Škola kommunizma: i sindacati nel Paese dei Soviet
di Paolo Selmi
Quindicesima parte. “Ammettere i propri difetti è privilegio dei forti”: l’intervento di Tomskij al XIV Congresso del Partito Comunista di tutta l’Unione (bolscevico) PARTE V
e. Le Commissioni su tariffe e conflitti (RKK): non solo arbitrato
Le Commissioni su tariffe e conflitti… già, perché esistevano anche quelle: le RKK non erano, nonostante la funzione arbitrale di entrambe si presti ad analogie, l’equivalente dei nostri Collegi di conciliazione e arbitrato.
Anche qui, potremmo fregarcene altamente e andare avanti, che di strada da qui alla fine del periodo considerato da questa ricerca, ovvero la fine stessa dell’URSS, ce n’è ancora da fare, ma sorge sempre la stessa domanda… che senso ha, in un lavoro sui sindacati di anni, aggiornato al 2025, fatto fuori dall’orario di lavoro e da tutti gli altri impegni quotidiani, prendersi in giro ancora una volta, far finta di niente per l’ennesima volta, sempre per l’ennesima volta farsi bastare formulette e stereotipi vecchi, nella migliore delle ipotesi, di oltre mezzo secolo? Tanto valeva non affrontarlo nemmeno, se è già “tutto scritto”. Davàj, quindi, come dicono da Kaliningrad a Vladivostok: esaminiamo anche le RKK.
L’unica analogia delle RKK con i nostri Collegi è la comune vocazione all’arbitrato, ovvero alla risoluzione di contenziosi senza il ricorso al giudizio di un tribunale: per il resto, tutto cambia.
Partiamo dal nome: Rascenočno-konfliktnaja komissija. Rascenit’ (laddove la “c” è una z aspirata) viene da cena (medesima accortezza, traslitterabile come “tsena”) e vuol dire “stabilire il prezzo”, che nel caso del giovane Paese dei Soviet era ancora legato alle tariffe salariali del cottimo, più che a un salario fisso; konflikt, invece si presenta da solo. Una komissija chiamata, pertanto, a svolgere compiti ben più ampi dei licenziamenti “non per giusta causa”. Komissija figlia della NEP, figlia di quel momento storico in cui i bolscevichi capirono che, per riprendersi dalle macerie della guerra d’invasione, della guerra civile e del comunismo di guerra, la loro breve esperienza di autogestione operaia e le loro ancora scarse conoscenze in materia non sarebbero bastate, così come il semplice mettere qualche “tecnico” a guinzaglio stretto a eseguire i loro ordini: non sarebbero bastate a garantire il ripristino di quella maledetta ruota che, fino a prima della Rivoluzione, aveva macinato terra, sangue e produzione e riproduzione merce dispensando, ogni tanto, qualche briciola alla “plebe sempre all’opra china” che la faceva girare.
Quella ruota che, dopo due anni di “freddo e fame” (cholod i golod), occorreva far ripartire. Quella ruota che, pur non sapendo materialmente come far ripartire altrimenti, al tempo stesso non poteva – anzi, non doveva! - ripartire “come prima e più di prima”: pena, il rientro fisiologico della Rivoluzione in quello che oggi si sarebbe chiamato “socialismo con caratteristiche russe”; neanche sovietiche, russe, ivi incluso l’unico fuso orario (MSK, ovviamente) da Minsk a Vladivostok.
Tuttavia, non era questa l’intenzione dei bolscevichi, e lo abbiamo già sottolineato più volte nel corso di questo lavoro: non si era immolata la meglio gioventù operaia per ritornare al dominio degli uomini col cilindro, stranieri o autoctoni, tradizionalmente borghesi o parvenu, semplici opportunisti dell’ultim’ora, borghesia compradora o nepman, e quanto di peggio il genere umano avesse potuto offrire in quell’occasione propizia di rinnovata accumulazione e concentrazione di capitali dal proprio campionario di miserie e meschinità.
Ecco quindi la difesa dei sindacati in TUTTI i posti di lavoro, rendendo inefficace qualsiasi tentativo di espulsione delle cellule sindacali e intimando ai padroni l’obbligo di reintegro. Ecco quindi la nascita, il 3 novembre del 1922, a pochi giorni dal V anniversario della Rivoluzione, e mentre da noi arrivava la repressione squadrista, delle komissija, d’ora in avanti RKK: commissioni paritetiche, ovvero composte in egual misura da rappresentanti della direzione e sindacali, in tutte le realtà economiche del paese, a prescindere dalla proprietà se statale, cooperativa o privata.
Vale la pena riportare i primi articoli della Risoluzione del Commissariato del popolo per il lavoro della RSFSR intitolato “Disposizioni relative alle commissioni ” (Положение о расценочно-конфликтных комиссиях). Vedremo, per esempio, come all’epoca i sindacati non avessero uffici tecnici e centri studi autonomi in grado di elaborare politiche salariali e tecnologie, ingegnerie di gestione aziendale autonome, ma giocassero ancora di rimessa sui risultati prodotti dagli uffici tecnici aziendali o sulle proposte della direzione:
A. Disposizioni generali
1. Si costituiscono le RKK nelle aziende e istituzioni statali, cooperative e private con le seguenti finalità:
a) attuazione di tutte le misure del contratto collettivo e dell’accordo sulle tariffe salariali,
b) risoluzione di controversie e conflitti, sorti in azienda fra amministrazione e lavoratori (operai e impiegati)
c) elaborazione della bozza di regolamento interno.
B. Mansioni delle RKK
2. Al fine di attuare il contratto collettivo e l’accordo sulle tariffe salariali, attengono alle mansioni delle RKK:
a) verifica e approvazione di ciascuna tariffa salariale per tutto l’organigramma delle mansioni e competenze;
b) verifica e approvazione dei coefficienti di produttività e delle tariffe di cottimo secondo il contratto collettivo o all’accordo sulle tariffe salariali;
c) conferma campioni da riprodurre sulle linee e tolleranze per ciascun lavoro o mansione;
d) conferma ordini e sequenze dei piani ferie;
e) verifica delle denunce, provenienti da singoli lavoratori o da comitati di fabbrica, per errori di conteggio nelle buste paga, sia a livello collettivo che individuale, oltre che verifica di errori nei campioni e nelle tolleranze.
Nota: le questioni trattate nei punti “a”, “b”, “c” e “d” sono elaborate in via preliminare dall’amministrazione e dagli uffici tecnici e quindi sottoposte all’approvazione delle RKK.
3. Per quanto riguarda invece la parte conflittuale, le RKK hanno la funzione di risolvere i conflitti sorti in azienda o nell’istituzione in sede di interpretazione e attuazione del contratto collettivo, così come i conflitti sui contratti di lavoro.
Nota: fra le competenze delle RKK NON rientrano:
I) Gestione di controversie sulla sostanza del contratto collettivo stesso (e non sulla sua applicazione), o sulla pretesa di ignorarne, cambiarne o eliminarne singole parti, così come la presentazione di nuove condizioni per la sua applicazione o per quella degli accordi sulle tariffe salariali;
II) Gestione di casi giuridici sorti dalla violazione delle leggi sul lavoro e dell’assistenza sociale.
4. Fra le funzioni delle RKK rientra l’elaborazione di una bozza di regolamento interno.1
Le RKK, con la NEP, divennero quindi parte integrante di questo mosaico di istituzioni, funzioni e mansioni nuove che si stava componendo. Ovunque si raccomandava – si imponeva! – di impiegarle solo per gli usi consentiti. In un Paese, quello dei Soviet, esteso lungo dieci fusi orari e più, dove dopo anni ancora quel decreto del 1922 capitava, a livello locale, che fosse applicato parzialmente o nel peggiore dei modi. Un’Autore che si firma per brevità Ž-ov, scrivendo sul Settimanale di Giustizia Sovietica, organo ufficiale del Nar.Kom.Just. (Наркомюст Commissariato popolare per la Giustizia), sempre nel 1925 così constatava:
Sulle RKK quasi ogni giorno si possono trovare sulle pagine di giornali e periodici note, lettere e articoli che ne sottolineano enormi carenze nel loro lavoro. Se ne parla anche in tutte le conferenze e riunioni operaie. Del cattivo lavoro delle suddette commissioni, testimonia anche la semplice statistica delle loro risoluzioni e, quel che è peggio, delle lamentele di tutti, operai, impiegati e amministrazione relative a tali risoluzioni.2
Sempre lo stesso Autore constatava che, operativamente, anche chi ne lamentava il cattivo funzionamento non ne avesse ancora capito le reali funzioni e potenzialità: cita, per esempio, la critica di un altro editorialista che, a un certo punto, ipotizza che il lavoratore, qualora la conciliazione individuata dall’RKK non lo soddisfacesse, potesse neanche “fare ricorso” (il che implicherebbe il riconoscimento della decisione intrapresa), ma accedere liberamente a un tribunale civile “come se nessun altra decisione fosse stata presa da parte dell’RKK” (как если бы нпкакдао решения РКК и не было)3.
Esaltante, non c’è che dire… lo stesso che – utilizzando un linguaggio desueto ma tanto per capirci – in una “deviazione” non tanto “di destra” come quella liberaleggiante appena esposta, ma “di sinistra”, dura e pura, avesse contemplato ad libitum scioperi e picchetti: già si fa fatica a introdurre le RKK nei luoghi di lavoro, poi riduciamo a zero la loro autorità… cosa le teniamo a fare allora? Per bellezza?
Eppure, siamo sempre qui, e mi riferisco a chi scrive libri citando libri che a loro volta son costruiti su fonti a volte neppure di prima mano. Se non ci sporchiamo le mani approcciandoci concretamente ai problemi, parliamo solo di aria fritta. Neppure per fesserie come queste esistono soluzioni dettate esclusivamente da approcci idealistici, ancorché pseudo-ideologici, calati dall’alto ed espressione di un’estremizzazione, trasfigurazione, spesso solo travisamento, perlopiù assolutizzazione delle ideologie alla loro base (primato giuridico indiscusso dell’individuo, nel caso della “deviazione di destra”, e primato – anche senza “giuridico”, primato e basta – del collettivo operaio locale nel caso della “deviazione di sinistra”). Figurarsi per la soluzione di problemi ben più complessi e già meno locali.
Noi dovremmo saperne qualcosa, visto il corso neoliberistico imperante da oltre trent’anni e culminante in un’emergenza pandemica, dove ha dato il meglio di sé, lasciandosi dietro una scia di “danni collaterali” e dove non ho ancora capito se, a esser stata più impressionante, fosse l’offensiva padronale stessa, guidata da Big Pharma e seguita a ruota dall’intera catena di produzione e riproduzione merce, o la sua accettazione passiva della dirigenza della triplice sindacale, quella ufficialmente riconosciuta nelle sedi istituzionali e nei salotti buoni, quella che “firma” a Roma e vive di rendita, salvo poi pontificare nei RARI casi in cui qualcuno agita lo spauracchio dell’URSS ripetendo luoghi comuni che nessuno ormai più contesterà.
O, forse, davvero conviene pensare che sia stato solo un problema di quattro mezzi contadinotti mezzi operai semianalfabeti messi su dagli eventi e dalle circostanze a gestire qualcosa più grande di loro… tanto è così che, già “in tempi non sospetti”, i nostri pseudoradicali intellettualoidi, li han sempre trattati e, nel caso del “manifesto”, continuano tutt’ora a trattarli... o mi sbaglio?
Torniamo alle RKK. Se agli operai non era chiara quale fosse la loro funzione e, nella risoluzione di controversie a esse preposte, si rivolgevano a volte ex novo ad altri soggetti (giustizia ordinaria, per esempio), insoddisfatti di come erano state gestite le cose dalle stesse RKK, la colpa non era solo di operai a cui non eran chiari certi meccanismi, o che li rifiutavano in via pregiudiziale, pseudoideologica, ma ANCHE DELLE RKK STESSE. Oltre a quel pezzo di carta del 1922 che le istituiva, a fornire linee guida, e a verificarne l’attuazione, non c’era stato più nulla. Prosegue l’Autore di questo lavoro:
Guardando all’attività delle RKK, è facile notare come tutti i malfunzionamenti del loro lavoro siano ascrivibili a tre gruppi fondamentali:
1) sconfinamento in attività aldifuori delle competenze delle RKK
2) decisioni prese attuando scorrettamente o violando la legge
3) mancata osservanza delle procedure previste per le RKK
Molto spesso, le RKK dimenticano di essere soltanto organi di arbitrato fra le parti, chiamati a risolvere per l’esattezza e con atteggiamento conciliatorio solo quei casi relativi alla paga e ai conflitti fra le parti, così come stabilito dal decreto che li istituisce e dalla legge. Molte RKK su questo non solo si rifiutano di far chiarezza, ma si considerano al contrario quasi plenipotenziarie, nel diritto di potersi occupare di questioni amministrative, governare e decidere. Capita spesso di incontrare, per esempio, risoluzioni del tipo: “si prega l’amministrazione di assumere questo lavoratore, oppure di confermare questo nostro ordine, oppure di cancellarne un altro”, e via discorrendo.
A sostenere le RKK nella falsa convinzione che “tutto possano”, molto spesso sono gli stessi sindacati, nel momento in cui includono nei contratti collettivi clausole che ne ampliano le competenze contro sia la legge, sia la risoluzione costitutiva delle RKK.
A dire il vero, quest’ultimo punto si sta pian piano risolvendo, in quanto i contratti collettivi stanno seguendo sempre più direttive precise espressione della linea sindacale sull’argomento. Tuttavia, ancora non tutto è chiaro sul versante della giurisdizione specifica delle RKK. Le RKK non hanno ancora ben chiaro in mente che devono occuparsi solo di questioni legate al lavoro, questioni peraltro che non siano sfociate nel penale; per questo, spesso ancora possiamo incontrare risoluzioni delle RKK che prevedano l’imposizione di sanzioni disciplinari, espulsioni da appartamenti, con conseguente corollario reciproco di insulti, eccetera.4
Ora è chiaro anche il perché un operaio si sentisse in diritto di ricorrere ad altre sedi e gradi di giudizio: perché le RKK, spesso, non facevano quello per cui erano state costituite, perché abusavano della loro autorità o, anche in buona, buonissima fede, l’applicavano comunque in maniera distorta. Sono processi lunghi, ma il modo peggiore di affrontare questi problemi o è ignorarli, o è girarci intorno, di fatto “ammettendone” la possibilità e plausibilità. Magari con una bella alzata di spalle. Non è il caso dell’Autore di questo lavoro, che così prosegue, rincarando la dose e andando al cuore del problema:
Il secondo maggior difetto che possiamo incontrare nelle decisioni delle RKK è dato dalle frequenti violazioni della legge. Ciò accade perché ancora non è sufficientemente a loro chiaro che ogni loro decisione debba essere secondo legge o in accordo al contratto collettivo. Prendiamo, ad esempio, questa risoluzione del tutto arbitraria e incurante di qualsiasi legge: “Licenziare quel lavoratore senza pagargli le ferie”; quelle RKK pensavano, molto probabilmente, di essere nel pieno diritto di sentenziare a quel modo, ne erano proprio convinte, magari senza nemmeno sospettare che, in quel momento, stessero violando la legge. E in questo caso, da parte dei membri delle RKK, oltre al farlo apposta o alla superficialità, ci può stare anche la loro assoluta convinzione di essere nel giusto.
Altrettanto importante è vedere come si lavora nelle RKK. Se si osservassero le più elementari norme di raccolta preparatoria e audizione di una causa, se si invitasse sempre l’operaio o l’impiegato interessato a dire la sua, se si desse sempre la più totale possibilità di presentare prove o evidenze, se le sessioni fossero sempre aperte al pubblico e, infine, se si seguisse sempre il protocollo, ecco che molte decisioni illegali e scorrette non ci sarebbero. Inoltre, anche verifica e controllo della bontà delle decisioni intraprese sarebbero decisamente più semplici.5
Le soluzioni finora accennate, come in quest’ultimo paragrafo, dal compagno Ž-ov, trovano quindi subito dopo una loro esplicitazione:
Per sistemare il lavoro delle RKK occorre muoversi lungo due direttrici:
1. creando istruzioni operative precise per le RKK da parte dei sindacati e del Commissariato del Popolo per il Lavoro (NKT) e
2. stabilendo un controllo sistematico delle decisioni intraprese dalle RKK.
Purtroppo, già riguardo al primo punto notiamo scarsa attenzione verso le RKK. Basti solo questo: tra un po’ son passati tre anni dalla loro costituzione e ancora non abbiamo un’istruzione operativa a loro dedicata. E non ci vorrebbe una sorta di “pentateuco”, come invocato invano dal compagno Bukov. Basterebbero poche pagine di istruzioni, dove chiaro e tondo fosse spiegato, in un linguaggio comprensibile, di cosa si possano e si debbano occupare le RKK e cosa non sia di loro competenza, a quali codici e leggi debbano attenersi nello specifico perché le loro decisioni siano legittime, eccetera.
Se un’istruzione del genere fosse stata resa obbligatoria per tutti i direttivi delle RKK, sarebbe stata dura per le RKK fare apposta, mettercela tutta, a violarla come invece accaduto in tutti questi casi. Al contrario, non possiamo non notare come tutte queste violazioni in gran parte siano dovute all’ignoranza, da parte delle RKK, dei loro diritti e doveri.
In virtù di quanto appena considerato, ne consegue l’obbligo, da parte dei sindacati e degli uffici per il lavoro, di dirigere il lavoro delle RKK tramite tali istruzioni.6
Non c’è bisogno di scrivere volumi di regolamenti, un “pentateuco”, come lo chiama l’Autore: al contrario, poche istruzioni, chiare, precise, comprensibili e, come sottolinea alla fine, l’impegno preciso, obbligatorio, di diffonderle capillarmente e accertarsi della loro ricezione da parte degli organi di sorveglianza. Ma non basta. C’è anche il secondo punto, ovvero un controllo rigoroso della loro applicazione. Così prosegue:
Uno degli strumenti più efficaci di sistemazione del lavoro delle RKK è la corretta organizzazione del controllo sulle loro attività. È possibile esercitarlo a partire dai verbali prodotti dalle RKK. Per questo ogni RKK dovrebbe obbligatoriamente mandare una copia dei propri verbali agli organismi locali dell’NKT (uffici per il lavoro, ispettorati del lavoro).
Ma non basta: le RKK a questo punto e a maggior ragione saranno tenute a redigere i verbali correttamente, in modo che descrivano l’intero processo di raccolta prove e informazioni, così come indichino con precisione le motivazioni e i fondamenti giuridici di ciascuna loro risoluzione.
Inoltre ogni verbale, oltre a registrare come di consueto data, luogo, presenti e assenti in commissione, dovrà anche riportare la cronaca della sessione stessa: caso trattato, chi ha preso la parola, di che parte era, cosa ha detto esattamente, il testo completo del discorso dell’operaio o dell’impiegato oggetto del caso, le deposizioni di testi e periti così di come tutti i partecipanti all’istruttoria. Ogni dichiarazione o deposizione deve essere firmata, così come la risoluzione stessa deve essere rigorosamente fondata su articoli del Codice del lavoro o del Contratto collettivo che vanno obbligatoriamente citati.
Con un verbale così compilato, l’organismo competente dell’Ispettorato del lavoro può subito determinare sia la correttezza della risoluzione intrapresa, sia la competenza della RKK in ciascuna parte del caso affrontato. Naturalmente, la supervisione sulla legittimità delle risoluzioni delle RKK dovrà essere condotta anche sul posto, osservando direttamente il loro lavoro.7
L’Autore quindi incoraggiava anche meccanismi di verifica del lavoro delle RKK in termini di obbiettivi da raggiungere e di relative sanzioni da erogare in caso di dolo nel mancato raggiungimento degli stessi. Concludeva, quindi, ribadendo che ai membri delle RKK non serviva conoscere il codice civile o penale, ma avere ben presente poche, chiare istruzioni operative, comprensibili a qualsiasi operaio o impiegato con un grado minimo di cultura.
Interessante notare pertanto, anche in queste paginette, nozioni come diritto, legge, pur declinate in maniera rivoluzionaria, non sfociassero nel giusnichilismo in cui, oggi, è confinato il giudizio sul Diritto sovietico, ovvero nell’indifferenziato della pattumiera della Storia. L’unica speranza, per chi scrive, è che ciò che è stato sepolto sotto tre metri di terra faccia da concime a chi un giorno spazzerà via questa cappa, sempre più spessa eppure sempre più attraversata da crepe e falle. Questa volta per sempre.
Torniamo a Tomskij. Nelsuo intervento egli quindi ribadisce molto di quanto esplicitato in questo lavoro appena citato, concetto dopo concetto. Il contratto collettivo si discuteva NEL MERITO altrove, non era materia delle RKK, che dovevano vedere solo se e come è applicato e intervenire qualora necessario! Ribadito nelle disposizioni stesse, a scanso di equivoci. Verificare l’attuazione del contratto collettivo, risolvere controversie, elaborare le norme del regolamento interno: queste erano le tre funzioni delle RKK, e nulla più.
(continua)