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moneta e credito

Non-ordine’ economico mondiale, guerra e pace

Un dibattito tra Emiliano Brancaccio* e Ignazio Visco1**

Abstract: Nel dibattito prevalente sulle determinanti dei conflitti militari, sembra mancare un'indagine sulle possibili cause ‘materiali’ tra i fattori che alimentano gli odierni venti di guerra. In particolare, occorre valutare quanto contino gli squilibri nelle relazioni commerciali e finanziarie, le tendenze verso la centralizzazione dei capitali e le relative svolte nell’ordine economico globale dal libero scambio al protezionismo. Un dialogo tra il Governatore onorario della Banca d’Italia Ignazio Visco e l’economista Emiliano Brancaccio, promotore dell’appello su “le condizioni economiche per la pace”.

jvoredihgnPaola Nania - Lo scopo di questo dibattito è di approfondire e discutere "le condizioni economiche per la pace”: è il titolo del libro che ha ispirato questa iniziativa ed è il tema partito dall’appello che il professor Brancaccio, con Lord Skidelsky e altri studiosi, ha pubblicato nel 2023 sul Financial Times e Le Monde e che è stato ripreso dal Sole 24 Ore e da molte altre testate. Nel 2022 è iniziata la guerra in Ucraina, l’anno successivo è riesploso il conflitto in Palestina e in Medio Oriente e i teatri di guerra continuano purtroppo ad allargarsi nel mondo. Secondo la tesi del professor Brancaccio e dei suoi coautori, uno dei problemi di questa fase storica è che nella riflessione collettiva manca un approfondimento sulle contraddizioni ‘economiche’ alla base delle attuali tensioni militari e sulla cooperazione necessaria per superarle. Ne discutiamo con gli ospiti di questo incontro e soprattutto con l’ex Governatore e attuale Governatore onorario della Banca d’Italia Ignazio Visco, che si è spesso soffermato sui grandi problemi della cooperazione internazionale nei ruoli di vertice che ha ricoperto durante la sua lunga carriera istituzionale. Iniziamo allora questo dialogo con una domanda al professor Brancaccio: quali sono, a suo avviso, gli inneschi economici delle odierne tensioni internazionali?

Emiliano Brancaccio - Prima di rispondere vorrei ringraziare coloro che hanno reso possibile questa iniziativa: l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici che ci ospita, il presidente onorario dell’Istituto e Rettore dell’Università per stranieri di Siena Tomaso Montanari, il direttore studi dell’Istituto professor Geminello Preterossi dell’Università di Salerno.

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machina

I vicoli ciechi del pensiero critico occidentale

di Maurizio Lazzarato

Questo testo, scritto alla fine di un «ciclo» di tre libri sulla guerra (Guerra o rivoluzione, 2022; Guerra e moneta, 2023; Guerra civile mondiale?, 2024) precisa alcuni concetti, in modo particolare quelli di imperialismo, monopolio, guerra

0e99dc f60bbd05501f4b168e7021f922a28d41mv2In questo momento in tutto il mondo si discute della possibilità di una terza guerra mondiale. Dobbiamo essere psicologicamente preparati a questa eventualità e considerarla analiticamente. Noi siamo decisamente per la pace e contro la guerra. Ma se gli imperialisti insistono nel voler iniziare un'altra guerra, non dobbiamo avere paura. Il nostro atteggiamento nei confronti di questo problema è lo stesso di tutti i disordini: in primo luogo, siamo contrari e, in secondo luogo, non ne abbiamo paura. La prima guerra mondiale è stata seguita dalla nascita dell'Unione Sovietica, con una popolazione di 200 milioni di abitanti. La seconda guerra mondiale è stata seguita dalla formazione del campo socialista, con una popolazione di 900 milioni di abitanti. È certo che se gli imperialisti si ostinano a scatenare una terza guerra mondiale, centinaia di milioni di persone passeranno dalla parte del socialismo e non rimarrà molto spazio sulla terra per gli imperialisti; è persino possibile che il sistema imperialista crolli completamente.

Mao Tse-tung

Ognuno può vedere quanto manchi di tatto il Rabocheye Dyelo quando agita trionfalmente la frase di Marx : «Ogni passo del movimento reale è più importante di una dozzina di programmi». Ripetere queste parole in un momento di sbandamento teorico, è come «fare dello spirito a un funerale».

Lenin

L' affermazione di Mao sembra essere stata scritta per la nostra attualità. Ma siamo psicologicamente impreparati alla realtà della guerra e ancor meno a considerare analiticamente le sue cause, le sue ragioni e le possibilità che potrebbe aprire. Ci mancano gli «affetti» e i concetti per farlo. Il pensiero critico occidentale (Foucault, Negri - Hardt, Agamben, Esposito, Rancière, Deleuze e Guattari, Badiou, per nominare i più significativi) ci ha disarmati, lasciandoci inermi di fronte allo scontro di classe e alla guerra tra Stati, non avendo i concetti per anticipare né per analizzare, né tanto meno per intervenire. Lo «sbandamento teorico» prodotto negli ultimi cinquanta anni è grande. Non si tratta di sopravvalutare la teoria, ma senza quest’ultima, come diceva qualcuno, «non ci può essere movimento rivoluzionario».

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linterferenza

I molteplici volti predatori del capitalismo neoliberale

di Gerardo Lisco

buffoni di corte 300x171.jpgQuesta mia riflessione trae spunto dal saggio di Carl Rhodes dal titolo “Capitalismo Woke. Come la moralità aziendale minaccia la democrazia”, pubblicato in Italia dalla Fazi Editore nel 2023. L’autore del saggio è professore di Teorie dell’organizzazione e preside della Business School presso l’Università di Sidney in Australia, pertanto ha un punto di osservazione molto interessante. Il saggio analizza il riposizionamento delle grandi imprese rispetto a temi sociali e a istanze rivenienti da movimenti politici e culturali progressisti se non addirittura, fatti passare, di sinistra.

L’autore sviluppa il proprio ragionamento partendo dalla genesi del concetto di “woke” e dal suo significato originario per poi dimostrare come di tale concetto se ne sia appropriato il capitalismo neoliberale ribaltandone il senso in funzione del mercato e dell’occupazione della società con l’obiettivo di sostituire lo Stato. Di recente questo tema è stato affrontato sul quotidiano Avvenire dall’economista Stefano Zamagni[1] il quale scrive nel suo articolo << Non si deve dunque cadere nell’errore di pensare che il fenomeno “trusk” ( Trump + Musk) sia una sorta di fulmine a ciel sereno, qualcosa di inatteso. Invero, nel corso dell’ultimo trentennio si è andata affermando, a partire dalla California, una duplice presa di posizione, tra i segmenti molto alti della scala sociale, nei confronti del modello di ordine sociale verso cui tendere il mondo occidentale (…)>>.

Zamagni fa propria l’analisi di Carl Rhodes e individua i due estremi della questione. Da una parte quella di patriotic millionaires dall’altra il woke capitalismo. I primi chiedono ai governi di aumentare la pressione fiscale a loro carico per finanziare il Welfare state per poi essere lasciati liberi nella loro attività di imprenditori. Su questo punto la riflessione di Rhodes si differenzia.

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carmilla

Nuovi mostri: s’avanza il liberal-nazismo?

di Gennaro Scala

181414823 c6737bfd 315c 4812 ab8a fea19d8b960a.jpgÈ necessario sottrarsi al gioco di specchi tra sinistra e destra imperialistiche. Pensiamo a un Saviano che maledice Musk, ma non ha niente da dire sul genocidio in Palestina, o, al fatto ovvio che il “saluto romano” di Musk non intaccherà la stretta alleanza tra Usa e Israele (in merito difeso su X da Netanyahu, quale “grande amico di Israele”), ecc.

Tuttavia, non prendere sul serio e ignorare il plateale gesto di Musk neanche convince. Innanzitutto, eviterei il “dibattito” se Musk è fascista o nazista, visto che fino a qualche a tempo fa era in ottimi rapporti con l’amministrazione Biden, fin quando non ha deciso di cambiare cavallo, puntando su quello vincente. È evidente un uso puramente strumentale delle ideologie, da parte di questi personaggi, che non credono in nulla, al fine di raggiungere determinati scopi. Chiediamoci invece quali obiettivi politici persegue Musk nell’ambito dell’amministrazione Trump. Analizziamo il “saluto romano” che in quanto gesto simbolico condensa diversi significati. Musk ha voluto richiamarsi al saluto alla bandiera americana, il “saluto di Bellamy”, introdotto nel 1892, e poi abbandonato durante la seconda guerra mondiale perché troppo simile a quello nazista, e sostituito con il gesto della mano sul cuore. Il gesto di Musk, come si vede nei filmati, unisce le due forme di saluto. Ma, siccome il “saluto romano” non era in uso il riferimento inequivocabile è proprio al “saluto romano” (che tra i romani invece non era in uso in ambito politico come ci informano gli storici). La vicenda ha assunto dei connotati che diremmo comico-grotteschi, se non si trattasse di personaggi con un enorme potere, stile la gag “Hitler Tony” di Lillo e Greg, quando Musk ha postato su X le foto di Obama, della Clinton, della Harris immortalati nel “saluto fascista”, mentre, in realtà, stavano salutando la folla. Invece, Musk ha proprio inteso fare il “saluto romano”, ma poi nega l’evidenza … è Hitler Tony (per chi non ha visto la gag è facile da ritrovare in internet).

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sinistra

Effetti culturali dell’economia neoliberista IV

di Luca Benedini

(quarta parte: riconoscere le radici storiche del neoliberismo e rispondere ad esso attraverso un’integrazione tra il “socialismo scientifico” marx-engelsiano – la cui centratezza la storia sta confermando – e le forme di esperienza, di pensiero e di movimenti alternativi più congrue, profonde e costruttive che si sono sviluppate nell’ultimo centinaio d’anni)*

neoliberalism face 768x384.jpgPolitiche keynesiane: una rilettura critica della loro ascesa ed eclissi, anche alla luce dell’opera di Michal Kalecki

1. Complessità storiche

Se si torna alle radici delle oscillazioni storiche che si sono verificate – dopo la tremenda “crisi del ’29” – tra gli orientamenti economici liberisti e la tendenza strutturale ad un ampio intervento pubblico nell’economia di mercato, si trova che un primo mutamento epocale avvenne progressivamente tra il 1930 e il 1950 e fu ispirato principalmente dall’economista britannico John Maynard Keynes e dai marcati successi economici che vennero ottenuti nel concreto dalle sue proposte estremamente innovative, contrassegnate anche da una spiccata sensibilità sia sociale che ambientale e culturale. Ma, quando si arrivò a quello che può essere definito il “periodo d’oro” dell’intervento pubblico in tale economia (in pratica, i 35 anni tra il 1945 e il 1980), ciò che avvenne fu che si trattò di un periodo solo superficialmente keynesiano: malgrado le frequenti celebrazioni pubbliche dei grandi talenti di Keynes, le sue idee complesse e sensibili vennero di fatto deformate ampiamente dalle élite politiche ed economiche dell’epoca e poi usate strumentalmente da queste in base ai propri specifici interessi materiali, scarsamente interessati in realtà tanto al piano sociale quanto a quello ambientale e a quello culturale [144]....

Nel complesso, i principali di questi interessi erano di due tipi: sul piano economico, ridurre la portata delle “crisi cicliche” dell’economia capitalistica (un intento condiviso da una parte notevole delle classi privilegiate, ma non dalla loro totalità, in quanto quelle crisi potevano sì trascinare in bancarotta grandi patrimoni, ma anche consentire grandi guadagni ai più abili e “fortunati” tra i finanzieri e gli speculatori...) e ampliare i profitti imprenditoriali trasformando i lavoratori anche in consumatori (così da poter moltiplicare le vendite complessive di prodotti da parte dell’insieme delle imprese); sul piano politico, che per molti in tali élite era ancor più significativo di quello economico, evitare il più possibile un forte “spostamento a sinistra” delle masse lavoratrici che le spingesse verso posizioni diffusamente anticapitalistiche come quelle che nella Russia del 1917 avevano portato alla “rivoluzione d’ottobre” (che parti consistenti delle classi popolari cercarono presto di emulare – ma senza successo – in altri paesi europei come specialmente Germania, Ungheria, Finlandia, Italia e Bulgaria).

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jacobin

Mark Fisher e i fantasmi della scarsità

di Devin Thomas O'Shea

Il realismo capitalista opprime la visione di un futuro possibile, ma il «comunismo acido» di Fisher ci ricorda che immaginare «come potrebbero essere le cose» è un tonico vitale contro la disperazione

WEIRD EERIE FISHER 835.jpgIntravedete una figura nello specchio dall’altra parte del corridoio, ma quando tornate indietro per controllare, non c’è nessuno. Gli spettri si soffermano in spazi vuoti, creando un’atmosfera cupa, come i corridoi di una vecchia villa o un sentiero attraverso un cimitero desolato. Questi sono contesti classici per un’infestazione, così come l’innaturale vuotezza di un villaggio Potemkin.

È strano guardare lo skyline di una grande città degli Stati uniti e sapere che alcuni di quei grattacieli scintillanti sono completamente vuoti; torri residenziali fantasma che fungono da semplici attività finanziarie nei portafogli immobiliari, infestate dalla loro stessa vacuità. Allo stesso modo, i fantasmi sono noti per gli inquietanti sdoppiamenti, come le gemelle di Shining, e per gli eccessi inquietanti: sciami neri di mosche, una strage di corvi, voci dal nulla. Così, è strano passeggiare dietro un grande magazzino, oltre le banchine di carico, e trovare cassonetti pieni di cibo perfettamente commestibile o di prodotti di consumo in confezione che, a quanto pare, non sono stati venduti e ora sono destinati alla discarica.

In The Weird and the Eerie, Mark Fisher ha scritto di come queste sensazioni inquietanti si riferiscano a cose al di fuori della nostra percezione – qualcosa di spettrale, che sfida una descrizione completa. Velate e ultraterrene, queste infestazioni indicano ciò che Fisher ha definito in modo evocativo «lo spettro di un mondo che potrebbe essere libero». Fisher, che ha lottato per tutta la vita contro la depressione clinica, si è tolto la vita nel 2017, ma il suo lavoro continua a essere un antidoto alla disperazione – in particolare la sua ultima proposta di libro, intitolata, scherzosamente, Acid Communism.

 

Oltre lo specchio del realismo capitalista

L’opera più famosa di Fisher rimane Realismo capitalista.

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transform

Ascesa e declino dell’ordine neoliberale. Verso un nuovo ordine post-neoliberale?

di Alessandro Scassellati

71PB5Ed6IL. AC UF10001000 QL80 .jpgLo storico Gary Gerstle offre il resoconto più completo di come il neoliberismo sia arrivato a dominare la politica americana per quasi mezzo secolo prima di scontrarsi con le forze del Trumpismo a destra e con un nuovo progressismo di ispirazione socialista (Bernie Sanders) a sinistra. Il passaggio epocale verso il neoliberismo, una rete di politiche correlate che, in termini generali, hanno ridotto l’impatto dello Stato e del governo sulla società e riassegnato il potere economico alle forze del mercato privato, iniziato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna alla fine degli anni ’70, ha cambiato radicalmente il mondo. Oggi, la parola “neoliberale” è spesso usata per condannare un’ampia gamma di politiche, dal privilegiare i princìpi del libero mercato rispetto alle persone all’avanzamento di programmi di privatizzazione in tutti i paesi del mondo. Di sicuro, il neoliberalismo ha contribuito a una serie di tendenze allarmanti, non ultima delle quali è stata una crescita massiccia della disuguaglianza dei redditi. Tuttavia, come sostiene Gerstle, queste accuse non riescono a tenere conto dei contorni completi di ciò che era il neoliberalismo e del perché la sua visione del mondo abbia avuto una presa così persuasiva sia sulla destra che sulla sinistra per tre decenni. Come dimostra, l’ordine neoliberale emerso in America negli anni ’70 fondeva idee di deregulation con libertà personali, frontiere aperte con cosmopolitismo e globalizzazione con la promessa di una maggiore prosperità per tutti. Oltre a tracciare come questa visione del mondo sia emersa in America e sia cresciuta fino a dominare il mondo, Gerstle esplora la misura in cui il suo trionfo è stato facilitato dal crollo dell’Unione Sovietica e dei suoi alleati comunisti, prima non riconosciuta.

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lafionda

“Lessico del neoliberalismo. Le parole del nemico”: una recensione

di Antonio Semproni

there is no alternative.pngIn “Lessico del neoliberalismo. Le parole del nemico” (Autori vari de La Fionda, Rogas, 2024) sono commentati i termini e le espressioni che la cultura neoliberale ha coniato o di cui si è appropriata, risemantizzandoli, per costruire un senso comune trasversale al tessuto sociale e perciò atto a negare la pensabilità di un’opposizione all’ordine neoliberale o comunque di una trascendenza di quest’ordine.

Questi termini ed espressioni corrispondono a concetti che Herbert Marcuse riterrebbe operativi, cioè la cui descrizione si esaurisce in una serie di operazioni e, tramite queste, in una o più funzioni. I concetti operativi designano quindi la cosa nella sua funzione, realizzando un’identificazione tra cosa e funzione, per cui attributo precipuo della prima è il suo ruolo servente l’ordine esistente. Così, per esempio, l’economia sociale di mercato dovrebbe soddisfare i bisogni sociali e le tecnologie smart dovrebbero risultare sempre e comunque intelligenti e pertanto profittevoli all’uomo.

L’operazionismo – cioè la definizione dei concetti in senso operativo – astrae dalla cosa in sé, dal complesso delle sue potenzialità che, se estrinsecate, la porrebbero in una relazione rinnovata con l’insieme di altre cose che compongono l’ordine esistente: una relazione che potrebbe anche assumere tratti conflittuali. Il concetto operativo rimuove dunque dalla cosa qualsiasi portata negatoria dello status quo o anche solo ostativa alla direzione indicata dal progresso. Così, per esempio, il concetto di concorrenza, se consideriamo l’etimologia del termine, indica l’azione di correre insieme e dunque dovrebbe escludere la competizione senza scrupoli tra gli operatori economici, dando piuttosto adito o a una regolamentazione statale che detti loro i tempi e i modi di realizzazione del bene comune o, addirittura, a una collaborazione orizzontale tra di essi.

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lafionda

Le parole del neoliberalismo

di Eugenio Pavarani

Presentazione del libro “Lessico del neoliberalismo. Le parole del nemico”, Rogas Edizioni, 2024

Neoliberism.jpgPrima di entrare nel merito dei contenuti del libro, devo dare una indicazione preliminare, importante quando si presenta un libro. I libri si possono dividere in due categorie: i Libri (con la elle maiuscola) e i libroidi (con la elle minuscola). Quindi comincio col dire che questo è un Libro. La classificazione non è mia. È di Carlo Galli. Mi è piaciuta e la faccio mia.

Galli però non ha dato una definizione di libro e di libroide. Io la vedo così: leggere un Libro è come indossare un paio di occhiali speciali che ti fanno vedere qualcosa che senza quegli occhiali non avresti visto, vedi qualcosa di nuovo e di interessante, qualcosa che ti arricchisce. Un libroide invece non ti fa vedere niente di nuovo, niente che non fosse già visibile e già visto. Ricordo la recensione che fece un autorevole barone accademico che voleva stroncare una monografia di un giovane ricercatore. In realtà voleva stroncare i maestri di quel ricercatore e la loro scuola: voleva colpire il ricercatore per colpire i suoi maestri. Disse il barone: il libro propone idee nuove e idee interessanti; purtroppo però le idee interessanti non sono nuove e le idee nuove non sono interessanti. Parole come pietre: libroide colpito e affondato.

Detto che “Lessico del neoliberalismo” è un Libro e non è un libroide, devo evidenziare cosa si vede di nuovo e di interessante attraverso questo libro; cosa consentono di vedere gli occhiali speciali offerti dal libro. Per arrivarci devo fare una premessa.

Un anno fa Marco Baldassari e Marco Adorni mi parlarono del progetto editoriale che poi ha dato vita a questo libro. Il progetto di cui mi parlarono consisteva nell’elaborazione di un glossario del neoliberalismo. Mi invitarono a portare un contributo e mi affidarono il lemma “concorrenza”. Mi è parsa subito un’idea originale e molto interessante.

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infoaut2

Cosa ci dicono le catene del valore? Dipendenza, crisi industriali e predazione finanziaria

di Infoaut

Il dibattito politico profondo latita e ci si scanna per lo più su ciò che intimamente si desidera, invece che su ciò che concretamente succede. Per sbrogliare questa matassa forse dobbiamo fare un passo indietro e porci alcune domande su dove sta andando il capitalismo. In questo caso lo faremo con un occhio di riguardo al nostro paese.

WEB FINK MELONI 1Purtroppo è necessario fare alcune premesse: noi siamo ancora tra quelli che ritengono che tra guerra, politica ed economia vi sia un’intima e inscindibile relazione che va oltre la semplice acquisizione che il mercato delle armi sia un business importante o che “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”. Allo stesso tempo non crediamo che ci si possa sedere su una visione meccanicistica in cui è l’economia che rigidamente determina gli altri campi del ragionamento, si tratta di un “movimento” in cui questi tre fattori si influenzano a vicenda, ma all’interno del quale il capitale ha un ruolo speciale che struttura e sostanzia la natura contemporanea degli altri due (guerra e politica esistevano prima della nascita del capitalismo ovviamente, ma la loro natura attuale è inspiegabile senza comprendere il funzionamento di quest’ultimo). Ecco dunque che la guerra in Ucraina, vista molto da vicino sembra “solo” un conflitto geopolitico per alcuni, un’invasione di una tra le potenze mondiali nei confronti di un paese più debole per altri. Allo stesso modo il genocidio di Gaza può apparire per alcuni “solo” come un conflitto etnico-religioso, per altri come uno scontro tra interessi regionali, per altri ancora come una pura atrocità. Tutte queste letture hanno dei tratti di verità, ma prese da sole, senza inserirle dentro il “movimento” ci fanno perdere la bussola. Questa piccola digressione è necessaria per far comprendere il presupposto da cui partiamo, sebbene in questo articolo si parlerà in particolar modo del nostro paese.

Dunque dove sta andando l’economia che possiede questo “ruolo speciale”? Cosa ci dicono le catene del valore?

Iniziamo da ciò che salta all’occhio immediatamente sfogliando qualsiasi giornale: l’Italia è immersa in un nuovo ciclo di crisi industriali che è appena al suo inizio. Il caso più noto, ma non per forza quello più esemplificativo è quello di Stellantis. La vicenda dell’ex-FIAT è certamente paradigmatica, ma a differenza del passato non rappresenta che parzialmente la natura del capitale industriale contemporaneo in Italia, fatto di medie e piccole imprese, spesso associate in distretti, a loro volta inserite in catene del valore internazionale.

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sinistra

In vita di Luigi Mangione

di Algamica*

6757d7ef095b3.jpegPer chi da sempre è impegnato idealmente in una lotta politica capita, un giorno sì e l’altro pure, commemorare morti sul lavoro oppure martiri che difendevano la causa degli oppressi e sfruttati, quando non addirittura giustiziati dalle forze di polizia di Stati democratici. Lo continueremo a fare con una certa sofferenza anche se lo abbiamo messo da sempre in conto.

In queste scarne note invece vogliamo spendere qualche parola e richiamare l’attenzione su Luigi Mangione in vita che ha compiuto un gesto “eclatante” negli Usa, che ha buttato e continua a buttare scompiglio fra i ben pensanti. Il perché è presto detto: sta riscuotendo non solo comprensione, che sarebbe, per così dire, nell’ordine delle cose in modo particolare se parte in causa in modo diretto, ovvero parente di un malcapitato che ha dovuto subire un torto da parte dell’ucciso, in questo caso tal Brian Thompson Ceo della divisione assicurativa di United Healthcare. Ma non in questi termini stanno i fatti, perché Luigi Mangione sta riscuotendo uno sconfinato plauso, forse anche inaspettato in modo particolare sempre dai benpensanti, che pone più di un interrogativo, in modo particolare perché il “killer di New York”, come viene definito dalla grande stampa assoldata dai vari establishment, non è un clochard, un barbone, un nero, un alcolizzato in preda ai fumi dell’alcool, un terrorista islamico, uno jihadista, o qualcuno sotto cura di qualche centro di igiene mentale e via di questo passo. No, ma si tratta di un giovane bianco di 26 anni, bello, ricco, laureato niente di meno che in ingegneria elettronica, che ha frequentato scuole di altissimo prestigio e di una famiglia di alto rango. Non solo, ma – chiosano i pennivendoli - «con un manifesto politico anticapitalista» dicono lor signori «nel quale rivendica il suo atto violento scrivendo: “Mi scuso per i traumi creati ma andava fatto, bisognava eliminare questo parassita”».

Lo scompiglio fra i ben pensanti non sta tanto nel gesto, figurarsi poi negli Usa dove si succedono stragi di chi spara all’impazzata “nel mucchio” proprio perché la società vive di rapporti economico-sociali capitalistici totalmente impersonali, dove perciò, è difficile se non impossibile arrivare al reo.

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transform

I padroni del mondo: il capitalismo controllato dai grandi gestori patrimoniali

di Alessandro Scassellati

Come funziona oggi il capitalismo? Chi sono i suoi protagonisti? Con quali strumenti e logiche operano? Cerchiamo delle risposte con la lettura del libro di Alessandro Volpi, “I padroni del mondo. Come i fondi finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia” (Laterza, Roma-Bari 2024). Sta emergendo una società capitalista finanziarizzata in cui pochi grandi gestori patrimoniali possiedono e controllano sempre di più i nostri sistemi e le nostre strutture fisiche più essenziali, fornendo i mezzi più basilari di funzionamento e riproduzione sociale.

turner naufragi 7.jpgQuesta è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: «Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene». Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio. Dal film L’Odio di Mathieu Kassovitz

Volendo ragionare sulla struttura e gli attori del capitalismo odierno, a cominciare da quello statunitense che è il centro egemonico di questa formazione sociale ormai globale, credo che si possano identificare due tipologie di soggetti strategici fondamentali. Da un lato, c’è un gruppo formato in modo maggioritario da esponenti di un capitalismo dinastico (dinastie con almeno due o tre generazioni di accumulazione del capitale alle spalle) che è stato via via rinforzato da nuovi arrivi – i Gates, i Bezos, i Musk, e gli Zuckerberg e altri esponenti del “capitalismo delle piattaforme” – nell’ultima generazione. Insieme questi due gruppi di grandi capitalisti costituiscono quell’0,1% o 1% della popolazione mondiale che esercita il controllo sulle global corporations industriali e finanziarie e che secondo il premio 2001 Nobel Joseph Stiglitz “controlla il 90% della ricchezza mondiale1. Dall’altro lato, ci sono delle strutture finanziarie “corporate” privatizzate di relativa recente formazione – i fondi finanziari -, solo in parte controllate dal primo gruppo, che sono state magistralmente descritte dall’economista e docente di storia contemporanea all’Università di Pisa Alessandro Volpi nel libro “I padroni del mondo. Come i fondi finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia”, Laterza, Roma-Bari 2024.

Non mi dilungo troppo sulla prima tipologia di soggetti – i capitalisti dinastici e gli imprenditori di successo di prima generazione -, rimandando per l’analisi delle loro logiche di comportamento e forme di organizzazione economiche e politiche a una serie di articoli che ho scritto nel recente passato2.

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collettivolegauche

Per un’introduzione al problema delle piattaforme nel capitalismo

di Collettivo Le Gauche

web tv social e16109959527801. Introduzione

Il libro di Nick Srnicek Capitalismo digitale. Google, Amazon e la nuova economia del web prova ad analizzare le imprese del settore tech in quanto attori economici organici al modo di produzione capitalistico. Un discorso simile deve fare piazza pulita della loro definizione come attori culturali definiti dall’ideologia californiana per mostrare a tutti come essi siano in realtà attori politici alla ricerca costante di potere e di utili per respingere la concorrenza. Inoltre, quando affrontiamo il tema dell’economia digitale dobbiamo ricordarci che l’argomento va oltre il solo settore tecnologico come definito dalle classificazioni standard. L’economia digitale coinvolge tutte le imprese che fanno affidamento sull’information technology, sui dati e su internet per portare avanti il proprio modello di business. Si tratta, quindi, di un’area trasversale rispetto ai settori tradizionali come l’industria manifatturiera, dei servizi, dei trasporti, delle telecomunicazioni e del settore minerario che sta finendo per diventare essenziale per gran parte della nostra economia. Quindi, la sua importanza va ben oltre la semplice analisi di settore. Inoltre è il settore economico più dinamico che finisce per trainare la crescita in una fase del capitalismo contraddistinta dalla stagnazione. L’economia digitale è l’infrastruttura, sempre più pervasiva, senza la quale l’economia contemporanea crollerebbe. Questo risultato è figlio di alcuni cambiamenti incorsi nel capitalismo che sta affrontando un lungo declino del settore manifatturiero. Ciò ha spinto alla ricerca dei dati come mezzo per mantenere la crescita economica e la vitalità di questo modo di produzione in presenza di un settore produttivo altrimenti pigro. Infatti, grazie alle tecnologie digitali e ai cambiamenti incorsi in esse, i dati hanno finito per assumere un ruolo sempre più rilevante per le aziende e per i loro rapporti con lavoratori, clienti e altre imprese. L’idea della piattaforma è finita per diventare un nuovo modello di business con la capacità di estrarre e controllare immense quantità di dati e di creare il contesto in cui sono emerse grandi imprese monopolistiche. Per comprendere come queste realtà siano nate occorre proporre un’analisi storica del capitalismo. 

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eticaeconomia

Il Rapporto Draghi fra mercantilismo benevolo e mercantilismo ostile

di Sergio Cesaratto

Sergio Cesaratto richiama l’attenzione sui tratti neo-mercantilisti del Rapporto Draghi e ritiene che in essi si annidi una critica implicita all'impianto neoliberista che ha ispirato la governance europea. Cesaratto sostiene anche che il 'nazionalismo europeo' che traspare dal Rapporto non sembra avere sempre accenti progressisti e, inoltre, che su di esso grava il rischio di essere minato dalla mancanza di uno spirito comunitario assimilabile a quello nazionale

cefic 2540910 anteprima.jpgIl Rapporto Draghi dedicato al futuro della competitività europea evoca diversi e opposti aspetti del mercantilismo. Il mercantilismo può assumere infatti forme benigne, in difesa dei propri interessi nazionali senza pregiudizialmente voler danneggiare nessuno, od ostili verso altri Paesi o verso la propria classe lavoratrice (Guerrieri, P. e Padoan, P.C., Neomercantilism and international economic stability, International Organization, 1986, pp. 29–42; Barba, A. e Pivetti, M. Merci senza frontiere, Rogas 2022).

L’ossessione mercantilista del perseguimento degli avanzi commerciali, per esempio, ben caratterizza le politiche economiche tedesche del secondo dopoguerra (Cesaratto, S., Sei lezioni di economia, Diarkos, 2019). All’interno dell’unione monetaria europea, il neo-mercantilismo tedesco ha in particolare costituito un fattore di squilibrio impedendo una crescita cooperativa dell’insieme dell’Unione e imponendo moderazione salariale ai medesimi lavoratori tedeschi. Spesso in una goffa imitazione del modello tedesco, l’Europa nel suo complesso costituisce a sua volta una realtà mercantilista, avendo basato la propria crescita non sul mercato interno ma sul sostegno alle esportazioni, costituendo in tal modo un fattore di squilibrio globale e di mortificazione del benessere interno (Paggi, L. e D’Angelillo, M., “Il Rapporto Draghi, la competitivitè, la politica”, dattiloscritto, settembre 2024). Con il processo di de-globalizzazione in atto (sulla cui natura e portata si discute invero molto), inizialmente dovuto alla pandemia e poi in maniera più strutturale alla crisi geopolitica, e con i prevaricanti vantaggi tecnologici acquisiti da Cina e Stati Uniti, le problematicità del modello europeo sono ora venute al pettine.

Quei vantaggi tecnologici non nascono a caso ma sono frutto di politiche di nazionalismo economico: protezione delle proprie industrie avanzate, massicci investimenti in ricerca e nell’apparato militare-industriale, realizzazione di economie di scala sostenendo il mercato interno, in particolare attraverso la domanda pubblica.

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lantidiplomatico

La CIA e la cosiddetta “French Theory”

di Alessandra Ciattini

aodinvghnCome l’agenzia di spionaggio è riuscita a creare un pericoloso clima antisovietico e antimarxista, camuffando la sua propaganda come informazione fattuale e ammorbidendo l’atteggiamento critico nei confronti della delirante politica impostasi agli albori del “secolo americano”, favorendo, inoltre, la metamorfosi delle forze politiche rappresentative del movimento operaio

Si potrebbe affermare che nulla accade per caso: l’indebolimento del marxismo è stato prodotto da molti fattori, tra i quali anche l’intervento diretto della CIA, i cui agenti (fatto sorprendente) erano dei raffinati cultori di filosofia.

Ricordo i giorni successivi all’ammainamento della bandiera rossa dal Cremlino e la sua sostituzione con quella russa. Tutti gioivano esultanti affermando che la guerra fredda era finita e che ci avrebbe aspettato un periodo di pace e di prosperità. Per quanto mi riguarda, insieme ai membri del mio ambiente culturale, non partecipai a questa gioia, convinta che la Germania dell’est era stata praticamente svenduta e la fine dell’URSS avrebbe messo in pericolo i già difficili equilibri mondiali. Non mi vanto di aver avuto ragione anzi, speravo e di avere torto e che le mie paure fossero infondate. Invece, oggi ci troviamo alle soglie di una terza guerra che sarà probabilmente nucleare, alquanto prevedibile se si conosce la natura insaziabile del capitalismo, il cui motto può così esser riassunto “dare il meno possibile, per ottenere il massimo”, o se vogliamo una citazione letteraria, così a un certo punto esclama in Moby Dick il capitano Akab: “Il mio movente e il miei fini sono folli, ma i miei mezzi sono razionali”. Razionali nel senso che sono adeguati all’apocalittico sterminio dell’umanità o all’uccisione della balena bianca. Tra l’altro ricordo che un bomba nucleare è anche meno cara rispetto a tutte le armi sofisticate che si stanno attualmente usando.

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