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intellettuale collettivo

Ascesa e caratteristiche del totalitarismo liberale

di Alessandro Pascale – Resistenza Popolare

La presente relazione è stata tenuta a Roma il 6 ottobre 2024, in occasione della IV sessione del Forum organizzato dalla Rete dei Comunisti dedicato al tema “Elogio del comunismo del Novecento”.

photo 2024 10 12 11 40 15.jpgIl tema di cui tratterò riguarda il particolare tipo di regime che si è realizzato in Occidente negli ultimi 30 anni a seguito dell’intreccio tra la crisi del movimento comunista filosovietico, e del parallelo affinamento delle tecniche imperialiste di controllo sociale. Lo definisco un totalitarismo “liberale”, ossia una fase particolare della dittatura della borghesia, in cui questa classe è riuscita ad affermare in maniera pressoché totale non solo le proprie politiche economiche, ma anche il proprio modo di pensare e categorizzare la realtà; ciò ha comportato la piena vittoria della sua ideologia, il liberalismo, riuscendo a emarginare ogni altro paradigma politico alternativo, compreso quella marxista. Il totalitarismo liberale è la consacrazione del TINA (There is no alternative), ossia l’affermazione nel senso comune popolare dell’idea che non ci siano alternative possibili al modo di produzione capitalistico. Uso il termine “totalitarismo” non nel senso pessimistico di un controllo totalizzante, ma per descrivere simbolicamente il livello egemonico inedito raggiunto dalle classi dominanti sulla stragrande maggioranza della popolazione, riducendo all’insignificanza politica le capacità teoriche e pratiche della gran parte del proletariato, che dopo un secolo e mezzo di emancipazione intellettuale e organizzativa, è tornato ad affidarsi alla guida politica di esponenti e organizzazioni borghesi.

Questi temi erano ben presenti a Marx ed Engels, che già negli anni giovanili concludevano che “le idee dominanti sono le idee della classe dominante” e che il proletariato dovesse dotarsi di proprie organizzazioni di classe, emancipandosi dalla direzione borghese. Le gravi contraddizioni materiali derivanti però dall’industrializzazione nel XIX secolo, e ancora per la gran parte del XX secolo, risultavano in ogni caso ancora prevalenti rispetto alla capacità borghese di operare una “rivoluzione passiva”, ossia di imporre, grazie anche a misurate e contenute concessioni materiali, una certa ideologia, ossia una visione distorta della realtà, sulla maggioranza del proletariato, riuscendo ad attirare piuttosto nei propri ranghi gli strati dell’aristocrazia operaia, quelli che la borghesia chiama “ceti medi”.

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carmilla

God save the drag queen! La cultura woke tra antagonismo e neoliberismo

di Fabio Ciabatti

Mimmo Cangiano, Guerre culturali e neoliberismo, Nottetempo 2024, € 17, pp. 192.

Immagine main NL 7 .pngC’è una singolare coincidenza nella strategia politica dei due partiti che competono per la presidenza americana. I due candidati vicepresidenti, Tim Walz per i democratici e J.D. Vance per i repubblicani, sembrano essere stati scelti per contendersi le spoglie della classe lavoratrice americana. Le questioni legate all’identità di classe non possono certamente prendere troppo spazio nella campagna elettorale. Siamo pur sempre nel ventre della bestia capitalistica mondiale. Eppure la classe non è questione che possa essere bellamente ignorata perché, come si suol dire anche se in modo decisamente banalizzante, gli elettori votano soprattutto con il portafoglio. Perciò non rimane che evocare un sbiadito simulacro della classe per poi farlo agitare con cura da due personaggi secondari dello spettacolo elettorale.

Ed ecco spuntare dal cilindro Tim Walz, particolarmente gradito ai sindacati americani. A dirla tutta, però, J.D. Vance sembra più adatto a invocare il fantasma dell’America lavoratrice: nella sua famosa autobiografia, Hillbilly Elegy: A Memoir of a Family and Culture in Crisis, egli rivendica apertamente le sue origini popolari, ovviamente dal punto di vista di chi ce l’ha fatta a diventare un uomo di successo. Con l’assumere su di sé il connotato dispregiativo della parola hillbilly (nella sua accezione negativa, il termine significa cafone, zoticone ecc.) l’autore vuole evidentemente marcare la propria distanza dall’élite dominante. Insomma ci troviamo nel bel mezzo di un guazzabuglio postmoderno con i repubblicani che sembrano più a loro agio nell’evocare, certamente a modo loro, temi legati all’appartenenza di classe rispetto ai democratici. Questi ultimi, invece, attraverso la loro candidata alla presidenza, una donna di colore di origini asiatiche, hanno il physique du rôle per impersonare le questioni legate alle cosiddette identity politics, nonostante si guardino bene dal farne un tema centrale della propaganda elettorale.

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sinistra

Effetti culturali dell’economia neoliberista III

di Luca Benedini

(terza parte: un atteggiamento egocentrico di fondo che si sta rivelando sempre più distruttivo sul piano ambientale ed umano e – grazie anche all’insipienza diffusasi durante il ’900 nella cosiddetta sinistra – un “sistema di potere” particolarmente efficace)*

13clt1f01 neoliberismo apLa scarsa attenzione neoliberista per la salvaguardia dell’ambiente, della salute pubblica, della natura

Un’altra emblematica tendenza sociale attuale è il disinteresse di fondo con cui i neoliberisti trattano sia la prevenzione delle malattie, degli squilibri climatici e dei dissesti idrogeologici, sia la tutela della biodiversità e di una ben sviluppata fertilità della terra, un disinteresse che è nel contempo una sorta di “educazione delle masse” a dare anch’esse poca importanza a tutte queste cose: sarebbe pericoloso se le classi popolari pensassero che la loro salute è importante, più importante dei profitti delle grandi aziende industriali, commerciali, ecc., e se pensassero che anziché ridurre il più possibile le tasse ai ricchi e lasciare in tal modo al lumicino le finanze pubbliche – pur preservando comunque una certa tendenza della pubblica amministrazione (P.A.) al clientelismo e alla corruzione, tendenza che ai ricchi fa molto comodo... – bisognerebbe investire con diffusa attenzione e con oculatezza consistenti quantità di soldi pubblici per tutelare il clima planetario, l’assetto naturale di colline, monti, fiumi, mari e coste, la qualità intrinseca di terreni e acque, le specie viventi, la presenza diffusa di macchie di alberi e altri aspetti cruciali dell’ambiente e del paesaggio (investimenti che, per di più, in questo tipo di progettualità andrebbero fatti possibilmente prima che dagli squilibri di questi fattori derivino drammatiche devastazioni degli ecosistemi e della vita di questa o quella comunità locale)...

La tipica tendenza del pensiero neoliberista nei confronti delle problematiche ambientali, climatiche, sanitarie, sociali, ecc. è: “Lasciamo che esplodano, così potremo guadagnarci sopra in un modo o nell’altro...

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jacobin 

Capitalismo digitale e stagnazione economica

di Cédric Durand

I giganti della Silicon Valley rivendicano il loro ruolo di distruzione creatrice all'insegna della crescita economica. Ma la produzione digitale, sconfinata e immisurabile, sta rallentando il Pil e fermando l'economia

silicon valley jacobin italia 1536x560.jpgSe il «nuovo spirito del capitalismo» analizzato da Luc Boltanski ed Ève Chiapello dovesse essere identificato con un luogo, sarebbero gli edifici luminosi e moderni riservati ai creativi della Silicon Valley. La sede centrale di Google ci vende un sogno con le sue sessioni di yoga, i ristoranti gratuiti e le palestre aperte 24 ore su 24. Mostra il mondo innocente e aperto che l’azienda intende realizzare.

Questo tipo di spazio di lavoro è un’illustrazione magistrale della riorganizzazione delle soggettività avviata dall’«epitumogenesi neoliberista» identificata da Frédéric Lordon:

Il desiderio di trovare un impiego non dovrebbe più essere semplicemente un desiderio mediato per i beni che i salari consentono indirettamente di acquistare, ma un desiderio intrinseco per il bene stesso dell’attività… desideri di un lavoro felice o, per prendere in prestito direttamente dal suo stesso vocabolario, desideri di ‘realizzazione’ e ‘autorealizzazione’ nel e attraverso il lavoro.

Promettendo che lo «spirito innovativo della Silicon Valley è più forte che mai», Google propone «un ambiente in cui ogni individuo può condividere le proprie idee con i colleghi in qualsiasi momento e chiedere il loro contributo». E in effetti, «prendersi cura dei Googler» sembra un modo efficace per innescare l’innovazione. Lasciare ampio spazio ai cicli virtuosi e al libero gioco della complementarietà e della collaborazione incoraggia l’emergere di ciò che, per definizione, deve ancora essere scoperto.

Xavier Niel tenta di guidare questo stesso spirito di innovazione attraverso il divertimento negli uffici flessibili e nella zona relax di Station F, il suo campus di start-up a Parigi. La flessibilità che facilita il lavoro creativo sembra ricordare la rivolta antiautoritaria degli anni Sessanta e sarebbe certamente bello credere per un secondo che questo potrebbe essere davvero il nuovo volto del lavoro.

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acropolis

Come i Neocons hanno scelto l’egemonia invece della pace a partire dai primi anni ’90

di Jeffrey D. Sachs

Rhodes finalhorz.jpgNel 1989 sono stato consulente del primo governo post-comunista della Polonia e ho contribuito a elaborare una strategia di stabilizzazione finanziaria e di trasformazione economica. Le mie raccomandazioni del 1989 richiedevano un sostegno finanziario occidentale su larga scala per l’economia polacca, al fine di prevenire un’inflazione incontrollata, consentire una valuta polacca convertibile a un tasso di cambio stabile e un’apertura del commercio e degli investimenti con i Paesi della Comunità Europea (oggi Unione Europea). Queste raccomandazioni sono state ascoltate dal Governo degli Stati Uniti, dal G7 e dal Fondo Monetario Internazionale.

Sulla base dei miei consigli, è stato istituito un fondo di stabilizzazione da 1 miliardo di dollari in Zloty, che è servito da supporto alla nuova valuta convertibile della Polonia. Alla Polonia è stata concessa una sospensione del servizio del debito dell’era sovietica, e poi una cancellazione parziale di quel debito. Alla Polonia è stata concessa una significativa assistenza allo sviluppo sotto forma di sovvenzioni e prestiti da parte della comunità internazionale ufficiale.

Le successive prestazioni economiche e sociali della Polonia parlano da sole. Nonostante l’economia polacca abbia vissuto un decennio di crollo negli anni ’80, nei primi anni ’90 la Polonia ha iniziato un periodo di rapida crescita economica. La valuta è rimasta stabile e l’inflazione bassa. Nel 1990, il PIL pro capite della Polonia (misurato in termini di potere d’acquisto) era pari al 33% della vicina Germania. Nel 2024, aveva raggiunto il 68% del PIL pro capite della Germania, dopo decenni di rapida crescita economica.

Sulla base del successo economico della Polonia, nel 1990 sono stato contattato da Grigory Yavlinsky, consigliere economico del Presidente Mikhail Gorbaciov, per offrire una consulenza simile all’Unione Sovietica e, in particolare, per aiutare a mobilitare il sostegno finanziario per la stabilizzazione e la trasformazione economica dell’Unione Sovietica.

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coku

Compagni Cittadini: dal Diritto al lavoro al Reddito di cittadinanza. La svolta Liberal

di Leo Essen

compagni 1220x600.jpgI

Alla fin degli anni Ottanta, Honecker sulla Traband guidò il corteo funebre della Classe Lavoratrice mondiale. Per i più avveduti, come il Partito Comunista Italiano, cominciò la Stagione dei Diritti. Anche il sindacato, con Trentin, inaugurò la sua Stagione dei diritti. Dai diritti di Cittadinanza – così vennero chiamati – si passò, per logica conseguenza, al Reddito di Cittadinanza.

Un ciclo iniziato con il discorso di Nixon del 1971 si chiuse nella caciara generale: tra orfani del PCI e orfani del Socialismo reale, si faceva a gara a chi la sparasse più grossa.

Il grande sacerdote che battezzò la stagione dei Diritti fu l’ordo-liberale Ser Ralf Dahrendorf. Non deve assolutamente stupire scoprire che molta della fuffa che è stata venduta negli ultimi 15 anni in Italia e nel mondo dalla nuova destra, anche il precetto che questi temi trascendono la politica e dunque la destra e la sinistra, si trovino in Dahrendorf, e vengano direttamente dagli anni Ottanta.

I più rimuovono questo ricordo, anche se esso riaffiora nel desiderio di ritorno a un’infanzia felice, quando lo Stato, nei panni di Fanfani o di Stalin, dispensava serenità e benessere.

Nel 1971 la festa finì. La crescita dell’economia non garantiva più l’assorbimento delle forze attive. Nei paesi dell’OCSE, a fronte di una crescita del 3-4%, si registrava una disoccupazione del 10% e oltre. Il legame tra economia e benessere si era rotto. Riemergeva una nuova povertà – la povertà in mezzo all’abbondanza. La società borghese – questo è il grande tema di Dahrendorf -, con la sua divisione sociale del lavoro, ci aveva trasformati tutti in lavoratori, ognuno dipendente dal lavoro per vivere e per studiare, e persino per divertirsi.

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ilrovescio

Israele come mondo

Il tecno-colonialismo 4.0

di Eddie e Ste

Riceviamo e pubblichiamo questo articolo, che uscirà a settembre nel terzo numero dell’aperiodico di critica sociale “il pensiero critico”. Cosa dimostra il massacro in corso a Gaza? Tra le altre cose, questo; «la sorveglianza automatizzata si trasforma in arma di guerra automatizzata» (Stephen Graham, Villes sous contrôle. La militarisation de l’espace urbain). Che significa affermare che il modello-Israele è la tendenza di tutte le società tecnocapitalistiche? Tra le altre cose, questo: de nobis fabula narratur.

Schermata 2023 05 03 alle 13.35.22 770x515 1.pngIl conflitto globale in divenire, e in particolar modo il genocidio in atto a Gaza, oltre a suscitare doverose mobilitazioni, azioni di sabotaggio, occupazioni e boicottaggi in svariate parti del mondo, sta anche generando contributi alla messa in discussione dell’intero modello occidentale, rendendo maggiormente evidente come la sua ristrutturazione in chiave iper-tecnologica sia finalizzata alla gestione capillare degli individui e dei territori.

A nostro avviso non c’è niente di meglio del modello democratico israeliano che possa rappresentare ciò che è il fine ultimo del progetto denominato smart world. Come già ribadito in altre occasioni, siamo di fronte a una ristrutturazione sociale che avrà conseguenze devastanti sull’intero vivente, e ciò che comporterà lo possiamo vedere chiaramente in Palestina: analisi dei territori, raccolta dati sugli individui, elaborazione e predizione algoritmica, calcolo dei danni collaterali, confinamento e infine attacco militare.

E’ un dato di fatto che gli sviluppi tecnologici testati in Palestina (ma in generale nelle guerre) vengono venduti all’occidente per essere utilizzati all’interno dei contesti urbani, diventando parte fondamentale della trasformazione in corso. Lo Stato di Israele è a oggi leader mondiale per ciò che riguarda le tecnologie biometriche e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Traguardo raggiunto in decenni di occupazione, durante la quale ha potuto sperimentare tutto ciò direttamente sulla popolazione palestinese. Ci teniamo a sottolineare inoltre, che sono molteplici i progetti direttamente commissionati e finanziati da alcuni Stati occidentali, il che evidenzia ulteriormente quali strumenti si prefiggono di utilizzare anche qui da noi.

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lafionda

Cicli secolari

di Fabrizio Russo

chagall.jpgRileggo continuamente, anche se a spezzoni, il bellissimo lavoro di Peter Turchin e Sergey A. Nefedov: “Secular Cycles” edito da Princeton Press. La rilettura mi provoca ogni volta (e, devo dire, mio malgrado) una scarica rutilante, una fiumana, di pensieri. Il primo però è certamente: “Abbiamo davanti ai nostri occhi la corretta interpretazione delle cause dei problemi che ci circondano, e questo è già avere a disposizione mezze soluzioni, ma non vogliamo leggerla!”. L’essere umano è fatto in questo modo: agisce secondo il principio di economia (continua ricerca del minimo sforzo e massimo risultato) e così facendo evita di affrontare i sentieri più difficili della vita, preferendo le “autostrade” che portano a cercare soluzioni evanescenti e illusorie di brevissimo periodo a problemi di lungo termine. Oppure all’altro estremo si spinge nelle varie forme di negazione della realtà: droga, alcool e dipendenze varie, edonismo para-patologico nelle sue varie forme, disperazione e lotta armata contro i mulini a vento!

Qual è il collegamento delle analisi di Turchin e Nefedov con la nostra realtà di tutti i giorni? Il punto è proprio questo: il collegamento è molto distante, quindi pressoché invisibile, ma fortissimo …… anzi, oserei dire che è un legame di tipo deterministico! Nel dettaglio, Turchin e Nefedov hanno analizzato “matematicamente” i cicli storici degli ultimi due millenni considerando le principali dinamiche sociali, demografiche e di risorse naturali ed hanno scoperto delle sconcertanti regolarità di processo, con un modello che approssimativamente risulta il seguente:

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linterferenza

“Realismo Capitalista” di Mark Fisher ossia lo “stalinismo di mercato”

di Gerardo Lisco

Senza titolo.vmnnigjpegRiflettere sul sistema capitalista come fa Mark Fisher nel suo saggio dal titolo “Realismo Capitalista” non è da tutti. Il saggio di Fisher “Realismo Capitalista” edito da Nero è stato pubblicato in Italia nel 2018, la sua prima edizione risale al 2009. Siamo in pieno passaggio dalla crisi finanziaria dovuta alla bolla speculativa legata ai “fondi spazzatura” alla crisi del debito “sovrano europeo” del 2010, secondo la corretta intuizione dell’economista Roubini. Come scrive nella sua prefazione al saggio di Fisher Valerio Mattioli << La tesi è semplice: il The Is No Alternative al capitalismo pronosticato dalla Thatcher è stato infine introiettato non solo dalle forze politiche che pure a suo tempo occupavano il campo avversario a quello del conservatorismo neoliberale, ma dallo stesso inconscio collettivo; il risultato è che “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”>> e’ in questo passaggio il senso del realismo capitalista. Il Capitalismo neoliberale ha avuto la capacità di modificare a tal punto la coscienza individuale e collettiva, con effetti drammatici sia sul piano sociale che psichico, che perfino coloro che dicono di opporsi , di fatto, operano nel senso indicato dal Capitalismo Neoliberale. Non è un caso che Fisher nel suo saggio evidenzi il crescere di malattie psichiche dovute a tale sistema. Fisher ha maturato le sue riflessioni, filosofiche e sociologiche, prendendo spunto da un “mondo” per così dire non accademico. Acquisisce notorietà come blogger per poi diventare famoso grazie ai suoi scritti di politica, musica e cultura popolare. Vicino alle teorie filosofiche “accelerazioniste” secondo le quali il capitalismo potrà essere superato alla sola condizione di “accelerare” i processi che lo caratterizzano portandolo all’autodistruzione. L’Accelerazionismo” si presenta tanto come filosofia politica di destra quanto di sinistra, Fisher si caratterizza come teorico di sinistra, chiaramente marxiano.

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antropocene

Cosa è andato storto nel capitalismo?

di Michael Roberts

Recessione.jpgRuchir Sharma ha pubblicato un libro dal titolo What went wrong with capitalism? [Cosa è andato storto nel capitalismo?]. Ruchir Sharma è un investitore, gestore di fondi, autore ed editorialista del Financial Times. È a capo delle attività internazionali di Rockefeller Capital Management ed è stato investitore nei mercati emergenti presso Morgan Stanley Investment Management.

Con queste credenziali, di essere “organico alla bestia” o addirittura “una delle bestie”, dovrebbe conoscere la risposta alla sua domanda. In una recensione del suo libro sul Financial Times, Sharma delinea la sua argomentazione. In primo luogo, ci dice: «mi preoccupa la posizione degli Stati Uniti alla guida del mondo. La fiducia nel capitalismo americano, costruito su un governo limitato, che lascia spazio alla libertà e all'iniziativa individuale, è crollata». Egli osserva che ora, la maggior parte degli americani non si aspetta di «stare meglio tra cinque anni» – un minimo storico da quando l'Edelman Trust Barometer ha posto questa domanda per la prima volta, più di due decenni fa. Quattro americani su cinque dubitano che la vita per la generazione dei loro figli sarà migliore di quanto lo sia stata per loro. Secondo gli ultimi sondaggi Pew, la fiducia nel capitalismo è diminuita tra tutti gli americani, in particolare tra i democratici e i giovani. Infatti, tra i democratici sotto i trent’anni, il 58% ha ora un'«impressione positiva» del socialismo; solo il 29% dice la stessa cosa del capitalismo.

Questa è una brutta notizia per Sharma, forte sostenitore del capitalismo. Cosa è andato storto? Secondo Sharma, è l'ascesa del big government[1], del potere monopolistico e del denaro facile per salvare le imprese più grandi. Ciò ha portato alla stagnazione, alla bassa crescita della produttività e all'aumento delle disuguaglianze.

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perunsocialismodelXXI

La guerra infinita dell'occidente al tramonto

di Carlo Formenti

liberte egalite fraternite iscrizione Qualche settimana fa ho commentato su queste pagine il numero 3 della rivista Limes ("Mal d'America"), dedicato alla crisi egemonica degli Stati Uniti. L'appena uscito numero 4, dal titolo "Fine della guerra" (dove la parola fine va letta sia come il fine - lo scopo - che come la fine), che affronta nuovamente il tema da un altro punto di vista, mi è parso ancora più interessante, per cui credo sia giusto dedicargli un ulteriore riflessione.

Come nel numero precedente, il punto di vista della rivista, pur critico nei confronti della (assenza di) strategia che caratterizza il modo in cui Stati Uniti ed Europa affrontano la duplice sfida di Russia e Cina, non è anti-occidentale. Si tratta piuttosto del tentativo di iniettare nel bagaglio ideale del blocco atlantico una robusta dose di realismo. Nel numero 3 si citavano come campioni di tale approccio personaggi quali George Kennan ed Henry Kissinger, due "monumenti" di un pensiero conservatore che mira al contenimento del nemico senza innescare una catastrofica Terza Guerra Mondiale. Nel numero 4 l'approccio viene riproposto, ma l'obiettivo di "moderare" il conflitto senza rinunciare ai propri obiettivi è qui associato, più che all'esempio di singole figure storiche, al paradigma di una disciplina, la geopolitica, che "educa al limite, frena le pulsioni più sconsiderate dei contendenti mentre li include nella stessa equazione in ossequio al principio di realtà" (la citazione è tratta dall'editoriale, cui mi riferirò qui in prevalenza, introducendo spunti da altri articoli che ne condividono lo spirito, mentre ignorerò quelli che esibiscono toni affini al mood propagandistico della stampa mainstream).

Parto da una affermazione cruciale contenuta nell'editoriale: oggi la guerra non può più essere razionalizzata dal paradigma di Clausewitz, che la definiva come la continuazione della politica con altri mezzi. Il modello non funziona più perché la guerra "si è emancipata dalla politica".

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sinistra

Effetti culturali dell’economia neoliberista II

di Luca Benedini

(Seconda parte: una forma di patriarcato più sofisticata, oltre che una basilare occasione per rifocalizzarsi sull’incompatibilità strutturale che c’è tra pensiero socialista e cultura patriarcale)*

neoliberismo jacobin italia 990x361.jpgRuoli di genere e neoliberismo

Oltre alla “novità” culturale costituita dalla combinazione tra la precarietà liberista sviluppatasi diffusamente nell’Ottocento e le aspirazioni consumiste divenute popolari in concomitanza col boom tecnologico ed economico novecentesco (boom che non casualmente è maturato proprio con l’allontanarsi dell’economia di mercato dal liberismo ottocentesco e che sempre non casualmente si è in buona parte dissolto proprio col ritornare del liberismo nella sua nuova forma collegata all’“edonismo reaganiano”...), vi è un altro aspetto culturale in cui l’attuale società neoliberista si è mostrata orientata fortemente alla novità: le modifiche che stanno avvenendo nei ruoli di genere sia nel modo di vivere delle classi dominanti sia soprattutto – fatto socialmente più significativo perché riguarda miliardi di persone – nell’ambito della “cultura di massa”.

 

1. Il nòcciolo della questione

Durante l’ultimo paio di secoli, moltissime voci nel movimento femminista hanno sottolineato come per millenni le società organizzate in modo patriarcale abbiano cercato di indurre nelle donne una tendenza alla dipendenza emotiva da figure maschili come il padre inizialmente e il marito poi, tendenza cui si affiancava il contraltare costituito nella vita pubblica da altre figure dominanti tipicamente maschili, come i capi politici, religiosi e militari e in tempi relativamente recenti i dirigenti d’impresa [40]. Nella vita pratica ciò si esprimeva in un’esistenza femminile incentrata sulla vita di famiglia (e in particolare sull’occuparsi dei famigliari, della casa e dei dintorni), mentre nel caso in cui per un motivo o per l’altro una donna operasse anche al di fuori di tale contesto la sua posizione avrebbe dovuto rimanere comunque subordinata – direttamente o indirettamente – a qualche figura solitamente maschile.

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acropolis

La rivoluzione fallita di Karl Polanyi

L’ordine mondiale liberale sta crollando ancora una volta

di Thomas Fazi

ploytos copia 2048x1087.jpgPochi pensatori del XX secolo hanno avuto un’influenza così duratura e profonda come Karl Polanyi. “Alcuni libri si rifiutano di andare via: vengono sparati fuori dall’acqua ma emergono di nuovo e rimangono a galla”, ha osservato Charles Kindleberger, lo storico dell’economia, a proposito del suo capolavoro La Grande Trasformazione. Ciò rimane più vero che mai, a 60 anni dalla morte di Polanyi e a 80 dalla pubblicazione del libro. Mentre le società continuano a lottare per i limiti del capitalismo, il libro rimane senza dubbio la critica più tagliente mai scritta al liberalismo del mercato.

Nato in Austria nel 1886, Polanyi crebbe a Budapest in una prospera famiglia borghese di lingua tedesca. Anche se quest’ultimo era nominalmente ebreo, Polanyi si convertì presto al cristianesimo – o, più precisamente, al socialismo cristiano. Dopo la fine della prima guerra mondiale, si trasferì nella Vienna “rossa”, dove divenne redattore della prestigiosa rivista economica Der Österreichische Volkswirt (economista austriaco), e uno dei primi critici della scuola neoliberista, o “austriaca”, di economia, rappresentata tra gli altri da Ludwig von Mises e Friedrich Hayek. Dopo la conquista nazista della Germania nel 1933, le opinioni di Polanyi furono ostracizzate socialmente e si trasferì in Inghilterra, e poi negli Stati Uniti nel 1940. Scrisse The Great Transformation mentre insegnava al Bennington College nel Vermont.

Polanyi si proponeva di spiegare le massicce trasformazioni economiche e sociali a cui aveva assistito durante la sua vita: la fine del secolo di “pace relativa” in Europa, dal 1815 al 1914, e la successiva caduta nel tumulto economico, nel fascismo e nella guerra, che era ancora in corso al momento della pubblicazione del libro.

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tempofertile

La fine della modernità. Logiche della dipendenza e dei sistemi-mondo

di Alessandro Visalli

colombo.jpgLa centralità militare, tecnologica e della formazione del capitale[1] nell'Occidente collettivo ha avuto un inizio con l'aggiramento spagnolo del blocco turco e la distruzione delle americhe e sta giungendo dopo cinque secoli a fine. La dipendenza e assorbimento dei capitali periferici, e l'intero sistema morale, ideologico e sociale che vi è stato costruito sopra (la stessa coppia Occidente/Oriente che lo organizza) è presentata davanti agli occhi del mondo e rigettata ogni giorno di più. Il Re è ormai nudo, per questo ruggisce di rabbia come si vede a Kiev come a Gaza.

Utilizzerò Dussel[2] per cominciare il cammino in un labirinto con molti ingressi ma nessuna uscita. Una protesta di noi figli verso la vecchia madre[3], necessaria per farci adulti. Di noi moderni verso il retaggio che ci ha fatti e che scopriamo, ogni giorno di più, grondante e polveroso a un tempo. Inoltre, figlie degli antichi padri, sia anche chiaro, di quel Cortez la cui lucida armatura nascondeva un cervello senza cuore. Ma il dominio dell’Occidente è entrambe le cose allo stesso tempo: il volto aggrottato di un Padre autoritario, pronto a punire, e il dolce sorriso astuto di una Madre possessiva che trattiene nel suo grembo della quale non si può mai essere degni. Noi figli e figlie dobbiamo finalmente vederlo, se vogliamo liberarci e contribuire, finalmente, a rilasciare gli ostaggi. D’altra parte, questi ormai sono capaci di farlo da sé. Resta solo di augurare buona vita al nuovo mondo multipolare.

Se, però, qualunque cosa noi proveremo il Mondo alla fine farà da sé, e noi non siamo i maestri di nessuno per dire come deve fare, ci resta il compito di capire, vagliare e superare il nostro retaggio. Da noi e per noi.

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scenari

Capitalismo o neofeudalesimo? Un’introduzione

di Jodi Dean

Come pensare insieme la crisi della riproduzione sociale, l’intensificarsi delle disuguaglianze economiche e la riduzione dell’orizzonte politico? In Capitalismo o neofeudalesimo? Jodi Dean delinea le coordinate per reinterpretare i mutamenti globali del modo di produzione capitalistico e proporre una nuova ipotesi finalizzata a comprendere la fase attuale dello sviluppo del capitalismo stesso. Su Scenari proponiamo un estratto del libro.

Progetto senza titolo 50 1160x480.png1. Panoramica

Che cosa definisce il capitalismo contemporaneo? Come lo descriviamo? Quali sono i suoi tratti salienti? È addirittura corretto descrivere il nostro presente come capitalista? La mia ipotesi è che il capitalismo stia diventando qualcosa d’altro, qualcosa che possiamo proficuamente descrivere come neofeudale. Le dinamiche proprie del capitalismo si stanno avviluppando su se stesse in una sorta di sussunzione assoluta, con nuovi signori e nuovi servi, con una micro-élite di miliardari delle piattaforme e un massiccio settore di servizi, ovvero di servitori. Nel chiederci se l’ipotesi neofeudale abbia senso, se il capitalismo stia veramente diventando qualcosa di diverso, dobbiamo tenere a mente che il capitalismo si è sempre sovrapposto ad altri modi di produzione, su cui ha fatto leva e che ha sfruttato a suo vantaggio. Il capitalismo li deteriora, smantellando le condizioni a cui essi si erano adattati e assoggettandoli a leggi a loro estranee.

Da alcuni anni ormai sono alle prese con la questio ne posta da McKenzie Wark: “e se non fossimo più nel capitalismo, ma in qualcosa di peggiore?” [1]. Sulle prime pensavo che tale questione fosse assurda: certo che siamo nel capitalismo, in un capitalismo veramente orribile, estremo e neoliberale; in un capitalismo che ha abbandonato il compromesso a esso imposto dai movimenti operai nel XX secolo e procede a briglia sciolta nella sua corsa al profitto. Ma più esaminavo la questione, meno l’idea di un capitalismo eterno e sempre in grado di adattarsi diventava convincente. Harry Harootunian, ad esempio, critica l’immagine di un “capitalismo compiuto in occidente”.

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