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Freud e i processi collettivi

di Elvio Fachinelli

In due trascrizioni del 1989 di interventi televisivi per la sede Rai Bolzano, Fachinelli si confronta con il Freud che tratta dei processi collettivi tramite l’analisi della psicologia delle masse e il concetto di totem. Nel primo caso, si mette in evidenza il problema del rito, nel secondo si mostra l’inevitabilità della dissidenza verso la figura paterna 

giochi di bimbiIndividuo, società, religione

Quello dei rapporti tra individuo e società è certamente un problema molto complesso, che ha travagliato generazioni di studiosi e di filosofi e che ha trovato anche Freud in una situazione di interrogazione aperta. Proprio perché così complesso, infatti, non si può pensare che in Freud vi sia una soluzione univoca, valida una volta per tutte. Direi che, da questo punto di vista, si può parlare di una doppia versione freudiana dei rapporti individuo-società. La prima – la più diretta e immediata – vede in pratica nella società l’estensione e l’amplificazione di una serie di problematiche che hanno radice all’interno dell’individuo. In altri termini, nella società ci troveremmo di fronte a una serie di problemi che grosso modo ricalcano le vicende individuali del soggetto, soprattutto quelle infantili.

C’è poi una seconda versione, che in fondo risulta abbastanza isolata all’interno dell’opera freudiana, ma che, a mio parere e a parere anche di altri, è il punto forse più interessante della elaborazione di Freud. Si tratta di una tesi contenuta in Psicologia delle masse e analisi dell’Io, un testo del 1921 in cui appare fondamentale la presenza dell’altro – l’altro inteso appunto come gli altri individui – all’interno del soggetto stesso, e ciò attraverso dei legami d’identificazione. Freud muove da un esame comparato del comportamento delle folle – delle masse potremmo dire oggi – e dei fenomeni dell’innamoramento e dell’ipnosi, trovando in atto, in tutti e tre i casi, un processo di sottomissione al volere dell’altro: il problema della società si configura così non come una semplice amplificazione dei problemi del soggetto individuale, ma in un certo senso come una situazione di mescolanza, se non di capovolgimento, in cui il soggetto individuale è già intrinsecamente, all’origine, connesso al suo gruppo sociale, alle sue appartenenze esterne.

E questo non per un legame che gli venga imposto dal di fuori, ma proprio come fondazione della sua stessa soggettività. Per quanto concerne la religione, è possibile individuare in Freud vari strati culturali e concettuali. Il primo è quello dell’atteggiamento di un illuminista che vede nella religione il residuo di una sorta di malattia infantile dell’umanità. C’è poi un secondo strato, che costituisce il nucleo centrale della elaborazione freudiana: nella religione si ritroverebbe, in forma sublimata, un particolare tipo di rapporto tra una figura infantile e la figura di un dio-padre soccorritore, a cui ricorrere in situazioni di bisogno estremo. Ora questa seconda interpretazione è andata incontro a un’obiezione molto forte, o almeno a un’obiezione a cui Freud stesso sentiva di non saper dare una risposta immediata. Secondo lo scrittore francese Romain Rolland, con il quale era da tempo in corrispondenza, la concezione freudiana della religione mancava di quello che egli chiamava «sentimento oceanico», cioè un che di indistinto, di fluido, che ha a che fare con la percezione di una figura divina meno carica di indicazioni e di ordini, rispetto al dio paterno dell’impostazione freudiana.[1]

Nel corso della sua ricerca clinica Freud s’imbatté in quelli che noi chiamiamo nevrotici ossessivi, una categoria di malati non ignoti ai medici del suo tempo (come del nostro), ma che nella sua riflessione assunsero un rilievo centrale, tra l’altro proprio in rapporto al problema religioso. Uno dei sintomi più vistosi e caratteristici di queste persone è la coazione a compiere determinati cerimoniali, secondo regole molto rigorose, addirittura soffocanti, come se si trattasse di eseguire riti rivolti a un dio sconosciuto. Di qui l’audace movimento compiuto da Freud, soprattutto in Totem e tabù, del 1912-13, l’operazione cioè di vedere in queste situazioni quasi un esemplare individuale di ciò che, sul piano dell’umanità in generale, si chiama religione:«la nevrosi ossessiva – dice Freud – non è che la caricatura, per metà comica e per metà tragica, di una religione privata», mentre «la religione sarebbe la nevrosi ossessiva universale dell’umanità».[2]

In questa formulazione si può vedere una delle punte estreme dell’attacco portato da Freud contro il ritualismo religioso, anche se va subito precisato che tale critica è diretta non tanto alla religione in sé e per sé quanto a una certa sua modalità degradata e ritualistica, ossessiva appunto. E in effetti in altre opere la valutazione della religione, come del mito e della vita fantastica dell’umanità, trova ben altra impostazione, ben altra apertura.

 

Religione del padre e dissidenza

Il poeta Umberto Saba pieno di entusiasmo scriveva a Giovanni Comisso: «Mi dispiace che non ti sia piaciuto Totem e tabù. Vuol dire (scusami) che non l’hai ancora capito. È un fascio di luce proiettata sulle origini dell’umanità; è il più gran passo, in questo senso, fatto dopo Darwin, con questo in più, che è fatto dall’interno. Non vedi che è l’umanità che a poco a poco, e in modo confuso ancora, riscopre le sue origini?».[3]

Nonostante le critiche che l’opera incontra, Freud consapevolmente crede che questa sua ricerca possa rischiarare la tenebra dei primordi e il significato di intere costellazioni di miti, leggende, usi e costumi antichissimi. Nel suo soggiorno dolomitico[4] egli ha senza dubbio avvicinato, ascoltato o letto alcune delle leggende che numerosissime fiorivano lungo i pendii dei Monti Pallidi; sul Renon si tramandano i racconti delle streghe del Pirchboden, del colle Piper, il ciclo delle Rittner Hexensagen all’ombra delle «piramidi di terra». Tali leggende narrano di streghe che si radunano nei luoghi frequentati un tempo da sette eretiche per compiere i sacrifici in onore dei loro dei; qui, la notte, danzano col diavolo e insieme ordiscono sortilegi fino all’alba, attente a non lasciarsi sorprendere dai bagliori del mattino. Ma a volte ciò non riesce, come nella leggenda delle «piramidi del Renon», dove si legge che in una terribile notte le streghe e Franz (un giovane ozioso e inetto), sopraffatti dalla furia infernale della bufera, non riuscirono a mettersi in salvo e, sorpresi dall’alba nella radura del Pirchboden, vennero trasformati in grigie piramidi di terra e di pietra. Questo stupefacente paesaggio è stato senz’altro meta delle escursioni di Freud in quell’estate di Totem e tabù. La fantasia popolare, poi, si è ampiamente sbizzarrita nel dare nomi ad alcune rocce dalle forme enigmatiche e pertanto ritenute pietrificazione di spiriti cattivi: le «Cinque Dita» del Sassolungo, i «Mugoni» nel gruppo del Catinaccio, con le tre cime «il Frate, l’Orso e lo Stregone».

A proposito delle streghe Freud in una lettera del 24 gennaio 1897 all’amico Wilhelm Fliess aveva scritto: «L’idea della stregoneria sta prendendo forma. I particolari si stanno affollando. Ho scoperto la spiegazione del “volo” delle streghe […]. Le loro riunioni segrete, con danze e altri trattenimenti, si possono vedere ogni giorno nelle strade dove giocano bambini». «Dopo aver ricevuto un’istruzione sessuale, ancora per molto tempo i bambini si comportano come quei popoli primitivi cui è stato imposto il cristianesimo e che però continuano in segreto ad adorare i loro vecchi idoli».[5]

Quanto alle critiche che seguiranno a Totem e tabù, Freud spiega che il «rifiuto della teoria del complesso edipico è soprattutto un prodotto della profonda ripugnanza che l’uomo prova verso i propri infantili desideri incestuosi, sprofondati nel frattempo nella rimozione». Nella rappresentazione di Freud l’uccisione del progenitore non è solo causa dell’introduzione di divinità paterne, di fronte alle quali i figli possono espiare la loro colpa, ma «la famiglia fu una restaurazione dell’antica orda primordiale», e inoltre il parricidio originario influenzò ogni singolo figlio maschio, precisamente perché «le disposizioni psichiche» sono ereditarie e perché nell’inconscio i ricordi rimangono conservati dalla comunità primitiva per millenni. Forse è questo il senso delle parole di Goethe: «Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo, se vuoi possederlo davvero».[6] Non è pertanto necessario postulare un inconscio «collettivo» in quanto il contenuto dell’inconscio è già di per sé patrimonio comune, universale, di tutti gli uomini.

In quell’epoca di dissenso, quindi di ribellione, di alcuni suoi allievi contro di lui (Alfred Adler, Wilhelm Stekel e Carl Gustav Jung), Freud si sente egli stesso come uno di quei progenitori al quale l’orda dei figli invidia la supremazia. E la sua spiegazione dei loro desideri distruttivi è allora: poiché in epoca primordiale era esistito un padre che era stato ucciso dai suoi figli, anche i sentimenti dei dissidenti devono essere di odio verso di lui, e quindi prima di soccombere lui li scaccia. Non stupirà apprendere che Freud, durante i suoi soggiorni a Roma, nel 1912-13, indugiasse frequentemente di fronte alla statua del Mosè di Michelangelo con emozioni differenti dalla sua prima visita del 1901: era ormai divenuto un Mosè egli stesso, che con sguardo irato assisteva alla «danza intorno al vitello d’oro» dei suoi seguaci ribelli. Come Mosè egli tende a salvare le «tavole della legge» della psicanalisi. In adempimento di questo «mandato», di questa «missione» egli deve soggiogare la propria «passione». L’ambivalenza che Freud prova di fronte alla statua del Mosè è causata dal fatto che da un lato si sente figlio e dall’altro padre: in quanto «figlio» egli avrebbe preferito non rinunciare alla sua impetuosa passione, ma ne viene impedito dal «padre» Mosè sotto minaccia di punizione; in quanto «padre» deve dominare la sua ira verso i «figli» ribelli che disprezzano le sue regole proprio per non compromettere questi stessi dettami.[7]


La prima parte di questo testo è la trascrizione degli interventi di Fachinelli (Milano, 15 settembre 1989), nel programma Percorsi freudiani per la terza rete Rai di Bolzano, pubblicata poi come postfazione a F. Marchioro, Passi di sogno. Freud: Gradiva e Totem e tabù, UCT, Trento 1990, pp. 63-65. La seconda parte, inedita, è la trascrizione di un intervento al programma Rai, Freud a Lavarone e Collalbo interpreta Gradiva e Totem e tabù (1989).

Note
[1] Cfr. E. Fachinelli, La mente estatica, Adelphi, Milano 1989, pp. 128-34.
[2] S. Freud, Azioni ossessive e pratiche religiose (1907), OSF V, p. 343; L’avvenire di un’illusione (1927), OSF X, p. 473.
[3] Lettera del 23 dicembre 1930, in Saba, Svevo, Comisso. Lettere inedite, a cura di M. Sutor, Gruppo di Lettere moderne, Padova 1968, p. 27.
[4] Nell’estate 1911 Freud fu in villeggiatura con la famiglia a Collalbo, un paesino sull’altopiano del Renon (o Ritter), in prossimità delle famose «piramidi di terra» teatro, secondo la leggenda, di riti magici stregoneschi. Di lì scrisse a Jones, Ferenczi e Jung (rispettivamente 9, 11 e 20 agosto), annunciando di essere tutto preso da un nuovo lavoro sui «problemi del totem e del tabù». Monti Pallidi è un nome locale delle Dolomiti.
[5] S. Freud, LF, p. 257; Analisi terminabile e interminabile (1937), OSF IX, p. 517.
[6] J.W. Goethe, Faust, I, ed. it. a cura di F. Fortini, Mondadori, Milano 1982, vv. 682-83, p. 55.
[7] Cfr. S. Freud, Il Mosè di Michelangelo (1913), OSF VII, pp. 299-328. Questo testo – si noti – viene ultimato nello stesso periodo (inizio gennaio 1914) in cui cade la stesura di Per la storia del movimento psicanalitico, lo scritto in cui Freud conduce un’aspra polemica nei confronti dei suoi ex seguaci Adler e Jung (OSF VII, pp. 415-38). Per l’identificazione di Freud con Mosè, e dei suoi «figli ribelli» con gli ebrei adoratori del vitello d’oro, cfr. Jones, vol II, pp. 438-41 e l’avvertenza editoriale di Musatti al Mosè di Michelangelo, OSF II, pp. 295-97.

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