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Flat tax, sottoconsumi e autonomia dei lavoratori

di Antiper

In questi giorni si fa un gran parlare dell'introduzione della cosiddetta “Flat Tax” [1].

Il modello a cui fanno riferimento i suoi sostenitori viene fatto risalire – almeno nella "vulgata" – a quello (non completamente [2]) introdotto negli anni ‘80 dall’allora Presidente USA Ronald Reagan che viene spesso considerato, assieme alla fu-premier britannica Margaret Thatcher, uno dei paladini dell’avvio della cosiddetta “fase neo-liberista”.

Che quelle di Reagan (e della Thatcher) fossero effettivamente politiche neo-liberiste non c’è dubbio alcuno dal momento che esaltavano la logica della sussidiarietà e la centralità del mercato, salvo tuttavia riservare – e qui sta il "neo" – un ruolo decisivo allo Stato per tamponare gli effetti dell’inevitabile disastro.

Già, perché è noto – almeno dal 1929 – che a lasciar andare libero il mercato, questo necessariamente si dirige verso il crack e a quel punto l’intervento – o per meglio dire il salvataggio – dello Stato diventa prezioso. Neo-liberismo, non liberismo: lo Stato c’è e si vede.

Da questo punto di vista la dinamica del post-crack 2007-2008 è esemplare. Tanto negli USA quanto in Europa è stata riversata una gran massa di denaro da parte della Federal Reserve e della BCE nelle tasche di banche sull'orlo del fallimento a causa degli effetti (di breve e di medio-lungo periodo) della parziale esplosione della “bolla dei derivati” (soprattutto di quelli basati sui cosiddetti mutui subprime).

Ma sebbene sia da sempre una misura amata dagli ascari del neo-liberismo [3], la “flat tax” viene spesso concepita in una logica pseudo-keynesiana come forma di sostegno alla domanda. Si suppone, infatti, che la diminuzione radicale delle tasse riesca ad produrre, da un lato, una maggiore "lealtà fiscale" e, dall'altro, un incremento dei consumi, dunque della domanda, dunque dell'offerta, dunque dell'occupazione, dunque del PIl, ecc. ecc.. Si tratta dunque di un classico schema sotto-consumista che nella sua versione “proletaria” – dare denaro ai poveri per rilanciare i consumi interni e far uscire il sistema dalla crisi (?!) – piace tanto all’asin/istra, ovvero alla sinistra che ha perso ogni riferimento teorico anche solo vagamente marxista e ogni riferimento politico anche solo vagamente – Dio ce ne scampi! – comunista [4].

L’ipotesi dei liberisti è che in una condizione di stagnazione/recessione dell’economia si devono tagliare le tasse ai ricchi in modo che essi, con le risorse risparmiate, possano investire e creare posti di lavoro [5]. Il che è tutto da dimostrare [6].

Agli effetti pratici non è poi così diverso da quello che propongono di anti-neo-liberisti: diminuire le tasse no, certo, ma usare le casse dello Stato per finanziare opere, anche inutili (come insegnava Keynes), che possano però produrre investimenti e “quindi” [7] posti di lavoro. I soldi, in fondo, son sempre quelli.

Mentre i flat-taxisti vogliono tagliare le tasse ai ricchi (per indurli a consumare di più), gli asin/istri vogliono rimpinguare le tasche dei poveri (per indurli a consumare di più).

Naturalmente la differenza c’è. Si può ad esempio osservare come nella “fase neo-liberista” – diciamo, gli ultimi 40 anni – il divario tra le fasce di reddito si sia significativamente ampliato.

Prendiamo il dato USA [8]

flatax 1

Questo grafico [9] mostra l’andamento dei redditi “prima delle tasse” (ovvero senza “correzione fiscale”) del “top 1%” (cioè dell’1% più ricco del paese) e del “bottom 20% (ovvero del 20% più povero).

Si osservi come per mettere a confronto ricchi e poveri dal punto di vista del reddito non si possano prendere il 20% più ricco e il 20% più povero perché la concentrazione della ricchezza è talmente avanzata che il 20% più ricco non è un dato abbastanza significativo, come evidenzia questo istogramma in cui sono mostrati i redditi medi nel 2015 negli USA

flatax 2

Il reddito medio del 90% della popolazione americana è circa 34k dollari mentre il reddito del 10% più ricco è 9 volte superiore; il reddito medio dell’1% è addirittura 40 volte maggiore.

Nel grafico sulla crescita dei redditi prima delle tasse ci sono due cose interessanti che si possono osservare:

– La prima è che dall'inizio degli anni '80 (l'inizio della cosiddetta “era Reagan”) il reddito del top-1% è cresciuto 4 volte più velocemente di quello del bottom-20%

Since 1979, the before-tax incomes of the top 1 percent of America’s households have increased more than four times faster than bottom 20 percent incomes

– La seconda è che l'andamento dei redditi bottom-20% non sembra influenzato dai crack di Wall Street mentre lo è moltissimo quello dei top-1% (il che potrebbe essere spiegato con il fatto che i top-1% possiedono grandi quantità di titoli azionari e dunque risentono molto della loro quotazione). Inoltre, si vede molto bene che i crack più pesanti (2000-2001 [10] e 2007-2008 [11]) arrivano dopo fasi di crescita abbastanza ripida dovuta alla speculazione finanziaria (che poi i crack riallineano parzialmente all'economia "reale").

Un secondo grafico [12] mostra che poco cambia se consideriamo tutti i redditi escluso l'1%.

Sono questo genere di evidenze che hanno fatto parlare il movimento Occupy Wall Street del rapporto 1-99%.

C'è dunque una terza evidenza: le tasse non correggono (più [13]) le disuguaglianze; anzi, la fiscalità viene usata sempre di più come strumento di ulteriore spinta verso la polarizzazione economico-sociale.

***

Il problema delle teorie sotto-consumistiche è un problema reale soprattutto perché a sinistra viene agitato come “soluzione della crisi” (come se fosse compito – e capacità – delle organizzazioni dei lavoratori proporre vie d’uscita alle crisi prodotte dai capitalisti). Il fatto che questo problema affligga tanto la destra quanto l’asin/istra mostra come meglio non si potrebbe quanto la doxa possa essere incisiva anche in modo bipartizan.

Detto questo, se la Flat Tax verrà effettivamente applicata (e la cosa è tutta da dimostrare) c'è da aspettarsi che avvenga qualcosa di questo genere: ove pure l’aumento dei consumi interni producesse un incremento del PIL (che è poi l'unico indicatore che interessa ai capitalisti – assieme, ovviamente, al saggio di profitto [14] –) esso sarebbe necessariamente parziale e insufficiente e avverrebbe a discapito della condizione sociale dei lavoratori e degli strati più svantaggiati della popolazione (salariati, pensionati, immigrati, precari, disoccupati, malati…); avverrebbe, in sostanza, attraverso l'ennesimo travaso di ricchezza dal lavoro al capitale.
Il fatto che questo possa avvenire grazie ad un Governo che il 4 marzo scorso ha raccolto il 70% del voto operaio deve far riflettere molto seriamente tutti coloro che parlano della capacità spontanea dei lavoratori di saper scegliere sulla base dei propri interessi di classe, una capacità che è attualmente pari a zero (soprattutto se si considera che il 30% restante se lo dividono Partito Democratico, Forza Italia e altri partiti di tal fatta).


Note
[1] Wikipedia, Flat tax | https://it.wikipedia.org/wiki/Flat_tax
[2] Roberto Petrini, Che cos'è la flat tax: maxi taglio fiscale per i ricchi, rischio beffa per i poveri, La Repubblica, 18 maggio 2018: “Milton Friedman consigliò la flat tax a Reagan che tuttavia non la adottò e nel 1986 si limitò a tagliare l'aliquota massima con il celebre Tax Reform Act. Più tardi, lo specialista Alvin Rabushka, tentò di dare consigli a George W. Bush: ma persino George junior si limitò a limare l'aliquota più alta in vigore negli Usa di circa 5 punti portandola al 35 per cento e rifiutò di introdurre l'aliquota unica proposta dal miliardario Steve Forbes (che per questo lo attaccò duramente). Obama la riportò all'attuale 39,6 nel 2013”.
[3] In Italia, per fare un esempio, l’economista Nicola Rossi, già presidente dell’Istituto “Bruno Leoni” e parlamentare per 10 anni del PD.
[4] Questo, beninteso, a prescindere da qualsiasi auto-rappresentazione simbolico-identitaria dell’asin/istra medesima.
[5] Per quanto riguarda la Lega Nord, la proposta di Flat Tax dovrebbe servire anche a disincentivare lo spostamento delle aziende italiane verso i paesi che hanno un regime fiscale di maggior favore (come la Slovacchia o la Slovenia o la Bulgaria).
[6] Agi Fact Checking, Berlusconi e i tagli alle tasse di Johnson, Reagan e Thatcher. Come andò veramente. | https://www.agi.it/fact-checking/berlusconi_taglio_tasse_flat_tax-3409384/news/2018-01-25/
[7] In realtà, se si favoriscono gli investimenti attraverso ammortamenti “iper” (250%) o “super” (140%) per l’acquisto di macchinari anche inutili – come nel caso del Piano Nazionale “Industria 4.0” varato dai governi Renzi-Gentiloni – che gli investimenti producano posti di lavoro è tutto da verificare. Cfr. Ministero per lo sviluppo economico, Super e iper ammortamento per l’Industria 4.0. | http://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php/it/194-comunicati-stampa/2036312-super-e-iper-ammortamento-per-favorire-lo-sviluppo-dell-industria-4-0
[8] Inequality.org, Income Inequality in the United States Gaps in earnings between America's most affluent and the rest of the country continue to grow year after year. | https://inequality.org/facts/income-inequality/
[9] https://www.cbo.gov/publication/51361
[10] Crollo delle .com e crollo delle Twin Towers.
[11] Crollo dei titoli legati ai mutui subprime, fallimento Lehman Brothers.
[12] https://www.cbo.gov/publication/51361
[13] Per chi è convinto che lo abbiano mai fatto realmente.
[14] Cfr. Karl Marx, Il Capitale, Libro I, Einaudi, 1970.

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