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La legge elettorale, Di Battista e le divisioni nell’eurozona

di Redazione

Cosa lega la legge elettorale italiana con i mercati finanziari, l'isolamento del M5S, la crisi catalana e quella franco-tedesca sul futuro UE? Cerchiamo di spiegarlo in questo nostro articolo

1507730487583.jpg camera assediata mentre si vota il rosatellum bisIn attesa degli sviluppi della mano di poker tra Rajoy e Puigdemont, questi giorni offrono la possibilità di mettere a confronto dei fenomeni che solo una stampa strapaesana, come quella delle principali testate nazionali, può tenere separati. Stiamo parlando del tentativo di far approvare una nuova legge elettorale, che ha come primo firmatario Ettore Rosato capogruppo PD alla camera, da parte di una maggioranza composta da Pd, Forza Italia, Lega più altre forze minori. E del suo rapporto con quanto sta avvenendo sul piano finanziario e, entro il dibattito, per non parlare di spaccatura franco-tedesca, sul futuro dell’eurozona.

 

La legge elettorale: fra politica e finanza

Sgombriamo quindi subito ogni dubbio, la legge elettorale, quella che sembrerebbe (condizionale d’obbligo) prendere forma è proprio quella che volevano i mitici “mercati” finanziari. “Mercati”, rigorosamente tra virgolette perché si tratta di qualcosa di molto diverso da un luogo di negoziazione e scambio di servizi finanziari, che in questo caso contano, e premono, molto di più di Renzi, Berlusconi o Alfano anche in materia di legge elettorale. Cosa volevano i “mercati”? Per investire in un porto sicuro, senza fare guerre finanziarie, in Italia, e nel continente, volevano un risultato elettorale predeterminato, che permettesse di fare previsioni di investimento nei prossimi mesi. Nel, questo dettaglio sfugge spesso, paese che è si il terzo debito pubblico del mondo ma anche, di conseguenza, il terzo mercato obbligazionario del pianeta.  Ma, naturalmente, la cosa non è sfuggita a una storica banca d’affari americana che, in una recente analisi sull’Italia, chiedeva garanzie di investimento, a medio-lungo termine, contro il “rischio populismo”.

La legge elettorale all’esame delle camere, in questo senso vale quanto un future, un contratto di vendita che orienta il prezzo futuro di un bene, sui prossimi mesi della borsa di Milano: eliminando il “rischio populista” -creando una legge che, per far vincere il M5S lo costringerebbe ad andare ben oltre il 50% (quando al massimo arriverà al 30)- riduce, così, la possibilità di speculazione finanziaria sull’andamento della campagna elettorale. Tradotto in moneta sonante: più Grillo è lontano dalla possibilità di vincere le elezione maggiore è la possibilità che non si scateni una tempesta speculativa sui bond italiani. E questa necessità di ridurre in borsa il “rischio populista” c’è ed è importante per non vedersi spazzati via nelle prossime stagioni politiche.

Ma è importante anche per l’eurozona: una crisi italiana, specie se sommata alle incertezze del nuovo corso della Federal Reserve, magari con i problemi interni derivati dalle tensioni ispano-catalane, sarebbe troppo. Questa legge elettorale ha  quindi le caratteristiche della messa al riparo l’eurozona dal rischio politico Italia, per gli altri si vedrà. Non stupisce quindi che Gentiloni abbia messo la fiducia sulla legge elettorale, stupisce che, vista l’importanza della cosa, non sia riuscito a blindarla ancora di più. Segno che, dai tempi di Monti-Napolitano, ci sono degli sfilacciamenti nelle forze politiche, nella loro capacità di rispondere agli imperativi sistemici, piuttosto forti. E’ anche vero che le ultime crisi, Referendum italiano 2016 o crisi catalana, non hanno infiammato le borse ma con il fuoco, notoriamente, è meglio non scherzare.

Certo, si può, ed è anche giusto, invocare la dubbia costituzionalità, o l’altrettanto dubbia opportunità di mettere la fiducia in una legge che, per quanto possibile, dovrebbe essere fortemente condivisa. Proprio perchè altrimenti si scatena una conflittualità permanente, una guerra tra bande in parlamento, che non porta a niente di buono. Basti pensare che il prossimo anno, l’Italia festeggia i 25 anni dell’uscita dal proporzionale. Risultato che, secondo gli apprendisti stregoni di centrosinistra (si guardino i nomi di chi esultava allora) avrebbe dovuto portare stabilità politica, altro mito sparso a piene mani ovunque. Invece  è stato solo il primo episodio di una guerra tra bande, quindi tra cordate interne alle istituzioni, sulle “regole” che non ha fine da un quarto di secolo.

Sicuramente i lamenti, le recriminazioni sulla legge Rosato, le grida di “vergogna” toccano a chi sta perdendo, mentre la preda invece spetta al vincitore del momento. Vincitore che, come vediamo, se non avrà legittimità costituzionale -semmai lo sapremo tra qualche anno come accaduto con la legge Calderoli (che ha resistito alle denunce di costituzionalità dieci anni)-  avrà sicuramente quella legittimità assegnata dai “mercati” finanziari e dalle agenzie di rating. Sulla legge elettorale in gestazione vale più il giudizio negativo di un giudice emerito della corte costituzionale o quello di una agenzia di rating? Lo sanno tutti che il peso, la forza, stanno dalla parte di quest’ultima. Il rating da diverso tempo è la vera fonte di legittimazione dell’agire politico. La politica ha un senso se riesce a controbattere questa realtà. Altrimenti le restano i lamenti moralistici, e impotenti, sulla vergogna e sul mercimonio di voti.

 

L’isolamento e l’autoisolamento del M5S

Questo è il dato, purtroppo. E qui sono la debolezza e la confusione di chi fa opposizione che non fanno pensare bene. Prendiamo Di Battista esempio di oppositore in generale e della situazione del M5S in particolare. Il giorno del battesimo della fiducia alla camera sulla legge elettorale, per denunciare quanto sta accadendo, esce da Montecitorio, si imbuca nel primo comizio che trova, credendo erroneamente sia a suo favore, parla e si becca una sonora contestazione. Dai tempi di Tognazzi, e si parla di cinema, non si vedevano queste scene. Il giorno dopo, senza concedersi una pausa, continua a parlare della legge elettorale dicendo che una roba così, riferendosi al precedente della legge Acerbo, “non si vedeva dai tempi di Mussolini”. Insomma saremmo in pieno preludio al fascismo. Peccato che sia lo stesso Di Battista che, non molti mesi fa, ha definito l’opposizione fascismo-antifascismo come una reliquia antiquaria dei tempi dei guelfi e dei ghibellini (parole sue). Insomma un giorno siamo in pieno postmoderno, dove l’ideologia, nella società, è talmente evaporata da portare al potere partiti del fare”nè di destra nè di sinistra”, un giorno siamo alla vigilia di un nuovo ventennio delle camicie nere. E manca solo l’appello per un CLN del XXI secolo. Certo, Di Battista non è il solo che politicamente vive di fluttuazioni lisergiche di opinione -basta vedere le contorsioni a sinistra dove l’amico di oggi è il nemico mortale di domani e il nuovo amico di dopodomani- ma per il M5S questa vicenda segna un interrogativo strategico.

Nato come soggetto che vince in presenza o di premi maggioritari o, come alle amministrative, nel secondo turno, il movimento 5 stelle dovrebbe ripensarsi in modo strutturale. Se passerà la legge Rosato, per arrivare al governo il M5S non potrà più godere di un qualche bonus previsto dagli altri modelli di maggioritario. Con la legge Rosato il movimento grillino si avvia così, siccome rifiuta alleanze, a perdere seggi decisivi nella corposa maggioranza dei collegi non proporzionali. Il M5S potrebbe, con la nuova legge, attingere seggi solo da una quota di proporzionale che, da sola,  ce la farebbe a farlo vincere solo con un risultato che è quasi il doppio della sua reale aspettativa elettorale. Hic Rhodus hic salta, caro M5S.

Sarà anche un colpo di mano, anzi lo è, quello di Renzi e Berlusconi ma chi, come i grillini, si è bruciato i punti, rifiutando a priori ogni alleanza politica, è oggi servito. E anche chi, durante la svolta grillina a destra sulla crisi migranti, come Salvini, una qualche intesa con il M5S l’ha cercata, anche pubblicamente, è oggi tornato armi e bagagli dall’altra parte. La verità è che l’isolazionismo in politica se non sei un soggetto dotato di forza titanica, e non è certo il caso del M5S, non paga mai. Finisce che la sinistra, o la destra, o tutte e due ti mettono all’angolo.

 

Le spaccature franco-tedesche

La legge elettorale è quindi, oltre che il risultato di un convulso mercato delle candidature, qualcosa che può, e deve essere, prezzato sulle piazze finanziarie. Ma non è che la prossima legislatura, magari egemonizzata da un accordo, palese o occulto, PD-FI, andrà in discesa per gli eventuali vincitori di questa mano di poker politico. Lo provano le recenti, e pubbliche spaccature tra Francia e Germania sul futuro dell’eurozona, sulle politiche di bilancio e sulla mutualizzazione continentale del debito. Niente che, al grande pubblico, sia visibile in Italia. Nel nostro paese si si è dedicato, quantitativamente, il decuplo dello spazio alle contorsioni di tale Pisapia (un giorno alleato di Renzi, un giorno nominato capo dell’opposizione  a Renzi e poi nuova giravolta) rispetto alle elezioni tedesche, un fatto serissimo, e, appunto, alle contrapposizioni tra Francia e Germania. Al momento, ha scritto recentemente Les Echos, la contrapposizione più forte tra i due paesi sta su una differente concezione del futuro dell’eurozona. C’è quella francese che vuole mutualizzare, e quindi ripartire tra paesi, tutto il debito pubblico continentale, per fare altro debito “per consolidare la ripresa europea”. Quella tedesca invece,  quella di un paese che gode di un surplus notevole nella bilancia dei pagamenti, vuol mantenere il proprio vantaggio strutturale, la borsa tedesca è ai massimi storici, e far fare politiche di austerità, con nuovi meccanismi di supervisione dei singoli paesi, “per consolidare la ripresa europea”, ci mancherebbe. Istintivamente verrebbe da tifare per la soluzione francese. Ma la realtà è un’altra: con un debito al 130% del Pil, con una ripresa economica che fa sperare per il futuro solo sui telegiornali, in entrambi i casi tutto quello che la politica italiana sembra saper fare è scontare il valore della nuova legge elettorale sulle piazze finanziarie. Il resto è nelle mani delle evoluzioni dei rapporti di forza europei anche se nessuno sembra desideroso di far regali all’Italia. Ragionando in una logica politicamente ultranazionale, quanto finanziariamente globale, altro che unione tra europei. Ma se ne parlerà dopo le elezioni, salvo l’emergere di qualche crisi grossa. Si annuncia quindi un periodo che, se approvata la legge Rosato, per i partiti vincenti si prefigura perlomeno con la tranquillità di un risultato portato a casa. A spese nostre ma quello era scontato.

Comments

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Nicola
Tuesday, 17 October 2017 13:05
"chi, come i grillini, si è bruciato i punti, rifiutando a priori ogni alleanza politica, è oggi servito"

A fronte della porcata bis, voluta dai soliti mercenari, si criticano i grillini per non voler fare "inciuci" con "chicche e sia" !

Mi sugerisci tu un potenziale "alleato" contro queste bande di ladroni che frequentano il transatlantico, capeggiate da figuri che parlano troppo o figuri che tacciono troppo ???

p.s.
Qualcuno di questi figuri ha già avuto il ben servito dalla Storia, per gli altri aspettiamo...
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