andate quasi deserte. Non c'è, però, da rallegrarsi più di tanto per le piazze vuote. Perché il referendum è stato comunque l'occasione per la diffusione a livello di massa di veleni razzisti contro gli immigrati e i meridionali. In assenza di lotte e di una adeguata contro-propaganda, questi veleni continuano a diffondersi tra i lavoratori. I soggetti (anche proletari) più profondamente imbevuti dei temi della propaganda localista, autonomista, razzista stanno cominciando ad aggregare i più passivi, a "fare gruppo" intorno a sé. I due referendum, infine, sono serviti a costringere un piccolo numero degli immigrati più impauriti e 'assimilati' ad andare a votare Sì.

 

3. La contro-propaganda è stata ridotta al minimo, almeno in Veneto. Ufficialmente la sola Cgil era per l'astensione, ma senza il minimo impegno a spiegare di cosa realmente si trattava; inoltre alcuni suoi dirigenti si sono espressi per il sì con argomenti squisitamente leghisti. Se si esclude la presa di posizione di Rifondazione/Federazione del Veneto e la nostra attività (l'assemblea del 13 ottobre a Mestre, la diffusione di due documenti contro il referendum, l'intervento a Rai-3/Tutta la città ne parla del 19 ottobre e l'intervista a Radio onda rossa), non c'è stato nient'altro (a nostra conoscenza). Da segnalare la completa assenza dell'area dei centri sociali. Per loro il referendum è come se non ci fosse mai stato. Del resto, non c'era da aspettarsi niente di diverso, vista la loro affiliazione, da tempo, alla luminosa prospettiva della "autonomia padana".

 

4. Il risultato ha spinto Zaia ad alzare la posta, prospettando la trasformazione del Veneto in regione a statuto speciale con l'obiettivo di trattenere in regione l'80-90% delle tasse. Ne è nato, ovviamente, un canaio. Anzitutto dentro la Lega e il centro-destra. Maroni si è subito smarcato, mentre Brunetta ha attaccato "la fuga in avanti" di Zaia, che non tiene conto delle compatibilità nazionali. Qualche Pd ha avuto buon gioco a spiegare: i referendum in materia fiscale sono vietati dalla Costituzione, ed è una truffa prospettare come cosa semplice da ottenere la trasformazione del Veneto in regione a statuto speciale perché per ottenerlo bisognerebbe, appunto, cambiare la Costituzione. L'ineffabile Berluska, il maestro insuperato degli slogan truffaldini, ha chiuso la bocca a tutti: ogni regione ha qualcosa di 'speciale', quindi ok ai referendum autonomisti in tutte le regioni perché ciascuna possa avvalersi delle sue 'specialità'. Risultato: Zaia ha dovuto fare subito macchine indietro: "Niente indipendenza, sia ben chiaro! E niente Veneto regione a statuto speciale. Su questo, eventualmente, deciderà il Consiglio regionale. Ma chiederò nuove competenze in tutte le 23 materie previste, e l'esito sarà lo stesso che diventare regione a statuto speciale". Mentire sapendo di mentire. La cosa, se riprendono le lotte, potrà tornargli indietro come un boomerang. Per ora, però, funziona.

 

5. Funziona in modo contraddittorio, come tutto nel capitalismo, nel senso che sta moltiplicando le richieste autonomiste-localistiche dentro la stessa regione che si vorrebbe più "autonoma". Ha immediatamente alzato la voce il sindaco di Venezia: se avremo più competenze come Veneto, quelle del Comune sulla laguna non si toccano! Belluno, dove in contemporanea si è tenuto un secondo referendum sulla maggiore autonomia della provincia, pretende più poteri e più fondi in quanto provincia di montagna finora trascurata. Altrimenti l'attrazione per il Trentino-Alto Adige di diversi comuni (Sappada, già con un piede in Trentino, Lamon, etc.) sarà fatale. E proprio riguardo alla richiesta di maggiore autonomia di Belluno è venuto fuori un tema teorico-pratico importante: "non bisogna inventarsi un nuovo stato-locale" (così Gaz sul "Corriere del Veneto", 28 ottobre). Si teme, infatti, un nuovo "Stato-regione". Ecco il punto-chiave, lo vediamo dopo. Intanto, però, sia a nord ovest (Cortina, etc.), sia a nord est (Portogruaro, etc.), sia a sud (la zona di Rovigo, la più tiepida al voto) le spinte di alcuni comuni a trasbordare in regioni a statuto speciale o in Emilia-Romagna non sono scomparse. E si può ipotizzare che si riacutizzeranno se la prevista autonomia finirà in una bolla di sapone. In tal caso, chi sa, Mestre potrebbe chiedere di nuovo di separarsi da Venezia - sono stati organizzati finora ben quattro referendum in materia...

 

6. Sono stati mesi di bufale (che continuano). Ne segnaliamo solo le due più macroscopiche.

La prima è che l'autonomia regionale è contro gli sprechi e la corruzione di Roma, etc. La realtà dei fatti è che - al contrario - le regioni sono state delle metastasi dello "stato centrale". Con la loro formazione c'è stata la moltiplicazione degli apparati di stato, la loro inflazione. E, naturalmente, l'inflazione dei costi e del debito di stato, ai danni dei lavoratori sulle cui spalle quel debito è stato scaricato con il pagamento degli interessi, il Fiscal Compact e le politiche di "austerità". Anche a G.A. Stella, il reuccio dell'ovvio e del banale, è bastato uno sguardo alla regione a statuto speciale Valle d'Aosta per scoprirvi malversazioni con i soldi pubblici, privilegi anacronistici, una pletora di pubblici dipendenti, una quantità di ben pagati consiglieri regionali, porte girevoli di una cricca di individui tra aziende regionali, enti regionali e funzioni politiche (l'identico strettissimo intreccio tra potere economico e potere politico che c'è "a Roma"), forte presenza della 'ndrangheta, casinò pubblico in perdita perenne, maxi-vantaggi per imprese private e - non poteva mancare - sottoscrizione di derivati per 543 milioni di euro a favore di Deutsche Bank ("la Repubblica", 29 ottobre). Insomma: produzione seriale di debito di stato a favore di strati e figure sociali parassitari, delle imprese, dell'intero sistema bancario. Lo stato succhia-plusvalore e poliziotto reduplicato in piccolo. Vogliamo parlare della Regione a statuto speciale Sicilia?

Con le regioni a statuto ordinario non è diverso. Abbiamo detto dell'esempio-monstre dell'ospedale all'Angelo di Mestre, fiore all'occhiello della 'virtuosa' regione Veneto, che in fatto di produzione di debito di stato e vantaggi usurari per le imprese private può essere battuto esclusivamente dalla sanità lombarda, una formidabile macchina di soldi per case farmaceutiche, imprese edili, banche, assicurazioni, e per i consiglieri regionali forzaleghisti e le loro bande (e non solo).

L'altra grande bufala è che l'autonomismo sarebbe "contro i poteri forti". Cosa?? I poteri forti del capitale globale, i veri poteri forti, vanno a banchetto con la moltiplicazione degli autonomismi e dei secessionismi. La ferrea sottomissione dei paesi dell'Est Europa è passata proprio attraverso una catena di secessioni dolci (Cechia-Slovacchia) o insanguinate (quella jugoslava). La moltiplicazione degli staterelli è stata una autentica sventura, invece, per i lavoratori di quei paesi che si sono trovati brutalmente impoveriti, obbligati ad emigrare in massa, ricchi solo di veleni nazionalisti. Non a caso ancora oggi, a distanza di quasi trenta anni dall'inizio di quelle drammatiche vicende, sono quasi sempre assenti dai movimenti di lotta, ancora storditi e demoralizzati dalla sventura in cui sono stati trascinati (e si sono lasciati trascinare).

Scrive L. Caracciolo su "la Repubblica" del 29 ottobre: l'UE ha paura della balcanizzazione. Vero? Sì e no. Anzi: no e sì. Non ne ha affatto paura nella misura in cui essa serve a balcanizzare la classe lavoratrice - obiettivo a cui i burocrati e i governanti di Bruxelles, come quelli di Roma e di Venezia/Milano, lavorano con metodo. Quando le volpi del centro-sinistra Amato e D'Alema, e i loro consigliori, inventarono il federalismo competitivo e lo misero in Costituzione, sapevano molto bene quello che facevano. Ed erano in piena consonanza con i loro "avversari" forzaleghisti che ora, infatti, si appellano all'architettura costituzionale disegnata dalla coppia D'Alema-Amato. È un segreto di Pulcinella che una parte del nucleo centrale franco-tedesco è per un'Europa delle regioni, fatta di 50 o 60 regioni "etniche", ciascuna con la sua propria specifica "identità". Ha sponsorizzato fortemente questa prospettiva pochi giorni fa "Die Zeit" (10 ottobre), pubblicando un vero e proprio appello in tal senso a firma Ulrike Guerot, non certo l'ultima arrivata tra i consiglieri del principe. Questa prospettiva, tanto per dirne una, è stata più volte ventilata da Schäuble. Del resto l'intera politica economica europea incentiva le disuguaglianze regionali per sfruttarle ai fini del processo di accumulazione e centralizzazione del capitale (vedi il caso della Grecia).

È dunque la UE la fonte di tutti i mali, secondo le spompate, e pericolose, filippiche sovraniste di sinistra (Rete, Usb, etc.)? No. C'è una linea continua, non priva di contrasti ma continua, che va da Bruxelles a Roma passando per Venezia/Milano e viceversa. I superpoteri europei, l'esecutivo italiano, i sottopoteri (ma sempre poteri anti-proletari) regionali/locali sono pienamente solidali - una solidarietà di classe - nell'opera di dividere e contrapporre i lavoratori delle diverse nazioni e regioni per bastonarli meglio tutti dopo averli narcotizzati a suon di iniezioni di regionalismo, autonomismo, localismo, etnicismo. Prospettive colorate quasi sempre di temi destrorsi, ma talora anche di temi "ribelli" e "liberatori"... la "liberazione" delle regioni più ricche dal fardello di quelle più povere, che vanno impoverite ancora di più perché continuino a funzionare come prima e più di prima da riserve di forza di lavoro a basso costo. Certo, il processo a catena Brexit-Fiandre-Scozia-Catalogna (il caso catalano, lo sappiamo, è assai più complesso, ed è fuori discussione la condanna della repressione di massa di Rajoy)-Veneto e così via, potrebbe anche sfuggire di mano ai poteri forti europei. Nell'ipotesi più estrema potrebbe perfino generare nuovi processi jugoslavi. In tal caso per l'UE come insieme unitario sarebbe nera. Sarebbe invece una golosa opportunità per il vecchio capo-bastone di Washington che ieri promosse i primi passi dell'unità europea in chiave anti-URSS, e oggi teme che il concorrente-UE possa rafforzarsi troppo attraverso una dinamica unitaria centralizzatrice. Una dinamica disgregativa incontrollata in Europa sarebbe una buona opportunità pure per i poteri capitalistici ascendenti. Per i lavoratori, però, un simile processo di disgregazione all'insegna degli autonomismi regionali ed "etnici", tanto più se avvenisse con modalità jugoslave, equivarrebbe a un disastro.

 

7. Sono stati mesi di semina di veleni.

Anzitutto, una nuova valanga di fanghi tossici anti-immigrati e anti-meridionali nel tentativo, non certo fallito, di far dimenticare le imprese di Bossi-Belsito, Galan-Mazzacurati, Formigoni & Co., Zonin e gli altri predatori delle banche venete e lombarde (inclusa Credieuronord, la fallita banca della Lega), e di fornire facili capri espiatori "esterni" al malessere sociale che è crescente pure nelle aree più ricche d'Italia. E se tutta questa melma non bastasse, è comparsa anche un'altra forma di divisione e discriminazione: quella ideologica. Ha cominciato Zaia con la minaccia: "chi non ha votato, dovrà rivolgersi a Roma per ogni cosa gli serva". Poi altre figure minori, tra cui alcuni sindaci (quello di Arquà Petrarca, etc.) l'hanno ripetuta anche dopo il 22 ottobre: "se si viene a chiedere qualcosa, bisognerà esibire la ricevuta elettorale". Guai a mettersi contro chi gestisce il potere di stato! Nel Veneto che si vuole più autonomo (che sponsorizza l'introduzione del reato di "terrorismo di piazza") così come nella Roma 'centralista' (i decreti-Minniti). Nemici? Macché: sono fratelli gemelli nella espropriazione e nella oppressione dei "cittadini comuni".

8. Nel silenzio pressoché generale, nell'assenso pressoché generale alla istituzione di una Consulta delle categorie istituita da Zaia nella quale ci saranno "tutti", i comuni, le province, gli industriali, i commercianti, gli agricoltori, gli artigiani, le cooperative, gli ordini professionali, le università e, si capisce, i sindacati, noi ribadiamo: questi referendum così come il federalismo liberista (o liberismo federalista) dei passati decenni, il regionalismo, l'autonomismo, l'"indipendentismo" porteranno ai lavoratori solo ed esclusivamente illusioni paralizzanti e intossicazioni letali. Servono solo ad alimentare lo scontro lavoratori contro lavoratori per rendere impossibile la ripresa delle lotte e l'unità del fronte di classe, che è la sola via, la sola forza che può tirarci fuori dal super-sfruttamento, dai sacrifici, dal malessere, dalla precarietà, dalla uberizzazione del mercato del lavoro.

Alla deriva localista, autonomista, razzista che artificialmente esalta tutto ciò che divide i lavoratori, rispondiamo mettendo in primo piano, con la lotta, ciò che unisce, le rivendicazioni comuni che sono nell'interesse comune dei lavoratori e delle lavoratrici autoctoni e immigrati:

-disconoscimento e annullamento del debito di stato;

-abolizione del Fiscal Compact, del Jobs Act, della legge Bossi-Fini;

-solidarietà militante ai proletari immigrati / unità di classe;

-lavorare meno, lavorare tutti, lavorare tutti, lavorare meno, a parità di salario, per il lavoro socialmente necessario.

Ritroviamo nella lotta contro tutti i poteri che ci opprimono l'identità di classe e la solidarietà di classe, che è l'autentico calore "comunitario" che ci manca.

Add comment

Submit