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Controllo sociale e governance della povertà
Note sull’introduzione del Reddito di inclusione in Italia
di Andrea Fumagalli
Il 29 agosto 2017 è stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il Reddito di inclusione (REI). Si tratta di una misura nazionale di contrasto alla povertà, selettiva e condizionata. Si compone di due parti:
- un beneficio economico, erogato attraverso una Carta di pagamento elettronica (Carta REI);
- un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa “volto al superamento della condizione di povertà”, come dichiarato dal ministro Poletti.
In questa scheda presentiamo i requisiti richiesti, così come descritti dallo stesso ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale
Requisiti di residenza e soggiorno
Possono accedere al REI le seguenti categorie di cittadini:
- cittadini italiani
- cittadini comunitari
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Immigrazione: crisi ed ipocrisia della sinistra clintoniana italiana
di Ugo Boghetta
Con il cambio netto e repentino di linea politica sulla questione dei migranti da parte di Minniti, Gentiloni, Mattarella – poi santificato nell’incontro di Parigi – la sinistra clintoniana italiana si è trovata in una crisi imprevista. L’ideologia dell’accoglianza sempre e comunque non c’è più.
Un cambiamento di politica non nato, a mio parere, solo per un mero calcolo elettorale del PD, ma dalla spinta di apparati dello Stato che hanno ritenuto l’immigrazione di massa illegale non più gestibile.
In rapidissima sequela, sono scesi in campo Saviano, il manifesto, Ezio Mauro, Calabresi, Giannini, Ignazi, Maltese ed altri ancora. Non è mancato ovviamente l’intervento dell’ineffabile Boldrini.
Il tono è quello dell’indignazione moralisticheggiante: reato umanitario, inversione morale, emergenza morale, resa della civiltà, il dovere di rimane umani e cosi via.
Per costoro la regolamentazione delle ONG appare un reato morale. Per colpire gli scafisti, si sentenzia, si colpiscono anche coloro che salvano le vite. L’azione dei volontari, in quanto dettata dalla sfera della coscienza, sarebbe intoccabile.
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Note su “Lo Stato Innovatore” di Mariana Mazzucato
di Lorenzo Cattani
Mariana Mazzucato, Lo Stato innovatore, Laterza, Roma – Bari 2016, pp. 378, 18 euro (scheda libro)
A 10 anni dall’inizio della crisi, appare ormai chiaro come l’economia del settore pubblico rappresenti sempre di più la chiave di volta per quei problemi, rimasti sopiti o ignorati fino alla recessione iniziata nel 2007, che stanno affliggendo i paesi occidentali. Negli ultimi l’opinione comune circa l’intervento statale era che questo avrebbe dovuto mantenersi ai margini dell’azione di governo, limitandosi alla garanzia della legalità ed alla “stabilizzazione” del mercato in momenti difficili.
Come sostiene brillantemente Mariana Mazzucato nel suo libro “Lo Stato Innovatore”, il pubblico non è un’entità inerziale, un carrozzone di poco valore che soffoca le forze del mercato, i cui eventuali “fallimenti” sono l’unica cosa di cui debba occuparsi. Lo Stato è invece il principale promotore dell’innovazione, un processo fondamentale per la crescita economica, caratterizzato però da una fortissima incertezza, la cosiddetta “incertezza di Knight”[1]. L’innovazione è quindi un processo su cui il capitale privato sarà disposto ad investire solo in una fase finale, quando saranno chiaramente visibili i ritorni finanziari. Il problema quindi è che, senza gli iniziali investimenti dello Stato, unico attore a sapersi realmente accollare grossi rischi e fornire “capitali pazienti”, non si potrebbe nemmeno dare il via a quel processo cumulativo e rischioso che è l’innovazione.
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Rivoluzione d’Ottobre e democrazia
di Domenico Losurdo
Il testo è la rielaborazione nella forma della Conferenza pronunciata a Napoli, presso la libreria Feltrinelli, il 6 luglio 2007, nell’ambito del ciclo «I venerdì della politica» promosso dalla Società di studi politici.
Ho sviluppato i temi qui accennati in tre libri ai quali rinvio per gli approfondimenti e i riferimenti bibliografici: Controstoria del liberalismo (Laterza, 2005); Il linguaggio dell’Impero (Laterza, 2007), Stalin. Storia e critica di una leggenda nera (Carocci, 2008) (D.L)
L’ideologia e la storiografia oggi dominanti sembrano voler compendiare il bilancio di un secolo drammatico in una storiella edificante, che può essere così sintetizzata: agli inizi del Novecento, una ragazza fascinosa e virtuosa (la signorina Democrazia) viene aggredita prima da un bruto (il signor Comunismo) e poi da un altro (il signor Nazi-fascismo); approfittando anche dei contrasti tra i due e attraverso complesse vicende, la ragazza riesce alfine a liberarsi dalla terribile minaccia;
divenuta nel frattempo più matura, ma senza nulla perdere del suo fascino, la signorina Democrazia può alfine coronare il suo sogno d’amore mediante il matrimonio col signor Capitalismo; circondata dal rispetto e dall’ammirazione generali, la coppia felice e inseparabile ama condurre la sua vita in primo luogo tra Washington e New York, tra la Casa Bianca e Wall Street. Stando così le cose, non è più lecito alcun dubbio: il comunismo è il nemico implacabile della democrazia, la quale ha potuto consolidarsi e svilupparsi solo dopo averlo sconfitto.
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Nuove scritture working class: nel nome del pane e delle rose
di Alberto Prunetti
Primo antefatto. Respira e intona il mantra: «Class is not cool»
Un libro racconta la storia di un educatore precario, figlio di un operaio di una fonderia. Padre e figlio si incontrano a parlare il sabato pomeriggio allo stadio. Come viene descritto quel romanzo inglese in Italia? Come un libro sul calcio. Ma in realtà quel romanzo è un racconto sulla classe operaia. Sulla working class inglese, che notoriamente attorno alla birra, al pub e al football aveva costruito elementi di convivialità e socialità. Dopo la fabbrica, ovviamente, ma quella era già stata smantellata. Così in Italia si adotta come un libro sul calcio quello che invece è un romanzo che racconta una classe sociale. La working class inglese.
Guai infatti a parlare di classe operaia. Ripetere tre volte il mantra ad alta voce: la classe operaia non esiste – la classe operaia non esiste – la classe operaia non esiste. Poi comprare su una piattaforma on line una penna usb assemblata in una fabbrica cinese e chiedersi quante decine di mani operaie toccano quel singolo oggetto da Shanghai a Piacenza.
Secondo antefatto. La servitù sta al piano basso, reparto «Sociologia»
Un’amica mi racconta un episodio curioso: entrata in una grande libreria di catena di Firenze, chiede una copia del mio libro Amianto, una storia operaia.
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Una discussione sull’immigrazione
Su cosa vale la pena insistere
di Alessandro Visalli
Ai piedi del post “Circa Emiliano Brancaccio “La sinistra è malata quando imita la destra”, ripreso da Sinistra in Rete con un titolo lievemente diverso, precisamente sotto quest’ultimo Fabrizio Marchi, direttore de L’interferenza, ha postato il seguente gradito commento:
“Partendo dall'ultima affermazione contenuta nel'articolo, se è vero che non si possono aiutare gli ultimi ad esclusivo danno dei penultimi, è altrettanto vero che non si può fare la guerra agli ultimi per "difendere" i penultimi …
Ergo, è necessario un lavoro molto paziente, lungo e difficile per spiegare sia agli ultimi che ai penultimi che le cause della loro condizione non sono determinate da loro stessi ma da altri, cioè dai veri padroni del vapore che hanno interesse a che ultimi e penultimi siano in competizione e si facciano la guerra. Mi rendo conto che è un lavoro lunghissimo e che non porta risultati immediati, però non c'è alternativa. Resto convinto che l'immigrazione sia solo un effetto, o uno degli effetti, del processo di espansione planetaria del capitalismo (quella che viene chiamata globalizzazione, processo in realtà in corso da secoli e oggi giunto alla sua fase apicale) e che quindi la riduzione dei salari e il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori autoctoni sia solo in modesta parte determinato dalla presenza di lavoratori immigrati. Le cause principali sono altre. La sconfitta storica del Movimento Operaio e della Sinistra nel suo complesso e il crollo del socialismo reale, hanno tolto di mezzo ogni ostacolo al capitalismo che è da trent'anni all'offensiva (dicasi guerra di classe, ma dall'alto) senza più nessun ostacolo.
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La filosofia politica che ci manca
di Pierluigi Fagan
In una lettera del 1951 a K. Jaspers, H. Arendt si interroga sul concetto di “male radicale” che aveva proposto all’interno della celebre indagine sulle Origini del totalitarismo. Confessa di non saper bene definirlo ma di avere la sensazione o intuizione che abbia a che fare con una riduzione dell’uomo a concetto, forse gli uomini hanno solo declinazione plurale e ogni loro singolarizzazione è una riduzione pericolosa, pericolosa perché taglia parti essenziali della loro stessa essenza irriducibilmente molteplice. Aggiunge di avere il sospetto che la filosofia non sia esente da colpe in questa riduzione ad unum e del resto il sospetto viene facile visto che la filosofia pensa appunto per concetti. A questo punto, specifica che questo non porta in conseguenza -come poi invece sosterrà Popper-, una discendenza diretta di Hitler da Platone ma induce a pensare che la filosofia politica occidentale sembra avere un punto cieco nel quale invece di avere un concetto puro della politica come attività che porta i plurali alla decisione singolare, ha sviluppato molti tentativi di singolarizzare la natura umana di modo che la decisione una, possa esserne dedotta in via logico-naturale dall’unità della presunta natura umana.
La filosofia politica occidentale, ha avuto due linee di sviluppo principali. La prima risale a Platone ed è la teorizzazione ideale di un modello di funzionamento della comunità, la seconda risale compiutamente a Machiavelli ed è una teorizzazione pratica dello stesso modello.
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I signori dei disastri
di Naomi Klein
Anche le crisi, guerre e disastri fanno bene al PIL. Le collusioni tra la politica e gli interessi economici derivanti dalle emergenze esplorate dalla Klein nel suo ultimo libro "No non è abbastanza! Come resistere nell’era di Trump".
«Dall’uragano Katrina alle crisi finanziarie,
alcune multinazionali statunitensi sfruttano
da anni le emergenze per imporre riforme
liberiste e fare enormi profitti, a spese dei
cittadini più poveri. Oggi i dirigenti di queste
aziende sono ai vertici dell’amministrazione Trump».
Nei viaggi che ho fatto per scrivere reportage dalle zone di crisi ci sono stati momenti in cui ho avuto l’inquietante sensazione non solo di assistere al succedere di un evento, ma di scorgere un barlume di futuro, un’anteprima di dove ci porterà la strada che abbiamo preso se non afferriamo il volante e non diamo una bella sterzata.
Quando sento parlare il presidente degli Stati uniti Donald Trump, che evidentemente si diverte a creare un clima di caos e destabilizzazione, penso spesso di avere già visto quella scena. Sì, l’ho vista negli strani istanti in cui ho avuto l’impressione che mi si spalancasse davanti il nostro futuro collettivo.
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Il diritto di avere diritti
di Alba Vastano
“Soffriamo di una cittadinanza oppositiva, nazionale, puramente identitaria, mentre dovremmo essere preparati a vivere in una nuova common, ove la persona è cittadina in qualunque luogo si trovi”
Nell’era della globalizzazione in cui siamo immersi è necessario rielaborare il concetto di diritto, svilito dalle trasgressioni sull’impianto costituzionale e dalla dilagante corruzione. Retaggi di un passato che si è fatto un insopportabile presente, in cui giustizia, vivere civile e diritti sociali umanitari sono spariti. Stefano Rodotà (già recensito in Solidarietà, utopia necessaria) da eccellente giurista e grazie alla sua passione civile, ci lascia in eredità, tramite i suoi scritti, gli strumenti per analizzare le questioni più importanti, legate al “diritto di avere diritti”, che è anche il titolo di un suo importante saggio.
Lo spazio e il tempo dei diritti
È un nuovo mondo. Viviamo in uno spazio sconfinato. L’era dei sans frontieres e della globalizzazione, l’era di internet. Può dare effetti collaterali, come lo spaesamento o l’agorafobia. Se ne può verificare il rigetto e il voler tornare alle frontiere, a confini ben delimitati o anche allo Stato nazionale, all’identità territoriale, allo spazio privato ove l’altro che viene da lontano, se lo oltrepassa, è considerato un invasore e va tenuto a distanza, ne dobbiamo diffidare.
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Non c’è emancipazione senza populismo
Tatiana Llaguno intervista Nancy Fraser
A seguito delle manifestazioni convocate dal movimento femminista contro l’investitura di Donald Trump, Nancy Fraser, attualmente professoressa di Filosofia e Politica presso la New School for Social Research di New York, firmò – assieme a molte altre, come Angela Davis e Rasmea Odeh – un appello per un “femminismo del 99%”, transazionale e anticapitalista. La sua scommessa cerca di costruire un femminismo maggioritario, inclusivo, che rifiuti la cooptazione neoliberale.
Con vari decenni di lavoro accademico alle spalle, durante i quali ha indagato questioni come la giustizia, il capitalismo ed il femminismo, Fraser è al giorno d’oggi una delle più riconosciute intellettuali del pensiero critico. Ferma nella difesa della strategia attuata da Bernie Sanders, critica su Hillary Clinton e in strenua opposizione a Trump, in questa intervista analizza nel dettaglio la situazione politica attuale, posizionandosi a favore di un “populismo di sinistra” che si opponga al “neoliberalismo progressista” e al “populismo reazionario”.
* * * *
Qual è la sua valutazione dei primi cento giorni del mandato del Presidente Trump? Cosa ci raccontano questi mesi sul suo progetto, i suoi limiti e le possibili resistenze?
Direi che ci segnalano due aspetti: da un lato, la facilità con la quale le correnti più convenzionali del Partito Repubblicano siano riuscite a frenarlo e a disarmare la dimensione populista della sua campagna.
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Fortini, la Cina di Mao e Solženicyn
di Ennio Abate
Replico ad un commento di Roberto Buffagni apparso sotto l’articolo “Migrazioni: punti di vista in contrasto” (qui). Lo riporto per comodità all’inizio del post. [E. A.]
Roberto Buffagni 17 agosto 2017 alle 13:57
Caro Ennio,
in breve:
1) Cina, Cambogia, Manifesto, Fortini. Non ho voglia di fare ricerche in biblioteca per documentare gli abbagli della “sinistra critica” sul compagno Mao e il compagno Pol Pot, ci sono e chi ha la nostra età se li ricorda. Fortini, che era una persona intelligente, di Pol Pot non si innamorò mai, della Cina di Mao sì, come attesta “Asia maggiore”, 1956, un diario di viaggio in Cina in cui Fortini, oltre a scrivere delle belle pagine impressionistiche su paesaggio della Cina e contadini cinesi, fa l’Alice nel Paese delle Meraviglie credendo a tutto quel che gli ammanniscono i suoi tour manager (il Céline non ancora fascista ma già scettico e scafato, in viaggio in URSS vent’anni prima, NON ci è cascato, probabilmente uno dei motivi per cui è diventato fascista è proprio quel viaggio). In quegli anni Cinquanta, uscivano sulla stampa capitalistica anglo accessibilissima a Fortini notizie di un paio di milioncini e mezzo di “nemici di classe” non meglio specificati appena sterminati a freddo dal compagno Mao dopo la guerra. Fortini non è il solo a sorvolare, c’è un interessante scambio di lettere tra Piero Calamandrei e suo figlio, allora giornalista dell’Unità che si occupava dell’Oriente, in cui Piero chiede notizia degli sterminati, se sia vero o no, o aggiunge che se fosse confermata la notizia sarebbe grave PER LE RIPERCUSSIONI PROPAGANDISTICHE favorevoli al campo avverso (Calamandrei non era neanche comunista, ma azionista).
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1973-2017, il collasso ideologico della “sinistra” francese (ed europea)
di Bruno Guigue*
Nel 1973, il colpo di stato del generale Pinochet contro il Governo di Unità Popolare in Cile provocò un’ondata di indignazione senza precedenti nei settori progressisti del mondo intero. La sinistra europea ne fece il simbolo del cinismo delle classi dominanti che avevano appoggiato questo “pronunciamiento”. Accusò Washington, complice del futuro dittatore, di aver ucciso la democrazia armando le braccia assassine dei militari golpisti. Nel 2017, al contrario, i tentativi di destabilizzazione del potere legittimo in Venezuela hanno raccolto nel migliore dei casi un silenzio infastidito, un sermone moralizzatore, quando non una diatriba antichavista da parte degli ambienti di sinistra, che si trattasse di responsabili politici, di intellettuali che godono di appoggi o di organi di stampa a grande tiratura.
Dal Ps all’estrema sinistra (ad eccezione del “Pôle de renaissance communiste en France”, che ha le idee chiare), si rimesta, si mette insieme capra e cavoli, si rimprovera al Presidente Maduro il suo “autoritarismo” il tutto mentre si accusa l’opposizione di mostrarsi intransigente. Nel caso migliore, si chiede al potere legale di fare dei compromessi, nel peggiore si esige che si dimetta. Manuel Valls, ex primo ministro “socialista”, denuncia la “dittatura di Maduro”.
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Un nazionalismo vestito di rosso
di Grant Evans e Kelvin Rowley
Grant Evans e Kelvin Rowley analizzano lo sviluppo dei movimenti comunisti in Vietnam, Laos e Cambogia e replicano alle affermazioni degli analisti occidentali, i quali hanno visto i conflitti fra questi tre paesi, successivi al 1975, come espressione di antagonismi “tradizionali”
Pubblicato per la prima volta nel 1984 e rivisto nel 1990, il libro di Grant Evans e Kelvin Rowley, Red Brotherhood at War: Vietnam, Cambodia and laos since 1975, esplora le cause dietro la guerra inter-comunista in Asia seguita alle riuscite rivoluzioni in Vietnam, Laos e Cambogia.
A detta di alcuni, tali eventi esprimevano la fine delle idee basate sull’internazionalismo socialista. Il New York Times pubblicava un editoriale intitolato “La fratellanza rossa in guerra”, nel quale annunciava con esultanza: “Questa settimana cantavano ‘L’internazionale’ in ogni angolo dei campi di battaglia asiatici, mentre seppellivano le speranze dei padri comunisti insieme ai corpi dei loro figli”. Le “speranze dei padri comunisti” potevano essere sintetizzate, dato che la guerra era causata dall’imperialismo capitalista, nel’auspicio che il socialismo internazionale avrebbe portato la pace. Questi ideali si ritrovano ora sconvolti dai nuovi conflitti che attraversano l’Indocina. Non c’è da sorprendersi se molti nella sinistra occidentale sono stati colti da confusione e disorientamento di fronte a simili sviluppi.
I tardi anni Settanta son stati l’epoca di quella che Fred Halliday ha definito Seconda guerra fredda. Ovunque in Europa, era la destra ad essere in ascesa, sia politicamente che intellettualmente.
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I vincitori scrivono la storia, non la verità
di Giovanni Dall'Orto
Dopo l’attentato nazista che a Charlotteville ha causato morti e feriti, sono stato inghiottito mio malgrado dalle polemiche per una questione marginale se non irrilevante, ossia l’oltraggio che ho espresso, in quanto storico, di fronte all’idea che sia “progressista” o comunque scusabile vandalizzare opere d’arte solo perché rappresentano personaggi “odiosi”, come un soldato del Sud nella Guerra di Secessione americana.
In quanto storico io vado in panico al solo sentire parlare di “distruggere” un documento, sia esso un testo o una statua. Mi viene subito in mente che anche i cristiani provavano un giusto oltraggio di fronte alle statue religiose dei pagani (che li avevano perseguitati per secoli) scolpite da Prassitele o Fidia, e le sfasciavano. Come questo volto di Afrodite, copia da Prassitele, sfigurato da un cristiano che incise la croce sul volto e il naso per cancellare un passato “ignobile”, a beneficio dei posteri.
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La complessità del fenomeno migratorio e le sue determinanti
di Alessandra Ciattini
Migrare è una tendenza umana spontanea o è frutto di specifiche determinazioni?
Il sito Italianieuropei, rivista della fondazione di area politica riformista, voluta da una serie di personaggi, tra cui spicca Massimo D’Alema, contiene un articolo sul fenomeno delle migrazioni, volto a rassicurare i lettori spaventati dalle migliaia di arrivi di profughi provenienti dal cosiddetto sud del mondo. Molto significativo è il titolo dell’articolo (Immigrazione: fenomeno inevitabile, sfida da vincere), i cui contenuti cercheremo di smontare con una serie di argomentazioni storiche, economiche e antropologiche.
Innanzi tutto, del tutto ingenui sono i punti di partenza dello scritto: “Spostarsi sul territorio è un fatto naturale della vita. I movimenti migratori sono stati uno dei principali motori del popolamento del pianeta e del suo sviluppo economico e sociale”.
La prima constatazione tende a mettere sullo stesso piano i vari tipi di migrazione, che hanno alla loro base motivazioni assai diverse, come per esempio il passaggio dello stretto di Bering di uomini provenienti dall’Asia e diretti in America, avvenuto durante l’ultima era glaciale (situata in epoche diverse dagli studiosi), e la tratta degli schiavi (non solo africani), che analogamente produce spostamenti, in questo caso indesiderati, di popolazioni.
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Sinistra senza popolo
L’onda populista (e il fallimento delle élite) secondo Luca Ricolfi
di Damiano Palano
Nel suo recente Non è una questione politica (Italosvevo, pp. 67, euro 10.00) Alfonso Berardinelli si pone un interrogativo sulla scelta di adottare il termine «populismo» per indicare quegli attori che negli ultimi due decenni hanno sfidato i partiti tradizionali. «Mi chiedo da anni chi è che ha deciso di chiamare ‘populismo’ ogni fenomeno politico che incontra il favore crescente dei cittadini», scrive infatti il critico (affrontando un nodo che, a dispetto del titolo del volumetto, è ovviamente ‘politico’). E la risposta che suggerisce è molto semplice: «Ho detto ‘mi chiedo’. Invece c’è poco da chiedersi, perché si sa già. Da quasi un quarto di secolo una sinistra che ha perso il ‘senso della storia’ (per dirla con una sua vecchia formula), che ha perso la sintonia con quanto avviene nelle nostre società e coccola invece le minoranze snob prendendo per diritti i loro desideri, se la prende con la volgarità del ‘popolo’» (p. 16). E, in termini ancora più espliciti, ciò significa per Berardinelli che la sinistra non rappresenta più quelle classi sociali di cui era stata (o aveva preteso di essere) il principale referente. «Se la sinistra non rappresenta né le classi lavoratrici né i ceti medi proletarizzati, allora vuol dire che rappresenta i mendicanti e l’alta borghesia. Solo che i mendicanti non ce li vedo a sentirsi rappresentati dal ceto politico di sinistra.
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Dagli Appennini all'Atlante: propaganda, cambio e autorazzismo
di Alberto Bagnai
Come sapete, uno dei temi portanti della mia ricerca, forse il più rilevante in chiave di riflessione politica, è l'indagine sulle cause dell'autorazzismo: quella porca rogna italiana di autodenigrarsi, autentico cancro che corrode la nostra capacità di elaborare strategie coerenti sia sul piano interno, che su quello internazionale. Ci ho scritto un libro (L'Italia può farcela), ne ho discusso qui con voi, a lungo, senza giungere a conclusioni definite. D'altra parte, un fenomeno così devastante non ci si può aspettare che abbia un'unica causa: più facile che abbia molte concause. Col passare del tempo, visto anche la particolare pervicacia dello schieramento progressista nell'aggredire indiscriminatamente gli italiani tout court (inclusa quindi quella maggioranza di lavoratori che i progressisti pretendono di tutelare), mi ero fatto un'idea su quale potesse essere la causa prevalente. L'Italia, va detto, è uno strano paese: il paese in cui una parte degli abitanti si gloria di aver vinto una guerra che in effetti il paese ha perso (sì, parlo della Seconda Guerra Mondiale). Ora, è chiaro che questa mitologia (oggi si dice "narraFFione") non può sostenersi che sulla asserita superiorità etnica dei vincitori rispetto al resto della popolazione, gli sconfitti. D'altra parte, i pretesi vincitori erano partiti bene, dando dei "mandolinisti" alla compagine nazionale. Come volete che finisse?
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L’alternanza scuola lavoro: un’analisi critica
a cura dell'USB P.I. Scuola
Pubblichiamo di seguito un documento di analisi e prospettive sull’Alternanza Scuola Lavoro
Il documento, frutto del lavoro collettivo svolto nel corso dell’ultimo anno scolastico, inquadra l’Alternanza Scuola Lavoro all’interno del più generale processo di asservimento della scuola alla logica di mercato, così come si sta realizzando in tutti i Paesi europei e prova a ipotizzare delle strategie di resistenza e risposta a questo nuovo dispositivo obbligatorio, che riteniamo estremamente pericoloso.
L’ASL infatti, oltre a creare manodopera gratuita minorenne, punta a modificare il modo stesso di pensare e pensarsi degli studenti e del corpo docente, con l’evidente scopo di formare manodopera più meno specializzata che sposi una idea di mobilità professionale e geografica estrema e che si abitui fin da subito alla logica della precarietà e della mancanza di diritti.
Siamo convinti che la ASL non sia riformabile, ma che debba essere combattuta nelle scuole e nei luoghi di lavoro, dove ha la potenzialità di trasformarsi in una sottrazione di posti di lavoro per il personale retribuito e che debba essere rigettata dagli studenti stessi, oggi costretti a svolgerla perché inserita in modo obbligatorio nell’Esame di Stato.
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Profughi sgomberati a Roma: partita la campagna elettorale del governo
di Fabrizio Marchi
Lo sgombero dei profughi (che siano rifugiati politici o immigrati per ragioni di mera sopravvivenza è, per quanto mi riguarda, del tutto irrilevante) che occupavano dal 2013 l’edificio di Via Curtatone, di proprietà di una immobiliare, la Idea Fimit, è una chiara operazione elettorale.
Era scontato infatti che la suddetta operazione, avvenuta in pieno centro di Roma, condotta peraltro anche con una certa dose di “teatralità”, diciamo così, da parte della polizia, sollevasse un grande polverone mediatico. E molto probabilmente era proprio quello che si voleva. Si potevano concordare delle soluzioni prima dello sgombero e non è stato fatto. Il balletto e il rimpallo delle responsabilità fra i vari enti, Comune, Regione, Governo, e fra le varie forze politiche dopo lo sgombero e le polemiche che ne sono seguite, è ridicolo.
Il governo Gentiloni – quindi il Partito Democratico – ha deciso di dare un segnale alla “pubblica opinione”, cioè alla “pancia” del paese e di fare concorrenza alla Lega di Salvini, al centrodestra nel suo complesso e anche al M5S che ormai da alcuni mesi a questa parte, specie dopo la debacle della ultime elezioni amministrative, ha dato anch’esso una sterzata a destra, specie in tema di immigrazione.
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“Lavoro mentale e classe operaia”, di G. Carchedi
Quali insegnamenti trarne
di Andrea Martocchia
È stato possibile quest’anno annoverare il saggio di Carchedi tra le migliori letture ferragostane. La prima virtù, formale, del testo sono la sintesi precisa ed il linguaggio asciutto utilizzati, tipici della trattazione scientifica. E usando questo attributo un po’ misterioso veniamo subito ai contenuti dello scritto, che ha l’ambizione ed il merito di affrontare da un punto di vista marxista il tema del carattere di classe della conoscenza, e (cioè) della scienza, e l’impegnativo argomento del lavoro “di trasformazione mentale”. Su questo l’Autore va subito al sodo ed anzi, sgomberato presto il campo da alcune concezioni sbagliate e precisati i concetti fondamentali, si inoltra su terreni ulteriori, ancor più avanzati e inesplorati tentando “un’analisi marxista di internet” ed analizzando le caratteristiche del lavoro di chi presta la propria opera in ambito informatico. (1)
I conti con l’operaismo
Gettando nuova luce su tematiche finora affrontate male, quantunque sempre troppo poco rispetto al necessario, il saggio di Carchedi bonifica il terreno dagli equivoci e dalle concezioni sbagliate derivanti dalle correnti di pensiero dell’operaismo
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Uscire dal lavoro?
Intervista con Anselm Jappe
Innanzitutto sgomberiamo il campo da un’ambiguità: i pensatori legati alla Critica del valore (Wertkritik) vengono spesso tacciati di “teoricismo”, forse per il testo seminale del gruppo Krisis, il Manifesto contro il lavoro (2002). Una facile obiezione consiste nel dire che, in teoria, si può certo congedare il lavoro, ma la realtà sociale ben presto ci rimette al lavoro. Che cosa rispondi a questo genere di critiche?
Non si può dire che il Manifesto contro il lavoro sia stato “seminale”. In Germania è stato pubblicato nel 1999, una dozzina di anni dopo il primo numero della rivista Krisis. Piuttosto, è stato il primo testo del gruppo a raggiungere un vasto pubblico – e il primo a circolare in Francia. Secondo me, tuttavia, presenta qualche lacuna che riflette certe indecisioni di allora, soprattutto la propensione di una parte del gruppo a considerare la sostituzione del lavoro umano con le tecnologie come la base possibile dell’emancipazione sociale.
Fin dall’inizio, quello che mi ha interessato nella Critica del valore è la volontà di assumere una posizione teorica che cerca di rifondare la critica sociale dalle sue stesse basi, mentre la tendenza più diffusa a sinistra consisteva nel sostenere che la teoria dovesse mantenersi in una posizione ancillare rispetto ai movimenti sociali (che si trattasse del movimento anti-nucleare, del femminismo, del terzo-mondismo, ecc.).
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Potere, moneta e crisi. Le vere incognite dell’economia 4.0
di Andrea Pannone1
Come giustamente evidenziato da Pierfranco Pellizzetti su questo sito, l’attuale dibattito sullo sviluppo dell’industria 4.0 è pervaso (non certo solo in Italia) da una insopportabile retorica, che finisce per bollare “come reazionaria ogni pur timida obiezione alla funzione economicamente apprezzabile e socialmente meritoria della robotizzazione”2. Tale retorica è solo mitigata dalle preoccupazioni sui rischi di perdita definitiva delle opportunità di lavoro, specie per coloro che non sapranno adeguare velocemente i propri skill al processo di introduzione delle nuove macchine3. Preoccupazioni che si traducono in una comprensibile richiesta allo Stato di misure capaci di alleviare le difficoltà di soggetti e famiglie particolarmente colpite dal fenomeno (ad esempio reddito di base, reddito di cittadinanza, ecc.). Ad ogni buon conto, la discussione sul tema, prescinde quasi del tutto da come potranno essere distribuiti gli eventuali benefici dell’innovazione all’interno delle società moderne; distribuzione che dipende essenzialmente da come sono declinati i rapporti di potere tra capitale e lavoro all’interno del processo produttivo. Questo saggio prova a colmare questa lacuna, cercando di sviluppare l’analisi alla luce dell’attuale fase di debolezza delle economie capitalistiche.
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Servitù e padronato
Contratto sociale e repressione salariale in Italia
Domenico Cortese
Qualche giorno fa è stato reso pubblico uno di quei dati che per chi è nato negli anni ’80 o ’90 è tutto fuorché sorprendente: secondo l’Istat, a Giugno
i dipendenti a termine (leggi precari) hanno toccato quota 2,69 milioni, il valore più alto da quando sono disponibili le serie storiche. Ma la vera impresa è viverci, con quel lavoro. Perché i figli dei baby boomer guadagnano, in media, il 36% in meno dei padri.[1]
Nell’epoca della massima libertà data alla circolazione delle merci, dei capitali e delle persone (per il volgo, “globalizzazione”), in cui il potere di negoziazione di chi può delocalizzare e assumere un impiegato sottopagato del Sud-Est Asiatico è ai massimi storici, questi dati non sono in effetti sorprendenti. Ciò che è sorprendente, piuttosto, è che nell’epoca della rivoluzione digitale e dello sviluppo esponenziale delle tecnologie ciò che stiamo vivendo è soprattutto un crollo della qualità dei lavori disponibili. Le indagini Ocse attraverso «l’analisi dei dati sull’inchiesta internazionale delle competenze della forza lavoro adulta (PIAAC) ci confermano come lo “skill premium” ovvero la remunerazione delle competenze, è molto basso in Italia».[2]
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Note sui significati di "libertà" nei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel
di Vladimiro Giacché
1. Premesse generali
Negli ultimi anni, dopo decenni di preminente attenzione alle implicazioni della filosofia hegeliana del diritto sul terreno delle dottrine politiche e delle teorie della società, il panorama delle interpretazioni è venuto gradatamente mutando. Volendo dare conto delle principali novità interpretative, se ne possono indicare in particolare due: da un lato l’accresciuto interesse per il rapporto tra i Lineamenti di filosofia del diritto e la Scienza della logica e nei confronti di quelle che potremmo definire come le “costanti logiche” che operano all’interno della filosofia hegeliana del diritto i; dall’altro, il tentativo di leggere i Lineamenti hegeliani sul metro di una filosofia dell’azione, cercando non di rado di porre il pensiero di Hegel a confronto con i più recenti indirizzi teorici, manifestatisi soprattutto in ambito anglo-americanoii. Per motivi in parte differenti, entrambe queste nuove e feconde direzioni di lettura hanno portato con sé la necessità di fare i conti, più seriamente che in passato, con i paragrafi introduttivi dei Lineamenti (§§ 1-32), nei quali Hegel ci offre, come recita l’indice dell’opera, il “concetto della filosofia del diritto, del volere, della libertà e del diritto”. Per chi voglia, più in particolare, trattare la concezione hegeliana della libertà del volere, l’esigenza di affrontare direttamente i nodi teorici e le distinzioni di significato proposte nei primi paragrafi dei Lineamenti è sicuramente ineludibile.
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La parola “sinistra"
di Edoardo Salzano e Enzo Scandurra
Una tesi sulla Sinistra, di Edoardo Salzano, e un dialogo tra Salzano ed Enzo Scandurra. La discussione è aperta, anche nei commenti in calce al testo
Premessa
La parola “Sinistra” viene adoperata in modo ricco di molteplici ambiguità. Abbiamo avviato una riflessione per comprendere quale significato possa assumere in una situazione – quella di oggi – radicalmente diversa di quella del secolo in cui quell’espressione ebbe maggior fortuna. Una parola che comunque continua a costituire un riferimento per gli immaginari e le strategie di oggi.
Abbiamo iniziato a ragionarne con un articolo di Edoardo Salzano, dal titolo “La parola sinistra”, scritto nel luglio 2017 in replica a uno scritto di Enzo Scandurra, e abbiamo proseguito con un dialogo tra Salzano e Scandurra. Pubblichiamo oggi l’articolo originario di Salzano, con il titolo “una Tesi”, e il successivo dialogo tra Salzano e Scandurra, con il titolo “un Dialogo”. La pubblicazione di questi due testi vuole essere lo stimolo ad aprire un dialogo più ampio.
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Una tesi
di Edoardo Salzano
Quando si parla di “sinistra ci si riferisce generalmente, in Italia, quella sinistra politica le cui vicende hanno contrassegnato il XIX e XX secolo.
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