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volerelaluna

Bombardare Teheran, ovvero il suicidio dell’Occidente

di Sergio Labate

A Gaza si continua a morire. E mentre Gaza muore noi abbiamo altro per cui riempire le nostre pagine social: la bomba atomica dell’Iran, questa gigantesca “minaccia esistenziale” per Israele e per tutti noi. Che in effetti, come è a tutti noto, non esiste e si affianca – quanto a dispositivo di propaganda – alla “minaccia esistenziale” di Putin che sarebbe già pronto a invadere Lisbona. Un’arma di distruzione di massa trasformata in arma di distrazione di massa.

Ora anche qui conviene premettere ciò che è scontato: non ho alcuna simpatia per il regime iraniano e non ho alcuna intenzione di difenderlo. Però vorrei stare ai dati di fatto. Che sono molto semplici: l’Iran ha un programma nucleare che è in itinere, la cui fine – ammettendo le peggiori intenzioni – non solo è di là da venire ma è anche rallentata da controlli serrati da parte di organismi terzi e internazionali (ci torneremo). Israele ha un arsenale atomico esibito e accertato che però viene pubblicamente e sfrontatamente sottratto a ogni controllo eventuale.

Chi legge queste righe ed è indottrinato dai cani da guardia del potere (genitivo soggettivo) – i vari Bocchino, Mieli, Meloni, Crosetto, Picierno, Fassino – dirà che questo è un punto di vista ideologico. Ecco, è proprio questo il punto da rivendicare nell’epoca della post-verità. Questi dati di fatto non sono un punto di vista soggettivo delle cose, ma le cose per ciò che sono, niente di più o niente di meno.

La differenza tra me e Bocchino è molto semplice: io sono amico della verità. Quindi, stando ai dati di fatto e per ciò che concerne le “minacce esistenziali”, siamo di fronte a una scena in cui una persona con una pistola in mano sta attaccando un’altra persona che la pistola – ammesso che ce l’abbia – non la potrà usare ancora per molto tempo. E la giustificazione del suo attacco è che avere una pistola in mano è una “minaccia esistenziale”. Come non essere d’accordo a osservarlo con attenzione, in effetti? Israele è una minaccia esistenziale per tutti, ormai.

Non voglio scrivere un articolo fingendo di essere ciò che non sono, un esperto di geopolitica. Ma come capirete tra poco anche questo è ormai un problema: perché la geopolitica è una scienza che pretende di coprire il significato di eventi che trascendono il loro semplice significato geopolitico. Che hanno bisogno di “pensiero” e non solo di “scienza”, di saggezza e non solo di competenza. Per questo vorrei semplicemente riflettere sull’uso che facciamo di alcune parole, che dobbiamo certamente bonificare.

La prima è quella a cui ho già fatto riferimento: la “minaccia esistenziale”. Che è una categoria estremamente controversa dal punto di vista della sua usabilità politica. In un certo senso, la minaccia esistenziale può applicarsi con rigore esclusivamente quando riguarda l’intera umanità. La crisi ecologica è senza dubbio una minaccia esistenziale, perché mette in pericolo la vita umana di tutti, non solo questa o quella vita umana, questa o quella nazione. Invece l’uso soggettivo della minaccia esistenziale è sempre problematico. Detto più chiaramente: non c’è guerra o sterminio avvenuto nella storia umana che non abbia avuto come giustificazione una qualche forma di minaccia esistenziale. Persino la Shoah veniva legittimata come un tentativo di difendere la purezza della propria razza messa a repentaglio dalla presenza degli ebrei. Esempio scomodo, me ne rendo conto. A cui possiamo affiancare più sobriamente le nostre esperienze biografiche, in cui riconosciamo in azione permanente quello che Tamar Pitch definirebbe il malinteso della vittima. Tutti quelli che scelgono di far del male, lo giustificano a se stessi e agli altri in quanto si sentono vittime e si sentono così “minacciate”.

Se un uso politico si può, dunque, fare della categoria di “minaccia esistenziale”, dovrà avere qualche elemento oggettivo di contenimento. Prendiamo l’invasione di Putin in Ucraina. Invasione di un paese sovrano effettuata con la giustificazione di una “minaccia esistenziale”, esattamente come Netanyahu in Iran. Qualcuno dei Bocchino, Meloni, Fassino ecc. mi saprebbe rispondere su quale sia la differenza tra i due? Perché nel primo caso abbiamo il dovere di reagire e difendere gli invasi, mentre nel secondo caso dovremmo appoggiare l’invasione? L’unica risposta che mi aspetto di ottenere è quella fondata sulla superiorità morale dell’Occidente. Netanyahu può invadere un paese sovrano perché è il rappresentante di una democrazia e il suo obiettivo è liberare da una dittatura. Putin non può farlo perché è un dittatore e il suo obiettivo è di distruggere una democrazia (facciamo finta che lo sia davvero). Ma non è difficile capire come in questa risposta l’Occidente stia negando se stesso e, in particolare, stia rimuovendo la grande architettura politica moderna che ha fatto del diritto l’argine a ogni arbitrio e a ogni abuso della forza. Questa risposta non ha nulla a che vedere con l’Occidente che si è messo in discussione, che ha riconosciuto le proprie responsabilità imperialistiche e colonialistiche, che pretende di ancorare le democrazie a un sistema di bilanciamento liberale (altro che comunismo, qui si tratta ormai quasi soltanto di difendere la democrazia con argomenti rigorosamente liberali) e che, soprattutto, sa che non può esserci un potere al di sopra delle leggi, capace di qualunque cosa. Per questo l’unica risposta che Bocchino, Meloni, Fassino non mi daranno mai è l’unica risposta corretta – dico dal punto di vista liberale, non dal punto di vista di una rivoluzione. In una teoria liberale, l’argomento della “minaccia esistenziale” può essere utilizzato da un singolo Stato solo a due condizioni: che esso non diventi un pretesto per mettere in discussione il principio dell’autodeterminazione di un popolo e soprattutto che tale minaccia sia giudicata non da chi è parte in causa, ma da un organismo terzo e sovranazionale. Questa risposta non potranno mai darmela, perché è evidente che l’invasione di Israele non rispetta nessuna di queste condizioni e che non c’è alcuna differenza tra Netanyahu e Putin dal punto di vista della gravità dell’attacco a territori sovrani.

La seconda parola di cui vorrei decostruire l’uso attuale è quella di “deterrenza nucleare”. Per quelli della mia generazione, questa storia del ritorno della minaccia nucleare su larga scala è una faccenda surreale. Per quelli che hanno disgraziatamente scelto di studiare filosofia ancor di più. Perché le conseguenze dell’uso americano delle bombe atomiche sembravano irreversibili. La deterrenza atomica si spiegava in questo contesto: alcuni Stati hanno delle armi che non possono davvero usare, perché il loro uso è una “situazione limite” dell’umano: adoperarle significa mettere fine all’umanità tout court, non solo a quella del nemico. È per questo che grandi filosofi – i più celebri sono Anders e Jaspers – hanno fatto dell’atomica il simbolo di una civiltà che ha accresciuto la propria tecnica a livello tale che la sua massima potenza consiste nel massimo annientamento, nella distruzione totale.

Da poco più di tre anni a questa parte, l’atomica non è più un tabù dei nostri discorsi politici. Se dovessi sintetizzare cosa sia diventata, direi così. Quando l’atomica è dei nostri amici, è qualcosa che possiamo esibire con orgoglio e non più con vergogna, come la prova della nostra forza (Israele docet). Quando l’atomica è dei nostri nemici, è solo un armamentario simbolico: dobbiamo fare la guerra a Putin senza considerare che la Russia è una potenza atomica. Fare come se non ci fosse, tanto mica sarà così pazzo da usarla. Argomento che mi ha sempre incuriosito, perché è come dire che gli incalliti antiputiniani sono in realtà quelli che di lui si fidano di più: sono certi che non sia né così stupido né così crudele da usare le sue armi atomiche. Io, a pelle, non mi fiderei fino al punto da affidargli tutte le nostre vite.

L’effetto straniante di tutto ciò è sotto gli occhi di tutti: se qualche decennio fa dell’atomica si parlava solo in termini di disarmo o di deterrenza, oggi se ne parla in termini proattivi, non escludendone l’uso (cioè quello che fino a pochi anni fa non doveva essere nominato perché non poteva essere immaginato). Ma in fondo vale anche per l’atomica la logica che valeva per la “minaccia esistenziale”. Chi decide chi è davvero pericoloso? Chi è parte in causa o degli organismi terzi e internazionali, quelli che abbiamo ridotto a finzioni caricaturali? Ma soprattutto, perché chi attualmente ha l’atomica può definire come minaccia esistenziale qualcuno che vorrebbe averla e che, a questo punto, ha tutto il diritto di pensare che quel Paese che già possiede l’atomica sia una minaccia esistenziale per sé? È il paradosso dell’educatore. Se io dico a mio figlio che fumare fa male mentre sto fumando la sigaretta, non sarò troppo credibile. Così vale per Israele: se grida al lupo al lupo mentre indossa orgogliosamente i panni di un lupo, non credo serva a molto. A meno di non pensare che questo è lo stato di natura e che solo la forza definisce i rapporti internazionali. Per carità, si può pensare anche. Ma poi non parliamo di superiorità morale dell’Occidente, magari soltanto del suo suicidio.

Gaza muore. Ma ormai non ci interessa quasi più. È uno spettacolo in seconda visione, dobbiamo andarlo a cercare nei cinema di periferia. Sui multiplex la distrazione di massa prevale, ci avvince. Le mirabolanti avventure dell’Occidente che salveranno le donne oppresse da un regime brutto e cattivo (è scontato che il salvatore delle donne sia sempre un maschio bianco e di una certa età). E chi lo nega. Solo che per salvarle, intanto le stiamo uccidendo. Oggi Israele ha chiesto di abbandonare immediatamente una zona di Teheran, prima che arrivassero le bombe. Che paese avanzato che preserva i civili in ogni maniera. In quella zona ci sono 300mila abitanti. Voi avete idea di cosa possa significare evacuare un numero tale di gente in pochi minuti e col terrore dei bombardamenti? Non si può, semplicemente. È una trappola, ma noi la definiamo guerra intelligente.

Gaza muore e con lei anche le donne di Teheran. Quanto dolore innocente e inutile! Israele e l’Occidente si sentono minacciati esistenzialmente da una bomba che non c’è, mentre contribuiscono ad avvampare l’unica minaccia che continuerà a sfibrarli per anni e anni. Si chiama terrorismo: la reazione inevitabile dei figli di quelle donne che con la scusa di salvare stiamo intrappolando, di tutti quelli che a Gaza hanno perduto ogni cosa. Di tutte queste vittime non resterà che la memoria: nessuna arma intelligente d’Israele potrà cancellarla (se non le armi nucleari, probabilmente). E la memoria diventerà presto minaccia, volontà di vendetta. Continuiamo così, suicidiamo l’Occidente. Ma sentendoci vittime, mi raccomando.

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