I cinque principi per la coesistenza pacifica e il ruolo del Partito comunista
di Gianmarco Pisa*
Un’analisi in occasione del 70° anniversario della proclamazione dei Cinque principi per la coesistenza pacifica e all’indomani del 103° anniversario della fondazione del Partito comunista cinese. Non solo la capacità del marxismo e del leninismo, attraverso gli strumenti del pensiero e dell’opera di Marx e di Lenin, del materialismo e della dialettica, di adattarsi e di corrispondere ai diversi contesti nazionali, ma anche la sua straordinaria modernità, nel costruire percorsi autonomi, originali, di pace, progresso, giustizia sociale.
Un’importante conferenza, in occasione del 70° anniversario dei Cinque principi per la coesistenza pacifica, si è svolta lo scorso 28 giugno, a Pechino, con la partecipazione di oltre seicento persone, tra rappresentanti istituzionali, diplomatici provenienti da oltre cento Paesi, studiosi, analisti, ricercatori e media.
La ricorrenza non è importante solo per il suo aspetto celebrativo, quanto, in particolare, per la stringente attualità delle questioni cui rimanda. I Cinque principi furono infatti avanzati, per la prima volta, dall’allora premier cinese Zhou Enlai il 31 dicembre 1953 in occasione di un incontro con una delegazione del governo indiano; successivamente, nel giugno 1954, lo stesso premier cinese visitò l’India e l’allora Birmania (oggi Myanmar); al termine di questo percorso diplomatico, nel mondo uscito dalla Seconda guerra mondiale, nel quale si andava sempre più consolidando la contrapposizione bipolare propria della Guerra fredda e in cui maturavano i presupposti delle grandi lotte di liberazione contro il colonialismo e per l’affermazione, a partire dal 1961, del Movimento dei non allineati, le due dichiarazioni congiunte, Cina-India del 28 giugno 1954 e Cina-Birmania del 29 giugno 1954, avanzavano i Cinque principi per la coesistenza pacifica come principi guida nelle rispettive relazioni bilaterali e, in generale, come criterio generale per le relazioni internazionali.
Non a caso, nel 1955, la storica Conferenza di Bandung, in Indonesia, adottò i Dieci principi per la conduzione delle relazioni internazionali, al cui interno erano inclusi i Cinque principi per la coesistenza pacifica, che venivano così posti a base di un nuovo schema delle relazioni internazionali, nel quale si affermava la presenza di un Movimento di non allineati: da allora, alla ricerca di un ordine politico ed economico internazionale fondato sull’equità e la cooperazione, il diritto e la giustizia internazionale, i Cinque principi sono stati adottati sostanzialmente dalla stragrande maggioranza dei Paesi in via di sviluppo. Ulteriore tappa di questo processo, nel 1970, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la “Dichiarazione sui principi di diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati in conformità con la Carta delle Nazioni Unite”, che faceva propri i Cinque principi, segnandone quindi l’ampia accettazione presso la comunità internazionale.
Questa stessa Dichiarazione, peraltro, sin dalla premessa ricorda che “il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali e lo sviluppo delle relazioni amichevoli e della cooperazione fra le nazioni sono tra gli scopi fondamentali delle Nazioni Unite” e sottolinea il punto di vista decisivo in virtù del quale la pace si costruisce non solo in ragione dell’impegno politico e diplomatico e del rifiuto della logica di potenza da parte degli Stati più forti, ma anche in virtù della costruzione di condizioni di sviluppo, dignità e primato del lavoro, giustizia internazionale e giustizia sociale, dal momento che “è importante mantenere e rafforzare la pace internazionale fondata sulla libertà, l’uguaglianza, la giustizia e il rispetto dei diritti fondamentali e sviluppare relazioni amichevoli fra le nazioni indipendentemente dalle differenze dei loro sistemi … e dei loro livelli di sviluppo”. Sotto questo profilo, la sua attualità può essere misurata non solo alla stregua dei principi che enuclea, ma anche in relazione alle premesse che pone, tra le quali “il dovere degli Stati di astenersi, nelle loro relazioni internazionali, dall’impiego di misure coercitive di carattere militare, politico, economico o di altro genere, dirette contro l’indipendenza politica o l’integrità territoriale di qualunque Stato”.
A questi presupposti ha fatto riferimento il discorso tenuto, in occasione della conferenza, dal presidente della Repubblica popolare cinese, Xi Jinping, che ha ricordato come la forza e l’impatto dei movimenti per l’indipendenza e la liberazione nazionale hanno fatto crollare le gabbie del colonialismo e hanno affermato l’aspirazione a salvaguardare la propria sovranità e sviluppare la propria economia, nell’ambito di un percorso autonomo di indipendenza e di sviluppo, coerente con i principi di autodeterminazione e di non ingerenza. In un passaggio particolarmente significativo del discorso, ad esempio, Xi Jinping ha ribadito che “negli ultimi settanta anni, i Cinque principi hanno trasceso il tempo e lo spazio e superato le distanze, dimostrando una solida resilienza e una duratura rilevanza. Sono diventati così norme basilari aperte, inclusive e universalmente applicabili per le relazioni internazionali, principi fondamentali del diritto internazionale”.
Allo stesso tempo, i Cinque principi possono costituire un punto di riferimento storico per le relazioni internazionali, per l’affermazione e lo sviluppo di relazioni tra Paesi con diversi sistemi sociali, per la riforma e il miglioramento del sistema di relazioni basato sulle Nazioni Unite e sulla Carta delle Nazioni Unite, e per sostenere il contributo offerto alla causa dello sviluppo, del progresso e della cooperazione internazionale, in linea con i principi della Carta e contro ogni fantomatica ipotesi di “ordine mondiale basato sulle regole”, che sembra essere viceversa la proposta strategica dell’imperialismo per puntellare il proprio “ordine unipolare”.
Qui sta appunto l’attualità dei Cinque principi: il rispetto reciproco per la sovranità e l’integrità territoriale; la reciproca non aggressione; la reciproca non interferenza e non ingerenza negli affari interni dei singoli Paesi; l’uguaglianza sovrana, il reciproco beneficio e la coesistenza pacifica. Sono i principi cui non solo fa riferimento la Carta delle Nazioni Unite, ma ai quali la stessa politica internazionale della Repubblica popolare cinese si ispira, come indica, ad esempio, la prospettiva cinese di una “comunità umana di futuro condiviso”. Essa “propone un nuovo modello di uguaglianza e coesistenza per le relazioni internazionali; risponde alla tendenza prevalente e alla domanda che sempre più si diffonde nel mondo, di pace, sviluppo, cooperazione e relazioni paritarie, di mutuo beneficio; e ispira nuovi modi per raggiungere sviluppo e sicurezza”.
A questi principi fa riferimento anche la proposta cinese per la soluzione politica della crisi ucraina (24 febbraio 2023), che, non a caso, parte dai presupposti del rispetto della sovranità e della indipendenza di tutti i Paesi e dell’abbandono della mentalità da guerra fredda; e in generale alla Carta delle Nazioni Unite fanno riferimento gli sforzi coerenti con l’esigenza di “sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli, e prendere ulteriori misure atte a rafforzare la pace universale” (Carta, art. 1 c. 2). “In un momento storico in cui l’umanità deve scegliere tra pace o guerra, prosperità o recessione, unità o conflitto, va più che mai sostenuta la sostanza dei Cinque principi e occorre impegnarsi per costruire una comunità di futuro condiviso per l’intera umanità”. La giustizia internazionale, la cooperazione e il progresso come fondamenti, cioè, della “pace positiva”, pace con giustizia.
Tornano, in questo discorso, i termini fondamentali della prospettiva cinese per il XXI secolo: la “costruzione di una comunità umana di futuro condiviso” è intesa, in questo senso, come visione e approccio dei Paesi e dei popoli di fronte alle questioni globali del nostro tempo, come comunità di interessi comuni e di comune esigenza di pace, sviluppo e sicurezza non divisibile nel quadro delle relazioni internazionali, nella consapevolezza che la mentalità da guerra fredda e l’egemonismo da grande potenza sono risposte inappropriate, inadeguate e pericolose dinanzi alle sfide del presente e che solo un approccio su base politica e il rispetto della eguaglianza sovrana, della non-ingerenza e della autodeterminazione possono rispondere a tali questioni.
Come annunciato sin dal discorso di Xi Jinping del 28 settembre 2015 in Assemblea generale alle Nazioni Unite, infatti, “il mondo sta attraversando un processo storico di grande evoluzione: la luce della pace, dello sviluppo e del progresso sarà abbastanza forte da penetrare le nubi della guerra, della povertà e dell’arretratezza. Il movimento verso un mondo multipolare e l’ascesa dei mercati emergenti e dei Paesi in via di sviluppo sono diventati una tendenza irresistibile della storia. La globalizzazione economica e l’avvento dell’era dell’informazione hanno liberato e potenziato le forze produttive sociali. Entrambi hanno creato opportunità di sviluppo senza precedenti e dato origine a nuove minacce e sfide da affrontare apertamente”.
In questo orizzonte, la strategia per il “socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”, come via cinese al socialismo e contributo all’elaborazione, di pensiero e di prassi, di visione e di lotta, per un socialismo del XXI secolo all’altezza delle questioni, dei bisogni e delle sfide del presente, si basa su quattordici punti e tre fattori fondamentali: “sviluppare il complesso istituzionale attraverso cui il popolo governa il Paese e sviluppa la democrazia socialista, sostenendo in primo luogo la centralità e l’unità del Partito comunista, della sua direzione e delle sue articolazioni, e dell’insieme che governa il Paese; fare avanzare il benessere del popolo, migliorare le condizioni di vita a tutti i livelli, concentrandosi sulle questioni più urgenti che maggiormente interessano le persone; sostenere lo sviluppo e la prosperità della cultura socialista”.
La centralità del marxismo e del leninismo e il ruolo del partito comunista sono, in questa dimensione, essenziali. Come ricordato dal presidente cinese in occasione del centesimo anniversario della fondazione del Partito Comunista Cinese (1 luglio 1921), infatti, “il Partito e il popolo cinese hanno mostrato al mondo che il popolo cinese era capace non solo di smantellare il vecchio mondo, ma anche di costruirne uno nuovo, che solo il socialismo poteva salvare la Cina e che solo il socialismo con caratteristiche cinesi poteva svilupparsi in Cina”. Sono parole di notevole significato, non solo per i comunisti e le comuniste cinesi, ma per i comunisti e le comuniste di tutto il mondo, a tutte le latitudini, e in particolare da noi, in Occidente, perché indicano non solo la capacità del marxismo e del leninismo, attraverso gli strumenti del pensiero e dell’opera di Marx e di Lenin, del materialismo e della dialettica, di adattarsi ai diversi contesti nazionali, ma anche la sua straordinaria modernità, nel costruire percorsi autonomi, originali, di progresso, di giustizia sociale.
Nell’impegno unitario, di azione e di lotta, per ricostruire l’unità delle forze comuniste anche nel nostro Paese, l’Italia, si tratta di una indicazione di straordinaria vitalità, un contributo fondamentale all’avanzamento di un socialismo per il XXI secolo che sappia declinarsi e consolidarsi nei singoli contesti nazionali, “non calco né copia” di esperienze altrui, ma capace di trarre, dalle esperienze altrui, e segnatamente quella del Partito Comunista Cinese, una base storica e politica di prassi consolidate, chiare indicazioni di prospettiva.







































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