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volerelaluna

Il futuro come merce: Luciano Gallino e la critica del finanzcapitalismo

di Riccardo Barbero

gallino e1636620113985 348x215Negli ultimi anni del suo lavoro di studioso Luciano Gallino ha scritto tre libri sul tema della finanza speculativa: nel 2011 Finanzcapitalismo, in cui fin dal titolo ha coniato questo neologismo che ha avuto fortuna, nel 2013 Il colpo di Stato di banche e governi, e due anni dopo, qualche mese prima di lasciarci, Il denaro, il debito e la doppia crisi, indirizzato ai suoi nipoti.

 

1. La critica alla finanziarizzazione che Gallino sviluppa può essere messa in relazione con due aspetti importanti: la crisi ambientale e il processo di svalorizzazione del lavoro. Il motore della finanziarizzazione dell’inquinamento ambientale venne creato dal Protocollo di Kyoto del 1997, entrato in vigore nel 2005 e prorogato fino alla fine del 2020. L’idea di fare delle emissioni un commercio, riguardante soprattutto la CO2, nasce dallo squilibrio esistente fra i paesi che, in rapporto alla popolazione e al grado di industrializzazione, inquinano tanto e quelli che inquinano poco. Il Protocollo di Kyoto ha fissato un valore massimo per le emissioni di CO2 consentite entro una certa data, differente per ciascun paese. Un paese inquinatore, ovvero la sua industria, aveva quindi la scelta fra investire molto, anche in termini di tempo, allo scopo di ridurre le emissioni mediante tecnologie appropriate per portarle al limite stabilito, oppure “comprare” certificati autorizzanti l’emissione di tot tonnellate/anno di CO2 da un altro paese che era al di sotto del limite fissato dal Protocollo. In questo modo si sono viste compagnie aeree e fabbriche di SUV pubblicizzare la loro “lotta al cambiamento climatico”. È stato – scrive Gallino – come riproporre la vendita delle indulgenze del Medioevo.

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effimera

Un capitalismo di sorveglianza?

di lundimatin#311

Capitalismo di sorveglianzaPubblichiamo una recensione, uscita il 1 novembre 2021, del volume The Age of surveillance di Shoshana Zuboff (Il capitalismo della sorveglianza, Luiss University Press, Roma, ottobre 2019). La riprendiamo e traduciamo da lundimatin#311, [1]. L’autrice, nata nel 1951, è un’accademica statunitense che dal 1981 insegna stabilmente presso Harvard Business School. Si tratta di una delle prime donne a essere entrata in ruolo in tale contesto. La testata lundimatin, attiva dal 2014, si schiera nell’ambito della sinistra radicale francese. Questa recensione costituisce un commento redazionale, come conclusione di un dibattito interno alla struttura

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Quando uscì, due anni or sono, L’età del capitalismo di sorveglianza fu quasi unanimemente salutato dalla sinistra occidentale come il manuale di riferimento per comprendere l’evoluzione capitalistica degli ultimi venti anni. Diverse critiche le sono state tuttavia rivolte per via di una posizione riformista in fondo piuttosto ingenua (NT: ciò è frequente fra gli accademici statunitensi): c’era stato un capitalismo buono, sino agli anni ‘90, ma fu pervertito da un mostro, il capitalismo della sorveglianza che impera da due decenni. Queste critiche sono certamente giuste, ma ciò non toglie che l’inchiesta di Zuboff è forte, coerente; per questo le dedichiamo una discussione approfondita nella rubrica cyber-filo-tecnica (https://lundi.am/cybernetique).

Sulla copertina dell’edizione francese (ripresa pure nell’edizione italiana), in basso a sinistra, spicca un elogio di Naomi Klein, che non esita ad affermare il libro è un atto digitale di autodifesa. In basso a destra della stessa copertina si legge anche un “Acclamato dal New York Times, dal Financial Times, dal Guardian e da Barack Obama”.

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perunsocialismodelXXI

Storia dell'utopia neoliberale

Con qualche considerazione finale sulle sinistre hayekiane

di Carlo Formenti

4386Quinn Slobodian è autore di un libro (Globalists. La fine dell’impero e la nascita del neoliberalismo, Meltemi editore) che mi è parso la più esaustiva e intrigante analisi che mi sia capitato di leggere sull’evoluzione delle teorie neoliberali nei sessant’anni che vanno dalla fine della Prima guerra mondiale alla riforma del GATT e alla successiva nascita del WTO. Slobodian ricostruisce le principali varianti teoriche di questa corrente di pensiero, i loro rapporti reciproci, l’influenza che hanno esercitato su governi nazionali e istituzioni economiche e accademiche internazionali; infine cerca di spiegare i motivi che ne hanno favorito il trionfo sul keynesismo e altre scuole di pensiero a partire dalla crisi degli anni Settanta.

Dalla lettura di questo lavoro si esce liberati da alcuni luoghi comuni. Come quello secondo cui il neoliberalismo sarebbe un paradigma socioeconomico relativamente recente, che avrebbe fatto il proprio esordio in occasione del colloquio Lippmann tenutosi a Parigi nel 1938, per poi consolidarsi con la fondazione della Mont Pelerin Society, avvenuta nel 1947. È vero che il termine neoliberalismo fu adottato per la prima volta nel 1938, tuttavia un gruppo organizzato di individui che condividevano un preciso insieme di principi, valori e idee all’interno di un comune quadro di riferimento intellettuale esisteva già da almeno vent’anni, per la precisione a partire dalla fine della Prima guerra mondiale, allorché nacque quella Scuola di Vienna che perfezionerà poi la propria visione attraverso la Scuola di Ginevra. Queste persone – Fra gli esponenti più noti figurano i nomi di von Mises, von Hayek, Ropke, Robbins, Haberler, Heilperin, Petersmann – condividevano un punto di vista preciso sulle linee generali da seguire per dare vita a un nuovo ordine mondiale, a partire dalla necessità di difendere l’economia globale dagli “eccessi” di una democrazia che rischiava di metterla in crisi, lanciando una sfida che il liberalismo classico non era in grado di gestire.

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lafionda

Facebook che diventa Meta e il lato oscuro del digitale

di Biagio Carrano

metaverso facebook open 1280x720 1Chi crede che Zuckerberg con Meta voglia farci dimenticare i suoi problemi di credibilità, magari facendoci tornare a giocare con gli avatar come su Second Life, ha capito poco delle strategie del colosso di Menlo Park.

La creazione di Meta Platforms Inc. sottende invece il tentativo di giungere a una radicale trasformazione della condizione umana come è stata definita dall’uso della scrittura ad oggi, negli ultimi 5500 anni. Come la scrittura ha rappresentato un salto nella capacità dell’homo sapiens sapiens di comprendere se stesso, pensare il mondo e relazionarsi con esso, allo stesso modo la visione e gli obiettivi di Zuckerberg come di gran parte dei teorici della Silicon Valley, dalla Singolarità di Raymond Kurzweil, director of engineering in Google, alle prospettive transumaniste diffuse da filosofi come Nick Bostrom, non riguardano più lo sviluppo di imprese enormemente profittevoli, ma la pretesa di imporre un nuovo salto antropologico, la definizione di una nuova condizione umana basata su nuove tecnologie che definiranno non più una totalità organica, ma una totalità digitalizzata. Si arriva così alla sussunzione totale dell’essere umano in un infosistema pervasivo, ubiquo, ad altissima densità sensoriale, “collassato” come quando in astrofisica si ha un enorme addensamento di particelle subatomiche, perché, spiega il filosofo Cosimo Accoto, risultato di “operazioni di sensing, networking, mining, sorting e rendering che evocheranno di volta in volta anche ambienti sintetici saturanti ad alta e altra dimensionalità (x-reality)”.

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ilrovescio

Qui per restare. Sul green pass e sul suo mondo

di Bergteufel

Tratto da: https://bergteufelbz.noblogs.org/post/2021/10/04/qui-per-restare-sul-green-pass-e-il-suo-mondo/

Il testo che segue è la trascrizione di un intervento tenuto domenica 3 ottobre a San Giorio di Susa (TO) nell’ambito di un’iniziativa contro il lasciapassare (vedi locandina). Funzionando come riassunto dei contenuti dell’opuscolo Il mondo a distanza e come rapida ricognizione del mondo di cui il green pass è espressione, abbiamo pensato che potesse essere di qualche utilità e quindi di pubblicarla.

external content.duckduckgo8f 3Il green pass non rappresenta “solamente” un modo particolarmente infame per costringere a sottoporsi alla sperimentazione dei cosiddetti vaccini. Io mi concentrerò, a partire dai contenuti dell’opuscolo Il mondo a distanza, su questo lasciapassare come dispositivo tecnologico di controllo, sul mondo di cui è espressione e sugli scenari che apre. D’altronde il ministro Speranza ne ha parlato come della “più grande opera di digitalizzazione mai fatta”.

Nei pochi mesi trascorsi da quando è uscito l’opuscolo siamo passati dalla farsa dell’app Immuni e dal guardare con inquietudine alla realtà cinese – dove era rapidamente diventato di fatto impossibile circolare senza mostrare continuamente, smartphone alla mano, di essere “puliti”, sulla base del tracciamento dei propri spostamenti e dei possibili contatti con positivi – al trovarci quella realtà materializzata di fronte. La cosa da sottolineare è che il green pass come tipo di dispositivo, lungi dall’essere costitutivamente legato alla fase di emergenza – già ormai permanente – sanitaria, è qui per restare, al di là delle forme specifiche che potrà assumere.

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perunsocialismodelXXI

Il capitalismo sta crollando, ma c'è poco da stare allegri

Il pessimismo radicale di Wolfgang Streek

di Carlo Formenti

download873dg743E se il capitalismo dovesse crollare prima che (e senza che ciò avvenga per molto tempo) maturino le condizioni perché un nuovo ordine sociale possa prenderne il posto? A porre la domanda è Wolfgang Streeck, sociologo ed economista tedesco erede della Scuola di Francoforte, studioso di spessore, conosciuto soprattutto grazie al saggio Tempo guadagnato (1), un personaggio, insomma, che non sembrerebbe incline a formulare alla leggera ipotesi catastrofiste. Eppure, se gli si chiedesse di commentare l’ironica battuta “il capitalismo ha i secoli contati”, con cui un autorevole economista italiano liquidò le tesi dei teorici del crollo (2), Streeck obietterebbe che “Il fatto che il capitalismo sia finora riuscito a sopravvivere a tutte le previsioni di morte imminente non significa necessariamente che sarà in grado di farlo per sempre”(3).

La citazione è tratta da un libro appena uscito per i tipi di Meltemi (Come finirà il capitalismo. Anatomia di un sistema in crisi) che raccoglie una serie di saggi e articoli accompagnati da una lunga Introduzione. Un’opera in cui l’autore affronta anche alcune questioni di metodo relative alla sua disciplina, sostenendo, in particolare: 1) che il capitalismo non va studiato come un’economia, bensì come una società (dopo che i sociologi hanno a lungo subito l’imperialismo disciplinare degli economisti, argomenta, è giunto il momento di rovesciare il rapporto, perché il capitalismo di oggi non si può capire senza analizzarne le strette relazioni con la totalità delle relazioni sociali di tipo extraeconomico); 2) che il metodo da seguire per imboccare questa via è quello lasciatoci in eredità da Karl Polanyi (4), il quale sosteneva che la minaccia più grave del capitalismo nei confronti delle stesse condizioni di esistenza della società umana consiste nel rischio che “i rapporti sociali che governano la sua economia penetrino e si impossessino di rapporti sociali precedentemente non capitalistici”.

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carmilla

Il dialogo rivoluzionario tra i molti mondi che insorgono

di Fabio Ciabatti

Massimiliano Tomba, Insurgent Universality: An Alternative Legacy of Modernity, Oxford University Press, New York, 2019, p. 304, € 24,21

M TombaAnche di fronte a una delle sue peggiori débâcle, la precipitosa fuga dall’Afghanistan degli Stati Uniti, l’Occidente non ha rinunciato a propagandare l’idea della sua superiorità. A tal fine i media mainstream di mezzo mondo hanno aperto all’unisono i rubinetti delle lacrime, mostrando improvvisa e soverchiante preoccupazione per la sorte dei poveri afghani e, soprattutto, delle indifese afghane vittime della barbarie fondamentalista, surrettiziamente presentata come unica reale alternativa al dominio occidentale. Peccato che, in quelle terre, la malapianta del fondamentalismo, ben lungi dall’essere il frutto autoctono di un preteso sottosviluppo, fu coltivata proprio dagli Stati Uniti, con l’aiuto dei loro alleati sauditi e pakistani, per infestare il cortile di casa del fu impero sovietico. La realtà dei fatti, però, deve essere rimossa dall’ideologia dominante che deve trasformare una prova contraria in una sorta di prova per assurdo per confermare l’idea di una “storia universale” destinata a viaggiare in un’unica direzione possibile, la modernità capitalistica. Come dimostra il caso afghano, infatti, l’unica alternativa possibile a questo percorso è un’assurda catastrofe.

L’idea di una storia universale, come ci spiega Massimiliano Tomba nel suo libro Insurgent universality. An alternative legacy of modernity (testo che ha avuto una nuova pubblicazione nel 2021 in formato paperback), ha una connotazione eminentemente eurocentrica dal momento che finisce per svalutare ogni possibile traiettoria storica qualitativamente differente da quella percorsa dalla modernità occidentale. Ogni forma sociale non statuale o non capitalistica diventa semplicemente pre-statuale e pre-capitalistica, destinata perciò a scomparire in quanto forma arretrata rispetto alla modernità occidentale.

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blackblog

De Virus Illustribus, un anno e mezzo dopo

di Sandrine Aumercier

«Non è la "regolamentazione" dell'economia, a dover essere valutata, ma la sua fine»

devirusIl libro "De virus illustribus" è stato scritto a caldo nel corso del lockdown del marzo-aprile 2020 da quattro persone che partecipano alla corrente teorica conosciuta come la «critica del valore». Penso che siano molti ad essere d'accordo sul fatto che il primo lockdown sia stato qualcosa di eccezionale, di inaudito, di storico. Soggettivamente, molte persone l'hanno vissuto come un momento di stupore: si sono trovati da un giorno all'altro apparentemente liberati dalla pressione di dover lavorare, di correre dappertutto, di essere ovunque contemporaneamente, di moltiplicarsi per stare dietro agli impegni, di consumare, di ottimizzare il proprio rendimento tanto a scuola quanto al lavoro, di occuparsi della propria reputazione, e così via. All'improvviso, le strade erano vuote e si poteva quasi percepire come mezzo mondo fosse stato appena fermato. Assomigliava tutto a un film di fantascienza. Ovviamente, coloro che hanno perso tutto, e la cui vita è diventata ancora più precaria non hanno certo apprezzato allo stesso modo un tale momento. Ma anche per quei privilegiati, cui era stata concessa una sorta di pausa dalla loro frenetica vita (ivi compresa l'introduzione di misure di lavoro a orario ridotto), anche per loro, la sensazione dopo non fu più la stessa, e quella che si è instaurò fu una lunga depressione. Gli episodi successivi non meritano più effettivamente il nome di lockdown, nel senso in cui era stato chiamato la prima volta. Piuttosto, si trattava di semi-confinamenti, di coprifuoco parziali, di proibizioni di uscire che significavano obblighi di lavoro, chiusure che erano allo stesso tempo anche aperture, negoziazioni con la realtà pandemica, inversioni politiche incomprensibili, la maschera da indossare e la maschera da non indossare, una cacofonia europea, ecc. Non sorprende che questa storia, vissuta essenzialmente sugli schermi, abbia finito per colpire il sistema nervoso di tutti e alimentare così un'esplosione di teorie della cospirazione.

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carmilla

Culture e pratiche di sorveglianza. Internet in ogni cosa

di Gioacchino Toni

internet things«La trasformazione di Internet da rete di comunicazione tra persone a rete di controllo, incorporata direttamente nel mondo fisico, potrebbe essere ancora più significativa del passaggio dalla società industriale alla società dell’informazione digitale»1.

Così si esprime Laura DeNardis, Internet in ogni cosa. Libertà, sicurezza e privacy nell’era degli oggetti iperconnessi (Luiss University Press, Roma 2021), a proposito della portata della funzione di controllo permessa dalla connessione alla rete di oggetti e sistemi al di fuori dagli schermi come veicoli per la mobilità, dispositivi indossabili, droni, macchinari industriali, elettrodomestici, attrezzature mediche ecc… Oltre che con le sofisticate forme di controllo esercitate dalle piattaforme di condivisione di contenuti in rete, ad introdursi nell’intimità degli individui concorrono sempre più oggetti di uso quotidiano in grado di raccogliere e condividere dati personali. Oltre a evidenziare come il cyberpazio premei ormai completamente – e non di rado impercettibilmente – l’universo offline dissolvendo sempre più il confine tra mondo materiale e mondo virtuale, tutto ciò induce a domandarsi se nel prossimo futuro esisterà ancora qualche aspetto privato della vita umana o se invece si stia navigando a vele spiegate verso il superamento stesso del concetto di privacy.

Nel volume DeNardis espone alcuni esempi utili a comprendere come il contraltare del controllo esercitato sugli oggetti connessi ad Internet sia la loro vulnerabilità. Un esempio riguarda la possibilità che estranei da remoto possano accedere e manipolare dispositivi medici dotati di radiofrequenza impiantati nel corpo umano e connessi alla rete.

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carmilla

Cultura della sorveglianza

di Gioacchino Toni

cellulare tasca 9911Pensare alla cultura della sorveglianza contemporanea facendo riferimento all’immaginario della distopia orwelliana rischia di far perdere di vista quanto sta accadendo nella realtà. Se ultimamente si guarda con preoccupazione all’incremento del livello di controllo sugli individui e sulla collettività dispiegato dagli apparati statali, decisamente meno allarme sembra destare quanto in termini di sorveglianza e indirizzo individuale e sociale l’ambito economico sta già, e da tempo, mettendo in atto. È stato detto che il ricorso alla digitalizzazione dell’esperienza umana a scopo di profitto ha potuto prosperare grazie a una certa propensione alla “servitù volontaria” che gli individui sembrano scambiare volentieri con qualche “servizio” offerto dal web o qualche piattaforma social attraverso cui supplire a una sempre più marcata carenza di rapporti sociali e di azione fuori dagli schermi, ma tale propensione più che riconducibile alle debolezze umane sembra piuttosto essere il risultato di alcune importanti trasformazioni – non solo tecnologiche – che hanno segnato gli ultimi decenni.

Se la digitalizzazione di numerosi servizi ha praticamente imposto il costante ricorso a Internet – tanto da discriminare nettamente la componente più anziana della popolazione, meno capace di ricorrere alla tecnologia digitale, e quella più svantaggiata economicamente, inevitabilmente meno dotata delle risorse necessarie – non di meno è oggettivamente difficile sottrarsi da quelle piattaforme digitali che sembrano offrire gratuitamente una sensazione di partecipazione, di relazione sociale, di identità e di protagonismo, tanto che vi viene fatto ricorso anche per protestare contro quel controllo sociale a cui si sta contribuendo immettendo dati in rete.

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resistenzealnanomondo

Verso la “Grande trasformazione”

di Costantino Ragusa

Considerazioni intorno alla digitalizzazione della Natura e dei corpi tutti nel nuovo mondo cibernetico che si va imponendo come nuova e unica realtà possibile

9788898652792Dopo ormai più di un anno dalla dichiarazione dello stato di emergenza pandemico che ha interessato gran parte del pianeta, seppur in modo decisamente diverso, soprattutto nel “Sud del mondo”, si fa più chiaro il nuovo corso che il sistema vuol dare agli eventi e alla nuova società che si appresta a predisporre.

È infatti giunto il momento di considerare gli eventi di cui siamo stati testimoni, nostro malgrado, in una prospettiva storica più ampia. Se i poteri che governano il mondo hanno deciso di cogliere il pretesto di una pandemia, a questo punto non importa quanto vera oppure simulata possa essere, per trasformare da cima a fondo i paradigmi del loro governo degli uomini e delle cose, ciò significa che quei modelli erano ai loro occhi in progressivo, inesorabile declino e non erano ormai più adeguati alle nuove esigenze.

Uno dei tratti distintivi del fascismo in Italia e in Germania era la sua insofferenza per gli scomodi vincoli imposti alla classe dirigente dalla democrazia e dal liberalismo politico. Tutto questo doveva essere spazzato via per consentire una guerra lampo di “modernizzazione” accelerata.

Vediamo lo stesso spirito rinascere negli appelli di Schwab per un “governo agile” in cui afferma che “il ritmo dello sviluppo tecnologico e una serie di caratteristiche delle tecnologie rendono inadeguati i precedenti cicli e processi decisionali”. Scrive: “L’idea di riformare i modelli di governance per far fronte alle nuove tecnologie non è nuova, ma l’urgenza di farlo è molto maggiore alla luce del potere delle tecnologie emergenti di oggi… il concetto di governance agile cerca di abbinare l’agilità, la fluidità , flessibilità e adattabilità delle tecnologie stesse e degli attori del settore privato che le adottano”.

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andreazhok

Alcune riflessioni sul Green Pass

di Andrea Zhok

external contentjmp98t5eduE' di ieri la notizia dell'obbligatorietà del Green Pass per l'accesso ad un'ampia serie di attività, non solo voluttuarie, e per tutti i soggetti di età superiore ai 12 anni.

Ci potevano essere forme in cui un'operazione simile poteva avere senso, ma non sono quelle che identificano le caratteristiche attuali del Green Pass, che si presenta come francamente inaccettabile.

Quest'iniziativa ha molti padri.

E' frutto dell'indecoroso livello dell'informazione, della propaganda battente da parte di portatori d'interesse non chiaramente identificabili, ma assai ascoltati, della confusione concettuale prodotta dalle passerelle di 'esperti' in cerca di gloria, e dell'arroganza dogmatica di parte influente dei nostri gruppi dirigenti.

Proviamo a fissare le idee per punti.

 

1) Un breve passato e le sue indicazioni

Partiamo da questa domanda: I vaccini anti-covid sono "vaccini sperimentali"?

Questa domanda è stata posta l'altro giorno da Concita De Gregorio ad un virologo di corvée in televisione. Come d'uso, la forma presa dalla domanda non era neanche un po' suggestiva: "Dunque non è vero che i vaccini attuali siano - come dicono alcuni - 'vaccini sperimentali'?" Una volta alzata così graziosamente la palla, all''esperto' non restava che schiacciare, affermando che "No, assolutamente, si tratta di vaccini ampiamente e attentamente sperimentati."

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centroriformastato

Dal ‘Capitale’ al Tecno-capitalismo e alle piattaforme

di Lelio Demichelis

Intervento per la sessione “L’egemonia delle piattaforme sui media” del convegno “Rileggere il Capitale”, organizzato da ARS e CRS

Foxconn e1500883515819Premessa

Per metodo intellettuale, ci piace guardare ai processi e alla loro evoluzione nel tempo, più che ai loro effetti. Cercando di capire cioè la genealogia di ciò che oggi ci sembra nuovo, ma che spesso è invece la riproposizione del vecchio capitalismo in forme che sembrano nuove solo perché accompagnate da una nuova tecnologia e dalle retoriche che ne determinano l’accettazione sociale – accettazione che a sua volta è funzionale all’adattamento dell’uomo e della società alle esigenze del capitale.

Anticipando la conclusione della riflessione che segue, diciamo allora che il digitale è sempre rivoluzione industriale/industrialista; che i social media di oggi sono l’evoluzione (o meglio l’involuzione) dei mass media novecenteschi (in particolare della televisione), dell’industria culturale descritta a metà del ‘900 dalla Scuola di Francoforte e della società dello spettacolo debordiana; che le piattaforme sono l’evoluzione della fabbrica fordista e necessarie alla trasformazione dell’intera società in fabbrica. Una società non industriale, ma industrializzata.

Nessun reale cambio di paradigma rispetto a ieri, dunque; nessuna transizione a qualcosa di assolutamente nuovo; nessuna quarta rivoluzione industriale. Credere il contrario – che tutto sia cioè veramente nuovo – significa invece reiterare nuovamente gli errori interpretativi del passato, non vedendo l’evoluzione dei processi industriali e capitalistici: sempre apparentemente rivoluzionari, ma in verità sempre trasformistici, cioè: cambiare tutto per non cambiare nulla nella struttura e nella sovrastruttura dei meccanismi di organizzazione industriale della società e di accumulazione del capitale.

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lantidiplomatico

Elsa Fornero e la logica surreale del contabile neo-liberista

di Thomas Fazi

La logica surreale del contabile neoliberista: «Visto che non ci sono abbastanza giovani lavorativamente attivi per sostenere le pensioni degli anziani, dobbiamo far lavorare gli anziani fino alla morte, impedendo così a un numero crescente di giovani di accedere a un lavoro». In questo articolo spiego perché questa logica - oltre a cadere palesemente in contraddizione con se stessa - non abbia alcun fondamento economico.

720x410c50vcferTra i tanti miti che continuano ad essere propagandati sul funzionamento dell’economia, uno dei più perniciosi riguarda senz’altro la spesa pensionistica e la sua presunta insostenibilità, uno dei mantra della politica italiana da almeno vent’anni. L’idea di fondo è che il “normale” nonché effettivo funzionamento dei sistemi pensionistici, e nella fattispecie di quello italiano, consista nel prelevare una certa percentuale dalla busta paga del lavoratore che poi viene “accantonata” in una sorta di “cassetta” previdenziale a cui lo Stato attingerà una volta che il lavoratore è andato in pensione per finanziare la pensione dello stesso.

A qualcuno che basi la sua concezione dell’economia sulla “saggezza convenzionale” – dunque alla maggior parte dei cittadini, ahinoi –, tale sistema potrebbe parere avere una sua logica. Peccato che questa rappresentazione del funzionamento del nostro sistema pensionistico non solo non abbia alcun senso, ma non corrisponda neanche alla realtà. Non ha senso perché gli Stati, a differenza di noi comuni mortali, non “risparmiano” oggi per aumentare la propria capacità di spesa un domani. La stessa idea che un surplus del bilancio pubblico rappresenti un risparmio nell’accezione tradizionale del termine, cioè una somma che viene “messa da parte” per poter essere spesa un domani, è errata: esso certifica semplicemente che in un dato periodo le entrate dello Stato sono superiori alle uscite, ma quei soldi non vengono accantonati, vengono effettivamente distrutti, tramite una semplice operazione contabile (giacché non paghiamo le tasse con i contanti ma per mezzo di trasferimenti bancari). Da ciò si evince come l’idea che lo Stato “metta da parte” i nostri contributi oggi per poi restituirceli un domani non abbia alcun senso.

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tempofertile

Andrea Zhok, “Critica della ragione liberale”, III

“I Regimi di Verità – Il politico-impolitico, travestimenti liberali”

di Alessandro Visalli

Pippo Rizzo Treno notturno in corsa 1926. Courtesy Archivio Pippo Rizzo PalermoQuesta è la terza puntata ed ultima della lettura del libro di Andrea Zhok, “Critica della ragione liberale”, uscito per l’editore Meltemi nel 2020.

- Nella prima parte è stato trattato il processo di costruzione delle invarianti della ragione liberale e dei suoi caratteri tipici per come emergono dal testo in esame,

- Nella seconda parte è stato ricostruita la lettura che il libro compie dei “Regimi di ragione” che scaturiscono dalla struttura liberale e neoliberale di pensiero e pratica, quindi della ragione postmodernista,

- In questa terza parte, i “Regimi di verità” della ragione liberale verranno mostrati nelle loro applicazioni politiche, ovvero nella particolare forma di politico impolitico che è generato dalla ferrea logica liberale (tanto più forte quando non si vede e ci si pensa avversari).

In sostanza dalla ricostruzione del liberalesimo nel libro, e riportata nella prima parte, emergono, secondo quanto propone l’autore, due prescrizioni e due idealizzazioni.

La prima prescrizione scaturisce dall'idea di libertà negativa, essenzialmente interpretata come richiesta di non interferenza. La seconda è l'individualismo assiologico, ovvero una concezione per cui il valore si manifesta essenzialmente nell'acquisizione di desideri individuali. “Non interferenza” e “desiderio individuale” come valore sono, quindi, le due prescrizioni definenti la “Ragione liberale”. In loro presenza si sa di essere al cospetto di una versione, delle tante, del liberalesimo.