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Morire in carcere. Un omicidio (Cucchi), un suicidio (Blefari).   Non ci stiamo!

Alessandro Cardulli

stefano cucchi 295 227Non ci stiamo: lo ripetiamo, se possibile, gridando più forte il nostro sdegno e la nostra rabbia. L’assassinio di Stefano Cucchi, l’omicidio preterintenzionale, come recita l’accusa contro ignoti, sta diventando un giallo, con la  complicità, esplicita e non, di troppi uffici pubblici. Non ci stiamo,  perché un’altra notizia, drammatica, sconvolgente arriva dal carcere romano di Rebibbia, dove si è suicidata Diana Blefari, condannata all’ergastolo per l’omicidio del professor Marco Biagi.

Si è impiccata con un lenzuolo . Proprio qualche giorno fa era stata visitata da uno psichiatra che l’aveva giudicata “in forte stato di prostrazione”. E il garante dei detenuti, Angiolo Marroni, aveva parlato di “un caso drammatico”. Si tratta del sessantesimo suicidio dall’inizio dell’anno.

La vita di donne e uomini, che la “sicurezza” dovrebbe garantire anche per chi è in carcere, vale meno di un soldo. Non solo. La verità viene nascosta. I morti diventano i colpevoli, tanto che la sorella di Stefano Cucchi parla di “ sciacallaggio” . No, forse qualcosa di più: un tentativo di depistaggio per mettere gli “ignoti”al riparo, basato su frasi dette e non dette, contraddizioni, testimonianze false o adulterate. Non ci meraviglieremo se questo dramma italiano finisse con  un verdetto di presunto suicidio. Insomma Stefano si sarebbe lasciato andare, non avrebbe voluto più vivere, rifiutando cure e cibo. La vittima di una violenza, da qualcuno esercitata contro di lui, da carabinieri, poliziotti, magistrati, medici, avvocati d’ufficio, diventerebbe l’assoluto protagonista.

Il cinismo, per non dire altro, con cui alcuni medici del Pertini parlano delle ultime ore di Stefano è allarmante. Ma, al tempo stesso, indicativo: significa che le colpe ci sono e si fa di tutto per nasconderle, per confondere le acque. Vediamo per esempio l’avvocato d’ufficio che entra in campo al processo per direttissima, mentre la famiglia ha nominato un altro avvocato di fiducia che già si era occupato di casi simili, Fabio Anselmi. Quando entra in aula l’imputato il padre e gli altri familiari rimangono impressionati, ha la faccia tumefatta, gonfia. Il suo aspetto insomma non è per niente rassicurante. Neppure dieci ore prima lo avevano visto quando i carabinieri erano andati a casa dove abitava per una perquisizione. Stava bene ed era tranquillo. Diceva: “non troveranno niente”.

I carabinieri  pare abbiano lasciato intendere che se la sarebbe cavata con i domiciliari e l'indomani sarebbe stato a casa. L’avvocato d’ufficio rilascia interviste in cui sostiene che Stefano non presentava alcun segno di possibili violenze, non era gonfio, non aveva la faccia tumefatta. Lui, il difensore d’ufficio, contraddice palesemente i familiari  del giovane. Non solo. Nega perfino che il giudice lo abbia fatto visitare nell’ambulatorio del tribunale. Lui, il difensore, non ha visto niente, non sa niente. Posso pensare a qualche schiaffo , afferma, quasi sia una cosa  normale prendere un  fermato a ceffoni. Il giudice può avergli suggerito di farsi visitare, ma niente  più incredibile. Tutti si chiedono perché in presenza di un reato, ammesso che lo sia stato, così lieve non sia stato assegnato ai domiciliari, considerato anche il suo stato di salute. Incredibile: risultava “senza fissa dimora”. Quei carabinieri che avevano fatto la perquisizione nell’appartamento dove viveva, nella sua stanza, nel verbale non hanno scritto  “ci siamo recati al domicilio di”.

E il difensore d’ufficio ha dimenticato di dire al magistrato dove abitava Stefano? Veniamo ancora ai medici del Pertini. Dice il responsabile del reparto adibito ai detenuti che aveva scritto al magistrato perché Stefano non voleva mangiare, rifiutava le flebo. Ma la lettera è rimasta nel cassetto e il giorno dopo Stefano è morto. Però tutti giurano che stava bene. Le analisi non davano risultati allarmanti. Magari c’era qualche traccia di sangue nello stomaco e nella vescica. Sì,  anche segni di un edema cerebrale, ecchimosi sul volto, traumi plurimi, fratture vertebrali. Ma lui stesso aveva raccontato che se le era procurate a settembre cadendo dalla scale. Frase tipica di detenuti che, avendo giù subito violenze nel corso di interrogatori, preferiscono parlare di cadute accidentali. Ma viene spontanea la domanda: possibile che nessuno si sia accorto delle condizioni in cui era ridotto il volto di Stefano? Un medico, senza il minimo senso del ridicolo, risponde che si copriva il volto con un lenzuolo.

Il primario addirittura nega tutto. Ed al Tg1 viene fatta pervenire una cartella clinica che dà conto  del buon stato di salute. All’avvocato difensore, quello vero, vengono negati documenti essenziali per accertare la verità. Infine, per quanto riguarda le fratture, i genitori di Stefano, dicono che non è vero niente.. Addirittura ci sarebbero due versioni. Nella prima si dà conto che la caduta dalle scale sarebbe avvenuta alla fine di settembre. In una seconda la data risalirebbero al 15 ottobre. E’ mai possibile che con vertebre fratturate, solo pochi giornì dopo la “caduta” si possa tranquillamente camminare? Le risposte a qualche prossima intervista dei medici del Pertini. E’ mai possibile infine che una detenuta come Diana Blefari, sottoposta più volte a perizia psichiatrica, a visite e contro visite, sia sempre stata giudicata come una persona perfettamente sana?

Forse i Nas che hanno prelevato all’Ospedale una serie di documenti potranno dire una parola chiara sull’assassinio di Stefano.

Forse, perché il depistaggio ha buone gambe.

Forse indagando a fondo sulle condizioni psichiche della Blefari si scoprirà che la sua vita era in pericolo, come lo era quella dei cinquantanove detenuti e detenute che prima di lei si sono uccisi. Pagherà qualcuno per questo nuovo delitto? Si metterà davvero mano a un piano per garantire ai detenuti le minime condizioni vitali e di sicurezza o tutte le iniziative di governo continueranno ad essere mirate alla tutela del presidente del Consiglio, ad evitargli noiosi processi, perdite di tempo? In discussione non ci sono solo, ed è già tanto, la morte di due persone. C’è la nostra civiltà.

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