Milano: al nocciolo della questione
di Sergio Fontegher Bologna
Sono nato a Trieste ma vivo a Milano da una vita (da 65 anni, per la precisione). Mi riesce difficile far finta di nulla davanti alle inchieste della magistratura, che stanno scuotendo la città. E soprattutto tacere di fronte all’urlìo assordante di coloro che esaltano “il modello Milano” e tacciano i magistrati come sabotatori di un futuro radioso e denigratori di un passato strabiliante. Con “Il Foglio” di Giuliano Ferrara a guidare il baccanale dell’osceno.
Non mi sono mai occupato di urbanistica ma mi chiedo se non sia sufficiente la condizione di “abitante” per avere il diritto a parlarne.
Negli anni Settanta era il gruppo di Alberto Magnaghi alla Facoltà di Architettura del Politecnico a darmi i parametri interpretativi della questione dell’abitare e della trasformazione urbana. Come autore/ricercatore, e con mia figlia Sabina alla macchina da presa, nel 2006/2007 abbiamo realizzato un documentario intitolato “Oltre il ponte” sulla trasformazione del quartiere dove abito, Porta Genova, passato da zona di altissima concentrazione operaia (circa 14 fabbriche medio-grandi) a zona della moda e del design. E tutto sommato avevamo dato un giudizio positivo. Oggi quegli stessi luoghi che abbiamo filmato sono completamente cambiati. In peggio. Al posto di fondazioni d’arte o laboratori artigiani i soliti squallidi show room del prêt-à-porter, con interminabili file di attaccapanni pieni di stracci. Ci sono rimasti gli Armani, però, coi loro “silos”, le aiuole ben curate, quelli che fanno cucire le borse a sub-sub-appalti di poveri cinesi pagati 3-4 euro l’ora.
Nel 2015 ai tempi dell’Expo, quando Sala non era ancora sindaco, ho lanciato un appello per invitare a sabotare una sua iniziativa: quella di far lavorare gratis ad accogliere i visitatori dell’Expo migliaia di ragazze/i, chiamandoli “volontari”. È ancora su youtube il mio appello, se qualcuno lo vuol sentire. Ha avuto oltre 12 mila visualizzazioni. In ACTA, l’Associazione dei freelance, di cui faccio parte da anni, può capitare d’incontrare giovani che hanno lavorato a Partita Iva in certi studi di architetti milanesi, con orari d’ufficio pesanti e paghe miserabili, finte Partite Iva, mai regolarizzate.
Questo è “il modello Milano”, una città che prima ancora di essere terra di nessuno per speculatori immobiliari e riciclatori di denaro sporco, è capitale di umiliazione del lavoro.
Il pubblico e il privato
Nel quartiere che sta dietro Porta Genova, in viale Troja, di fronte a un centro Media World, ci stava una discarica pubblica. Ogni giorno file di macchine private ci depositavano vecchi televisori, lavatrici, computer, rifiuti ingombranti che, se lasciati fuori dai portoni sui marciapiedi, sarebbero rimasti lì per settimane. Una cosa pratica e utile, un self service civile. Un bel giorno chiude. E dopo un po’ di tempo appaiono sui muri, che circondano un giardino vicino, dei murales che riproducono i disegni di Crepax sul personaggio di Valentina. Oggi al posto della discarica c’è questa imponente costruzione, non so quanti appartamenti. Costruita in tutta regola, magari, non dico di no, ma esemplificativa del concetto di “rigenerazione urbana” dominante. Tanto che mi viene il dubbio che tra questa costruzione e i murales ci sia qualche rapporto, come di “compensazione” per la porcata immobiliare.
Ho parlato, a proposito del “Foglio” di Giuliano F., di baccanale dell’osceno. Ma si legge anche di peggio, come quando si scrive che la decisione di non aumentare gli asili nido in proporzione ai nuovi immobili, è stata una scelta razionale, anzi, scientifica, perché tiene conto dell’”inverno demografico”. Perché buttar via soldi a costruire asili nido se le donne non fanno più figli?
E anche questo, in ultima istanza, ci riporta al problema del lavoro. Quante giovani donne al colloquio d’assunzione si sono sentite chiedere se hanno intenzione di far figli? E se rispondevano, “Sì” le rimandavano indietro.
Dietro all’ignobile appropriazione dello spazio urbano c’è sempre il degrado della condizione lavorativa. O si riparte da lì, dalla ribellione alle condizioni lavorative umilianti, oppure le inchieste giudiziarie, pur benvenute, non cambieranno le cose.
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Saluti
Silverio