L’asse Putin-Trump e la svolta nei negoziati di pace che molti fingono di non vedere
di Gianandrea Gaiani
I caccia F-35 Lightning II dell’USAF che scortano l’Ilyushin Il-96-300PU presidenziale sul quale viaggia il presidente russo Vladimir Putin di rientro in patria dopo il vertice con Donald Trump in Alaska, rappresentano pienamente, con la sua simbologia, il successo del summit tra i due presidenti.
La degna conclusione di un evento caratterizzato, come sottolineano i media russi, da una “accoglienza storica” riservata al presidente russo dal tappeto rosso al sorvolo d’onore di un “flight” militare composto da un bombardiere B-2 Spirit e alcuni F-35 fino al trasferimento dei due presidenti a bordo della limousine presidenziale americana, “The Beast”.
Particolari che suggellano e ostentano il rilancio dell’amicizia, non solo delle relazioni, russo-americane. Un successo solo per Russia e Stati Uniti però, come avevamo previsto ieri nell’editoriale in cui a quanto pare abbiamo ipotizzato correttamente i possibili sviluppi dell’incontro.
Cooperazione a tutto campo
Pochi i dettagli emersi finora ma nelle dichiarazioni rese alla stampa (otto minuti e mezzo ha parlato Putin, meno di 4 minuti Trump) l’aspetto più rilevante è sembrato quello del rilancio delle relazioni bilaterali sul piano strategico (Artico e nucleare), economico (sanzioni e dazi) e politico.
Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha detto ieri di aspettarsi che gli USA revochino alcune sanzioni alla Russia. “Ne toglieranno qualcuna, questo è certo“, ha detto Lavrov. Ne sapremo presto di più circa questo rilancio che aveva preso il via già negli incontri in Arabia Saudita tra Marco Rubio e Sergei Lavrov e che si era concretizzato in luglio nel rilancio della cooperazione spaziale.
Russi e americani tornano a cooperare a livello globale riconoscendosi come grandi potenze di pari dignità e questo certo costituisce un trionfo per Putin non solo rispetto all’isolamento in cui volevano relegare la Russia gli USA dei Joe Biden, l’Europa e i loro alleati (il cosiddetto “Occidente collettivo”) ma soprattutto rispetto alla missione che il presidente russo si era dato fin dalla sua ascesa al Cremlino.
Un successo anche per Trump, che sconta lo scetticismo del mondo dei media che non lo ha mai amato e di un’Europa che ha sempre malcelato l’ostilità nei suoi confronti fin dalla campagna elettorale per le presidenziali americane.
Come abbiano scritto ieri, Trump ha bisogno di rinsaldare i rapporti con Putin perché tutti i maggiori interlocutori economici e strategici degli Stati Uniti (Cina, India, BRICS, Corea del Nord, Iran ….) sono stretti alleati di Mosca. Se davvero Trump vuole passare alla storia come “il pacificatore” (con o senza il Nobel per la Pace) dovrà negoziare con loro e sarà molto più facile farlo con il supporto, invece dell’ostilità, della Russia.
Oggi forse gli Stati Uniti hanno più bisogno di Mosca di un rapporto bilaterale saldo e amichevole.
La questione ucraina
Certo, resta irrisolta la guerra in Ucraina, e non poteva essere altrimenti, poiché gli Stati Uniti non possono decidere per Kiev e per i suoi alleati europei, né hanno interesse a farlo dal momento che il conflitto ucraino rappresenta oggi solo un fastidioso ostacolo al pieno rilancio delle relazioni tra Mosca e Washington.
E’ forse per questa ragione che i due presidenti ad Anchorage hanno evitato le domande dei giornalisti, domande a cui Trump non avrebbe potuto dare risposte esaustive e Putin avrebbe potuto solo ripetere le condizioni poste da Mosca per cessare le ostilità.
Da più parti è stato detto che Putin non voleva rispondere alle domande dei media ma in realtà il presidente russo in passato non si è mai sottratto anche a lunghe conferenze stampa, in patria e all’estero. Semmai avrebbe potuto rispondere, come fa di solito, con lunghi e articolati monologhi, ricchi di citazioni e richiami storici che avrebbero forse messo a disagio Trump, abituato invece a fornire risposte brevi, a volte contraddittorie e spesso sopra le righe.
Se escludiamo quindi il timore di Putin dei media, la rinuncia alla conferenza stampa potrebbe essere legata al fatto che Trump non poteva presentare soluzioni senza prima essersi consultato con ucraini ed europei, ma ha poi sottolineato la volontà di Putin di giungere alla pace.
Obiettivo confermato anche dal presidente russo, che ha parlato del popolo ucraino “fratello, anche se può sembrare strano dirlo oggi” ma ha ribadito che Mosca vuole una soluzione del conflitto che tenga conto delle cause che lo hanno scatenato, non un cessate il fuoco temporaneo.
Le ragioni sono evidenti: i russi avanzano e stanno vincendo la guerra: una tregua darebbe solo respiro a Kiev e alle sue esauste truppe. Del resto quando Mosca ha proposto 100 giorni di tregua chiedendo che gli ucraini sospendessero per quel periodo gli arruolamenti, l’invio di truppe al fronte e arrivo di armi e munizioni occidentali, la risposta di Kiev e NATO è stata del tutto negativa. Un “no” che spiega bene quali fossero i reali obiettivi, militari non politici, nascosti dietro la richiesta di cessate il fuoco.
Putin ha elogiato Trump e gli ha offerto su un piatto d’argento l’opportunità di prendere ulteriori distanze da Kiev e dal conflitto riconoscendo pubblicamente che “quando il presidente Trump dice che se fosse stato lui al comando non ci sarebbe stata nessuna guerra, sono d’accordo. Posso confermarlo”.
Già nel maggio 2023, durante un evento pubblico della CNN, Trump aveva sostenuto che Putin non avrebbe mai intrapreso l’operazione militare con lui alla Casa Bianca. “Molte cose non sarebbero accadute: né la guerra, né la costruzione di certi oleodotti. Migliaia di vite, sia russe che ucraine, sarebbero state risparmiate e città intere non sarebbero state distrutte”, ha affermato.
Putin ha anche confrontato i rapporti con le due diverse amministrazioni statunitensi: inesistenti con Biden, più “professionali e affidabili” con Trump. “Io e il presidente Trump abbiamo sviluppato un rapporto basato sulla fiducia reciproca. Questo ci dà ragione di credere che, continuando su questa strada, sia possibile arrivare a una soluzione rapida del conflitto in Ucraina”.
Trump ha apprezzato dichiarando di essere stato “molto felice di sentire” Vladimir Putin affermare che “se fossi stato presidente, questa guerra non sarebbe mai successa“.
La svolta che molti vogliono ignorare
Oggi sui media e in ambito politico molti in Europa contestano che dal sumnit non è emersa una soluzione al conflitto in Ucraina. In realtà non è mai stato questo il motivo del vertice ma in ogni caso una svolta, e pure di grande rilievo, c’è stata, Siccome però non piace né a Kiev né agli europei in molti preferiscono ignorarla.
Il presidente americano ha riferito di “una giornata fantastica e di grande successo in Alaska! L’incontro con il presidente russo Vladimir Putin è andato molto bene, così come la telefonata a tarda notte con il presidente ucraino Zelensky e vari leader europei, tra cui il molto rispettato segretario generale della NATO“. “È stato deciso da tutti che il modo migliore per porre fine alla terribile guerra tra Russia e Ucraina è quello di arrivare direttamente a un accordo di pace, che metterebbe fine al conflitto, e non a un semplice accordo di cessate il fuoco, che spesso non viene rispettato”, ha aggiunto.
Di fatto quindi nel faccia a faccia tra i due presidenti con i rispettivi consiglieri, Putin ha convinto Trump a non cercare di imporre un cessate il fuoco che Mosca non potrebbe mai accettare per le ragioni già citate, ma di indurre ucraini ed europei a discutere la fine delle ostilità, cioè ad accettare le condizioni di Mosca.
Sempre le stesse da tre anni:
- Riconoscimento dell’annessione alla Russia di Crimea e Lugansk (totalmente in mani russe) della regione di DFonetsk (controllata dai russi al 75%) e di Zaporizhzhia e Kherson (74%)
- rinuncia da parte di Kiev ad entrare nella NATO, ad ospitarne truppe e armi,
- rinuncia di Kiev a disporre di armi offensive
- “denazificazione” dell’Ucraina, cioè la rimozione di “banderisti” e leggi discriminatorie per i russi e i russofoni.
Che questo approccio sia oggi condiviso dagli Stati Uniti cambia completamente l’iter del processo negoziale e mette Zelensky e gli europei con le spalle al muro: accettare le condizioni di Mosca o continuare da soli una guerra contro i russi sgradita a Washington.
“Ora tocca al Presidente Zelensky. E direi anche che i Paesi europei devono essere un poco coinvolti. Ma deciderà Zelensky“, ha affermato Donald Trump nell’intervista concessa a Fox News subito dopo il vertice con Putin in cui ha detto che “siamo vicini a un accordo, anche se al momento non ce n’è uno”.
“Con il Presidente russo – ha aggiunto Trump – ha trovato accordo sulla maggior parte dei temi, ma ci sono ancora una o due questioni su cui c’è disaccordo” rifiutandosi però di spiegare quali siano. “Non c’è affatto un accordo. L’Ucraina deve essere d’accordo. Il presidente Zelensky deve essere d’accordo”. Il messaggio di Trump per Zelensky? “Fai un accordo”, ha risposto Trump.
Un messaggio molto chiaro che si traduce nell’accogliere le condizioni di Mosca prima che il prosieguo della guerra peggiori la situazione per Kiev e degli europei che continuano a sostenerla.
Una ricetta difficile da digerire anche per gli europei: è durata più di un’ora la telefonata di Donald Trump con Zelensky estesa ai leader europei, secondo quanto ha reso noto da Parigi, precisando che hanno preso parte alla call Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Keir Starmer, Giorgia Meloni, Alexander Stubb, Karol Nawrocki, Mark Rutte e Ursula von der Leyen.
In precedenza, subito dopo la conclusione del vertice in Alaska, Zelensky aveva parlato da solo con Trump, in volo verso Washington sull’Air Force One, “per circa un’ora”. Zelensky incontrerà Trump il 18 agosto a Washington per discutere della risoluzione del conflitto in Ucraina, a seguito del summit in Alaska, come scrive lo stesso Zelensky su X, confermando che Trump lo ha informato dei “punti principali” dei colloqui con il presidente russo in Alaska.
Le reazioni in Europa sono improntate a far buon viso a cattivo gioco ma è chiaro che se Trump sostiene le condizioni poste da Mosca per cessare le ostilità la partita è definitivamente perduta sul piano politico oltre che sul campo di battaglia.
Quasi tutti i governi europei guardano con interesse alle garanzie di sicurezza per l’Ucraina di cui ha parlato Trump senza prendere impegni, ma si tratta più di un tentativo dei leader europei di trovare un buon appiglio per sottrarsi al rischio di finire tra gli sconfitti in questa guerra più che della fiducia nelle garanzie di Trump a Kiev.
Gli accordi che garantiscono agli Stati Uniti il controllo delle risorse minerarie e delle infrastrutture ucraine (nei territori che resteranno sotto il controllo di Kiev) costituiscono forse l’unica garanzia credibile circa il futuro ruolo di Washington.
Il presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha dichiarato in un post su X che solide garanzie di sicurezza per Kiev e l’Europa sono “essenziali” in qualsiasi accordo di pace per porre fine alla guerra in Ucraina. “L’Ue sta lavorando a stretto contatto con Zelensky e gli Stati Uniti per raggiungere una pace giusta e duratura. Sono essenziali solide garanzie di sicurezza che proteggano gli interessi vitali di sicurezza ucraini ed europei“, ha scritto von der Leyen.
Come le accade spesso, l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza Kaja Kallas, ha rilasciato una dichiarazione avulsa dalla realtà. “Mosca non porrà fine alla guerra finché non si renderà conto che non può continuare“. Non si è accorta che il tempo lavora a favore di Mosca, orma in asse con Washington, e contro gli interessi di Kiev e UE.
Sono le forze ucraine a essere vicine al collasso senza che l’Europa voglia o possa militarmente impedirlo: la pace è nell’interesse degli ucraini perché continuare la guerra in queste condizioni significherebbe perdere inutilmente vite e ulteriore territorio.
II ministro degli Esteri norvegese Barth Eide finge che nulla sia cambiato e ha dichiarato alla stampa che la posizione resta invariata dopo il summit in Alaska. “E’ fondamentale mantenere la pressione sulla Russia, per mostrare chiaramente che l’aggressione ha un costo”.
I baltici ovviamente sono tra i più preoccupasti dal successo del summit Putin-Trump. Il presidente della Lituania, Gitanas Nauseda, ha dichiarato che “poiché la Russia mostra riluttanza a fermare la guerra in Ucraina, è necessaria maggiore pressione, incluse sanzioni internazionali più severe. L’uccisione di civili innocenti deve cessare prima di negoziare un accordo di pace! Insieme agli alleati europei, la Lituania continuerà a sostenere gli sforzi del Presidente Zelensky con tutti i mezzi possibili“.
Un’Europa frustrata guidata da una classe dirigente inetta, esclusa dal tavolo dei grandi proprio perché prona a Washington durante l’Amministrazione Biden nel sostenere un confronto con la Russia risultato disastroso per tutti gli europei sul piano militare ed economico.
Anche Zelensky paga il prezzo di aver obbedito agli anglo-americani sacrificando l’Ucraina quando a fine marzo 2022 rifiutò l’accordo di pace messo a punto a Istanbul e che prevedeva solo la piena autonomia delle due regioni del Donbass.
Certo nessuna farà mea culpa né “autocritica costruttiva” ma in molti in Europa temono oggi di giocarsi la poltrona in seguito alla pace in Ucraina alle condizioni della Russia. Del resto posti al sole per servi e vassalli non ne sono previsti.
“Non è stata neanche sollevata, durante il vertice in Alaska, la possibilità di un incontro fra Donald Trump, Vladimir Putin e Volodymir Zelensky”, ha riferito il Consigliere per la politica estera del Cremlino, Yuri Ushakov.