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Più domande che risposte dagli incontri alla Casa Bianca

di Gianandrea Gaiani

90dbfd43fa390c6b55fb363a1e828fcb 1755543391 extra large.jpegTante chiacchiere (molte in libertà), grandi proclami ma poco pragmatismo e soprattutto pochi sviluppi concreti sembrano essere emersi dagli incontri di Washington tra i leader europei, Volodymyr Zelensky e Donald Trump.

Nei colloqui il presidente USA non ha lesinato elogi ai suoi interlocutori, da Zelensky a Rutte, von der Leyen, Starmer, Macron, Meloni, Merz e al presidente finlandese Stubb, ma se le parole spese sono state pure troppe, di contenuti se ne sono visti e sentiti davvero pochi.

Trump ha detto che ama gli ucraini (ma anche i russi) ed è stato molto ospitale con tutti i leader intervenuti, ha fatto persino un siparietto comico con Zelensky che per la prima volta è stato visto con addosso una giacca ma, per capire se si sono fatti passi avanti bisogna porsi domande molto concrete. E soprattutto cercare (a fatica) eventuali risposte.

In realtà una serie di incontri faccia a faccia con alcune sessioni di gruppo in cui a quanto pare Trump ha spiegato almeno due concetti chiave messi a punto in Alaska con Vladimir Putin, due passaggi fondamentali per arrivare alla pace ma che il leader ucraino e quelli europei si sono mostrati riluttanti ad accettare.

 

Nessuna tregua

Il primo è l’accettazione delle condizioni poste da Putin e sottoscritte da Trump che non ci sarà nessuna tregua o cessate il fuoco su cui imbastire lunghe trattative di pace mentre le truppe ucraine si riorganizzano dopo due anni di sconfitte consecutive.

Dopo gli accordi di Minsk per la pace in Donbass (“portati avanti per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di armarsi” come ammisero nel 2022 l’ex cancelliere Angela Merkel e l’ex presidente francese Francois Hollande), i russi non si fidano più degli europei e vogliono un accordo di pace che chiuda il conflitto “rimuovendone le cause profonde”.

Un punto insindacabile per Putin che Trump ha accettato e ha più volte evidenziato agli europei, a quanto sembra senza molto successo considerato che ieri sia il cancelliere Frederich Merz che il presidente Emmanuel Macron hanno rilanciato senza successo il tema del cessate il fuoco.

 

Cessione di territori ucraini

Il secondo punto chiave per dare una possibilità alla pace è la cessione di territori ucraini alla Russia che Zelensky deve accettare prima di poter discutere la fine del conflitto in un incontro con Putin e Trump.

La guerra potrebbe quindi finire con gli ucraini che si ritirano dal Donetsk, perché il la regione di Lugansk l’hanno già persa interamente. Secondo Steve Witkoff il Cremlino ha fatto una proposta che offre a Kiev l’onore delle armi, prevedendo il ritiro dal 20% di territorio del Donetsk che gli ucraini ancora controllano, mentre nelle altre regioni occupate i russi si terranno il 75% di Kherson e Zaporizhia senza rivendicare l’intera superficie di queste due regioni.

A Kherson, d’altra parte, i due belligeranti sono divisi dal fiume Dnepr che lì raggiunge la foce nel Mar Nero, un confine naturale accettabile forse per tutti. A Zaporizhia invece i russi si schiererebbero su territori che sono un po’ più a nord della triplice Linea Surovikin, le fortificazioni che respinsero tra giugno e novembre nel 2023 la grande controffensiva ucraina.

Trump aveva fatto allestire una mappa dell’Ucraina con i territori controllati dai russi perché questo è il vero punto fondamentale, seguito da altri evidenziati dallo stesso presidente statunitense, inclusa la necessità di elezioni in Ucraina, anche presidenziali considerato che il mandato di Zelensky è scaduto nel maggio 2024

Non sappiamo cosa si siano detti ieri Trump e Zelensky su questo punto ma le reazioni dei leader occidentali confermano che il concetto che l’Ucraina ha perso la guerra e quindi subirà mutilazioni territoriali e condizioni di pace non sembra essere ancora stato digerito dagli europei, tanto bellicosi a parole quanti imbelli nei fatti.

Il Presidente francese, Emmanuel Macron, ha affermato che i colloqui alla Casa Bianca non hanno affrontato il tema delle concessioni territoriali da parte dell’Ucraina ma questo significa che Trump non ha posto il problema ai leader europei ma solo al presidente ucraino. Su cui ricade il fardello di una simile decisione.

Eppure anche oggi alcune dichiarazioni dei capi di stato e di governo europei appaiono scollegate dalla realtà.

Per il cancelliere tedesco, Friedrich Merz “abbiamo in sostanza trasmesso questi messaggi: un vero negoziato può avvenire soltanto in un vertice al quale partecipi anche l’Ucraina. Un tale vertice è pensabile solo se le armi tacciono. Un vertice del genere deve essere preparato a fondo se il presidente russo avrà il coraggio di parteciparvi non lo sappiamo. Per questo è necessaria un’opera di convincimento. All’Ucraina non devono essere imposte cessioni territoriali”.

Quindi per Berlino occorre un cessate il fuoco per negoziare un accordo di pace in cui a Kiev non si possono imporre cessioni territoriali. Come se il summit tra Trump e Putin in Alaska non ci fosse mai stato. Come se gli ucraini stessero vincendo la guerra.

Zelensky ha dichiarato che la questione delle eventuali concessioni territoriali richieste dalla Russia all’Ucraina “sarà lasciata e me e Putin”, auspicando quindi un faccia a faccia col presidente russo che qualcuno ritiene possa concretizzarsi intorno a fine agosto.

I media russi hanno riferito che la notte scorsa Putin e Trump hanno espresso nel corso di una conversazione telefonica sostegno ai negoziati diretti tra le delegazioni di Russia e Ucraina definendo la telefonata franca e molto costruttiva.

“Non rifiutiamo nessuna forma di lavoro, né bilaterale né trilaterale, il presidente ne ha parlato ripetutamente. La cosa principale è che qualsiasi formato sia incluso per il bene di un passo dopo passo, gradualmente, partendo dal livello degli esperti e poi attraversando tutte le fasi necessarie per preparare i vertici. Questo è il tipo di approccio serio che sosterremo sempre”. Ha detto questa mattina il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, in un’intervista al canale televisivo Rossiya-24.

Nel pomeriggio Putin, avrebbe suggerito di tenere un possibile incontro con Zelensky a Mosca ma il presidente ucraino avrebbe rifiutato. Secondo fonti di stampa Trump potrebbe puntare su Budapest per l’incontro tra i presidenti russo e ucraino, dopo aver raccolto la disponibilità del premier magiaro  Viktor Orban.

 

Le garanzie di sicurezza

Anche il tema delle garanzie di sicurezza da offrire all’Ucraina ha preso molto spazio nel dibattito a Washington, un tema dibattuto ma non certo risolto.

Il presidente degli Stati Uniti, dopo aver affermato di non credere che la Russia attaccherà nuovamente altre nazioni, ha assicurato ieri a Zelensky che Washington garantirà la sicurezza dell’Ucraina nell’ambito di un eventuale accordo per porre fine alla guerra, pur non chiarendo i termini e i dettagli del sostegno. Trump del resto aveva già escluso in giugno la presenza di truppe americane in Ucraina e oggi il portavoce Karoline Leavitt ha confermato che “le truppe statunitensi non saranno mai sul terreno in Ucraina, ma certamente aiuteremo nel coordinamento e forse forniremo altri tipi di garanzie di sicurezza ai nostri alleati europei” aggiungendo che il sostegno aereo resta un'”opzione o una possibilità”, ma senza entrare nei dettagli.

Trump ha poi fatto comprendere agli alleati che non vi potranno esserci “forze di peacekeeping” europee schierate in territorio ucraino, argomento cavalcato da tempo dalla cosiddetta “coalizione dei volenterosi” che cozza però con la condizione posta da Mosca che non vi siano in Ucraina truppe o basi di nazioni aderenti alla NATO mentre Italia e Germania hanno fatto sapere da tempo che non sono disponibili a schierare propri militari a Kiev e dintorni.

Per Macron, una delle garanzie di sicurezza che dovranno accompagnare qualsiasi accordo di pace con la Russia sarà “un esercito ucraino robusto, in grado di resistere e dissuadere qualsiasi tentativo di attacco, e quindi nessuna limitazione numerica, di capacità o di armi“.

Tra le condizioni poste da Putin per negoziare la pace vi è però la smilitarizzazione dell’Ucraina, intesa come assenza di capacità militari offensive in grado di colpire la Russia. Concetto che potremmo definire opposto a quello di “esercito ucraino robusto”.

Macron ha poi evidenziato la necessità di “forze di deterrenza, cioè militari britannici, francesi, tedeschi, turchi e altri che saranno pronti a condurre operazioni, non in prima linea e non in modo provocatorio, ma di deterrenza aeree, marittime e terrestri”.

Quindi esattamente l’opposto di quanto Trump e Putin hanno concordato in Alaska e della già citata condizione posta dalla Russia circa l’assenza di forze di nazioni NATO.

Contraddizioni che rafforzano la percezione già evidenziata da molti osservatori che gli europei cerchino di ribadire concetti tesi a sostenere l’Ucraina nel continuare la guerra invece di incoraggiarla a cedere alle condizioni russe per ottenere la pace.

Il vicepremier e ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha sottolineato in un’intervista che “tutti si sono ritrovati d’accordo sul principio di garantire la sicurezza all’Ucraina e questo rafforza la posizione di Zelensky nella trattativa con Putin. Nella sostanza è stata accolta la proposta italiana di garantire, attraverso un sistema di mutuo soccorso in caso di attacco esterno, l’indipendenza dell’Ucraina. Puntiamo sulla sicurezza di Kiev, che è la nostra sicurezza. I Paesi amici dell’Ucraina, anche gli USA, dovranno intervenire in sua difesa in caso di attacco. Sarebbe positivo che Putin dicesse di “.

In realtà l’idea di applicare un simil-articolo 5 della NATO all’Ucraina che non fa parte e non farà parte dell’Alleanza, come ha ribadito Trump (ma il segretario generale dell’Alleanza – altra contraddizione – ha ribadito che il cammino dell’Ucraina porterà all’adesione) lascia aperti molti interrogativi.

Questo il testo dell’Articolo 5 del Trattato Atlantico.   

Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorché il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali.

Come si può notare esso non esclude “l’uso della forza armata” in caso di attacco a una nazione alleata ma non lo impone. A questo proposito meglio non dimenticare che in giugno, al vertice NATO dell’Aja, il presidente Trump, a chi gli chiedeva se rinnovava la disponibilità a difendere l’Europa con l’ombrello nucleare americano, rispose “dipende da come si interpreta l’Articolo 5”.

Dovremmo quindi stabilire un trattato fac-simile di quello del Nord Atlantico che vincoli le nazioni aderenti alla NATO che vorranno farlo come “Coalizione dei volenterosi” a intervenire in soccorso dell’Ucraina eventualmente sotto attacco russo “individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata”?

Se così fosse nessuno degli stati contraenti sarebbe quindi obbligato a entrare in guerra al fianco di Kiev contro l’aggressione russa.

La domanda che si impone allora è una sola: di cosa stiamo parlando? Del resto c’è qualcuno che ritiene davvero che Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia o Finlandia siano pronte a combattere i russi per difendere l’Ucraina?

Qualcuno ritiene che i governi di queste nazioni otterrebbero il via libera dai rispettivi parlamenti e dall’opinione pubblica se vincolassero la sicurezza dell’Ucraina a quella nazionale imponendo un intervento armato contro Mosca?

 

Le fiabe nordiche

Tra le parole in libertà espresse ieri nei vari incontri spiccano quelle del presidente finlandese Alexander Stubb, che dopo aver ricordato le guerre che dal 19039 opposero la nazione all’URSS ha dichiarato: “La Finlandia ha trovato una soluzione alla guerra con l’Unione Sovietica nel 1944 e sono sicuro che si possa trovare una soluzione anche nel 2025 per far terminare la guerra d’aggressione della Russia.”

Peccato che Stubb non abbia precisato che quella “soluzione” fu la capitolazione della Finlandia che in seguito combatté contro i tedeschi nell’ultima fase della guerra ma cedette ampi territori all’UIRSS pagando pesanti riparazioni di guerra a Mosca.

Nel 1941 la Finlandia si era infatti unita al Terzo Reich e ai suoi alleati nell’invasione dell’Unione Sovietica e le truppe finniche combatterono per tre anni sul fronte settentrionale e quello di Leningrado a fianco della Wehrmacht.

Parallelo storico azzardato o Stubb auspica la capitolazione dell’Ucraina?

 

Armi americane, denaro europeo!

Zelensky ha affermato oggi che gli occidentali formalizzeranno le garanzie di sicurezza per l’Ucraina entro 10 giorni e in attesa di comprendere cosa si intenda realmente le uniche certezze ci giungono dalle forniture di armi statunitensi a Kiev.

Il segretario di Stato Marco Rubio ha spiegato nuovamente cosa intenda Washington per garanzie di sicurezza all’Ucraina.

“Gli Stati Uniti non forniscono più armi e denaro all’Ucraina. Adesso vendiamo armi all’Ucraina e i paesi europei le pagano tramite la NATO”, ha detto Rubio a Fox News sottolineando “la fine dell’era dei regali gratuiti. Questo è un altro grande cambiamento rispetto al modo in cui è stata affrontata questa guerra solo pochi anni fa, ad esempio sotto l’amministrazione Biden”.

Ce ne eravamo già accorti al vertice NATO dell’Aja dove alcuni alleati europei avevano accettato di finanziare l’acquisto di armi, munizioni ed equipaggiamenti statunitensi già presenti nei depositi militari per 10 miliardi di dollari suddivisi in 20 pacchetti da mezzo miliardo l‘uno che includono anche i sistemi missilistici da difesa aerea Patriot., magnificati anche ieri da Trump.

Dopo due mesi solo tre pacchetti risultano finanziati da Olanda, Svezia, Norvegia, Danimarca e Germania ma nell’incontro con Trump di ieri Zelensky ha rilanciato.

Parlando ai giornalisti alla Casa Bianca, ha affermato che il suo Paese si è offerto di acquistare armi statunitensi per un valore di 90 miliardi di dollari. In realtà ha notizia andrebbe scritta in modo diverso: Zelensky ha concordato con Trump di ordinare forniture militari negli Stati Uniti per un valore di 90 miliardi di dollari che verranno pagate dagli alleati europei della NATO.

Occorre chiedersi se sono queste le garanzie di sicurezza che Washington offre a Kiev a spese nostre oppure se è il prezzo che gli europei pagheranno per non essere lasciati soli da Washington nell’assicurare garanzie all’Ucraina.

In ogni caso sembra che dovremo preparaci a pagare 100 miliardi di dollari (10 già definiti più 90 nei prossimi anni) al Pentagono e alle aziende del settore difesa statunitensi per armare l’Ucraina in modo che possa difendersi da un eventuale nuovo attacco russo che però Trump si sente di escludere.

In altri termini, se gli europei pagheranno 100 miliardi di armi americane a Kiev dovranno sottrarre la stessa somma (per giunta ottenuta a debito) dagli investimenti destinati alla difesa dell’Europa e alle commesse per le aziende europee, favorendo coi nostri soldi i concorrenti statunitensi.

Finora nessuno ha reagito al diktat di Zelensky (anzi, alla “marchetta” di Zelensky a Trump e all’industria statunitense), eppure con un sussulto di dignità, sarebbe lecito immaginare che gli europei, così preoccupati per la sicurezza di Kiev, ammoniscano Zelensky ricordandogli che se le garanzie di sicurezza le dovranno offrire gli europei allora le armi per proteggere l’Ucraina devono essere “made in Europe”.

Le pagheremmo sempre noi ma almeno facendo crescere il nostro PIL, dando commesse alle nostre aziende e ai nostri lavoratori, sviluppando ricerca e sviluppo da noi, non oltreoceano.

In attesa di (improbabili) sussulti di dignità da parte dei leader europei, la beffa delle armi all’Ucraina rischia di essere l’ultima battaglia (perduta) nell’ultima guerra contro l’Europa.

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